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Pirelli, una storia d’impresa:
industria, persone, cultura e innovazione

Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale

Si apre presso la Chiesa di Santa Marta a Varenna (LC) “Pirelli, una storia d’impresa: industria, persone, cultura e innovazione. Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale” il percorso espositivo, curato da Fondazione Pirelli in collaborazione con il Comune di Varenna, dedicato alla figura di Giovanni Battista Pirelli, illustre cittadino della città e fondatore della prima industria italiana per la lavorazione della gomma elastica, e allo sviluppo dell’azienda da lui costituita.

La mostra, realizzata con materiali che provengono dall’Archivio Storico aziendale, sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, da sabato 1 aprile a martedì 25 aprile 2023. Si ripercorreranno più di 150 anni di storia industriale attraverso documenti, fotografie, disegni: dalle origini varennesi del fondatore e l’apertura della prima fabbrica a Milano nel 1872, fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per la passione per le corse, una ricerca tecnologica d’avanguardia e una costante rivoluzione nella comunicazione visiva. Pirelli, un’impresa al tempo stesso italiana e internazionale, oggi presente in 12 Paesi con 18 stabilimenti produttivi, con gli stessi forti valori che la contraddistinguono da più di un secolo e mezzo: passione, attenzione per le persone, innovazione, sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi.

Oltre ai contenuti in mostra, saranno disponibili, tramite QR code, anche approfondimenti digitali pubblicati

Verrà svelata anche una targa celebrativa affissa sulla casa natale dell’illustre cittadino nella Contrada Giovanni Battista Pirelli.

Orari di apertura della mostra

Pirelli, una storia d’impresa: industria, persone, cultura e innovazione. Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale
1 – 25 aprile 2023
Aperto tutti i giorni dalle ore 9.30 alle 17 – ingresso libero
Chiesa di Santa Marta, Piazza S. Giorgio, 25, Varenna (LC)

Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale

Si apre presso la Chiesa di Santa Marta a Varenna (LC) “Pirelli, una storia d’impresa: industria, persone, cultura e innovazione. Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale” il percorso espositivo, curato da Fondazione Pirelli in collaborazione con il Comune di Varenna, dedicato alla figura di Giovanni Battista Pirelli, illustre cittadino della città e fondatore della prima industria italiana per la lavorazione della gomma elastica, e allo sviluppo dell’azienda da lui costituita.

La mostra, realizzata con materiali che provengono dall’Archivio Storico aziendale, sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, da sabato 1 aprile a martedì 25 aprile 2023. Si ripercorreranno più di 150 anni di storia industriale attraverso documenti, fotografie, disegni: dalle origini varennesi del fondatore e l’apertura della prima fabbrica a Milano nel 1872, fino ad arrivare ai giorni nostri, passando per la passione per le corse, una ricerca tecnologica d’avanguardia e una costante rivoluzione nella comunicazione visiva. Pirelli, un’impresa al tempo stesso italiana e internazionale, oggi presente in 12 Paesi con 18 stabilimenti produttivi, con gli stessi forti valori che la contraddistinguono da più di un secolo e mezzo: passione, attenzione per le persone, innovazione, sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi.

Oltre ai contenuti in mostra, saranno disponibili, tramite QR code, anche approfondimenti digitali pubblicati

Verrà svelata anche una targa celebrativa affissa sulla casa natale dell’illustre cittadino nella Contrada Giovanni Battista Pirelli.

Orari di apertura della mostra

Pirelli, una storia d’impresa: industria, persone, cultura e innovazione. Giovanni Battista Pirelli, da Varenna allo sviluppo di una grande azienda internazionale
1 – 25 aprile 2023
Aperto tutti i giorni dalle ore 9.30 alle 17 – ingresso libero
Chiesa di Santa Marta, Piazza S. Giorgio, 25, Varenna (LC)

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Reti d’impresa come e perché

Una raccolta di ricerche sul tema, fornisce una sorta di vademecum utile per capire meglio

Reti d’impresa come strumenti efficienti per individuare prospettive di sviluppo nuove e importanti. E per contrastare con efficacia una congiuntura non certo favorevole alla crescita. Il tema non è certo nuovo, ma necessita comunque di continui approfondimenti; oltre che di verifiche oggettive della teoria.

A questo serve la raccolta di ricerche “Le reti d’impresa nell’economia locale” curata da Rosa Lombardi e Michele Onorato recentemente pubblicata dall’Università Sapienza.

La raccolta prende avvio da una prima indagine dedicata ai profili aziendali (già consolidati ma anche emergenti), che meglio calzano nel modello d’imprese a rete. Successivamente viene svolto un approfondimento dei sistemi di reti aziendali post-pandemia e quindi degli aspetti relativi all’amministrazione delle reti tra auto-organizzazione e nuove regole così come delle indicazioni da seguire relativamente ai temi fiscali e tributari. A rendere tutto più interessante, è una serie di esempi (casi studio) oltre che un abbondante uso di schemi e sintesi che rendono la raccolta di ricerche curata da Lombardi e Onorato particolarmente fruibile.

Particolare attenzione viene posta al significato del contratto di rete nell’ambito dello sviluppo locale e nazionale. Viene spiegato in un passaggio della raccolta che il contratto di rete “permette di superare i vincoli dimensionali intrinsechi nella natura delle PMI e di generare un circolo virtuoso che porti le imprese coinvolte a beneficiare dell’apprendimento di nuova conoscenza mediante la condivisione tra le parti di buone pratiche. Inoltre, il contratto di rete si fa apprezzare per essere uno strumento flessibile e adattabile a differenti configurazioni di collaborazione, da scambio di conoscenza e risorse all’esercizio di attività comune”. Reti d’impresa, quindi, come segnale e strumento d’azione di una particolare cultura d’impresa che può cambiare, in meglio, i tratti di un territorio.

Attraverso le ricerche raccolte e coordinate da Lombardi e Onorato, viene costruito una sorta di vademecum sull’argomento visto da più aspetti: uno strumento importante per capire di più e meglio di una particolare forma d’impresa.

Le reti d’impresa nell’economia locale

Rosa Lombardi, Michele Onorato (a cura di)

Sapienza University Press, 2023

Una raccolta di ricerche sul tema, fornisce una sorta di vademecum utile per capire meglio

Reti d’impresa come strumenti efficienti per individuare prospettive di sviluppo nuove e importanti. E per contrastare con efficacia una congiuntura non certo favorevole alla crescita. Il tema non è certo nuovo, ma necessita comunque di continui approfondimenti; oltre che di verifiche oggettive della teoria.

A questo serve la raccolta di ricerche “Le reti d’impresa nell’economia locale” curata da Rosa Lombardi e Michele Onorato recentemente pubblicata dall’Università Sapienza.

La raccolta prende avvio da una prima indagine dedicata ai profili aziendali (già consolidati ma anche emergenti), che meglio calzano nel modello d’imprese a rete. Successivamente viene svolto un approfondimento dei sistemi di reti aziendali post-pandemia e quindi degli aspetti relativi all’amministrazione delle reti tra auto-organizzazione e nuove regole così come delle indicazioni da seguire relativamente ai temi fiscali e tributari. A rendere tutto più interessante, è una serie di esempi (casi studio) oltre che un abbondante uso di schemi e sintesi che rendono la raccolta di ricerche curata da Lombardi e Onorato particolarmente fruibile.

Particolare attenzione viene posta al significato del contratto di rete nell’ambito dello sviluppo locale e nazionale. Viene spiegato in un passaggio della raccolta che il contratto di rete “permette di superare i vincoli dimensionali intrinsechi nella natura delle PMI e di generare un circolo virtuoso che porti le imprese coinvolte a beneficiare dell’apprendimento di nuova conoscenza mediante la condivisione tra le parti di buone pratiche. Inoltre, il contratto di rete si fa apprezzare per essere uno strumento flessibile e adattabile a differenti configurazioni di collaborazione, da scambio di conoscenza e risorse all’esercizio di attività comune”. Reti d’impresa, quindi, come segnale e strumento d’azione di una particolare cultura d’impresa che può cambiare, in meglio, i tratti di un territorio.

Attraverso le ricerche raccolte e coordinate da Lombardi e Onorato, viene costruito una sorta di vademecum sull’argomento visto da più aspetti: uno strumento importante per capire di più e meglio di una particolare forma d’impresa.

Le reti d’impresa nell’economia locale

Rosa Lombardi, Michele Onorato (a cura di)

Sapienza University Press, 2023

L’economia del merito

Pubblicato in edizione critica e integrale un libro di economia di duecento anni fa che fa capire molto del mondo d’oggi

 

Conoscere i meriti, cercarli, individuarli e premiarli per cercare di farli crescere e diffondere. Economia delle virtù, dunque. Economia virtuosa, dedita allo sviluppo e non solo alla crescita. Economia che oggi si cerca come soluzione ai molti problemi congiunturali che società e imprese devono affrontare ma che, a ben vedere, esiste da secoli, e che si ritrova, raccontata e spiegata, ne “Del merito e delle ricompense”, libro pubblicato tra il 1818 e il 1819 da Melchiorre Gioia e che oggi viene riproposto in edizione critica.

Libro corposo quello di Gioia, che ha un obiettivo: fornire il metodo scientifico per misurare le variabili quantitative e qualitative, come le virtù,  soprattutto relazionali, così essenziali per il buon funzionamento dell’economia e della società, al tempo stesso individuando i modi per favorirne l’attivazione. Come incentivare l’emersione dei comportamenti virtuosi nelle società moderne? Come premiare il merito rispettando la tessitura delle motivazioni umane più profonde che il riconoscimento unicamente monetario spiazza e deprime? Sono alcune delle domande che guidano nell’esplorazione del testo. Che conserva tutta la sua modernità.
Nell’attuale società di mercato, infatti, si invoca la meritocrazia pensando che il merito sia qualcosa di unidimensionale, semplice da individuare come criterio per le buone scelte. Così i meriti premiati sono quelli traducibili in incremento di rendimenti e fatturati, più maschili che femminili, più individuali che collettivi, più posizionali che relazionali. I meriti relazionali e qualitativi sono, infatti, difficili da ordinare oggettivamente, si prestano di più all’abuso, sono più vulnerabili e spesso restano invisibili a una società che soffre di analfabetismo relazionale ed emozionale. Il libro di Gioia, spiega quanto siano proprio gli ingredienti invisibili, i capitali relazionali e spirituali a essere stati determinanti per lo sviluppo economico e umano delle società che prima di tutto hanno saputo vederli, dirli, premiarli.

Leggere, oggi, Gioia significa così ritrovare parole (e significati) per ricomporre un vocabolario che sappia dire del merito e di come riconoscerlo al di fuori della facile laudatio dell’ideologia meritocratica e oltre l’assurda volontà di misurare con esattezza tutto. Scrive proprio Gioia in un passo del suo libro: “Mostrerebbe di conoscere poco l’uomo che pretendesse di ritrovare per le cose morali delle misure così esatte, come si trovano per le fisiche”.

Del merito e delle ricompense

Melchiorre Gioia

Vita e Pensiero, 2023

 

 

 

Pubblicato in edizione critica e integrale un libro di economia di duecento anni fa che fa capire molto del mondo d’oggi

 

Conoscere i meriti, cercarli, individuarli e premiarli per cercare di farli crescere e diffondere. Economia delle virtù, dunque. Economia virtuosa, dedita allo sviluppo e non solo alla crescita. Economia che oggi si cerca come soluzione ai molti problemi congiunturali che società e imprese devono affrontare ma che, a ben vedere, esiste da secoli, e che si ritrova, raccontata e spiegata, ne “Del merito e delle ricompense”, libro pubblicato tra il 1818 e il 1819 da Melchiorre Gioia e che oggi viene riproposto in edizione critica.

Libro corposo quello di Gioia, che ha un obiettivo: fornire il metodo scientifico per misurare le variabili quantitative e qualitative, come le virtù,  soprattutto relazionali, così essenziali per il buon funzionamento dell’economia e della società, al tempo stesso individuando i modi per favorirne l’attivazione. Come incentivare l’emersione dei comportamenti virtuosi nelle società moderne? Come premiare il merito rispettando la tessitura delle motivazioni umane più profonde che il riconoscimento unicamente monetario spiazza e deprime? Sono alcune delle domande che guidano nell’esplorazione del testo. Che conserva tutta la sua modernità.
Nell’attuale società di mercato, infatti, si invoca la meritocrazia pensando che il merito sia qualcosa di unidimensionale, semplice da individuare come criterio per le buone scelte. Così i meriti premiati sono quelli traducibili in incremento di rendimenti e fatturati, più maschili che femminili, più individuali che collettivi, più posizionali che relazionali. I meriti relazionali e qualitativi sono, infatti, difficili da ordinare oggettivamente, si prestano di più all’abuso, sono più vulnerabili e spesso restano invisibili a una società che soffre di analfabetismo relazionale ed emozionale. Il libro di Gioia, spiega quanto siano proprio gli ingredienti invisibili, i capitali relazionali e spirituali a essere stati determinanti per lo sviluppo economico e umano delle società che prima di tutto hanno saputo vederli, dirli, premiarli.

Leggere, oggi, Gioia significa così ritrovare parole (e significati) per ricomporre un vocabolario che sappia dire del merito e di come riconoscerlo al di fuori della facile laudatio dell’ideologia meritocratica e oltre l’assurda volontà di misurare con esattezza tutto. Scrive proprio Gioia in un passo del suo libro: “Mostrerebbe di conoscere poco l’uomo che pretendesse di ritrovare per le cose morali delle misure così esatte, come si trovano per le fisiche”.

Del merito e delle ricompense

Melchiorre Gioia

Vita e Pensiero, 2023

 

 

 

Ascoltare il cuore di Milano e conciliare la produttività e l’inclusione sociale

“Una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie”. Il giudizio lucido e lungimirante di Renzo Piano sta in copertina dell’ultimo semestrale della Società Umanitaria di Milano, dedicato a “La città ideale 2.0”, un quaderno ricco di analisi e documenti sull’evoluzione urbana contemporanea, umanistica e tecnica.

Una città da ascoltare, dunque. Come ben sapeva anche un artista sofisticato e sensibile come Alberto Savinio: “Ascolto il tuo cuore, città”, aveva scritto nel 1944, raccontando Milano e la sua amabile bellezza elegante e discreta (pubblicato inizialmente da Bompiani, il libro è adesso edito da Adelphi). Un ascolto necessario non solo per comprendere umori e aspettative, ma anche per costruire sapienti scelte di progettazione dello sviluppo, di indirizzo, governo, buona amministrazione. Perché “la città non è una forma astratta, un ibrido, un monolite, ma va intesa come una specie vivente, in continua evoluzione, con cui bisogna fare i conti, regolando le dinamiche territoriali con le molteplicità di sviluppo delle città”, come sostiene l’editoriale della rivista dell’Umanitaria. Con una consapevolezza chiara, nelle parole di Stefano Boeri, architetto e buon interprete delle biodiversità urbane: “Il futuro è di chi costruisce e progetta oggi. Ma la buona politica deve fare buone scelte urbanistiche, che guardano a quello che saremo fra 30/50 anni”.

I giudizi di Piano e Savinio e la visione di Boeri vengono in mente proprio riflettendo su un serie di passaggi critici di Milano, alcuni in linea con le “fragilità” delle altre metropoli (ne abbiamo scritto nel blog del 28 febbraio) e altri invece specifici per la città che più di altre, in Italia, cresce e continua ad attrarre persone e idee innovative, risorse intellettuali e finanziarie, investimenti, progetti.

Ascoltare cosa, dunque? Gli scricchiolii sociali ed economici, innanzitutto, perché fanno temere cambiamenti negativi e declino, perché sono quelli che minacciano una frattura nel complesso equilibrio che da sempre tiene insieme Milano: tra produttività e inclusione sociale, crescita della ricchezza e benessere diffuso, aperture per le avanguardie culturali ed economiche più innovative e senso forte della responsabilità solidale. Perchè, insomma, bisogna rilanciare il paradigma metropolitano tutt’altro che semplice ma comunque vitale che riguarda il lavoro, la qualità della vita, la capacità di scrivere “una storia al futuro”.

Gli scricchiolii sono chiari. Basta scorrere le cronache quotidiane dei giornali, tra carta e online, per averne conferme. I negozi che chiudono, anche in zone centrali e semicentrali (via Mazzini, via Lazzaretto) per costi eccessivi degli affitti e di una mano d’opera sempre più difficile da trovare. Il livello dei prezzi delle case, sempre meno accessibili per giovani single e famiglie di ceto medio. Gli aumenti generali del costo della vita, anche in quartieri di periferia coinvolti da processi stravolgenti di “gentrificazione”. Una percezione crescente di insicurezza personale e sociale, anche se non è confortata dai dati oggettivi dei fenomeni di criminalità comune, ma genera comunque inquietudine e disagio. Tutto un complesso di cose che fanno precipitare Milano dal secondo all’ottavo posto nella classifica annuale de “Il Sole24Ore” sulla qualità della vita.

Ecco il punto critico: l’idea diffusa che Milano stia diventando sempre più un’insopportabile “città per ricchi”, per effimeri privilegiati dei circuiti della finanza d’assalto, della new economy, dei consumi di lusso. Un’idea in netto contrasto con la storia, le tradizioni e la cultura di una città aperta, inclusiva, con l’anima generosa di una metropoli “vicina all’Europa” ma anche profondamente capace di accoglienza per chiunque abbia idee, intraprendenza, capacità di lavoro, senso civile.

“Una vetrina identificata come modernità vincente da chi deve investire nel lusso… una global city che piace alla finanza e un po’ meno al cittadino scontento del taglio ai servizi, della sicurezza, del costo degli alloggi e della vita”, sintetizza Giangiacomo Schiavi sulle pagine del “Corriere della Sera” (12 marzo), invitando comunque a “cambiare senza sparare sul pianista”, al termine di un’inchiesta approfondita sul “processo alla città: una metropoli da cui fuggire?”.

No, certo. Niente fuga. Semmai, scelte di buon governo locale, a cominciare dagli indirizzi urbanistici, dai provvedimenti per la casa e dagli investimenti in servizi con attenzione per le classe medie e i ceti sociali più fragili: i cardini della comunità, gli assi portanti di una buona democrazia. Come tradizione milanese, appunto, insegna.

Da anni, peraltro, proprio le più sensibili firme della letteratura noir (Alessandro Robecchi, Gianni Biondillo, Piero Colaprico, Sandrone Dazieri, Dario Crapanzano, Gian Andrea Cerone, per fare solo alcuni dei tanti nomi possibili, eredi originali della lezione di Giorgio Scerbanenco) mettono in guardia dal cedere al mito effimero delle “mille luci” dei grattacieli e delle tante weeks alimentate da una diffusa tendenza alla traduzione delle relazioni sociali in “eventi speciali”.

E da anni, però, dall’Expo in poi, sono proprio le forze dell’economia, ancora incardinata in una robusta propensione alla manifattura di qualità, a tenere Milano con i piedi per terra nel connubio, ricordato qualche riga fa, tra produttività, competitività e solidarietà, nelle relazioni virtuose tra “la capitale del sapere e il contado industriale”, come sintetizza Dario Di Vico (“Il Foglio”, 11 marzo), notando che “oggi Milano ha davanti a sé l’esigenza di accorciare una doppia corsia di distanze, quella che la allontana dai territori e quella che al suo interno vede allargarsi la polarizzazione e i rischi di fratture sociali. Per affrontarle entrambe c’è bisogno di una visione di sistema, che fatica ad emergere”.

Scommessa difficile, naturalmente. Ma possibile da affrontare a vincere, proprio facendo leva sulle capacità milanesi di dialogo, confronto, lavoro, innovazione economica e sociale. Le relazioni virtuose tra industria, servizi, finanza d’impresa e formazione (le università di livello internazionale) ne sono un pilastro.

La forza baricentrica tra il Nord Ovest in cerca di un nuovo e migliore futuro (su cui si muovono, concordi, l’Unione Industriali di Torino, l’Assolombarda e la Confindustria Genova), l’Emilia produttiva e il Nord Est delle “multinazionali tascabili” è un altro dei pilastri. L’asse tra Europa e Mediterraneo ne è lo scenario geopolitico. Tutto un gran lavoro da fare, coinvolgendo pubbliche amministrazioni, imprese, cultura, strutture sociali.

Ecco, dunque, cosa vuol dire ascoltare attentamente il cuore di Milano e non più soltanto il batticuore delle emozioni istantanee.

(foto Getty Images)

“Una città non è disegnata, semplicemente si fa da sola. Basta ascoltarla, perché la città è il riflesso di tante storie”. Il giudizio lucido e lungimirante di Renzo Piano sta in copertina dell’ultimo semestrale della Società Umanitaria di Milano, dedicato a “La città ideale 2.0”, un quaderno ricco di analisi e documenti sull’evoluzione urbana contemporanea, umanistica e tecnica.

Una città da ascoltare, dunque. Come ben sapeva anche un artista sofisticato e sensibile come Alberto Savinio: “Ascolto il tuo cuore, città”, aveva scritto nel 1944, raccontando Milano e la sua amabile bellezza elegante e discreta (pubblicato inizialmente da Bompiani, il libro è adesso edito da Adelphi). Un ascolto necessario non solo per comprendere umori e aspettative, ma anche per costruire sapienti scelte di progettazione dello sviluppo, di indirizzo, governo, buona amministrazione. Perché “la città non è una forma astratta, un ibrido, un monolite, ma va intesa come una specie vivente, in continua evoluzione, con cui bisogna fare i conti, regolando le dinamiche territoriali con le molteplicità di sviluppo delle città”, come sostiene l’editoriale della rivista dell’Umanitaria. Con una consapevolezza chiara, nelle parole di Stefano Boeri, architetto e buon interprete delle biodiversità urbane: “Il futuro è di chi costruisce e progetta oggi. Ma la buona politica deve fare buone scelte urbanistiche, che guardano a quello che saremo fra 30/50 anni”.

I giudizi di Piano e Savinio e la visione di Boeri vengono in mente proprio riflettendo su un serie di passaggi critici di Milano, alcuni in linea con le “fragilità” delle altre metropoli (ne abbiamo scritto nel blog del 28 febbraio) e altri invece specifici per la città che più di altre, in Italia, cresce e continua ad attrarre persone e idee innovative, risorse intellettuali e finanziarie, investimenti, progetti.

Ascoltare cosa, dunque? Gli scricchiolii sociali ed economici, innanzitutto, perché fanno temere cambiamenti negativi e declino, perché sono quelli che minacciano una frattura nel complesso equilibrio che da sempre tiene insieme Milano: tra produttività e inclusione sociale, crescita della ricchezza e benessere diffuso, aperture per le avanguardie culturali ed economiche più innovative e senso forte della responsabilità solidale. Perchè, insomma, bisogna rilanciare il paradigma metropolitano tutt’altro che semplice ma comunque vitale che riguarda il lavoro, la qualità della vita, la capacità di scrivere “una storia al futuro”.

Gli scricchiolii sono chiari. Basta scorrere le cronache quotidiane dei giornali, tra carta e online, per averne conferme. I negozi che chiudono, anche in zone centrali e semicentrali (via Mazzini, via Lazzaretto) per costi eccessivi degli affitti e di una mano d’opera sempre più difficile da trovare. Il livello dei prezzi delle case, sempre meno accessibili per giovani single e famiglie di ceto medio. Gli aumenti generali del costo della vita, anche in quartieri di periferia coinvolti da processi stravolgenti di “gentrificazione”. Una percezione crescente di insicurezza personale e sociale, anche se non è confortata dai dati oggettivi dei fenomeni di criminalità comune, ma genera comunque inquietudine e disagio. Tutto un complesso di cose che fanno precipitare Milano dal secondo all’ottavo posto nella classifica annuale de “Il Sole24Ore” sulla qualità della vita.

Ecco il punto critico: l’idea diffusa che Milano stia diventando sempre più un’insopportabile “città per ricchi”, per effimeri privilegiati dei circuiti della finanza d’assalto, della new economy, dei consumi di lusso. Un’idea in netto contrasto con la storia, le tradizioni e la cultura di una città aperta, inclusiva, con l’anima generosa di una metropoli “vicina all’Europa” ma anche profondamente capace di accoglienza per chiunque abbia idee, intraprendenza, capacità di lavoro, senso civile.

“Una vetrina identificata come modernità vincente da chi deve investire nel lusso… una global city che piace alla finanza e un po’ meno al cittadino scontento del taglio ai servizi, della sicurezza, del costo degli alloggi e della vita”, sintetizza Giangiacomo Schiavi sulle pagine del “Corriere della Sera” (12 marzo), invitando comunque a “cambiare senza sparare sul pianista”, al termine di un’inchiesta approfondita sul “processo alla città: una metropoli da cui fuggire?”.

No, certo. Niente fuga. Semmai, scelte di buon governo locale, a cominciare dagli indirizzi urbanistici, dai provvedimenti per la casa e dagli investimenti in servizi con attenzione per le classe medie e i ceti sociali più fragili: i cardini della comunità, gli assi portanti di una buona democrazia. Come tradizione milanese, appunto, insegna.

Da anni, peraltro, proprio le più sensibili firme della letteratura noir (Alessandro Robecchi, Gianni Biondillo, Piero Colaprico, Sandrone Dazieri, Dario Crapanzano, Gian Andrea Cerone, per fare solo alcuni dei tanti nomi possibili, eredi originali della lezione di Giorgio Scerbanenco) mettono in guardia dal cedere al mito effimero delle “mille luci” dei grattacieli e delle tante weeks alimentate da una diffusa tendenza alla traduzione delle relazioni sociali in “eventi speciali”.

E da anni, però, dall’Expo in poi, sono proprio le forze dell’economia, ancora incardinata in una robusta propensione alla manifattura di qualità, a tenere Milano con i piedi per terra nel connubio, ricordato qualche riga fa, tra produttività, competitività e solidarietà, nelle relazioni virtuose tra “la capitale del sapere e il contado industriale”, come sintetizza Dario Di Vico (“Il Foglio”, 11 marzo), notando che “oggi Milano ha davanti a sé l’esigenza di accorciare una doppia corsia di distanze, quella che la allontana dai territori e quella che al suo interno vede allargarsi la polarizzazione e i rischi di fratture sociali. Per affrontarle entrambe c’è bisogno di una visione di sistema, che fatica ad emergere”.

Scommessa difficile, naturalmente. Ma possibile da affrontare a vincere, proprio facendo leva sulle capacità milanesi di dialogo, confronto, lavoro, innovazione economica e sociale. Le relazioni virtuose tra industria, servizi, finanza d’impresa e formazione (le università di livello internazionale) ne sono un pilastro.

La forza baricentrica tra il Nord Ovest in cerca di un nuovo e migliore futuro (su cui si muovono, concordi, l’Unione Industriali di Torino, l’Assolombarda e la Confindustria Genova), l’Emilia produttiva e il Nord Est delle “multinazionali tascabili” è un altro dei pilastri. L’asse tra Europa e Mediterraneo ne è lo scenario geopolitico. Tutto un gran lavoro da fare, coinvolgendo pubbliche amministrazioni, imprese, cultura, strutture sociali.

Ecco, dunque, cosa vuol dire ascoltare attentamente il cuore di Milano e non più soltanto il batticuore delle emozioni istantanee.

(foto Getty Images)

Campiello Junior 2023
Premiazione dei Vincitori

Si avvicina il momento di annunciare i vincitori della seconda edizione del Campiello Junior, grazie alla scelta che verrà fatta dalla giuria popolare, composta da 240 ragazzi tra i 7 e i 14 anni, da tutta Italia e anche dall’estero, suddivisi in due categorie: 7-10 anni e 11-14 anni.

Fondazione Pirelli e Fondazione Il Campiello hanno il piacere di invitare tutti i ragazzi appassionati di libri alla Cerimonia di proclamazione dei vincitori della seconda edizione del Premio Campiello Junior che si svolgerà:

giovedì 11 maggio 2023 alle ore 11.00
presso il Teatro Franco Parenti di Milano

L’evento sarà presentato da Massimo Polidoro,
giornalista, scrittore e divulgatore scientifico.

Letture dell’attrice Emilia Tiburzi.

Interverranno Mariacristina Gribaudi, Presidente del comitato di gestione del Premio Campiello, Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli e Roberto Piumini, presidente della Giuria di Selezione del Campiello Junior.

Se vuoi partecipare all’evento con i tuoi ragazzi appassionati di lettura puoi farlo attraverso l’apposito modulo al seguente link.

L’evento è aperto anche alle classi.
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.

Le terne finaliste

7-10 anni
Nicola Cinquetti, L’incredibile notte di Billy Bologna, Lapis Edizioni
Carlo Marconi, Poesie del camminare, Lapis Edizioni
Nadia Terranova, Il cortile delle sette fate, Guanda

11-14 anni
Lilith Moscon, Bestiario familiare, Topipittori
Davide Rigiani, Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, minimum fax
Ilaria Rigoli, A rifare il mondo, Bompiani

Per rimanere aggiornati sulle iniziative del Premio Campiello Junior potete trovare maggiori informazioni sui siti: www.fondazionepirelli.org e www.premiocampiello.org.

Vi aspettiamo

Si avvicina il momento di annunciare i vincitori della seconda edizione del Campiello Junior, grazie alla scelta che verrà fatta dalla giuria popolare, composta da 240 ragazzi tra i 7 e i 14 anni, da tutta Italia e anche dall’estero, suddivisi in due categorie: 7-10 anni e 11-14 anni.

Fondazione Pirelli e Fondazione Il Campiello hanno il piacere di invitare tutti i ragazzi appassionati di libri alla Cerimonia di proclamazione dei vincitori della seconda edizione del Premio Campiello Junior che si svolgerà:

giovedì 11 maggio 2023 alle ore 11.00
presso il Teatro Franco Parenti di Milano

L’evento sarà presentato da Massimo Polidoro,
giornalista, scrittore e divulgatore scientifico.

Letture dell’attrice Emilia Tiburzi.

Interverranno Mariacristina Gribaudi, Presidente del comitato di gestione del Premio Campiello, Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli e Roberto Piumini, presidente della Giuria di Selezione del Campiello Junior.

Se vuoi partecipare all’evento con i tuoi ragazzi appassionati di lettura puoi farlo attraverso l’apposito modulo al seguente link.

L’evento è aperto anche alle classi.
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti.

Le terne finaliste

7-10 anni
Nicola Cinquetti, L’incredibile notte di Billy Bologna, Lapis Edizioni
Carlo Marconi, Poesie del camminare, Lapis Edizioni
Nadia Terranova, Il cortile delle sette fate, Guanda

11-14 anni
Lilith Moscon, Bestiario familiare, Topipittori
Davide Rigiani, Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, minimum fax
Ilaria Rigoli, A rifare il mondo, Bompiani

Per rimanere aggiornati sulle iniziative del Premio Campiello Junior potete trovare maggiori informazioni sui siti: www.fondazionepirelli.org e www.premiocampiello.org.

Vi aspettiamo

Campiello Junior 2023: le storie e le parole delle terne finaliste

Billy Bologna che distrugge per sbaglio il domino più grande del mondo; Arte, una gatta nera, e Carmen, una bambina selvatica, perseguitate dall’Inquisizione; poesie nelle quali le parole sono come i passi di una camminata; Tullio, un ragazzo dalla grande immaginazione e tutte le creature fantastiche che vivono nella sua mente; Lilith che racconta la sua infanzia tra polli che sembrano t-rex, gatti con nomi di pittori e altri strani personaggi; ancora poesie, per rifare il mondo con curiosità e voglia di scoperta.

I sei libri finalisti alla seconda edizione del Campiello Junior raccontati dalle parole dei loro autori. In arrivo una serie di interviste, realizzate da Fondazione Pirelli, per conoscerli meglio prima della proclamazione del vincitore, che si terrà giovedì 11 maggio 2023 alle ore 11.00 presso il Teatro Franco Parenti di Milano. A presentarla, Massimo Polidoro (giornalista, scrittore e divulgatore scientifico).

Le interviste verranno pubblicate su questa pagina con cadenza settimanale, ogni mercoledì a partire dal 15 marzo:

Nicola CinquettiL’incredibile notte di Billy Bologna, Lapis Edizioni; Terna 7-10 anni – mercoledì 15 marzo 2023

Lilith MosconBestiario familiare, Topipittori; Terna 11-14 anni – mercoledì 22 marzo 2023

Carlo Marconi, Poesie del camminare, Lapis Edizioni; Terna 7-10 anni – mercoledì 29 marzo 2023

Davide Rigiani, Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, minimum fax; Terna 11-14 anni – mercoledì 5 aprile 2023

Nadia Terranova, Il cortile delle sette fate, Guanda; Terna 7-10 anni – mercoledì 19 aprile 2023

Ilaria Rigoli, A rifare il mondo, Bompiani; Terna 11-14 anni – mercoledì 26 aprile 2023

Per conoscere tutte le iniziative del Premio Campiello Junior potete visitare Le Biblioteche Pirelli | Fondazione Pirelli e www.premiocampiello.org.

Billy Bologna che distrugge per sbaglio il domino più grande del mondo; Arte, una gatta nera, e Carmen, una bambina selvatica, perseguitate dall’Inquisizione; poesie nelle quali le parole sono come i passi di una camminata; Tullio, un ragazzo dalla grande immaginazione e tutte le creature fantastiche che vivono nella sua mente; Lilith che racconta la sua infanzia tra polli che sembrano t-rex, gatti con nomi di pittori e altri strani personaggi; ancora poesie, per rifare il mondo con curiosità e voglia di scoperta.

I sei libri finalisti alla seconda edizione del Campiello Junior raccontati dalle parole dei loro autori. In arrivo una serie di interviste, realizzate da Fondazione Pirelli, per conoscerli meglio prima della proclamazione del vincitore, che si terrà giovedì 11 maggio 2023 alle ore 11.00 presso il Teatro Franco Parenti di Milano. A presentarla, Massimo Polidoro (giornalista, scrittore e divulgatore scientifico).

Le interviste verranno pubblicate su questa pagina con cadenza settimanale, ogni mercoledì a partire dal 15 marzo:

Nicola CinquettiL’incredibile notte di Billy Bologna, Lapis Edizioni; Terna 7-10 anni – mercoledì 15 marzo 2023

Lilith MosconBestiario familiare, Topipittori; Terna 11-14 anni – mercoledì 22 marzo 2023

Carlo Marconi, Poesie del camminare, Lapis Edizioni; Terna 7-10 anni – mercoledì 29 marzo 2023

Davide Rigiani, Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, minimum fax; Terna 11-14 anni – mercoledì 5 aprile 2023

Nadia Terranova, Il cortile delle sette fate, Guanda; Terna 7-10 anni – mercoledì 19 aprile 2023

Ilaria Rigoli, A rifare il mondo, Bompiani; Terna 11-14 anni – mercoledì 26 aprile 2023

Per conoscere tutte le iniziative del Premio Campiello Junior potete visitare Le Biblioteche Pirelli | Fondazione Pirelli e www.premiocampiello.org.

Campiello Junior 2023 - Le terne finaliste

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Complessità e cambiamento, tutti coinvolti

Una ricerca appena pubblicata cerca di delineare un percorso verso prospettive economiche diverse e più inclusive

Cambiare passo e paradigmi di riferimento. Necessità più che urgente di fronte alla complessità che pervade ogni forma di aggregazione sociale e di produzione. E quindi avere mappe per orientarsi. E strumenti per capire. È tutto sommato questo l’obiettivo del contributo di Maria Mirabelli, Vincenzo Fortunato e  Antonio Martin Artiles apparso recentemente su “SOCIETÀ MUTAMENTO POLITICA. Rivista italiana di sociologia”.

“Globalizzazione, disuguaglianze e nuovi approcci verso un modello di capitalismo sostenibile” prende le mosse da una considerazione di fondo: la varietà attuale dei capitalismi e delle loro evoluzioni. Lo sguardo, poi, viene posto “all’esperienza italiana, in un contesto di crescente incertezza e disuguaglianze” e quindi sui “principali cambiamenti socio-economici e sul loro impatto sulla economia e società”. Cambiamento oppure trasformazione, sono quindi i vocaboli-guida della ricerca che approfondisce prima le relazioni tra globalizzazione e trasformazioni del lavoro, poi il tema collegato dei rischi sociali e delle governance possibili per passare quindi a quello delle disuguaglianze. La prospettiva è quella di “percorsi possibili – viene sottolineato dagli autori -, così come pratiche complementari o addirittura alternative che mantengono insieme economia e società per iniziare una nuova era più sostenibile, sociale e il capitalismo inclusivo”. Per Mirabelli, Fortunato e Artiles l’idea “centrale è che i mercati auto-regolamentati non funzionano perfettamente; le loro deficienze, non solo nei loro meccanismi interni, ma anche nelle loro conseguenze per le persone meno avvantaggiate, sono così grandi che l’intervento statale diventa necessarie e che il ritmo del cambiamento è di fondamentale importanza nel determinarle conseguenze”.

Cambio di passo urgente, dunque, sostengono i tre autori. Che riconoscono tuttavia la difficoltà del traguardo da raggiungere e la necessità di coinvolgere più attori del sistema economico e sociale. L’indagine di Mirabelli, Fortunato e Artiles non fornisce ricette preconfezionate e nemmeno deve essere necessariamente accolta senza riserve, ma pone considerazioni utili per tutti.

Globalizzazione, disuguaglianze e nuovi approcci verso un modello di capitalismo sostenibile

Maria Mirabelli, Vincenzo Fortunato, Antonio Martin Artiles

SOCIETÀ MUTAMENTO POLITICA. Rivista italiana di sociologia, 13(25): 23-35, 2022

Una ricerca appena pubblicata cerca di delineare un percorso verso prospettive economiche diverse e più inclusive

Cambiare passo e paradigmi di riferimento. Necessità più che urgente di fronte alla complessità che pervade ogni forma di aggregazione sociale e di produzione. E quindi avere mappe per orientarsi. E strumenti per capire. È tutto sommato questo l’obiettivo del contributo di Maria Mirabelli, Vincenzo Fortunato e  Antonio Martin Artiles apparso recentemente su “SOCIETÀ MUTAMENTO POLITICA. Rivista italiana di sociologia”.

“Globalizzazione, disuguaglianze e nuovi approcci verso un modello di capitalismo sostenibile” prende le mosse da una considerazione di fondo: la varietà attuale dei capitalismi e delle loro evoluzioni. Lo sguardo, poi, viene posto “all’esperienza italiana, in un contesto di crescente incertezza e disuguaglianze” e quindi sui “principali cambiamenti socio-economici e sul loro impatto sulla economia e società”. Cambiamento oppure trasformazione, sono quindi i vocaboli-guida della ricerca che approfondisce prima le relazioni tra globalizzazione e trasformazioni del lavoro, poi il tema collegato dei rischi sociali e delle governance possibili per passare quindi a quello delle disuguaglianze. La prospettiva è quella di “percorsi possibili – viene sottolineato dagli autori -, così come pratiche complementari o addirittura alternative che mantengono insieme economia e società per iniziare una nuova era più sostenibile, sociale e il capitalismo inclusivo”. Per Mirabelli, Fortunato e Artiles l’idea “centrale è che i mercati auto-regolamentati non funzionano perfettamente; le loro deficienze, non solo nei loro meccanismi interni, ma anche nelle loro conseguenze per le persone meno avvantaggiate, sono così grandi che l’intervento statale diventa necessarie e che il ritmo del cambiamento è di fondamentale importanza nel determinarle conseguenze”.

Cambio di passo urgente, dunque, sostengono i tre autori. Che riconoscono tuttavia la difficoltà del traguardo da raggiungere e la necessità di coinvolgere più attori del sistema economico e sociale. L’indagine di Mirabelli, Fortunato e Artiles non fornisce ricette preconfezionate e nemmeno deve essere necessariamente accolta senza riserve, ma pone considerazioni utili per tutti.

Globalizzazione, disuguaglianze e nuovi approcci verso un modello di capitalismo sostenibile

Maria Mirabelli, Vincenzo Fortunato, Antonio Martin Artiles

SOCIETÀ MUTAMENTO POLITICA. Rivista italiana di sociologia, 13(25): 23-35, 2022

Cresce l’occupazione ma restano le ombre per giovani e donne. E il declino demografico…

Lavoro, immigrazione, formazione, sviluppo. Ragioniamo con i numeri, chiari, essenziali. L’Istat, nei giorni scorsi, ha annunciato un aumento dei posti di lavoro, di 459mila unità a gennaio, rispetto all’anno precedente, portando così il totale degli occupati a 23,3 milioni: un record, almeno da quando ci sono le serie storiche mensili, dal 2004 cioè. L’andamento è positivo anche mese su mese: 35mila occupati in più nel gennaio ‘23 rispetto al dicembre ‘22. “Il mercato del lavoro continua a mostrare segnali positivi, in linea con un andamento economico in lenta ripresa”, commenta “Il Sole24Ore” (3 marzo). “Il migliore mercato del lavoro italiano degli ultimi trent’anni”, si entusiasma “Il Foglio” (3 marzo).

A guardare bene i dati, si possono cogliere altri elementi positivi. Dei 23,3 milioni di occupati, 15,3 milioni sono dipendenti a tempo indeterminato, con un aumento di 464mila unità rispetto al gennaio ‘22. Si va verso un miglioramento della stabilità del lavoro, insomma: i posti a tempo determinato sono sotto la soglia psicologica dei 3 milioni, 2,994 milioni, per l’esattezza.
Va bene anche per l’occupazione femminile: le donne sono 9,87 milioni, 264mila in più rispetto al gennaio ‘22. Restano forti, è vero, i divari evidenziati dal tasso di occupazione, salito in media al 60,8% ma con un 69,7% per gli uomini e un insoddisfacente 51,9% per le donne. E sono sempre marcate le differenze con gli altri paesi europei (77% in Germania, 68% in Francia, media Ue 70%). Eppure, nonostante tutto, le cose si muovono, anche se più lentamente del necessario.

La ripresa economica, particolarmente impetuosa nel ‘21 e nel ‘22 (quasi l’11% di crescita del Pil, nel biennio, con ritmi che non si vedevano dai tempi del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta) e comunque ancora evidente in quest’inizio del ‘23 che ha, almeno per ora, messo da canto i timori di recessione, sta mostrando di avere basi robuste, nell’attività dell’industria manifatturiera e nell’aumento dell’export (a quota 625 miliardi, un record). Incide relativamente poco, invece, l’effetto da superbonus edilizio del 110% (appena lo 0,5% di crescita del Pil nel ‘21 e lo 0,9 nel ‘22, secondo le analisi dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, diretto da Giampaolo Galli), ridimensionando così la propaganda dei sostenitori del governo Conte e dei 5Stelle, che quel bonus avevano fortemente voluto, con tutte le storture nella sua applicazione.
Guardando sempre ai dati Istat sull’occupazione, non va sottovalutata un’ombra. Che riguarda i giovani: il tasso di occupazione, sia tra gli under25 che nella classe d’età 25/34 anni, è calato dello 0,3% e sono aumentate disoccupazione e inattività. E il tasso di disoccupazione è salito al 22,9%, tra i peggiori a livello internazionale: in Germania è in calo al 5,7%, dopo di noi ci sono Spagna e Grecia.
Le cose potrebbero andare meglio? Certo, se le imprese trovassero le persone che volentieri assumerebbero ma anche non trovano. Ne migliorerebbero produttività e competitività e la crescita economica e sociale in generale.
Le indagini Unioncamere-Anpal testimoniano da tempo che quasi un’assunzione su due è di difficile reperimento, con punte del 60/70% per i profili tecnico-scientifici. Lo testimoniano anche le cronache economiche: “Imprese a caccia di lavoratori, ma il 41% resta introvabile” (“Il Sole24Ore”, 27 dicembre ‘22); “Artigiani in cerca di 43mila lavoratori a Milano, Monza e Brianza” (“Corriere della Sera”, 18 febbraio); “Lavoro, imprese a caccia di 4 milioni di occupati green” (“Il Sole24Ore”, 11 febbraio) e così via continuando per la moda e la meccatronica, la chimica e l’industria agroalimentare.
L’allarme arriva anche dalla Banca d’Italia: per attuare tempestivamente ed efficacemente il Pnrr servirebbero 375mila nuovi lavoratori, dagli operai alle figure tecniche più specializzate, anche nella Pubblica amministrazione. Peccato che non si trovino (“la Repubblica”, 7 febbraio).
Eccoci dunque al paradosso: abbiamo una macchina produttiva che continua a fare dell’Italia il secondo paese manifatturiero europeo, con presenze sempre maggiori nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati globali ma ci manca il capitale necessario per continuare a crescere: le persone. E centinaia di migliaia di nostri giovani se ne vanno all’estero, in cerca di migliori condizioni di lavoro e di vita (ne abbiamo parlato più volte in questi blog).
Ci sono, da questo punto di vista, problemi irrisolti di formazione universitaria (sempre troppo pochi laureati nelle materie Stem: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Di condizioni sociali per fare aumentare radicalmente la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Di salari e stipendi. Di qualità del lavoro e soddisfazione di prospettive in un panorama di imprese troppo piccole e spesso managerialmente poco evolute.
Di certo, la doppia questione legata all’incrocio tra formazione e occupazione, ai rapporti tra scuola e impresa dovrebbe stare in cima all’elenco degli interessi e degli impegni del governo e della politica in generale. Come purtroppo ancora non avviene.

C’è, sullo sfondo, il grande tema della demografia. Siamo un paese che invecchia e in cui il calo demografico è sempre più accentuato. Fra trent’anni, il 35% degli italiani avranno da 65 anni in su, mentre oggi sono meno del 25%, con effetti di grande distorsione del bilancio pubblico, per l’incremento delle spese previdenziali, sanitarie e assistenziali. E si modificherà radicalmente anche il mercato del lavoro: oggi il rapporto tra persone in età lavorativa (15/64 anni) e non (0/15 anni e 65 anni e oltre) è di tre a due, mentre nel 2050 sarà di uno a uno. Tutto un altro mondo, un altro equilibrio sociale, un’altra struttura dei conti pubblici.
Le tendenze al cambiamento demografico, si sa, sono di lungo periodo. Ma le politiche legate agli stimoli per l’aumento della natalità vanno costruite subito, per avere effetti tra vent’anni.
Nel frattempo, per bilanciare il declino demografico italiano e modificare in positivo, con nuove risorse, il mercato del lavoro e dunque la produzione di ricchezza e il benessere collettivo, l’unica strada è impostare sapienti e lungimiranti politiche di immigrazione: “Le imprese al governo: l’Italia ha bisogno di 200mila migranti”, titola “la Repubblica” (6 marzo). Bisogna insomma considerare “gli immigrati come ricchezza” (Linda Laura Sabbadini “la Repubblica”, 3 marzo). Legare cioè le ragioni umanitarie e civili dell’accoglienza, peraltro tipiche della storia e della tradizione culturale italiana, mediterranea e inclusiva, con una ragionevole considerazione degli interessi futuri, in un sistema di opportunità e regole, formazione e valorizzazione dell’intraprendenza. Essere, insomma, un’Italia attrattiva e produttiva per ragazze e ragazzi che, venendo dal resto del mondo, proprio qui possano studiare, lavorare, progettare un migliore futuro. In un Paese, la Bell’Italia, appunto, che eviti il declino insito nell’essere “pessimista e mesta… impaurita e triste” (Berta Isla, “Il Foglio”, 5 marzo).

(foto: Getty Images)

Lavoro, immigrazione, formazione, sviluppo. Ragioniamo con i numeri, chiari, essenziali. L’Istat, nei giorni scorsi, ha annunciato un aumento dei posti di lavoro, di 459mila unità a gennaio, rispetto all’anno precedente, portando così il totale degli occupati a 23,3 milioni: un record, almeno da quando ci sono le serie storiche mensili, dal 2004 cioè. L’andamento è positivo anche mese su mese: 35mila occupati in più nel gennaio ‘23 rispetto al dicembre ‘22. “Il mercato del lavoro continua a mostrare segnali positivi, in linea con un andamento economico in lenta ripresa”, commenta “Il Sole24Ore” (3 marzo). “Il migliore mercato del lavoro italiano degli ultimi trent’anni”, si entusiasma “Il Foglio” (3 marzo).

A guardare bene i dati, si possono cogliere altri elementi positivi. Dei 23,3 milioni di occupati, 15,3 milioni sono dipendenti a tempo indeterminato, con un aumento di 464mila unità rispetto al gennaio ‘22. Si va verso un miglioramento della stabilità del lavoro, insomma: i posti a tempo determinato sono sotto la soglia psicologica dei 3 milioni, 2,994 milioni, per l’esattezza.
Va bene anche per l’occupazione femminile: le donne sono 9,87 milioni, 264mila in più rispetto al gennaio ‘22. Restano forti, è vero, i divari evidenziati dal tasso di occupazione, salito in media al 60,8% ma con un 69,7% per gli uomini e un insoddisfacente 51,9% per le donne. E sono sempre marcate le differenze con gli altri paesi europei (77% in Germania, 68% in Francia, media Ue 70%). Eppure, nonostante tutto, le cose si muovono, anche se più lentamente del necessario.

La ripresa economica, particolarmente impetuosa nel ‘21 e nel ‘22 (quasi l’11% di crescita del Pil, nel biennio, con ritmi che non si vedevano dai tempi del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta) e comunque ancora evidente in quest’inizio del ‘23 che ha, almeno per ora, messo da canto i timori di recessione, sta mostrando di avere basi robuste, nell’attività dell’industria manifatturiera e nell’aumento dell’export (a quota 625 miliardi, un record). Incide relativamente poco, invece, l’effetto da superbonus edilizio del 110% (appena lo 0,5% di crescita del Pil nel ‘21 e lo 0,9 nel ‘22, secondo le analisi dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano, diretto da Giampaolo Galli), ridimensionando così la propaganda dei sostenitori del governo Conte e dei 5Stelle, che quel bonus avevano fortemente voluto, con tutte le storture nella sua applicazione.
Guardando sempre ai dati Istat sull’occupazione, non va sottovalutata un’ombra. Che riguarda i giovani: il tasso di occupazione, sia tra gli under25 che nella classe d’età 25/34 anni, è calato dello 0,3% e sono aumentate disoccupazione e inattività. E il tasso di disoccupazione è salito al 22,9%, tra i peggiori a livello internazionale: in Germania è in calo al 5,7%, dopo di noi ci sono Spagna e Grecia.
Le cose potrebbero andare meglio? Certo, se le imprese trovassero le persone che volentieri assumerebbero ma anche non trovano. Ne migliorerebbero produttività e competitività e la crescita economica e sociale in generale.
Le indagini Unioncamere-Anpal testimoniano da tempo che quasi un’assunzione su due è di difficile reperimento, con punte del 60/70% per i profili tecnico-scientifici. Lo testimoniano anche le cronache economiche: “Imprese a caccia di lavoratori, ma il 41% resta introvabile” (“Il Sole24Ore”, 27 dicembre ‘22); “Artigiani in cerca di 43mila lavoratori a Milano, Monza e Brianza” (“Corriere della Sera”, 18 febbraio); “Lavoro, imprese a caccia di 4 milioni di occupati green” (“Il Sole24Ore”, 11 febbraio) e così via continuando per la moda e la meccatronica, la chimica e l’industria agroalimentare.
L’allarme arriva anche dalla Banca d’Italia: per attuare tempestivamente ed efficacemente il Pnrr servirebbero 375mila nuovi lavoratori, dagli operai alle figure tecniche più specializzate, anche nella Pubblica amministrazione. Peccato che non si trovino (“la Repubblica”, 7 febbraio).
Eccoci dunque al paradosso: abbiamo una macchina produttiva che continua a fare dell’Italia il secondo paese manifatturiero europeo, con presenze sempre maggiori nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati globali ma ci manca il capitale necessario per continuare a crescere: le persone. E centinaia di migliaia di nostri giovani se ne vanno all’estero, in cerca di migliori condizioni di lavoro e di vita (ne abbiamo parlato più volte in questi blog).
Ci sono, da questo punto di vista, problemi irrisolti di formazione universitaria (sempre troppo pochi laureati nelle materie Stem: scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Di condizioni sociali per fare aumentare radicalmente la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Di salari e stipendi. Di qualità del lavoro e soddisfazione di prospettive in un panorama di imprese troppo piccole e spesso managerialmente poco evolute.
Di certo, la doppia questione legata all’incrocio tra formazione e occupazione, ai rapporti tra scuola e impresa dovrebbe stare in cima all’elenco degli interessi e degli impegni del governo e della politica in generale. Come purtroppo ancora non avviene.

C’è, sullo sfondo, il grande tema della demografia. Siamo un paese che invecchia e in cui il calo demografico è sempre più accentuato. Fra trent’anni, il 35% degli italiani avranno da 65 anni in su, mentre oggi sono meno del 25%, con effetti di grande distorsione del bilancio pubblico, per l’incremento delle spese previdenziali, sanitarie e assistenziali. E si modificherà radicalmente anche il mercato del lavoro: oggi il rapporto tra persone in età lavorativa (15/64 anni) e non (0/15 anni e 65 anni e oltre) è di tre a due, mentre nel 2050 sarà di uno a uno. Tutto un altro mondo, un altro equilibrio sociale, un’altra struttura dei conti pubblici.
Le tendenze al cambiamento demografico, si sa, sono di lungo periodo. Ma le politiche legate agli stimoli per l’aumento della natalità vanno costruite subito, per avere effetti tra vent’anni.
Nel frattempo, per bilanciare il declino demografico italiano e modificare in positivo, con nuove risorse, il mercato del lavoro e dunque la produzione di ricchezza e il benessere collettivo, l’unica strada è impostare sapienti e lungimiranti politiche di immigrazione: “Le imprese al governo: l’Italia ha bisogno di 200mila migranti”, titola “la Repubblica” (6 marzo). Bisogna insomma considerare “gli immigrati come ricchezza” (Linda Laura Sabbadini “la Repubblica”, 3 marzo). Legare cioè le ragioni umanitarie e civili dell’accoglienza, peraltro tipiche della storia e della tradizione culturale italiana, mediterranea e inclusiva, con una ragionevole considerazione degli interessi futuri, in un sistema di opportunità e regole, formazione e valorizzazione dell’intraprendenza. Essere, insomma, un’Italia attrattiva e produttiva per ragazze e ragazzi che, venendo dal resto del mondo, proprio qui possano studiare, lavorare, progettare un migliore futuro. In un Paese, la Bell’Italia, appunto, che eviti il declino insito nell’essere “pessimista e mesta… impaurita e triste” (Berta Isla, “Il Foglio”, 5 marzo).

(foto: Getty Images)

Macchine intelligenti?

Il tema dell’Intelligenza Artificiale raccontato correttamente e chiaramente

Comprendere l’Intelligenza Artificiale per usarla meglio e con maggior profitto. Anche dal punto di vista umano. Si tratta di uno dei compiti più importanti di fronte al quale ci troviamo un po’ tutti. Anche le imprese e chi le deve gestire. Ancora una volta, è necessario iniziare dalla comprensione, per poi passare alla migliore gestione possibile. Per questo serve leggere – e molto -, “La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano”, la più recente fatica letteraria di Nello Cristianini che in poco più di duecento pagine fornisce una guida sicura ad un argomento complesso.

Professore di Intelligenza Artificiale all’università di Bath, l’autore combina la storia di questa avventura scientifica con la sua storia personale, e con le molte domande tecniche e filosofiche che sono ancora aperte. Il risultato è un libro tecnicamente preciso e affidabile ma letterariamente leggibile e affascinante. Chi legge viene portato lungo un racconto di dieci tappe-capitoli; ognuno di questi affronta una domanda importante per capire l’Intelligenza Artificiale. Interrogativi come, che  cosa è l’intelligenza? Le macchine possono superare le persone? E’ vero che possiamo essere persuasi da un algoritmo? Quali sono le conseguenze psicologiche e sociali dell’uso di social media?  Spaziando dai concetti scientifici, che sono alla base della tecnologia, alle implicazioni più ampie per la società, il libro sviluppa una descrizione unificata di questo vasto campo, utilizzando strumenti di diverse discipline e deliberatamente evitando inutili astrazioni, gergo e termini tecnici.

Il messaggio finale è chiaro: la tecnologia non basta, occorre un dialogo tra scienze naturali e umane, solo così è possibile  una convivenza sicura con questa nuova forma di intelligenza. Fondamentale è l’ultimo capitolo del libro di Cristianini – “Regolare, non spegnere” -, dove l’autore scrive: “Non possiamo realisticamente ritornare a un mondo senza Intelligenza Artificiale, così dobbiamo trovare un modo di convivere in sicurezza con questa tecnologia. Gli studiosi di diverse discipline stanno ancora cercando di capire quali debbano essere i principi fondanti di tale convivenza, ma è già certo che se vogliamo poterci fidare che questi principi siano rispettati, gli agenti intelligenti dovranno essere in qualche modo «ispezionabili» (…) per costruzione. Solo così sarà possibile pretendere da essi equità, privacy, sicurezza, trasparenza e tutte  le altre richieste importanti che gli studiosi del diritto e della politica stanno discutendo”.

La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano

Nello Cristianini

Il Mulino, 2023

Il tema dell’Intelligenza Artificiale raccontato correttamente e chiaramente

Comprendere l’Intelligenza Artificiale per usarla meglio e con maggior profitto. Anche dal punto di vista umano. Si tratta di uno dei compiti più importanti di fronte al quale ci troviamo un po’ tutti. Anche le imprese e chi le deve gestire. Ancora una volta, è necessario iniziare dalla comprensione, per poi passare alla migliore gestione possibile. Per questo serve leggere – e molto -, “La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano”, la più recente fatica letteraria di Nello Cristianini che in poco più di duecento pagine fornisce una guida sicura ad un argomento complesso.

Professore di Intelligenza Artificiale all’università di Bath, l’autore combina la storia di questa avventura scientifica con la sua storia personale, e con le molte domande tecniche e filosofiche che sono ancora aperte. Il risultato è un libro tecnicamente preciso e affidabile ma letterariamente leggibile e affascinante. Chi legge viene portato lungo un racconto di dieci tappe-capitoli; ognuno di questi affronta una domanda importante per capire l’Intelligenza Artificiale. Interrogativi come, che  cosa è l’intelligenza? Le macchine possono superare le persone? E’ vero che possiamo essere persuasi da un algoritmo? Quali sono le conseguenze psicologiche e sociali dell’uso di social media?  Spaziando dai concetti scientifici, che sono alla base della tecnologia, alle implicazioni più ampie per la società, il libro sviluppa una descrizione unificata di questo vasto campo, utilizzando strumenti di diverse discipline e deliberatamente evitando inutili astrazioni, gergo e termini tecnici.

Il messaggio finale è chiaro: la tecnologia non basta, occorre un dialogo tra scienze naturali e umane, solo così è possibile  una convivenza sicura con questa nuova forma di intelligenza. Fondamentale è l’ultimo capitolo del libro di Cristianini – “Regolare, non spegnere” -, dove l’autore scrive: “Non possiamo realisticamente ritornare a un mondo senza Intelligenza Artificiale, così dobbiamo trovare un modo di convivere in sicurezza con questa tecnologia. Gli studiosi di diverse discipline stanno ancora cercando di capire quali debbano essere i principi fondanti di tale convivenza, ma è già certo che se vogliamo poterci fidare che questi principi siano rispettati, gli agenti intelligenti dovranno essere in qualche modo «ispezionabili» (…) per costruzione. Solo così sarà possibile pretendere da essi equità, privacy, sicurezza, trasparenza e tutte  le altre richieste importanti che gli studiosi del diritto e della politica stanno discutendo”.

La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano

Nello Cristianini

Il Mulino, 2023

Familiari resilienti

Il caso delle imprese a gestione familiare analizzato dal punto d’inviata della dose di resilienza che posseggono

Resilienza. E cioè capacità di resistere, flettersi e tornare diritti. Capacità importante, anche per le organizzazioni della produzione. E capacità che nelle imprese familiari – note per essere una forma unica di organizzazione della produzione -, appare essere particolarmente sviluppata. Ecco perché è importante capire il nucleo portante di queste aziende. Obiettivo, quest’ultimo, della ricerca di Damiano Petrolo, Chiara Morelli e Lucrezia Soncini, ricercatori tutti dell’Università del Piemonte Orientale, apparsa recentemente in Impresa Progetto. Electronic Journal of Management.

L’obiettivo dichiarato dell’indagine è quello di esplorare e approfondire la conoscenza e la comprensione di un tema che è ancora poco analizzato: quello, appunto, della resilienza organizzativa nelle imprese familiari.

Detto più in dettaglio, spiegano gli autori, il lavoro esplora le fonti della resilienza organizzativa e cioè, alla fine, le cause che dogano le imprese familiari di una maggiore capacità resiliente rispetto al resto delle imprese.

Il contributo di Petrolo, Morelli e Soncini inizia con un inquadramento del tema e con una rassegna della letteratura per poi approfondire il binomio resilienza-imprese familiari; successivamente, la ricerca prende in esame casi multipli di tre aziende familiari italiane. Per ogni vicenda aziendale, vengono presi in considerazione il ruolo della tecnologia, quello degli  stakeholder esterni e le convinzioni dei proprietari di cui vengono analizzate le caratteristiche imprenditoriali.

I risultati dello studio (qualitativo e in quantitativo), hanno rivelato, viene spiegato, “che tre principali tipi di fattori giocano un ruolo cruciale nello sviluppo della resilienza organizzativa delle imprese familiari: le convinzioni e le caratteristiche imprenditoriali dei proprietari, le relazioni con gli stakeholder esterni e locali e le risorse organizzative (tecnologia, meccanismi gestionali e professionalità dirigenti).

L’indagine di Petrolo, Morelli e Soncini non ha la pretesa di offrire un quadro esaustivo della resilienza organizzativa nelle imprese familiari, ma offre spunti di riflessione interessanti ed è un punto di partenza per altre più dettagliate ricerche sulla resilienza organizzativa nelle imprese familiari.

Le fonti della resilienza organizzativa nelle imprese familiari: uno studio esplorativo

Damiano Petrolo, Chiara Morelli, Lucrezia Songini

Impresa Progetto. Electronic Journal of Management, 3/ 2022

Il caso delle imprese a gestione familiare analizzato dal punto d’inviata della dose di resilienza che posseggono

Resilienza. E cioè capacità di resistere, flettersi e tornare diritti. Capacità importante, anche per le organizzazioni della produzione. E capacità che nelle imprese familiari – note per essere una forma unica di organizzazione della produzione -, appare essere particolarmente sviluppata. Ecco perché è importante capire il nucleo portante di queste aziende. Obiettivo, quest’ultimo, della ricerca di Damiano Petrolo, Chiara Morelli e Lucrezia Soncini, ricercatori tutti dell’Università del Piemonte Orientale, apparsa recentemente in Impresa Progetto. Electronic Journal of Management.

L’obiettivo dichiarato dell’indagine è quello di esplorare e approfondire la conoscenza e la comprensione di un tema che è ancora poco analizzato: quello, appunto, della resilienza organizzativa nelle imprese familiari.

Detto più in dettaglio, spiegano gli autori, il lavoro esplora le fonti della resilienza organizzativa e cioè, alla fine, le cause che dogano le imprese familiari di una maggiore capacità resiliente rispetto al resto delle imprese.

Il contributo di Petrolo, Morelli e Soncini inizia con un inquadramento del tema e con una rassegna della letteratura per poi approfondire il binomio resilienza-imprese familiari; successivamente, la ricerca prende in esame casi multipli di tre aziende familiari italiane. Per ogni vicenda aziendale, vengono presi in considerazione il ruolo della tecnologia, quello degli  stakeholder esterni e le convinzioni dei proprietari di cui vengono analizzate le caratteristiche imprenditoriali.

I risultati dello studio (qualitativo e in quantitativo), hanno rivelato, viene spiegato, “che tre principali tipi di fattori giocano un ruolo cruciale nello sviluppo della resilienza organizzativa delle imprese familiari: le convinzioni e le caratteristiche imprenditoriali dei proprietari, le relazioni con gli stakeholder esterni e locali e le risorse organizzative (tecnologia, meccanismi gestionali e professionalità dirigenti).

L’indagine di Petrolo, Morelli e Soncini non ha la pretesa di offrire un quadro esaustivo della resilienza organizzativa nelle imprese familiari, ma offre spunti di riflessione interessanti ed è un punto di partenza per altre più dettagliate ricerche sulla resilienza organizzativa nelle imprese familiari.

Le fonti della resilienza organizzativa nelle imprese familiari: uno studio esplorativo

Damiano Petrolo, Chiara Morelli, Lucrezia Songini

Impresa Progetto. Electronic Journal of Management, 3/ 2022

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