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Le “fughe dei cervelli” o le collaborazioni “in rete” tra chi va e chi resta

Cervelli in fuga dall’Italia? Talvolta ritornano. Come Diego Piacentini, Senior Vice President di Amazon, che rinuncia alla comoda e remuneratissima poltrona ai vertici della multinazionale Usa per venire a fare il capo del “Digital Office” di Palazzo Chigi. Da manager a “civil servant”. Dalla Seattle hi tech a una Roma in cui l’innovazione digitale dovrà diventare cultura diffusa, di governo e d’impresa. Ce la farà, Piacentini? Si spera. L’Italia ha un grandissimo bisogno che l’economia digitale trovi spazio, per rinnovare radicalmente la pubblica amministrazione e mettere le imprese in grado di reggere la competizione nel mondo dell’”Industry 4.0”.

Lo farà gratis. Aspetto rilevante, anche se non essenziale. L’importante è sapere che ci sono persone che, forti delle loro esperienze e delle più sofisticate competenze, hanno voglia di lavorare per il “bene comune”, per dare una mano all’Italia.

Sui giornali dello stesso giorno in cui si parla di Piacentini (venerdì 12 febbraio) c’è un’altra notizia che parla di una grande competenza italiana: quella di Alessandra Buonanno, che ha avuto un ruolo determinante nella scoperta delle “onde gravitazionali”, la conferma delle teorie di Einstein, l’individuazione del “cinguettio dell’universo che rivoluziona la fisica”, per dirla con il più poetico dei titoli sui quotidiani (la Repubblica). Alessandra Buonanno dirige il Max Planck Institute di Potsdam, in Germania, dopo una laurea in Fisica a Pisa e una serie di prestigiose esperienze di ricerca e lavoro a Parigi, al California Institute of Technology e all’università del Maryland. Cervello in fuga? Probabilmente sì, quando l’Institut des Hautes Etudes Scientifiques francese, subito dopo la laurea, le ha offerto la possibilità e i mezzi per fare bene il suo mestiere di ricercatrice. Proprio su quella scoperta delle onde gravitazionali, la spiegazione, chiara e scientificamente ineccepibile, sulle pagine del Corriere della Sera, è stata firmata da Carlo Ratti, architetto e tecnologo eccellente, che insegna al Mit (il prestigioso Massachussetts Institute of Technology di Boston) ma ha anche aperto, una dozzina di anni fa, a Torino uno studio internazionale di design sulle evoluzioni hi tech delle città. Un cervello in fuga che torna?

Le storie delle tre persone di cui stiamo parlando, lette insieme, ci suggeriscono l’idea che le cose siano un po’ più complesse di quanto non dica lo schema “fuga-ritorno” e di come proprio la facilità e la velocità dei viaggi e lo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione renda possibili una fertilissima serie di connessioni.

E’ vero, il fatto che migliaia di ragazzi, spesso i più colti, intraprendenti e determinati, lascino l’Italia per andare a  cercare altrove migliori occasioni di lavoro e di vita è una perdita per il sistema Paese. E hanno ragione tutti coloro che, proprio nei giorni scorsi, hanno protestato, sui quotidiani e sui social media, per le disattenzioni del sistema Italia (a cominciare da Roberta D’Alessandro, eccellente linguista in Olanda, messa ai margini dall’università italiana, autrice d’una polemica con il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: “Cara ministro, l’Italia non mi ha voluto. Mi dicevano brava ma poi vincevano altri”). Ma il discorso non si può chiudere qui, con un pur giustificato senso di sconfitta e, per i ricercatori migliori, di rivalsa all’estero.

Bisogna infatti che il sistema Italia impari ad attrarre giovani di talento da altri paesi (i confronti culturali sono una ricchezza straordinaria). E soprattutto è necessario che università, istituti di ricerca e imprese sappiano usare gli italiani che se ne sono andati rimettendoli in relazione con l’Italia: ricerche comuni, scambi di esperienza, confronti: non considerarli come spariti dal nostro orizzonte, ma tenerli “in rete” per strategie e attività comuni. Dialogo e collaborazione, invece che lamentazione sulla ”fuga”.

Cervelli in fuga dall’Italia? Talvolta ritornano. Come Diego Piacentini, Senior Vice President di Amazon, che rinuncia alla comoda e remuneratissima poltrona ai vertici della multinazionale Usa per venire a fare il capo del “Digital Office” di Palazzo Chigi. Da manager a “civil servant”. Dalla Seattle hi tech a una Roma in cui l’innovazione digitale dovrà diventare cultura diffusa, di governo e d’impresa. Ce la farà, Piacentini? Si spera. L’Italia ha un grandissimo bisogno che l’economia digitale trovi spazio, per rinnovare radicalmente la pubblica amministrazione e mettere le imprese in grado di reggere la competizione nel mondo dell’”Industry 4.0”.

Lo farà gratis. Aspetto rilevante, anche se non essenziale. L’importante è sapere che ci sono persone che, forti delle loro esperienze e delle più sofisticate competenze, hanno voglia di lavorare per il “bene comune”, per dare una mano all’Italia.

Sui giornali dello stesso giorno in cui si parla di Piacentini (venerdì 12 febbraio) c’è un’altra notizia che parla di una grande competenza italiana: quella di Alessandra Buonanno, che ha avuto un ruolo determinante nella scoperta delle “onde gravitazionali”, la conferma delle teorie di Einstein, l’individuazione del “cinguettio dell’universo che rivoluziona la fisica”, per dirla con il più poetico dei titoli sui quotidiani (la Repubblica). Alessandra Buonanno dirige il Max Planck Institute di Potsdam, in Germania, dopo una laurea in Fisica a Pisa e una serie di prestigiose esperienze di ricerca e lavoro a Parigi, al California Institute of Technology e all’università del Maryland. Cervello in fuga? Probabilmente sì, quando l’Institut des Hautes Etudes Scientifiques francese, subito dopo la laurea, le ha offerto la possibilità e i mezzi per fare bene il suo mestiere di ricercatrice. Proprio su quella scoperta delle onde gravitazionali, la spiegazione, chiara e scientificamente ineccepibile, sulle pagine del Corriere della Sera, è stata firmata da Carlo Ratti, architetto e tecnologo eccellente, che insegna al Mit (il prestigioso Massachussetts Institute of Technology di Boston) ma ha anche aperto, una dozzina di anni fa, a Torino uno studio internazionale di design sulle evoluzioni hi tech delle città. Un cervello in fuga che torna?

Le storie delle tre persone di cui stiamo parlando, lette insieme, ci suggeriscono l’idea che le cose siano un po’ più complesse di quanto non dica lo schema “fuga-ritorno” e di come proprio la facilità e la velocità dei viaggi e lo sviluppo delle nuove tecnologie della comunicazione renda possibili una fertilissima serie di connessioni.

E’ vero, il fatto che migliaia di ragazzi, spesso i più colti, intraprendenti e determinati, lascino l’Italia per andare a  cercare altrove migliori occasioni di lavoro e di vita è una perdita per il sistema Paese. E hanno ragione tutti coloro che, proprio nei giorni scorsi, hanno protestato, sui quotidiani e sui social media, per le disattenzioni del sistema Italia (a cominciare da Roberta D’Alessandro, eccellente linguista in Olanda, messa ai margini dall’università italiana, autrice d’una polemica con il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: “Cara ministro, l’Italia non mi ha voluto. Mi dicevano brava ma poi vincevano altri”). Ma il discorso non si può chiudere qui, con un pur giustificato senso di sconfitta e, per i ricercatori migliori, di rivalsa all’estero.

Bisogna infatti che il sistema Italia impari ad attrarre giovani di talento da altri paesi (i confronti culturali sono una ricchezza straordinaria). E soprattutto è necessario che università, istituti di ricerca e imprese sappiano usare gli italiani che se ne sono andati rimettendoli in relazione con l’Italia: ricerche comuni, scambi di esperienza, confronti: non considerarli come spariti dal nostro orizzonte, ma tenerli “in rete” per strategie e attività comuni. Dialogo e collaborazione, invece che lamentazione sulla ”fuga”.

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