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Ridisegnare la Grande Milano “smart city” tra nuove funzioni e collegamenti “in un’ora”

“Una città per competere deve avere ali e radici”. La sintesi è di Ulrich Beck, uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi difficili. E, nella sua apparente semplicità, riassume bene il senso delle sfide su un migliore sviluppo d’una metropoli come Milano, tra storia e futuro, forza dei luoghi e dinamiche dei flussi. E’ molto cresciuta, nel tempo, Milano. Esprime vivacità sociale e intraprendenze culturali ed economiche da “capitale europea”, pur non essendo la capitale politica del Paese (simile, in questo, a Francoforte, nella dialettica con Berlino). E continua a esercitare una forte attrattività per persone, idee, capitali che potrebbe essere rafforzata dall’arrivo dell’Ema (l’Agenzia Europea per il Farmaco: una battaglia di competenze e poteri ancora aperta, con Milano in pole position) ma che rimarrà comunque d’attualità.

Come continuare dunque a ragionare sulla sua crescita? E che scelte politiche pensare, definire in dettaglio, sostenere? Si può partire dalla consapevolezza che la competizione economica attuale si gioca tra grandi sistemi metropolitani spesso transnazionali e integrati e non più secondo gli schemi tradizionali degli Stati-nazione. Un percorso però non lineare.

Gli Stati-nazione, infatti, nell’attualità politica segnata dalla crisi della globalizzazione, riprendono spazio nell’immaginario popolare e nel discorso pubblico. Riemergono perfino “le piccole patrie”, con una critica crescente nei confronti delle istituzioni sovranazionali (compresa la Ue, messa in difficoltà dai burocratismi delle istituzioni di Bruxelles e dai nazionalismi ai limiti della grettezza, soprattutto nelle zone della ex Mitteleuropa ai confini con la Germania). C’è dunque una contraddizione aperta tra i flussi della produzioni e degli scambi e le tradizionali strutture statuali. E si aggravano problemi politici, economici e sociali di difficile governabilità.

Vale la pena tenere in gran conto la lezione di Parag Khanna, politologo Usa d’origine indiana, studioso di geo-politica: “Il cammino verso il progresso globale sta nelle capacità delle città di condividere le migliori pratiche tra loro”. Città e grandi aree metropolitane, aggiunge Khanna, “i cui confini sono stabiliti dalla connettività”, materiale (le grandi infrastrutture di comunicazione e trasporto) e immateriale (i collegamenti “digital” che comunque rinviano a una relazione “fisica” tra persone e luoghi, come diremo meglio tra poco). Si ripropone così, proprio nelle dimensioni della “connettività” per il governo democratico e lo sviluppo economico e sociale d’un territorio, la dialettica (cara alle analisi di Aldo Bonomi) ma anche il dialogo tra la forza dei luoghi (le radici, le identità nazionali, le caratteristiche dei “territori”) e le dinamiche dei flussi. Luoghi-flussi: un’antinomia lacerante o una nuova ipotesi di civiltà?

Milano offre spunti interessanti di riflessione, se la si guarda, per esempio, come parte essenziale d’una grande area che va da Torino a Verona, dal nord di Como e Varese (verso la Svizzera) al sud della “grande Emilia” e che ha appunto la metropoli lombarda come baricentro fisico e culturale, proprio lungo l’asse produttivo e culturale che può saldare Europa continentale e Mediterraneo. Una delle aree più ricche d’Europa, in cui si incrociano manifattura (in accelerata trasformazione da “Industry4.0”), servizi hi tech, conoscenza, creatività. Il ridisegno di flussi e luoghi scandito dai tempi rapidi dell’Alta Velocità Ferroviaria ha avviato questo processo meta-geografico.

Milano da sintetizzare con un’unità di misura del tempo e non dello spazio: “Milano in un’ora”. Un’ora di treno (l’andata e il ritorno con Torino, Bologna, Verona e si spera in tempi brevi anche Genova). Un’ora o poco più d’aereo (Parigi, Londra, Monaco, Zurigo, Francoforte, Barcellona).

Milano, insomma, metropoli attrattiva e dinamica. Al centro dei grandi flussi Nord/Sud (le rotte mediterranee che approdano a Genova, i nuovi valichi alpini) e Ovest/Est. Con due grandi temi politici aperti, tra sfide europee e sguardo purtroppo di corta portata della politica nazionale (troppo tentata da provincialismi e clientele): come reggere la tensione della competitività internazionale? E come trainare il resto del Paese?

Ecco perché occorre ripensare criticamente i flussi delle aree metropolitane: flussi fisici e flussi digitali. E ragionare sulle caratteristiche delle smart cities e degli smart citizens (lo fa con l’abituale acuta intelligenza Carlo Ratti nel nuovo libro “La città di domani: come le reti stanno cambiando il futuro urbano”, scritto con Matthew Claudel e appena pubblicato da Einaudi). Si fanno i conti con le radicali trasformazioni del lavoro (meglio: dei lavori), dell’appartenenza territoriale, delle relazioni sociali. Ma anche degli spazi commerciali (per fare solo un esempio: come convivono Amazon e il piccolo negozio specializzato, i grandi centri commerciali e le botteghe di quartiere? e come dunque diversificare domanda e qualità di differenti risposte, fuori dalle secche dei protezionismi corporativi e dell’avidità dei più grossi operatori commerciali?).

La ridefinizione di competitività e qualità della vita (e le loro interdipendenze) sta negli incroci inediti tra tempi della vita, tempi del lavoro, tempi sociali. Come vivere il tempo libero (libero da che?). E come legare “smart working” con creatività e produttività strettamente dipendenti dal dialogo, dall’interazione diretta, dalla ricerca comune negli spazi fisici condivisi di un’impresa, un laboratorio creativo, un’aula universitaria, un centro di ricerca.

C’è ancora un altro tema, su cui riflettere: la radicale mutazione delle tradizionali classificazioni urbane: centro-periferia; uffici-fabbriche/ abitazioni; quartiere; piazza; relazioni vicino/lontano (vicino a dove? lontano da dove?). Un forte bisogno, insomma, di ridisegnare le città metropolitane innovando il rapporto tra le funzioni. E periferie “da rammendare”, secondo l’indicazione di Renzo Piano e riconsiderare come occasioni di “nuove centralità”, secondo il suggerimento di Vittorio Gregotti (“Arcipelago Milano”, sulla Rete, ne sta facendo occasione d’interessante dibattito, con le belle interviste di Chiara Ponzini).

A Milano il dibattito è in corso, più ricco e vivace che altrove (grazie anche all’esperienza positiva di “nuove” aree come Porta Nuova e City Life, con i loro grattacieli). Le partite aperte su Human Technopole e sulla riqualificazione dei sette grandi scali ferroviari offrono l’opportunità di uno straordinario ridisegno della città, mentre rivivono aree del centro urbano e ex aree industriali rinate negli anni Novanta con nuove funzioni (Bicocca) discutono di “distretto culturale” e relazioni tra formazione (università), servizi, nuove dimensioni e funzioni dell’ampio territorio del “nord Milano”.

Sullo sfondo di tali e tante considerazioni, c’è la “wiky city: le relazioni costruite secondo “digital”, “internet of things”, “ubiquitous computing”, con il moltiplicarsi dei “big data” e una virtualità che segna la vita. Ma tornando, anche per questa strada, dalle relazioni immateriali alla positiva materialità delle relazioni. Si invera la profezia di Manuel Castells, uno dei maggiori esperti di comunicazione della seconda metà del Novecento: “I contatti nati su Internet hanno bisogno di un posto offline dove ritrovarsi”. Cresce contemporaneamente il bisogno di fisicità: aumentano i luoghi di incontro fisico, si torna alla materialità dei manufatti (i ragazzi nativi digitali più evoluti studiano sui libri di carta). E si fanno i conti con inedite dimensioni del traffico urbano nella cadenza degli orari del giorno e della notte. Una rivoluzione che tocca naturalmente anche il trasporto, fuori dalle antiche abitudini e antinomie: non più solo pubblico e privato, ma da “sharing economy”: auto, moto e bici “condivise”, con un forte valore “pubblico” di un uso “individuale” del trasporto all’interno di una “comunità”. Milano è metropoli d’avanguardia, anche da questo punto di vista. Luoghi e flussi, funzioni e relazioni si incrociano ancora una volta.

“Una città per competere deve avere ali e radici”. La sintesi è di Ulrich Beck, uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi difficili. E, nella sua apparente semplicità, riassume bene il senso delle sfide su un migliore sviluppo d’una metropoli come Milano, tra storia e futuro, forza dei luoghi e dinamiche dei flussi. E’ molto cresciuta, nel tempo, Milano. Esprime vivacità sociale e intraprendenze culturali ed economiche da “capitale europea”, pur non essendo la capitale politica del Paese (simile, in questo, a Francoforte, nella dialettica con Berlino). E continua a esercitare una forte attrattività per persone, idee, capitali che potrebbe essere rafforzata dall’arrivo dell’Ema (l’Agenzia Europea per il Farmaco: una battaglia di competenze e poteri ancora aperta, con Milano in pole position) ma che rimarrà comunque d’attualità.

Come continuare dunque a ragionare sulla sua crescita? E che scelte politiche pensare, definire in dettaglio, sostenere? Si può partire dalla consapevolezza che la competizione economica attuale si gioca tra grandi sistemi metropolitani spesso transnazionali e integrati e non più secondo gli schemi tradizionali degli Stati-nazione. Un percorso però non lineare.

Gli Stati-nazione, infatti, nell’attualità politica segnata dalla crisi della globalizzazione, riprendono spazio nell’immaginario popolare e nel discorso pubblico. Riemergono perfino “le piccole patrie”, con una critica crescente nei confronti delle istituzioni sovranazionali (compresa la Ue, messa in difficoltà dai burocratismi delle istituzioni di Bruxelles e dai nazionalismi ai limiti della grettezza, soprattutto nelle zone della ex Mitteleuropa ai confini con la Germania). C’è dunque una contraddizione aperta tra i flussi della produzioni e degli scambi e le tradizionali strutture statuali. E si aggravano problemi politici, economici e sociali di difficile governabilità.

Vale la pena tenere in gran conto la lezione di Parag Khanna, politologo Usa d’origine indiana, studioso di geo-politica: “Il cammino verso il progresso globale sta nelle capacità delle città di condividere le migliori pratiche tra loro”. Città e grandi aree metropolitane, aggiunge Khanna, “i cui confini sono stabiliti dalla connettività”, materiale (le grandi infrastrutture di comunicazione e trasporto) e immateriale (i collegamenti “digital” che comunque rinviano a una relazione “fisica” tra persone e luoghi, come diremo meglio tra poco). Si ripropone così, proprio nelle dimensioni della “connettività” per il governo democratico e lo sviluppo economico e sociale d’un territorio, la dialettica (cara alle analisi di Aldo Bonomi) ma anche il dialogo tra la forza dei luoghi (le radici, le identità nazionali, le caratteristiche dei “territori”) e le dinamiche dei flussi. Luoghi-flussi: un’antinomia lacerante o una nuova ipotesi di civiltà?

Milano offre spunti interessanti di riflessione, se la si guarda, per esempio, come parte essenziale d’una grande area che va da Torino a Verona, dal nord di Como e Varese (verso la Svizzera) al sud della “grande Emilia” e che ha appunto la metropoli lombarda come baricentro fisico e culturale, proprio lungo l’asse produttivo e culturale che può saldare Europa continentale e Mediterraneo. Una delle aree più ricche d’Europa, in cui si incrociano manifattura (in accelerata trasformazione da “Industry4.0”), servizi hi tech, conoscenza, creatività. Il ridisegno di flussi e luoghi scandito dai tempi rapidi dell’Alta Velocità Ferroviaria ha avviato questo processo meta-geografico.

Milano da sintetizzare con un’unità di misura del tempo e non dello spazio: “Milano in un’ora”. Un’ora di treno (l’andata e il ritorno con Torino, Bologna, Verona e si spera in tempi brevi anche Genova). Un’ora o poco più d’aereo (Parigi, Londra, Monaco, Zurigo, Francoforte, Barcellona).

Milano, insomma, metropoli attrattiva e dinamica. Al centro dei grandi flussi Nord/Sud (le rotte mediterranee che approdano a Genova, i nuovi valichi alpini) e Ovest/Est. Con due grandi temi politici aperti, tra sfide europee e sguardo purtroppo di corta portata della politica nazionale (troppo tentata da provincialismi e clientele): come reggere la tensione della competitività internazionale? E come trainare il resto del Paese?

Ecco perché occorre ripensare criticamente i flussi delle aree metropolitane: flussi fisici e flussi digitali. E ragionare sulle caratteristiche delle smart cities e degli smart citizens (lo fa con l’abituale acuta intelligenza Carlo Ratti nel nuovo libro “La città di domani: come le reti stanno cambiando il futuro urbano”, scritto con Matthew Claudel e appena pubblicato da Einaudi). Si fanno i conti con le radicali trasformazioni del lavoro (meglio: dei lavori), dell’appartenenza territoriale, delle relazioni sociali. Ma anche degli spazi commerciali (per fare solo un esempio: come convivono Amazon e il piccolo negozio specializzato, i grandi centri commerciali e le botteghe di quartiere? e come dunque diversificare domanda e qualità di differenti risposte, fuori dalle secche dei protezionismi corporativi e dell’avidità dei più grossi operatori commerciali?).

La ridefinizione di competitività e qualità della vita (e le loro interdipendenze) sta negli incroci inediti tra tempi della vita, tempi del lavoro, tempi sociali. Come vivere il tempo libero (libero da che?). E come legare “smart working” con creatività e produttività strettamente dipendenti dal dialogo, dall’interazione diretta, dalla ricerca comune negli spazi fisici condivisi di un’impresa, un laboratorio creativo, un’aula universitaria, un centro di ricerca.

C’è ancora un altro tema, su cui riflettere: la radicale mutazione delle tradizionali classificazioni urbane: centro-periferia; uffici-fabbriche/ abitazioni; quartiere; piazza; relazioni vicino/lontano (vicino a dove? lontano da dove?). Un forte bisogno, insomma, di ridisegnare le città metropolitane innovando il rapporto tra le funzioni. E periferie “da rammendare”, secondo l’indicazione di Renzo Piano e riconsiderare come occasioni di “nuove centralità”, secondo il suggerimento di Vittorio Gregotti (“Arcipelago Milano”, sulla Rete, ne sta facendo occasione d’interessante dibattito, con le belle interviste di Chiara Ponzini).

A Milano il dibattito è in corso, più ricco e vivace che altrove (grazie anche all’esperienza positiva di “nuove” aree come Porta Nuova e City Life, con i loro grattacieli). Le partite aperte su Human Technopole e sulla riqualificazione dei sette grandi scali ferroviari offrono l’opportunità di uno straordinario ridisegno della città, mentre rivivono aree del centro urbano e ex aree industriali rinate negli anni Novanta con nuove funzioni (Bicocca) discutono di “distretto culturale” e relazioni tra formazione (università), servizi, nuove dimensioni e funzioni dell’ampio territorio del “nord Milano”.

Sullo sfondo di tali e tante considerazioni, c’è la “wiky city: le relazioni costruite secondo “digital”, “internet of things”, “ubiquitous computing”, con il moltiplicarsi dei “big data” e una virtualità che segna la vita. Ma tornando, anche per questa strada, dalle relazioni immateriali alla positiva materialità delle relazioni. Si invera la profezia di Manuel Castells, uno dei maggiori esperti di comunicazione della seconda metà del Novecento: “I contatti nati su Internet hanno bisogno di un posto offline dove ritrovarsi”. Cresce contemporaneamente il bisogno di fisicità: aumentano i luoghi di incontro fisico, si torna alla materialità dei manufatti (i ragazzi nativi digitali più evoluti studiano sui libri di carta). E si fanno i conti con inedite dimensioni del traffico urbano nella cadenza degli orari del giorno e della notte. Una rivoluzione che tocca naturalmente anche il trasporto, fuori dalle antiche abitudini e antinomie: non più solo pubblico e privato, ma da “sharing economy”: auto, moto e bici “condivise”, con un forte valore “pubblico” di un uso “individuale” del trasporto all’interno di una “comunità”. Milano è metropoli d’avanguardia, anche da questo punto di vista. Luoghi e flussi, funzioni e relazioni si incrociano ancora una volta.

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