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Rapporto GreenItaly di Symbola: i primati dell’Italia e i vantaggi per le imprese più sostenibili e innovative

Essere imprese green conviene, oltre che, naturalmente, fare bene all’ambiente e alle comunità in cui l’impresa è inserita. Conviene perché stimola l’innovazione, migliora il lavoro, apre mercati di consumatori esigenti e sensibili, rafforza insomma la competitività. E proprio la Lombardia, la Lombardia motore industriale europeo, è la regione italiana più incline alla green economy, più “sostenibile”. Sono considerazioni che emergono con chiarezza dal nuovo Rapporto GreenItaly 2018 di Fondazione Symbola e UnionCamere, il nono della serie, presentato la scorsa settimana a Milano in Assolombarda. E contribuiscono a rafforzare un clima di crescente attenzione verso la sostanza dei temi legati al rapporto tra sostenibilità e competitività, tutela e valorizzazione dell’ambiente e rafforzamento dei meccanismi di sviluppo economico. Con una caratteristica particolare: nel contesto europeo, l’Italia, come sistema Paese (energia, rifiuti, etc.) ha posizioni di eccellenza per la eco-sostenibilità, nonostante i tanti e talvolta clamorosi casi di incuria ambientale e sociale. In tempi difficili, di fragile economia e di cupe tensioni sociali, i dati positivi sulla green economy lasciano intravvedere orizzonti positivi, speranze. Vedremo tra poco i dati a conferma.

In Polonia, proprio in questi giorni, sino al 14 dicembre, è in corso la Conferenza mondiale dell’Onu sul clima (Cop24), con 30mila delegati da tutto il mondo impegnati in un confronto molto difficile sulle scelte da fare per evitare d’aggravare gli allarmanti fenomeni di inquinamento in corso e i devastanti cambiamenti climatici. L’ostilità degli Usa di Trump alla riconferma degli accordi di Parigi sugli “obiettivi di sostenibilità” rende il contento delle relazioni internazionali particolarmente carico di tensioni. E, accordi internazionali a parte, cresce per fortuna l’attenzione sociale ed economica sui temi ambientali. E proprio il mondo delle imprese europee può giocare un ruolo non solo di stimolo culturale, ma anche di indicazione esemplare di comportamenti virtuosi.

L’Enea (l’agenzia nazionale per l’efficenza energetica) ha presentato, la scorsa settimana, i risultati della “Piattaforma italiana per l’economia circolare”, con il coinvolgimento di 60 stakeholders tra imprese,  istituzioni, organizzazioni della società civile. Confindustria, negli stessi giorni, ha illustrato un “Libro bianco per uno sviluppo efficiente delle fonti energetiche rinnovabili” (in collaborazione con EY e Rse). Fioriscono sempre più frequenti dibattiti e iniziative sul tema. E nel mondo delle imprese più dinamiche, superati i vecchi schemi della CSR (la Corporate social responsibility), si ragiona appunto in termini di “sostenibilità”, sia ambientale che sociale (in parecchi gruppi il tradizionale “bilancio sociale” diventa parte integrante del Bilancio aziendale vero e proprio). Il “cambio di paradigma” imposto dalla Grande Crisi in nome di un’economia più equilibrata (ne abbiamo parlato più volte, da tempo, in questo blog) diventa radicale modifica dei meccanismi di produzione, distribuzione, consumo, investe tutti gli aspetti dell’innovazione, si lega alle analisi e alle scelte sulla smart city (e dunque sugli smart citizens) e su tutti gli aspetti della sharing economy e dei “beni comuni”.

È questo, appunto, il retroterra culturale del Rapporto GreenItaly, di cui vale la pena ricordare alcuni dati chiave. Sono 345mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi (un quarto del totale) che dal 2014 al 2017 e con previsioni per il 2018, hanno investito in prodotti e in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. A questa green economy si devono quasi 3 milioni di green jobs (occupati che applicano competenze “verdi”), il 13% dell’occupazione complessiva nazionale. E il numero tende a salire. Unioncamere prevede una domanda di green jobs per il 2018 di 474mila contratti, tra ingegneri e tecnici energetici, agricoltori biologici, esperti di “acquisti verdi”, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto. E soprattutto nell’industria manifatturiera i posti di lavoro “verdi” sono particolarmente numerosi: la competitività nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati internazionali chiede qualità di prodotti e produzioni, ma anche sostenibilità. E la “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, sicura, efficiente, a basso impatto ambientale e alta inclusione sociale (anche di questo abbiamo spesso parlato) è il luogo cardine della capacità industriale italiana di crescere e farsi apprezzare nel mondo.

La Lombardia è in primo piano, con 61.650 imprese che hanno investito, o investiranno entro l’anno, in tecnologie green. Con 123.380 contratti green stipulati dalle imprese per il 2018, più di un quarto del totale nazionale, Milano, Brescia, Bergamo, Monza e la Brianza sono le punte d’eccellenza d’una regione al vertice anche della graduatoria regionale per numero di contratti stipulati o programmati entro l’anno.

Più “verde”, maggiore competitività. Il Rapporto Symbola spiega infatti che le imprese di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (da 5 a 499 addetti), quelle che hanno segnalato un aumento dell’export nel 2017 sono il 34% fra chi ha investito nel green contro il 27% relativo al caso di quelle che non hanno investito: un vantaggio competitivo che si conferma anche per le previsioni al 2018 (32% contro 26%).

Queste imprese – insiste il Rapporto Symbola – innovano più delle altre: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 43% delle non investitrici (quasi il doppio). Innovazione che guarda anche a Industria 4.0: mentre tra le imprese investitrici nel green il 26% ha già adottato o sta portando avanti progetti hi tech, tra quelle non investitrici nella sostenibilità ambientale tale quota si ferma all’11%. Sospinto da export e innovazione, il fatturato ne trae robusti benefici: un aumento del fatturato nel 2017 ha coinvolto il 32% delle imprese investitrici nel green (sempre con riferimento al manifatturiero tra 5 e 499 addetti), contro il 24% di quelle non investitrici. Anche nelle previsioni per il 2018 tale divario si conferma (27% contro 22%).

Queste imprese, incluse le PMI (anche se il loro contributo è probabilmente sottostimato a causa della difficoltà di tracciare gli investimenti green nelle aziende meno strutturate) hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale verso una leadership europea nelle performance ambientali. Una leadership che fa il paio con i nostri primati internazionali nella competitività. Eurostat dice, infatti, che l’Italia con 307 kg di materia prima per ogni milione di euro prodotto dalle imprese fa molto meglio della media Ue (455 kg), collocandosi terza nella graduatoria a ventotto paesi, dietro solamente al Regno Unito (236 kg) e al Lussemburgo (283 kg), e davanti a Francia (326 kg), Spagna (360 kg) e Germania (408 kg).
Dalla materia prima all’energia, dove si registra una dinamica analoga: siamo secondi tra i big player europei, dietro al Regno Unito. Dalle 17,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro del 2008 siamo passati a 14,2: la Gran Bretagna ne consuma 10,6; la Francia 14,9; la Spagna 15,7; la Germania 17,0. Piazzarsi secondi dopo la Gran Bretagna vale più di un “semplice” secondo posto: quella di Londra, infatti, è un’economia in cui finanza e servizi giocano un ruolo molto importante, mentre la nostra è più legata a produzioni manifatturiere.
L’Italia fa molto bene anche nella riduzione di rifiuti. Con 43,2 tonnellate per ogni milione di euro prodotto (1,7 tonnellate in meno del 2008) siamo i più efficienti tra le cinque grandi economia europee, di nuovo molto meglio della Germania (67,6 tonnellate per milione di euro prodotto) e della media comunitaria (89,3 tonnellate).
Il Rapporto Symbola conferma inoltre che abbiamo primati anche nella riduzione delle emissioni in atmosfera: terzi tra le cinque grandi economie comunitarie (104,2 tonnellate CO2 per milione di euro prodotto): dietro alla Francia (85,5 tonnellate, in questo caso favorita dal nucleare) e al Regno Unito (93,4 tonnellate) ma davanti Spagna e Germania.
E a questi dati, che restituiscono le performance complessive del sistema nazionale, se ne aggiungo altri, che mostrano come l’Italia abbia risultati d’eccellenza in tema di sostenibilità in numerosi ambiti.
Vantiamo primati nella bioeconomia e nella chimica verde. Siamo (secondo il “Rapporto Bio-based industry Join Undertaking”) il primo Paese in Europa per fatturato pro-capite nel settore dello sviluppo dei prodotti basati su processi biologici, come le bioplastiche. Italia come paese in prima linea nella sostenibilità, insomma. Un buon ritratto, per un Paese il cui raconto, troppo spesso, soprattutto sui social media, è dominato dai toni del disastro.

Commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola: “Questi risultati non rappresentano da soli la soluzione ai mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico, ma le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante. Sono però il ritratto di un’Italia che ha il coraggio della sfida, che non ha paura del futuro, un’Italia competitiva e innovativa, per molti versi un’Italia nuova, su cui fare leva per combattere anche quei mali. GreenItaly, dunque, partendo da questa Italia che ce la fa e che è già in campo, indica una ricetta, quella della green economy, e delle energie cui attingere per accompagnare il Paese verso un futuro desiderabile, più giusto e più sostenibile, un futuro, come abbiamo visto, fatto anche di competitività e di un nuovo autorevole ruolo del Paese nello scenario globale”.

Essere imprese green conviene, oltre che, naturalmente, fare bene all’ambiente e alle comunità in cui l’impresa è inserita. Conviene perché stimola l’innovazione, migliora il lavoro, apre mercati di consumatori esigenti e sensibili, rafforza insomma la competitività. E proprio la Lombardia, la Lombardia motore industriale europeo, è la regione italiana più incline alla green economy, più “sostenibile”. Sono considerazioni che emergono con chiarezza dal nuovo Rapporto GreenItaly 2018 di Fondazione Symbola e UnionCamere, il nono della serie, presentato la scorsa settimana a Milano in Assolombarda. E contribuiscono a rafforzare un clima di crescente attenzione verso la sostanza dei temi legati al rapporto tra sostenibilità e competitività, tutela e valorizzazione dell’ambiente e rafforzamento dei meccanismi di sviluppo economico. Con una caratteristica particolare: nel contesto europeo, l’Italia, come sistema Paese (energia, rifiuti, etc.) ha posizioni di eccellenza per la eco-sostenibilità, nonostante i tanti e talvolta clamorosi casi di incuria ambientale e sociale. In tempi difficili, di fragile economia e di cupe tensioni sociali, i dati positivi sulla green economy lasciano intravvedere orizzonti positivi, speranze. Vedremo tra poco i dati a conferma.

In Polonia, proprio in questi giorni, sino al 14 dicembre, è in corso la Conferenza mondiale dell’Onu sul clima (Cop24), con 30mila delegati da tutto il mondo impegnati in un confronto molto difficile sulle scelte da fare per evitare d’aggravare gli allarmanti fenomeni di inquinamento in corso e i devastanti cambiamenti climatici. L’ostilità degli Usa di Trump alla riconferma degli accordi di Parigi sugli “obiettivi di sostenibilità” rende il contento delle relazioni internazionali particolarmente carico di tensioni. E, accordi internazionali a parte, cresce per fortuna l’attenzione sociale ed economica sui temi ambientali. E proprio il mondo delle imprese europee può giocare un ruolo non solo di stimolo culturale, ma anche di indicazione esemplare di comportamenti virtuosi.

L’Enea (l’agenzia nazionale per l’efficenza energetica) ha presentato, la scorsa settimana, i risultati della “Piattaforma italiana per l’economia circolare”, con il coinvolgimento di 60 stakeholders tra imprese,  istituzioni, organizzazioni della società civile. Confindustria, negli stessi giorni, ha illustrato un “Libro bianco per uno sviluppo efficiente delle fonti energetiche rinnovabili” (in collaborazione con EY e Rse). Fioriscono sempre più frequenti dibattiti e iniziative sul tema. E nel mondo delle imprese più dinamiche, superati i vecchi schemi della CSR (la Corporate social responsibility), si ragiona appunto in termini di “sostenibilità”, sia ambientale che sociale (in parecchi gruppi il tradizionale “bilancio sociale” diventa parte integrante del Bilancio aziendale vero e proprio). Il “cambio di paradigma” imposto dalla Grande Crisi in nome di un’economia più equilibrata (ne abbiamo parlato più volte, da tempo, in questo blog) diventa radicale modifica dei meccanismi di produzione, distribuzione, consumo, investe tutti gli aspetti dell’innovazione, si lega alle analisi e alle scelte sulla smart city (e dunque sugli smart citizens) e su tutti gli aspetti della sharing economy e dei “beni comuni”.

È questo, appunto, il retroterra culturale del Rapporto GreenItaly, di cui vale la pena ricordare alcuni dati chiave. Sono 345mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi (un quarto del totale) che dal 2014 al 2017 e con previsioni per il 2018, hanno investito in prodotti e in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2. A questa green economy si devono quasi 3 milioni di green jobs (occupati che applicano competenze “verdi”), il 13% dell’occupazione complessiva nazionale. E il numero tende a salire. Unioncamere prevede una domanda di green jobs per il 2018 di 474mila contratti, tra ingegneri e tecnici energetici, agricoltori biologici, esperti di “acquisti verdi”, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici a basso impatto. E soprattutto nell’industria manifatturiera i posti di lavoro “verdi” sono particolarmente numerosi: la competitività nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati internazionali chiede qualità di prodotti e produzioni, ma anche sostenibilità. E la “fabbrica bella” e cioè ben progettata, luminosa, sicura, efficiente, a basso impatto ambientale e alta inclusione sociale (anche di questo abbiamo spesso parlato) è il luogo cardine della capacità industriale italiana di crescere e farsi apprezzare nel mondo.

La Lombardia è in primo piano, con 61.650 imprese che hanno investito, o investiranno entro l’anno, in tecnologie green. Con 123.380 contratti green stipulati dalle imprese per il 2018, più di un quarto del totale nazionale, Milano, Brescia, Bergamo, Monza e la Brianza sono le punte d’eccellenza d’una regione al vertice anche della graduatoria regionale per numero di contratti stipulati o programmati entro l’anno.

Più “verde”, maggiore competitività. Il Rapporto Symbola spiega infatti che le imprese di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere (da 5 a 499 addetti), quelle che hanno segnalato un aumento dell’export nel 2017 sono il 34% fra chi ha investito nel green contro il 27% relativo al caso di quelle che non hanno investito: un vantaggio competitivo che si conferma anche per le previsioni al 2018 (32% contro 26%).

Queste imprese – insiste il Rapporto Symbola – innovano più delle altre: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 43% delle non investitrici (quasi il doppio). Innovazione che guarda anche a Industria 4.0: mentre tra le imprese investitrici nel green il 26% ha già adottato o sta portando avanti progetti hi tech, tra quelle non investitrici nella sostenibilità ambientale tale quota si ferma all’11%. Sospinto da export e innovazione, il fatturato ne trae robusti benefici: un aumento del fatturato nel 2017 ha coinvolto il 32% delle imprese investitrici nel green (sempre con riferimento al manifatturiero tra 5 e 499 addetti), contro il 24% di quelle non investitrici. Anche nelle previsioni per il 2018 tale divario si conferma (27% contro 22%).

Queste imprese, incluse le PMI (anche se il loro contributo è probabilmente sottostimato a causa della difficoltà di tracciare gli investimenti green nelle aziende meno strutturate) hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale verso una leadership europea nelle performance ambientali. Una leadership che fa il paio con i nostri primati internazionali nella competitività. Eurostat dice, infatti, che l’Italia con 307 kg di materia prima per ogni milione di euro prodotto dalle imprese fa molto meglio della media Ue (455 kg), collocandosi terza nella graduatoria a ventotto paesi, dietro solamente al Regno Unito (236 kg) e al Lussemburgo (283 kg), e davanti a Francia (326 kg), Spagna (360 kg) e Germania (408 kg).
Dalla materia prima all’energia, dove si registra una dinamica analoga: siamo secondi tra i big player europei, dietro al Regno Unito. Dalle 17,3 tonnellate di petrolio equivalente per milione di euro del 2008 siamo passati a 14,2: la Gran Bretagna ne consuma 10,6; la Francia 14,9; la Spagna 15,7; la Germania 17,0. Piazzarsi secondi dopo la Gran Bretagna vale più di un “semplice” secondo posto: quella di Londra, infatti, è un’economia in cui finanza e servizi giocano un ruolo molto importante, mentre la nostra è più legata a produzioni manifatturiere.
L’Italia fa molto bene anche nella riduzione di rifiuti. Con 43,2 tonnellate per ogni milione di euro prodotto (1,7 tonnellate in meno del 2008) siamo i più efficienti tra le cinque grandi economia europee, di nuovo molto meglio della Germania (67,6 tonnellate per milione di euro prodotto) e della media comunitaria (89,3 tonnellate).
Il Rapporto Symbola conferma inoltre che abbiamo primati anche nella riduzione delle emissioni in atmosfera: terzi tra le cinque grandi economie comunitarie (104,2 tonnellate CO2 per milione di euro prodotto): dietro alla Francia (85,5 tonnellate, in questo caso favorita dal nucleare) e al Regno Unito (93,4 tonnellate) ma davanti Spagna e Germania.
E a questi dati, che restituiscono le performance complessive del sistema nazionale, se ne aggiungo altri, che mostrano come l’Italia abbia risultati d’eccellenza in tema di sostenibilità in numerosi ambiti.
Vantiamo primati nella bioeconomia e nella chimica verde. Siamo (secondo il “Rapporto Bio-based industry Join Undertaking”) il primo Paese in Europa per fatturato pro-capite nel settore dello sviluppo dei prodotti basati su processi biologici, come le bioplastiche. Italia come paese in prima linea nella sostenibilità, insomma. Un buon ritratto, per un Paese il cui raconto, troppo spesso, soprattutto sui social media, è dominato dai toni del disastro.

Commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola: “Questi risultati non rappresentano da soli la soluzione ai mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico, ma le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante. Sono però il ritratto di un’Italia che ha il coraggio della sfida, che non ha paura del futuro, un’Italia competitiva e innovativa, per molti versi un’Italia nuova, su cui fare leva per combattere anche quei mali. GreenItaly, dunque, partendo da questa Italia che ce la fa e che è già in campo, indica una ricetta, quella della green economy, e delle energie cui attingere per accompagnare il Paese verso un futuro desiderabile, più giusto e più sostenibile, un futuro, come abbiamo visto, fatto anche di competitività e di un nuovo autorevole ruolo del Paese nello scenario globale”.

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