Beethoven in fabbrica, la musica classica rivive nei luoghi del lavoro
Ridare, alla musica classica, il suo ruolo di protagonista della grande cultura popolare, con la consapevolezza che le persone non hanno mai smesso di amarla e, semmai, anche tra le nuove generazioni, chiedono relazioni più aperte, intense, cariche d’intelligenza e di emozioni. E legare i concerti, le sinfonie, le sonate ai luoghi di lavoro: cultura “alta” e contemporaneamente, appunto, popolare, dimensione straordinaria di una sintonia molto originale, in cui proprio la cultura italiana, durante tutto il corso del Novecento, ha fornito all’Europa innovative elaborazioni, originali sintesi. Sta qui, il senso della relazione d’una grande impresa italiana e internazionale, come la Pirelli e un festival prestigioso come MiTo Settembre Musica (quasi un mese di concerti tra Milano e Torino). E si ribadisce il valore dell’esperienza dei concerti in fabbrica, ripetuta lunedì sera al Polo Industriale di Settimo Torinese, con i calorosi applausi di mille persone per l’Orchestra Filarmonica di Torino diretta da Micha Haimel, impegnata nell’esecuzione di due sinfonie di Beethoven, la Prima e la Settima. “La Settima a Settimo”, per dirla con una battuta di brillante comunicazione. Beethoven accanto ai robot e ai laboratori di ricerca del più moderno stabilimento industriale della Pirelli, davanti alla “spina” dei servizi progettata da Renzo Piano, tra cinquecento alberi di ciliegi, fabbrica bella ed efficiente, funzionale e sostenibile. E, adesso, anche molto musicale.
C’è, d’altronde, una tradizione europea, che lega la musica ai luoghi del lavoro. Nella Vienna a cavallo tra Ottocento e Novecento, con i concerti per lavoratori: opere classiche per un pubblico nuovo e diverso dalla tradizionale utenza borghese e composizioni all’epoca contemporanee (per fare solo un esempio: le sinfonie di Mahler dirette dal giovane Webern). E nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, con l’impegno di musicisti come Luigi Nono, Claudio Abbado e Maurizio Pollini, sensibilità ed esperienze differenti per “illuminare la fabbrica”. La Fondazione Pirelli ha voluto riagganciarsi a questa tradizione, innovando, come s’addice alla buona cultura d’impresa. Con i primi concerti in fabbrica, a Settimo, sempre nell’ambito di MiTo, nel 2010 e nel 2011. O ospitando, un paio di volte all’anno, nell’Auditorium dell’head quarter Pirelli in Bicocca, le prove dell’Orchestra da Camera Italiana diretta dal maestro Salvatore Accardo, uno dei maggiori violinisti internazionali (la prova generale, Bach e Dvorak, stavolta, è un concerto dedicato ai dipendenti Pirelli e alle loro famiglie, mentre i loro bambini sono ammessi all’inizio delle singole prove, per costruire una divertente familiarità con violini, viole e violoncelli). O ancora dedicando ai “pirelliani” i biglietti del sostegno all’Orchestra Verdi di Milano. Lavoro e musica, appunto.
Esiste un nesso profondo, d’altronde, tra operare con consapevolezza in un’impresa e fare musica. Nel costruire comportamenti armonici, mettere insieme persone, accordare strumenti. E imparare a ricondurre a unità originali espressioni e, perché no? dissonanze. Nei precedenti concerti erano stati centrali il lavoro e il suo “suono”, la fatica dell’esecuzione, la ricerca del massimo della qualità. La fabbrica è fatta da persone al lavoro. I gesti delle mani, svelte e capaci. E i movimenti delle macchine. La fabbrica è un ritmo. Voci e rumori. Che diventano un suono. La fabbrica ha una sua musica. E la musica può entrare in fabbrica. L’industria ha una sua cultura. E la cultura può, anzi deve ritrovarsi negli spazi dell’industria.
La sintesi? Produrre, comunque, bene. Trovare e realizzare nuove e inedite armonie.
Si torna al binomio tradizione e innovazione. La scelta, per quest’ultimo concerto, di Beethoven, ne è conferma: la sua musica ha robuste radici nei canoni del miglior Settecento, interpreta una vivace attualità romantica e rappresenta la monumentalità del “classico” ma preannuncia anche le composizioni di parecchi decenni dopo di lui. Straordinaria creatività. E rigorosissima strumentazione. Tradizione. E innovazione.
Anche il luogo scelto ha grande rilevanza. Dopo la Grande Crisi, l’industria è tornata al centro dell’economia. Si parla di “rinascimento manifatturiero”. Lo stabilimento di Settimo testimonia come sia cambiata e cresciuta la fabbrica, con le tecnologie più sofisticate. Metamorfosi. Impresa è cultura, nel segno della contemporaneità.”Realizzare un concerto in fabbrica – conferma Micha Hamel, che ha diretto l’Orchestra Filarmonica di Torino al Polo di Settimo – dà un senso di unicità e al tempo stesso l’idea che sta avvenendo qualcosa di nuovo. La musica entra in un luogo inusuale. Si va fuori dagli schemi. Artisticamente, è un concetto molto importante”.
E’ appunto questa la consapevolezza che ha ispirato tutta l’esperienza della musica in fabbrica. Fin dal primo, il 13 settembre 2010, nel vecchio stabilimento Pirelli, alla vigilia della sua chiusura (per dare vita al Nuovo Polo). Sul palco, I Fiati di Torino, musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Rai torinese. Sullo sfondo, i pneumatici prodotti nello stabilimento. In platea, il cortile dell’azienda, oltre quattrocento persone. Per ascoltare le musiche di Mozart, Bach e Beethoven, Berio e Gabrieli, Saglietti e Stravinskij: dal Settecento alla contemporaneità. Una doppia valenza, del suono e dei luoghi. E’ stato un concerto per ottoni, gli strumenti che ricordano la materia metallica, parente simbolica di quella con cui sono fatte le macchine. Ed è stato un gioco di armonie, per suggerire quel che il lavoro può e deve tendere a essere, anche quando quell’armonia è difficile.
Adesso che le tecnologie innovative rendono più vario, ricco e complesso il lavoro, la musica può trovare un nuovo spazio, una più intensa attualità. Riascoltando il “classico”. E ambientando con inedite suggestioni la contemporaneità. Culture di sperimentazioni. E di ricerca di novità. L’innovazione è anche un linguaggio.
Per il secondo concerto, il 9 settembre 2011, l’orchestra è quella dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretta da Luca Pfaff. Il luogo è il grande magazzino del nuovo stabilimento del Polo. In lontananza, rumore di macchine al lavoro, appena un’eco leggero. E’ fabbrica, no? In programma, davanti a settecento persone, brani di Stravinskij, Milhaud, Honegger e De Falla. E’ la musica del Novecento. Il secolo dei grandi cambiamenti. Economia, cultura, politica, società ne sono state coinvolte. Modificate le relazioni sociali, più dinamiche, conflittuali. Trasformati gli stessi linguaggi: fare cose nuove, e dirle con espressioni più adeguate. E Novecento vuol dire industria, una complessità che occupa la scena dell’innovazione, suscita profondi rivolgimenti, coinvolge milioni di uomini e donne, il loro lavoro, i loro rapporti. Tecnologia, naturalmente. Ma anche un universo d’inedite responsabilità, un coacervo di protagonismi, contrastanti rivendicazioni e modifiche di diritti e doveri. Novecento è parole, immagini, movimento. Rumori mai prima ascoltati. E suoni. Si scompongono e ricompongono letteratura, arte figurativa, musica. Tramontano le forme classiche. La nuova forma è la ricerca. Che ancora continua, nei nostri tempi incerti.
Riflettere sul Novecento, con la sua musica in fabbrica, vuol dire dunque non solo interrogarci criticamente sulle nostre radici recenti, ma anche provare a costruire, sulla stessa memoria, una nuova epistemologia della post-modernità e cercare di tracciare linee futuribili d’un migliore destino. Per un’umanità in movimento. L’ascolto musicale può aiutare a comprendere il senso profondo delle mutazioni, sia del lavoro, sia delle relazioni connesse. La cultura d’impresa costruisce la sua colonna sonora. Sino alle suggestioni di Beethoven, nel concerto di ieri. Sinfonia classica. E contemporaneità.
Ridare, alla musica classica, il suo ruolo di protagonista della grande cultura popolare, con la consapevolezza che le persone non hanno mai smesso di amarla e, semmai, anche tra le nuove generazioni, chiedono relazioni più aperte, intense, cariche d’intelligenza e di emozioni. E legare i concerti, le sinfonie, le sonate ai luoghi di lavoro: cultura “alta” e contemporaneamente, appunto, popolare, dimensione straordinaria di una sintonia molto originale, in cui proprio la cultura italiana, durante tutto il corso del Novecento, ha fornito all’Europa innovative elaborazioni, originali sintesi. Sta qui, il senso della relazione d’una grande impresa italiana e internazionale, come la Pirelli e un festival prestigioso come MiTo Settembre Musica (quasi un mese di concerti tra Milano e Torino). E si ribadisce il valore dell’esperienza dei concerti in fabbrica, ripetuta lunedì sera al Polo Industriale di Settimo Torinese, con i calorosi applausi di mille persone per l’Orchestra Filarmonica di Torino diretta da Micha Haimel, impegnata nell’esecuzione di due sinfonie di Beethoven, la Prima e la Settima. “La Settima a Settimo”, per dirla con una battuta di brillante comunicazione. Beethoven accanto ai robot e ai laboratori di ricerca del più moderno stabilimento industriale della Pirelli, davanti alla “spina” dei servizi progettata da Renzo Piano, tra cinquecento alberi di ciliegi, fabbrica bella ed efficiente, funzionale e sostenibile. E, adesso, anche molto musicale.
C’è, d’altronde, una tradizione europea, che lega la musica ai luoghi del lavoro. Nella Vienna a cavallo tra Ottocento e Novecento, con i concerti per lavoratori: opere classiche per un pubblico nuovo e diverso dalla tradizionale utenza borghese e composizioni all’epoca contemporanee (per fare solo un esempio: le sinfonie di Mahler dirette dal giovane Webern). E nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, con l’impegno di musicisti come Luigi Nono, Claudio Abbado e Maurizio Pollini, sensibilità ed esperienze differenti per “illuminare la fabbrica”. La Fondazione Pirelli ha voluto riagganciarsi a questa tradizione, innovando, come s’addice alla buona cultura d’impresa. Con i primi concerti in fabbrica, a Settimo, sempre nell’ambito di MiTo, nel 2010 e nel 2011. O ospitando, un paio di volte all’anno, nell’Auditorium dell’head quarter Pirelli in Bicocca, le prove dell’Orchestra da Camera Italiana diretta dal maestro Salvatore Accardo, uno dei maggiori violinisti internazionali (la prova generale, Bach e Dvorak, stavolta, è un concerto dedicato ai dipendenti Pirelli e alle loro famiglie, mentre i loro bambini sono ammessi all’inizio delle singole prove, per costruire una divertente familiarità con violini, viole e violoncelli). O ancora dedicando ai “pirelliani” i biglietti del sostegno all’Orchestra Verdi di Milano. Lavoro e musica, appunto.
Esiste un nesso profondo, d’altronde, tra operare con consapevolezza in un’impresa e fare musica. Nel costruire comportamenti armonici, mettere insieme persone, accordare strumenti. E imparare a ricondurre a unità originali espressioni e, perché no? dissonanze. Nei precedenti concerti erano stati centrali il lavoro e il suo “suono”, la fatica dell’esecuzione, la ricerca del massimo della qualità. La fabbrica è fatta da persone al lavoro. I gesti delle mani, svelte e capaci. E i movimenti delle macchine. La fabbrica è un ritmo. Voci e rumori. Che diventano un suono. La fabbrica ha una sua musica. E la musica può entrare in fabbrica. L’industria ha una sua cultura. E la cultura può, anzi deve ritrovarsi negli spazi dell’industria.
La sintesi? Produrre, comunque, bene. Trovare e realizzare nuove e inedite armonie.
Si torna al binomio tradizione e innovazione. La scelta, per quest’ultimo concerto, di Beethoven, ne è conferma: la sua musica ha robuste radici nei canoni del miglior Settecento, interpreta una vivace attualità romantica e rappresenta la monumentalità del “classico” ma preannuncia anche le composizioni di parecchi decenni dopo di lui. Straordinaria creatività. E rigorosissima strumentazione. Tradizione. E innovazione.
Anche il luogo scelto ha grande rilevanza. Dopo la Grande Crisi, l’industria è tornata al centro dell’economia. Si parla di “rinascimento manifatturiero”. Lo stabilimento di Settimo testimonia come sia cambiata e cresciuta la fabbrica, con le tecnologie più sofisticate. Metamorfosi. Impresa è cultura, nel segno della contemporaneità.”Realizzare un concerto in fabbrica – conferma Micha Hamel, che ha diretto l’Orchestra Filarmonica di Torino al Polo di Settimo – dà un senso di unicità e al tempo stesso l’idea che sta avvenendo qualcosa di nuovo. La musica entra in un luogo inusuale. Si va fuori dagli schemi. Artisticamente, è un concetto molto importante”.
E’ appunto questa la consapevolezza che ha ispirato tutta l’esperienza della musica in fabbrica. Fin dal primo, il 13 settembre 2010, nel vecchio stabilimento Pirelli, alla vigilia della sua chiusura (per dare vita al Nuovo Polo). Sul palco, I Fiati di Torino, musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Rai torinese. Sullo sfondo, i pneumatici prodotti nello stabilimento. In platea, il cortile dell’azienda, oltre quattrocento persone. Per ascoltare le musiche di Mozart, Bach e Beethoven, Berio e Gabrieli, Saglietti e Stravinskij: dal Settecento alla contemporaneità. Una doppia valenza, del suono e dei luoghi. E’ stato un concerto per ottoni, gli strumenti che ricordano la materia metallica, parente simbolica di quella con cui sono fatte le macchine. Ed è stato un gioco di armonie, per suggerire quel che il lavoro può e deve tendere a essere, anche quando quell’armonia è difficile.
Adesso che le tecnologie innovative rendono più vario, ricco e complesso il lavoro, la musica può trovare un nuovo spazio, una più intensa attualità. Riascoltando il “classico”. E ambientando con inedite suggestioni la contemporaneità. Culture di sperimentazioni. E di ricerca di novità. L’innovazione è anche un linguaggio.
Per il secondo concerto, il 9 settembre 2011, l’orchestra è quella dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretta da Luca Pfaff. Il luogo è il grande magazzino del nuovo stabilimento del Polo. In lontananza, rumore di macchine al lavoro, appena un’eco leggero. E’ fabbrica, no? In programma, davanti a settecento persone, brani di Stravinskij, Milhaud, Honegger e De Falla. E’ la musica del Novecento. Il secolo dei grandi cambiamenti. Economia, cultura, politica, società ne sono state coinvolte. Modificate le relazioni sociali, più dinamiche, conflittuali. Trasformati gli stessi linguaggi: fare cose nuove, e dirle con espressioni più adeguate. E Novecento vuol dire industria, una complessità che occupa la scena dell’innovazione, suscita profondi rivolgimenti, coinvolge milioni di uomini e donne, il loro lavoro, i loro rapporti. Tecnologia, naturalmente. Ma anche un universo d’inedite responsabilità, un coacervo di protagonismi, contrastanti rivendicazioni e modifiche di diritti e doveri. Novecento è parole, immagini, movimento. Rumori mai prima ascoltati. E suoni. Si scompongono e ricompongono letteratura, arte figurativa, musica. Tramontano le forme classiche. La nuova forma è la ricerca. Che ancora continua, nei nostri tempi incerti.
Riflettere sul Novecento, con la sua musica in fabbrica, vuol dire dunque non solo interrogarci criticamente sulle nostre radici recenti, ma anche provare a costruire, sulla stessa memoria, una nuova epistemologia della post-modernità e cercare di tracciare linee futuribili d’un migliore destino. Per un’umanità in movimento. L’ascolto musicale può aiutare a comprendere il senso profondo delle mutazioni, sia del lavoro, sia delle relazioni connesse. La cultura d’impresa costruisce la sua colonna sonora. Sino alle suggestioni di Beethoven, nel concerto di ieri. Sinfonia classica. E contemporaneità.