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Cultura d’impresa è cultura della qualità, per tutti

Esistono e crescono, resistono e si fanno strada. In tempi di crisi e di difficoltà che appaiono insuperabili, l’esercito di imprese italiane manifatturiere che esportano nel comparto del cosiddetto “bello e ben fatto” (imprese-BBF), delinea un modo vincente di pensare la produzione. Un’indicazione chiara di quella cultura d’impresa che diventa cultura della qualità e che si rivolge al mondo: la strategia  che appare essere sempre di più l’unica strada, almeno per ora, in grado di ridare orizzonti positivi alla nostra industria.

E’ importante quindi capire dove siano, quali siano e come si comportano le imprese di questo genere. Senza nascondere le difficoltà, ma rilevando anche le peculiarità tipiche di queste strutture produttive. A partire ovviamente dai settori tipici del BBF italiano: l’abbigliamento, l’alimentare, l’arredamento e le calzature. E’ fresca di stampa, a questo proposito, la Nota del Centro Studi Confindustria “Le imprese produttrici di export italiano di qualità: identikit e performance”: poche pagine che scattano una fotografia chiara della situazione, nel delineano i tratti e le prospettive.

Per mezzo di pochi numeri, il CSC riesce a dare un quadro esaustivo del tutto: utile per capire come si sta muovendo una parte importante dell’industria nazionale.

Le imprese-BBF, un quinto del totale, hanno per esempio alcune caratteristiche: sono più piccole della media ma hanno una vocazione internazionale più forte, sono riuscite a diversificare maggiormente del resto del sistema ma il loro recupero è stato più lento di quello delle aziende non-BBF. Importante, poi, un’altra caratteristica che emerge dallo studio: la gran parte delle imprese-BBF sono di piccole e piccolissime dimensioni. Oltre la metà del totale sta sotto i 49 dipendenti e una buona parte di queste sotto i nove.

Microimprese, quindi, forti della loro capacità produttiva ma anche della cultura che si portano dentro; quella cultura della qualità e del saper fare che, in alcune descrizioni della crisi, sembrerebbe scomparsa o almeno appannata e che, invece, rimane forte anche se andrebbe certamente coltivata e fatta crescere ancora di più.

Le imprese produttrici di export italiano di qualità: identikit e performance

Centro Studi Confindustria

Nota n. 2013-3, Marzo 2013

Esistono e crescono, resistono e si fanno strada. In tempi di crisi e di difficoltà che appaiono insuperabili, l’esercito di imprese italiane manifatturiere che esportano nel comparto del cosiddetto “bello e ben fatto” (imprese-BBF), delinea un modo vincente di pensare la produzione. Un’indicazione chiara di quella cultura d’impresa che diventa cultura della qualità e che si rivolge al mondo: la strategia  che appare essere sempre di più l’unica strada, almeno per ora, in grado di ridare orizzonti positivi alla nostra industria.

E’ importante quindi capire dove siano, quali siano e come si comportano le imprese di questo genere. Senza nascondere le difficoltà, ma rilevando anche le peculiarità tipiche di queste strutture produttive. A partire ovviamente dai settori tipici del BBF italiano: l’abbigliamento, l’alimentare, l’arredamento e le calzature. E’ fresca di stampa, a questo proposito, la Nota del Centro Studi Confindustria “Le imprese produttrici di export italiano di qualità: identikit e performance”: poche pagine che scattano una fotografia chiara della situazione, nel delineano i tratti e le prospettive.

Per mezzo di pochi numeri, il CSC riesce a dare un quadro esaustivo del tutto: utile per capire come si sta muovendo una parte importante dell’industria nazionale.

Le imprese-BBF, un quinto del totale, hanno per esempio alcune caratteristiche: sono più piccole della media ma hanno una vocazione internazionale più forte, sono riuscite a diversificare maggiormente del resto del sistema ma il loro recupero è stato più lento di quello delle aziende non-BBF. Importante, poi, un’altra caratteristica che emerge dallo studio: la gran parte delle imprese-BBF sono di piccole e piccolissime dimensioni. Oltre la metà del totale sta sotto i 49 dipendenti e una buona parte di queste sotto i nove.

Microimprese, quindi, forti della loro capacità produttiva ma anche della cultura che si portano dentro; quella cultura della qualità e del saper fare che, in alcune descrizioni della crisi, sembrerebbe scomparsa o almeno appannata e che, invece, rimane forte anche se andrebbe certamente coltivata e fatta crescere ancora di più.

Le imprese produttrici di export italiano di qualità: identikit e performance

Centro Studi Confindustria

Nota n. 2013-3, Marzo 2013

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