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Ecco come il “socio occulto” di ‘ndrangheta e mafia inquina l’economia e mette in crisi le buone imprese

“Il socio occulto”, che non appare ufficialmente ma governa in realtà l’impresa, ne condiziona scelte, legami, successi. Un socio mafioso. “Il socio occulto”, appunto, è l’efficace titolo dell’ultimo libro di Marella Caramazza, manager, esperta di marketing e formazione, direttore generale della Fondazione Istud ed esperta indagatrice dell’“anima nera” dell’economia del Nord. Pubblicato da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi, il saggio ricostruisce i legami tra corruzione nella pubblica amministrazione e crescita del peso economico di ‘ndrangheta, camorra, Cosa Nostra siciliana. E vale la pena leggerlo, appunto, per capire le nuove dimensioni della criminalità organizzata, proprio mentre la Dia (la Direzione Investigativa Antimafia) e l’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia forniscono all’opinione pubblica i dati sulla presenza dei boss dei clan mafiosi nel mondo degli affari. Una presenza allarmante, in vari settori economici, dagli appalti pubblici alle forniture della sanità, dal traffico dei rifiuti alle attività commerciali, non solo nelle aree d’origine delle famiglie criminali (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia) ma soprattutto nelle zone economicamente più dinamiche del Paese, dalla Lombardia all’Emilia, dal Piemonte alla Liguria e a tutto il Nord Est. Non più una “infiltrazione”, come si continua a dire ancora oggi, per pigrizia concettuale. Ma una presenza estesa e profonda, un grave inquinamento, che sta alterando profondamente il funzionamento di mercati, servizi, lavori pubblici.

“La mafia è ovunque”, titola “Il Sole24Ore” (19 luglio) nel dare conto della relazione della Dia, che ricostruisce i principali settori d’affari della mafia (giochi e scommesse on line, energie rinnovabili, agricoltura, ristorazione, attività turistiche e alberghiere, supermercati, sanità e appalti pubblici, edilizia, commercio di opere d’arte e reperti archeologici, raccolta e smaltimento rifiuti, proprio l’ultima frontiera del business illegale su cui si muove, con successo, la Procura della Repubblica di Milano) e mostra come il Nord sia in testa alle classifiche delle operazioni sospette (il 46,8%, quasi una su due), con particolare peso della Lombardia, regione di finanziarie e banche.

“C’è mancanza di allarme sociale”, insiste la Dia, sottolineando la rete di complicità della cosiddetta “area grigia” (ben raccontata anche nelle pagine de “Il socio occulto”) e cioè di quei  professionisti, manager, uomini d’affari che organizzano, favoriscono, coprono le attività delle imprese mafiose e il riciclaggio dei soldi provenienti da traffici illeciti. E preoccupate proprio dall’espansione degli interessi di mafia, l’Assolombarda a Milano e altre organizzazioni imprenditoriali in Veneto hanno intensificato la loro attività sui temi della legalità e per mettere in guardia le imprese: mai avere contatti con le cosche, mai lasciare spazio al “socio occulto”, pena la crisi grade dell’economia di mercato e delle libertà imprenditoriali. Un allarme che, pur lentamente, trova ascolto.

“Nella società c’è voglia di mafia, di natura utilitaristica”, denuncia, sempre sulle pagine de “Il Sole24Ore” (18 luglio), il Procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Lo Voi, reduce da una brillante operazione di Polizia, tra la Sicilia e New York, che ha fatto scattare le manette ai polsi dei boss delle famiglie Inzerillo e Gambino, mafia storica in cerca di nuovi affari. I settori economici più permeati, ricorda Lo Voi, sono “energia e rifiuti”. E comunque, Palermo a parte, “Cosa Nostra investe all’estero”. Serve seguirne i flussi degli interessi, le piste dei soldi (come avevano insegnato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino).

“Le mafie diversificano al Nord. Scoperte 2.243 imprese colluse”, titola “La Stampa” (8 luglio), raccogliendo i dati delle prefetture e dell’Anac (l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone) sulle “interdittive” e cioè sui provvedimenti emessi dai prefetti, dopo una tempestiva istruttoria, per estromettere dagli appalti pubblici le imprese sospette di legami con clan mafiosi (l’ultima, dai lavori per il Ponte Morandi a Genova). E proprio quel dato, 2.243 imprese colluse, mostra quanto preoccupante sia il fenomeno della presenza mafiosa nell’economia ma anche come l’apparato dello Stato si stia muovendo efficacemente per stroncare la devastazione criminale che stravolge affari e amministrazione pubblica.

Anche il riordino e il rilancio dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati (più risorse, migliore organizzazione) è un importante strumento contro le attività dei boss. Ci sono attualmente 2.982 aziende ex mafiose, in gestione all’Agenzia. Vanno analizzate, per verificare che possano continuare a vivere in condizioni di regolarità e legalità, fuori cioè dai business model mafiosi (credito facile, corruzione, evasione fiscale, uso della violenza contro i concorrenti, lavoro nero, etc.). E affidate in gestione a manager competenti, e non solo a commercialisti e avvocati come custodi giudiziari, per poterle risanare e restituire al mercato. Sostiene Bruno Frattasi, prefetto, direttore dell’Agenzia: “Intendiamo valorizzare forme di collaborazione con associazioni di qualificati professionisti che possano portare all’interno di queste aziende una cultura manageriale fortemente orientata al rispetto delle regole” e dunque a una sana, corretta, efficiente gestione economica.

C’è una condizione da ribaltare: il fatto che delle aziende sequestrate alla mafia (il provvedimento iniziale) appena il 34%, un terzo, sia ancora attivo, mentre arrivati al termine dell’iter, alla confisca, solo il 19%, una su cinque, sopravviva. Le aziende ex mafiose vanno invece risanate, rilanciate, messe in condizione di creare, come ogni altra azienda, ricchezza e lavoro, Anche per evitare la diceria secondo cui con la presenza mafiosa l’impresa vive e dà lavoro, con l’arrivo dello Stato, invece, l’impresa muore e le persone restano disoccupate. Sfida difficile, Ma possibile.

L’obiettivo: legalità, efficienza, competitività, al posto dei danni del “socio occulto”. L’antimafia è anche fare crescere una buona, equilibrata economia.

“Il socio occulto”, che non appare ufficialmente ma governa in realtà l’impresa, ne condiziona scelte, legami, successi. Un socio mafioso. “Il socio occulto”, appunto, è l’efficace titolo dell’ultimo libro di Marella Caramazza, manager, esperta di marketing e formazione, direttore generale della Fondazione Istud ed esperta indagatrice dell’“anima nera” dell’economia del Nord. Pubblicato da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi, il saggio ricostruisce i legami tra corruzione nella pubblica amministrazione e crescita del peso economico di ‘ndrangheta, camorra, Cosa Nostra siciliana. E vale la pena leggerlo, appunto, per capire le nuove dimensioni della criminalità organizzata, proprio mentre la Dia (la Direzione Investigativa Antimafia) e l’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia forniscono all’opinione pubblica i dati sulla presenza dei boss dei clan mafiosi nel mondo degli affari. Una presenza allarmante, in vari settori economici, dagli appalti pubblici alle forniture della sanità, dal traffico dei rifiuti alle attività commerciali, non solo nelle aree d’origine delle famiglie criminali (Calabria, Sicilia, Campania, Puglia) ma soprattutto nelle zone economicamente più dinamiche del Paese, dalla Lombardia all’Emilia, dal Piemonte alla Liguria e a tutto il Nord Est. Non più una “infiltrazione”, come si continua a dire ancora oggi, per pigrizia concettuale. Ma una presenza estesa e profonda, un grave inquinamento, che sta alterando profondamente il funzionamento di mercati, servizi, lavori pubblici.

“La mafia è ovunque”, titola “Il Sole24Ore” (19 luglio) nel dare conto della relazione della Dia, che ricostruisce i principali settori d’affari della mafia (giochi e scommesse on line, energie rinnovabili, agricoltura, ristorazione, attività turistiche e alberghiere, supermercati, sanità e appalti pubblici, edilizia, commercio di opere d’arte e reperti archeologici, raccolta e smaltimento rifiuti, proprio l’ultima frontiera del business illegale su cui si muove, con successo, la Procura della Repubblica di Milano) e mostra come il Nord sia in testa alle classifiche delle operazioni sospette (il 46,8%, quasi una su due), con particolare peso della Lombardia, regione di finanziarie e banche.

“C’è mancanza di allarme sociale”, insiste la Dia, sottolineando la rete di complicità della cosiddetta “area grigia” (ben raccontata anche nelle pagine de “Il socio occulto”) e cioè di quei  professionisti, manager, uomini d’affari che organizzano, favoriscono, coprono le attività delle imprese mafiose e il riciclaggio dei soldi provenienti da traffici illeciti. E preoccupate proprio dall’espansione degli interessi di mafia, l’Assolombarda a Milano e altre organizzazioni imprenditoriali in Veneto hanno intensificato la loro attività sui temi della legalità e per mettere in guardia le imprese: mai avere contatti con le cosche, mai lasciare spazio al “socio occulto”, pena la crisi grade dell’economia di mercato e delle libertà imprenditoriali. Un allarme che, pur lentamente, trova ascolto.

“Nella società c’è voglia di mafia, di natura utilitaristica”, denuncia, sempre sulle pagine de “Il Sole24Ore” (18 luglio), il Procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Lo Voi, reduce da una brillante operazione di Polizia, tra la Sicilia e New York, che ha fatto scattare le manette ai polsi dei boss delle famiglie Inzerillo e Gambino, mafia storica in cerca di nuovi affari. I settori economici più permeati, ricorda Lo Voi, sono “energia e rifiuti”. E comunque, Palermo a parte, “Cosa Nostra investe all’estero”. Serve seguirne i flussi degli interessi, le piste dei soldi (come avevano insegnato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino).

“Le mafie diversificano al Nord. Scoperte 2.243 imprese colluse”, titola “La Stampa” (8 luglio), raccogliendo i dati delle prefetture e dell’Anac (l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone) sulle “interdittive” e cioè sui provvedimenti emessi dai prefetti, dopo una tempestiva istruttoria, per estromettere dagli appalti pubblici le imprese sospette di legami con clan mafiosi (l’ultima, dai lavori per il Ponte Morandi a Genova). E proprio quel dato, 2.243 imprese colluse, mostra quanto preoccupante sia il fenomeno della presenza mafiosa nell’economia ma anche come l’apparato dello Stato si stia muovendo efficacemente per stroncare la devastazione criminale che stravolge affari e amministrazione pubblica.

Anche il riordino e il rilancio dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati (più risorse, migliore organizzazione) è un importante strumento contro le attività dei boss. Ci sono attualmente 2.982 aziende ex mafiose, in gestione all’Agenzia. Vanno analizzate, per verificare che possano continuare a vivere in condizioni di regolarità e legalità, fuori cioè dai business model mafiosi (credito facile, corruzione, evasione fiscale, uso della violenza contro i concorrenti, lavoro nero, etc.). E affidate in gestione a manager competenti, e non solo a commercialisti e avvocati come custodi giudiziari, per poterle risanare e restituire al mercato. Sostiene Bruno Frattasi, prefetto, direttore dell’Agenzia: “Intendiamo valorizzare forme di collaborazione con associazioni di qualificati professionisti che possano portare all’interno di queste aziende una cultura manageriale fortemente orientata al rispetto delle regole” e dunque a una sana, corretta, efficiente gestione economica.

C’è una condizione da ribaltare: il fatto che delle aziende sequestrate alla mafia (il provvedimento iniziale) appena il 34%, un terzo, sia ancora attivo, mentre arrivati al termine dell’iter, alla confisca, solo il 19%, una su cinque, sopravviva. Le aziende ex mafiose vanno invece risanate, rilanciate, messe in condizione di creare, come ogni altra azienda, ricchezza e lavoro, Anche per evitare la diceria secondo cui con la presenza mafiosa l’impresa vive e dà lavoro, con l’arrivo dello Stato, invece, l’impresa muore e le persone restano disoccupate. Sfida difficile, Ma possibile.

L’obiettivo: legalità, efficienza, competitività, al posto dei danni del “socio occulto”. L’antimafia è anche fare crescere una buona, equilibrata economia.

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