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Economia digitale, il primato del lavoro e la necessità di ripensare contratti e tempi

Cambiano, le fabbriche, nella stagione dell’economia digitale. Cambia naturalmente anche il lavoro, conservando la sua centralità per un’economia bel equilibrata (oltre che per una società giusta, come sostiene la nostra Costituzione, parlandone proprio all’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”). E così stanno cambiando le rappresentazioni, i racconti del lavoro. E dunque dovranno cambiare pure le relazioni industriali, i contratti, le regole, i salari. Come? Lo racconta un libro snello ma molto denso, ben impaginato, con un’elegante copertina in carattere Payfair stampato in rosso e in blu su fondo bianco e con un titolo essenziale: “Il futuro del lavoro”.

E’ un “libro bianco” di Assolombarda, primo d’una serie (il prossimo, in settembre, riguarderà il fisco), curato dal Centro Studi Adapt sotto la supervisione scientifica di Michele Tiraboschi, uno dei migliori giuslavoristi italiani (insegna all’Università di Modena ed è stato tra i più stretti collaboratori di Marco Biagi, assassinato nel marzo 2002 dalle Brigate Rosse proprio per le sue coraggiose posizioni riformatrici del diritto del lavoro). Ed è stato presentato a Milano la scorsa settimana da Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda e da Mauro Chiassarini, vicepresidente (con delega alle politiche del lavoro, alla sicurezza e al welfare).

Ecco il punto: il lavoro in primo piano, come grande tema economico e sociale, strumento di dignità della persona, elemento cardine di cittadinanza in una relazione forte tra diritti e doveri. Un lavoro da difendere, seguendo e perché no? anticipando l’evoluzione delle dinamiche produttive (con tutta la formazione necessaria, dall’alternanza scuola-lavoro al training on the job e al long life learning ovvero, per dirla in italiano, all’obbligo di studiare sempre, anche per lavorare meglio e capire il senso di ciò che si fa lavorando). Ma anche un lavoro da creare, innovando e facendo impresa, seguendo la strada delle start up e soprattutto facendole crescere: Milano può raccontare storie esemplari. Certo, non un lavoro da sostituire con bizzarre idee assistenzialiste: il reddito di cittadinanza caro al Movimento 5 Stelle non piace affatto ad Assolombarda.

Come muoversi, allora? “Flessibilità e saperi incrociati: così cambia il lavoro del futuro”, titola “IlSole24Ore” (18 maggio) riassumendo il contenuto delle 78 pagine del libro di Assolombarda e avvertendo che quella flessibilità non significa affatto né precarietà né insicurezza ma un modo di lavorare che fa fronte alle evoluzioni della tecnologia e deve trovare nei contratti appunto un insieme di responsabilità e tutele adatte a un mondo che cambia, senza rigidità anti-storiche intollerabili per aziende flessibili né precarietà che generano diseguaglianze, disagi, distacco dal lavoro, scarsa identità, improduttività.

Se il lavoro è “spazio di espressione dell’individuo”, i contratti di lavoro non potranno non tenerne conto in modo innovativo. Traducendo in regole e organizzazione le “tecnologie di nuova generazione” e la “digitalizzazione crescente” dei processi professionali.

Serve un nuovo circuito virtuoso del lavoro, insomma, nell’epoca della cosiddetta “economia della conoscenza”. Se ne discuterà a lungo, naturalmente, anche con i sindacati, soprattutto a livello territoriale e aziendale. Ben sapendo che la competitività delle imprese è strettamente connessa alla competitività dei territori e che proprio i territori riescono a essere attrattivi per capitali e intelligenze e connotati da buona qualità della vita se sono animati da imprese attive. Un altro buon esempio di circuito virtuoso, di cui proprio la Milano contemporanea è testimone.

“Un nuovo ecosistema di relazioni”, si augura giustamente Stefano Micelli, economista attentissimo alle tematiche di “Industria 4.0” e digital economy diffusa soprattutto nelle aree della cosiddetta “Regione A4”, la zona economicamente più dinamica del Paese, lungo l’autostrada dal Piemonte al Friuli e l’asse tra Lombardia ed Emilia delle medie imprese e delle filiere produttive più attive per meccatronica e automotive (ne abbiamo parlato nel blog dell’8 maggio).

Il libro di Assolombarda invita a ripensare parecchi concetti tradizionali: quello di orario di lavoro, per esempio, buono per la fabbrica fordista da catena di montaggio e mansioni parcellizzate ma da riconsiderare in tempi di smart working, lavoro a distanza, creatività: si deve valutare non il tempo passato in azienda, ma lo svolgimento di compiti e il risultato dell’impegno professionale. Così come nei contratti va dato spazio alle questioni delle competenze, più che alle tradizionali mansioni.

C’è inoltre, nel libro, un’insistenza evidente sul rapporto tra lavoro, formazione e welfare. Tracce importanti se ne possono trovare in un contratto di lavoro recente, quello dei metalmeccanici (elaborato e firmato con il contributo essenziale delle imprese di Assolombarda e dell’Emilia). E su questa strada bisogna andare avanti, con una formazione, scolastica e universitaria, sempre legata a innovazione e cambiamento, che sono peraltro funzioni essenziali della competitività delle imprese (rilevante l’insistenza sugli Its, gli istituti superiori di formazione tecnica, in Italia ancora troppo poco diffusi, diversamente che in Germania e in Francia).

Politiche attive del lavoro, dunque. In una visione europea. E dinamismo, passo passo con i cambiamenti delle tecnologie, ma anche della demografia (siamo un paese in cui cresce l’età media e le generazioni più giovani faticano a trovare buone opportunità di lavoro e di vita).

C’è una parola chiave, sottesa a tutti questi ragionamenti. Ed è “sostenibilità”. Carattere essenziale di un’impresa, dal punto di vista sia sociale che ambientale. Orizzonte di senso per tutti coloro che, dagli investitori ai manager, dai tecnici agli operai specializzati, fanno vivere e crescere un’impresa. E ambito culturale e morale di responsabilità, nell’incrocio positivo tra “valore” (i profitti per gli azionisti) e “valori”, tutto quel che ci tiene insieme in un’orizzonte etico di responsabilità.

Vengono in mente, in questo contesto, le parole di Leopoldo Pirelli, sulle regole del buon imprenditore, nel discorso pronunciato al Collegio degli ingegneri di Milano, nell’ottobre 1986: “La nostra credibilità, la nostra autorevolezza, direi la nostra legittimazione nella coscienza pubblica sono in diretto rapporto con il ruolo che svolgiamo nel concorrere al superamento degli squilibri sociali ed economici dei paesi in cui si opera: sempre più l’impresa si presenta come luogo di sintesi tra le tendenze orientate al massimo progresso tecnico-economico e le tendenze umane di migliori condizioni di lavoro e di vita”. Regole di piena attualità

Cambiano, le fabbriche, nella stagione dell’economia digitale. Cambia naturalmente anche il lavoro, conservando la sua centralità per un’economia bel equilibrata (oltre che per una società giusta, come sostiene la nostra Costituzione, parlandone proprio all’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”). E così stanno cambiando le rappresentazioni, i racconti del lavoro. E dunque dovranno cambiare pure le relazioni industriali, i contratti, le regole, i salari. Come? Lo racconta un libro snello ma molto denso, ben impaginato, con un’elegante copertina in carattere Payfair stampato in rosso e in blu su fondo bianco e con un titolo essenziale: “Il futuro del lavoro”.

E’ un “libro bianco” di Assolombarda, primo d’una serie (il prossimo, in settembre, riguarderà il fisco), curato dal Centro Studi Adapt sotto la supervisione scientifica di Michele Tiraboschi, uno dei migliori giuslavoristi italiani (insegna all’Università di Modena ed è stato tra i più stretti collaboratori di Marco Biagi, assassinato nel marzo 2002 dalle Brigate Rosse proprio per le sue coraggiose posizioni riformatrici del diritto del lavoro). Ed è stato presentato a Milano la scorsa settimana da Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda e da Mauro Chiassarini, vicepresidente (con delega alle politiche del lavoro, alla sicurezza e al welfare).

Ecco il punto: il lavoro in primo piano, come grande tema economico e sociale, strumento di dignità della persona, elemento cardine di cittadinanza in una relazione forte tra diritti e doveri. Un lavoro da difendere, seguendo e perché no? anticipando l’evoluzione delle dinamiche produttive (con tutta la formazione necessaria, dall’alternanza scuola-lavoro al training on the job e al long life learning ovvero, per dirla in italiano, all’obbligo di studiare sempre, anche per lavorare meglio e capire il senso di ciò che si fa lavorando). Ma anche un lavoro da creare, innovando e facendo impresa, seguendo la strada delle start up e soprattutto facendole crescere: Milano può raccontare storie esemplari. Certo, non un lavoro da sostituire con bizzarre idee assistenzialiste: il reddito di cittadinanza caro al Movimento 5 Stelle non piace affatto ad Assolombarda.

Come muoversi, allora? “Flessibilità e saperi incrociati: così cambia il lavoro del futuro”, titola “IlSole24Ore” (18 maggio) riassumendo il contenuto delle 78 pagine del libro di Assolombarda e avvertendo che quella flessibilità non significa affatto né precarietà né insicurezza ma un modo di lavorare che fa fronte alle evoluzioni della tecnologia e deve trovare nei contratti appunto un insieme di responsabilità e tutele adatte a un mondo che cambia, senza rigidità anti-storiche intollerabili per aziende flessibili né precarietà che generano diseguaglianze, disagi, distacco dal lavoro, scarsa identità, improduttività.

Se il lavoro è “spazio di espressione dell’individuo”, i contratti di lavoro non potranno non tenerne conto in modo innovativo. Traducendo in regole e organizzazione le “tecnologie di nuova generazione” e la “digitalizzazione crescente” dei processi professionali.

Serve un nuovo circuito virtuoso del lavoro, insomma, nell’epoca della cosiddetta “economia della conoscenza”. Se ne discuterà a lungo, naturalmente, anche con i sindacati, soprattutto a livello territoriale e aziendale. Ben sapendo che la competitività delle imprese è strettamente connessa alla competitività dei territori e che proprio i territori riescono a essere attrattivi per capitali e intelligenze e connotati da buona qualità della vita se sono animati da imprese attive. Un altro buon esempio di circuito virtuoso, di cui proprio la Milano contemporanea è testimone.

“Un nuovo ecosistema di relazioni”, si augura giustamente Stefano Micelli, economista attentissimo alle tematiche di “Industria 4.0” e digital economy diffusa soprattutto nelle aree della cosiddetta “Regione A4”, la zona economicamente più dinamica del Paese, lungo l’autostrada dal Piemonte al Friuli e l’asse tra Lombardia ed Emilia delle medie imprese e delle filiere produttive più attive per meccatronica e automotive (ne abbiamo parlato nel blog dell’8 maggio).

Il libro di Assolombarda invita a ripensare parecchi concetti tradizionali: quello di orario di lavoro, per esempio, buono per la fabbrica fordista da catena di montaggio e mansioni parcellizzate ma da riconsiderare in tempi di smart working, lavoro a distanza, creatività: si deve valutare non il tempo passato in azienda, ma lo svolgimento di compiti e il risultato dell’impegno professionale. Così come nei contratti va dato spazio alle questioni delle competenze, più che alle tradizionali mansioni.

C’è inoltre, nel libro, un’insistenza evidente sul rapporto tra lavoro, formazione e welfare. Tracce importanti se ne possono trovare in un contratto di lavoro recente, quello dei metalmeccanici (elaborato e firmato con il contributo essenziale delle imprese di Assolombarda e dell’Emilia). E su questa strada bisogna andare avanti, con una formazione, scolastica e universitaria, sempre legata a innovazione e cambiamento, che sono peraltro funzioni essenziali della competitività delle imprese (rilevante l’insistenza sugli Its, gli istituti superiori di formazione tecnica, in Italia ancora troppo poco diffusi, diversamente che in Germania e in Francia).

Politiche attive del lavoro, dunque. In una visione europea. E dinamismo, passo passo con i cambiamenti delle tecnologie, ma anche della demografia (siamo un paese in cui cresce l’età media e le generazioni più giovani faticano a trovare buone opportunità di lavoro e di vita).

C’è una parola chiave, sottesa a tutti questi ragionamenti. Ed è “sostenibilità”. Carattere essenziale di un’impresa, dal punto di vista sia sociale che ambientale. Orizzonte di senso per tutti coloro che, dagli investitori ai manager, dai tecnici agli operai specializzati, fanno vivere e crescere un’impresa. E ambito culturale e morale di responsabilità, nell’incrocio positivo tra “valore” (i profitti per gli azionisti) e “valori”, tutto quel che ci tiene insieme in un’orizzonte etico di responsabilità.

Vengono in mente, in questo contesto, le parole di Leopoldo Pirelli, sulle regole del buon imprenditore, nel discorso pronunciato al Collegio degli ingegneri di Milano, nell’ottobre 1986: “La nostra credibilità, la nostra autorevolezza, direi la nostra legittimazione nella coscienza pubblica sono in diretto rapporto con il ruolo che svolgiamo nel concorrere al superamento degli squilibri sociali ed economici dei paesi in cui si opera: sempre più l’impresa si presenta come luogo di sintesi tra le tendenze orientate al massimo progresso tecnico-economico e le tendenze umane di migliori condizioni di lavoro e di vita”. Regole di piena attualità

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