“Green new deal” e sostenibilità sociale nell’impegno comune delle imprese italiane, tedesche e francesi
Le imprese dei maggiori paesi industriali europei ancora una volta scelgono bene per il futuro: un’Europa più forte, coesa, competitiva. E soprattutto sostenibile. Lo sostiene un importante documento firmato giovedì scorso, a Roma, dal primo Business Forum trilaterale tra Confindustria, Medef (Mouvement des enterpreses de France) e Bdi (Bundesverband der Deuschen Industrie) in cui si insiste su tre priorità: investimenti per lo sviluppo, economia digitale, green deal: innovazione e sostenibilità, per rafforzare l’Europa proprio nella stagione in cui restano forti le contestazioni nazionaliste e populiste contro la Ue e la sua cultura dei diritti, delle responsabilità e della crescita economica inclusiva (in Italia la Lega di Salvini, con una vociante e aggressiva battaglia contro il Mes, il Meccanismo di stabilità per sostenere eventualmente Paese e strutture finanziarie in difficoltà, fa riemergere il fantasma inquietante dell’uscita dall’euro, incurante dei gravi danni per risparmiatori e investitori italiani).
Le tre organizzazioni imprenditoriali, nel documento indirizzato sia alla Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen (già convinta dell’essenzialità di un green new deal, per cui potrebbe essere istituito un fondo europeo che passa da 35 a 100 miliardi) sia ai governi nazionali, parlano di finanziamenti alla green economy per 250/ 300 miliardi, di stimoli per il primato dell’economia digitale europea (insidiata sia dalle multinazionali Usa insofferenti di vincoli antitrust e correttezza fiscale sia dai colossi della Cina) e di politiche per scambi commerciali internazionali aperti, contro i pericolosi protezionismi e le dannose “guerre dei dazi” scatenate soprattutto della Casa Bianca di Trump. E sanno di dover avere una forte capacità di influenza politica e culturale, proprio per legare sviluppo, mercato e democrazia liberale. Una scelta di forte responsabilità.
Sostenibilità economica, ambientale e sociale, dunque, come cardini dell’impegno delle imprese italiane, tedesche e francesi. Il documento dei Business Forum trilaterale raccoglie le indicazioni già emerse, da più di un anno, dalle tre organizzazioni d’impresa. E rafforza le indicazioni sulla sostenibilità che vengono sempre più frequentemente rese pubbliche dal mondo economico, ultimo il documento dell’agosto scorso del Business Roundtable (l’associazione delle più influenti corporation degli Usa) che insiste sulla necessità di passare dall’attenzione prioritaria per lo shareholders value (i profitti delle imprese, il valore delle loro quotazioni in Borsa) a quella per lo stakeholders value, gli interessi di consumatori, fornitori, dipendenti, persone toccate dall’attività imprenditoriale: un passaggio radicale dal liberismo di Friedman e dei Chicago Boys che ha dominato culturalmente il mondo dagli anni Ottanta a oggi al liberalismo con forti componenti sociali di John M. Keynes, finalmente riletto, reinterpretato, riportato alla ribalta dell’attualità politica, economica e culturale contemporanea.
Un capitalismo liberale responsabile, sostenibile. Che cerca di ricostruire fiducia e ritrovare legittimità, anche per venire incontro alle nuove sensibilità sull’ambiente e su una migliore equità sociale che emergono con forza soprattutto tra le nuove generazioni, decise a chiedere alle imprese non solo di produrre benessere e lavoro, ma anche a determinare migliori, più giusti equilibri sociali.
Una conferma viene dell’Edelman Trust Barometer, redatto dalla maggior gruppo di pubbliche relazioni del mondo per fatturato (citato domenica da Maurizio Molinari su “La Stampa”), secondo cui, per l’82% dei suoi investitori “massimizzare i profitti non può più essere il principale obiettivo, perché ciò che interessa al pubblico sono i temi sociali e ambientali, a cominciare dal clima”.
Resta fermo, naturalmente, il valore del fare profitti. La novità sta nel come farli: rispettando ambiente e persone, con lo sguardo lungo dello sviluppo sostenibile e non con quello corto della rapacità finanziaria, della speculazione irresponsabile.
Sono temi essenziali. Sui quali proprio l’industria italiana, radicata in territori di cui storicamente avverte l’importanza come vere e proprie radici di competitività e attenta ai propri dipendenti (lo conferma la crescente diffusione del welfare aziendale), ha fatto nel tempo scelte economiche e sociali essenziali (Olivetti, Pirelli, Ferrero, Merloni, la Luxottica di Del Vecchio e una miriade di medie e piccole imprese).
Se ne discuterà, nei prossimi giorni, lunedì 16, anche in Assolombarda, con la presentazione a Milano del “Manifesto di Assisi” promosso da Symbola e dai francescani di Assisi sulla green economy e “l’economia giusta” cara a Papa Francesco, firmato nell’ottobre scorso da Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, Confartigianato, responsabili di grandi imprese (Enel), sindacati e personalità dell’economia e della cultura. Al centro, sostiene padre Enzo Fortunato, direttore della “Rivista San Francesco”, ci sono “i valori di una nuova cultura d’impresa dove esiste la responsabilità di ognuno a integrare, a non sprecare, a far partecipare, rilanciando la solidarietà e la pace”. Una indicazione per unire “etica, economia, sostenibilità”.
Le imprese dei maggiori paesi industriali europei ancora una volta scelgono bene per il futuro: un’Europa più forte, coesa, competitiva. E soprattutto sostenibile. Lo sostiene un importante documento firmato giovedì scorso, a Roma, dal primo Business Forum trilaterale tra Confindustria, Medef (Mouvement des enterpreses de France) e Bdi (Bundesverband der Deuschen Industrie) in cui si insiste su tre priorità: investimenti per lo sviluppo, economia digitale, green deal: innovazione e sostenibilità, per rafforzare l’Europa proprio nella stagione in cui restano forti le contestazioni nazionaliste e populiste contro la Ue e la sua cultura dei diritti, delle responsabilità e della crescita economica inclusiva (in Italia la Lega di Salvini, con una vociante e aggressiva battaglia contro il Mes, il Meccanismo di stabilità per sostenere eventualmente Paese e strutture finanziarie in difficoltà, fa riemergere il fantasma inquietante dell’uscita dall’euro, incurante dei gravi danni per risparmiatori e investitori italiani).
Le tre organizzazioni imprenditoriali, nel documento indirizzato sia alla Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen (già convinta dell’essenzialità di un green new deal, per cui potrebbe essere istituito un fondo europeo che passa da 35 a 100 miliardi) sia ai governi nazionali, parlano di finanziamenti alla green economy per 250/ 300 miliardi, di stimoli per il primato dell’economia digitale europea (insidiata sia dalle multinazionali Usa insofferenti di vincoli antitrust e correttezza fiscale sia dai colossi della Cina) e di politiche per scambi commerciali internazionali aperti, contro i pericolosi protezionismi e le dannose “guerre dei dazi” scatenate soprattutto della Casa Bianca di Trump. E sanno di dover avere una forte capacità di influenza politica e culturale, proprio per legare sviluppo, mercato e democrazia liberale. Una scelta di forte responsabilità.
Sostenibilità economica, ambientale e sociale, dunque, come cardini dell’impegno delle imprese italiane, tedesche e francesi. Il documento dei Business Forum trilaterale raccoglie le indicazioni già emerse, da più di un anno, dalle tre organizzazioni d’impresa. E rafforza le indicazioni sulla sostenibilità che vengono sempre più frequentemente rese pubbliche dal mondo economico, ultimo il documento dell’agosto scorso del Business Roundtable (l’associazione delle più influenti corporation degli Usa) che insiste sulla necessità di passare dall’attenzione prioritaria per lo shareholders value (i profitti delle imprese, il valore delle loro quotazioni in Borsa) a quella per lo stakeholders value, gli interessi di consumatori, fornitori, dipendenti, persone toccate dall’attività imprenditoriale: un passaggio radicale dal liberismo di Friedman e dei Chicago Boys che ha dominato culturalmente il mondo dagli anni Ottanta a oggi al liberalismo con forti componenti sociali di John M. Keynes, finalmente riletto, reinterpretato, riportato alla ribalta dell’attualità politica, economica e culturale contemporanea.
Un capitalismo liberale responsabile, sostenibile. Che cerca di ricostruire fiducia e ritrovare legittimità, anche per venire incontro alle nuove sensibilità sull’ambiente e su una migliore equità sociale che emergono con forza soprattutto tra le nuove generazioni, decise a chiedere alle imprese non solo di produrre benessere e lavoro, ma anche a determinare migliori, più giusti equilibri sociali.
Una conferma viene dell’Edelman Trust Barometer, redatto dalla maggior gruppo di pubbliche relazioni del mondo per fatturato (citato domenica da Maurizio Molinari su “La Stampa”), secondo cui, per l’82% dei suoi investitori “massimizzare i profitti non può più essere il principale obiettivo, perché ciò che interessa al pubblico sono i temi sociali e ambientali, a cominciare dal clima”.
Resta fermo, naturalmente, il valore del fare profitti. La novità sta nel come farli: rispettando ambiente e persone, con lo sguardo lungo dello sviluppo sostenibile e non con quello corto della rapacità finanziaria, della speculazione irresponsabile.
Sono temi essenziali. Sui quali proprio l’industria italiana, radicata in territori di cui storicamente avverte l’importanza come vere e proprie radici di competitività e attenta ai propri dipendenti (lo conferma la crescente diffusione del welfare aziendale), ha fatto nel tempo scelte economiche e sociali essenziali (Olivetti, Pirelli, Ferrero, Merloni, la Luxottica di Del Vecchio e una miriade di medie e piccole imprese).
Se ne discuterà, nei prossimi giorni, lunedì 16, anche in Assolombarda, con la presentazione a Milano del “Manifesto di Assisi” promosso da Symbola e dai francescani di Assisi sulla green economy e “l’economia giusta” cara a Papa Francesco, firmato nell’ottobre scorso da Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, Confartigianato, responsabili di grandi imprese (Enel), sindacati e personalità dell’economia e della cultura. Al centro, sostiene padre Enzo Fortunato, direttore della “Rivista San Francesco”, ci sono “i valori di una nuova cultura d’impresa dove esiste la responsabilità di ognuno a integrare, a non sprecare, a far partecipare, rilanciando la solidarietà e la pace”. Una indicazione per unire “etica, economia, sostenibilità”.