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Imprese e Università: collaborare è d’obbligo

Come collaborano in Italia imprese, università e i centri di ricerca pubblici?

Alla domanda – importante per capire la capacità di ricerca e innovazione del nostro sistema produttivo ma anche la vicinanza della cultura d’impresa italiana ai canoni di R&S -, hanno cercato di rispondere alcuni economisti di Banca d’Italia (Davide Fantino, Alessandra Mori e Diego Scalise), con “Collaboration between firms and universities in Italy: the role of a firm’s proximity to top-rated departments” un working paper  apparso in ottobre che parte da una constatazione: in Italia esiste un modello di “innovazione senza ricerca” che la generalità delle imprese applica e che necessita di condizioni particolari di realizzazione.

Alla base del tutto una condizione tipica del nostro Paese: la spesa in R&S in rapporto al PIL è pari all’1,26%, contro una media europea del due. All’interno della spesa complessiva, la quota sostenuta dalle imprese, solitamente la più dinamica, è pari a circa il 50%, valore inferiore alla media dei principali Paesi europei. In altre parole, l’attività di R&S in Italia è sostenuta dal settore pubblico, e soprattutto dalle università e dai centri di ricerca pubblici, che stipulano accordi di collaborazione con le imprese. Ma come?

La facilità di dialogo fra aziende ed enti di ricerca diventa determinante. Per capire meglio, i ricercatori della Banca centrale hanno usato una serie di modelli matematici applicati tenendo conto della distanza, della qualità degli enti di ricerca presenti sul territorio, delle loro politiche di valorizzazione commerciale dei risultati della ricerca, della rilevanza che i vari campi di studio assumono per i diversi settori economici e delle principali caratteristiche delle imprese.

I risultati sono semplici. La principale determinante della probabilità di un accordo fra imprese e università è la “vicinanza” delle due parti. Ma non solo. La prossimità a un’università generica non esercita alcuna influenza. Le imprese di piccola e media dimensione appaiono più sensibili alla distanza fisica, mentre quelle grandi tendono a scegliere come partner le università che meglio valorizzano i risultati della propria ricerca indipendentemente da dove esse risiedano.

Il risultato finale – non tranquillizzante – è che la ricerca pubblica non può sostituire completamente l’attività innovativa interna delle imprese.

Collaboration between firms and universities in Italy: the role of a firm’s proximity to top-rated departments

Davide Fantino, Alessandra Mori and Diego Scalise

Banca d’Italia, Temi di discussione – Working papers

n. 884 – Ottobre 2012

Come collaborano in Italia imprese, università e i centri di ricerca pubblici?

Alla domanda – importante per capire la capacità di ricerca e innovazione del nostro sistema produttivo ma anche la vicinanza della cultura d’impresa italiana ai canoni di R&S -, hanno cercato di rispondere alcuni economisti di Banca d’Italia (Davide Fantino, Alessandra Mori e Diego Scalise), con “Collaboration between firms and universities in Italy: the role of a firm’s proximity to top-rated departments” un working paper  apparso in ottobre che parte da una constatazione: in Italia esiste un modello di “innovazione senza ricerca” che la generalità delle imprese applica e che necessita di condizioni particolari di realizzazione.

Alla base del tutto una condizione tipica del nostro Paese: la spesa in R&S in rapporto al PIL è pari all’1,26%, contro una media europea del due. All’interno della spesa complessiva, la quota sostenuta dalle imprese, solitamente la più dinamica, è pari a circa il 50%, valore inferiore alla media dei principali Paesi europei. In altre parole, l’attività di R&S in Italia è sostenuta dal settore pubblico, e soprattutto dalle università e dai centri di ricerca pubblici, che stipulano accordi di collaborazione con le imprese. Ma come?

La facilità di dialogo fra aziende ed enti di ricerca diventa determinante. Per capire meglio, i ricercatori della Banca centrale hanno usato una serie di modelli matematici applicati tenendo conto della distanza, della qualità degli enti di ricerca presenti sul territorio, delle loro politiche di valorizzazione commerciale dei risultati della ricerca, della rilevanza che i vari campi di studio assumono per i diversi settori economici e delle principali caratteristiche delle imprese.

I risultati sono semplici. La principale determinante della probabilità di un accordo fra imprese e università è la “vicinanza” delle due parti. Ma non solo. La prossimità a un’università generica non esercita alcuna influenza. Le imprese di piccola e media dimensione appaiono più sensibili alla distanza fisica, mentre quelle grandi tendono a scegliere come partner le università che meglio valorizzano i risultati della propria ricerca indipendentemente da dove esse risiedano.

Il risultato finale – non tranquillizzante – è che la ricerca pubblica non può sostituire completamente l’attività innovativa interna delle imprese.

Collaboration between firms and universities in Italy: the role of a firm’s proximity to top-rated departments

Davide Fantino, Alessandra Mori and Diego Scalise

Banca d’Italia, Temi di discussione – Working papers

n. 884 – Ottobre 2012

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