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Industria, mancano competenze per 355mila nuovi posti di lavoro.
C’è un grave mismatch tra offerta delle imprese e formazione

Un milione di posti di lavoro. Non si tratta, stavolta, di promesse da propaganda politica elettorale. Ma di un dato vero, che quantifica l’offerta di opportunità lavorative da parte delle imprese italiane, nel primo trimestre di quest’anno. Oltre 1,1 milione di opportunità, per essere esatti. Ma c’è un problema: il 30,6% di queste offerte potrebbe non essere coperto per mancanza di profili professionali adeguati. Per dirla con numeri in assoluto e non in percentuale, ci saranno 355 mila posti scoperti. Il dato di un vero e proprio mismatch tra offerta e domanda campeggia sulla prima pagina de “Il Sole24Ore” di domenica 2 febbraio. E ripropone, con maggior evidenza che in passato, i profondi squilibri del mercato del lavoro italiano (ne abbiamo più volte parlato nelle pagine di questo blog), ancora più gravi in momenti in cui la lentissima crescita della nostra economia determina una caduta dell’occupazione e un aumento della disoccupazione e del numero di coloro che hanno smesso di cercare attivamente un lavoro (lo testimoniano i recenti dati Istat). Ecco il vero e proprio paradosso cui stiamo assistendo: i posti qualificati offerti dalle imprese non vengono coperti in circa un terzo dei casi, mentre aumentano le difficoltà di chi lavora in aree di crisi aziendale o di chi cerca invano un’occupazione.

Per fare fronte al fenomeno servirebbero scelte lungimiranti di governo sui temi della politica industriale, dell’innovazione, della formazione, del miglioramento delle relazioni tra mondo della scuola e mondo dell’impresa. Ma da troppo tempo ben poco si muove su questi temi. E negli ambienti di governo le questioni che purtroppo tengono ancora banco (anche nel passaggio dall’alleanza Cinque Stelle-Lega a quella Cinque Stelle Pd) sono il “reddito di cittadinanza” (un disastro, dal punto di vista dei costi per le casse pubbiliche e degli stimoli al lavoro, com’era stato peraltro previsto, già prima del varo del contestato provvedimento, da autorevoli ambienti economici e da tutto il mondo delle imprese, soprattutto di quelle delle associazioni confindustriali del Nord) e “quota 100” per il pensionamento (anche in questo caso, un netto insuccesso delle aspettative di sostituzione dei pensionati con i giovani).

Perde colpi la politica imprevidente, resta il divario tra bisogni e opportunità reali di lavoro e futuro. Ne soffrono sia le nuove generazioni che, più in generale, le possibilità di crescita equilibrata di tutto il Paese.

Guardando meglio i dati sul mismatch raccolti da Unioncamere, si scopre che i giovani, appunto, sono più colpiti, con picchi del 65% tra offerta e opportunità raccolte per quel che riguarda gli specialisti in scienze informatiche, in chimica e in fisica, mentre sono quasi “introvabili” tecnici, diplomati e provenienti dagli Its (gli Istituti tecnici superiori) di cui le imprese meccaniche, meccatroniche, chimiche ma anche tessili e della moda avrebbero un grande bisogno. Difficili da reperire pure data scientist e data analyst, ingegneri con preparazione digitale, operai specializzati in tutte le nuove mansioni professionali legate a “Industria 4.0” e alle trasformazioni della digital economy.

L’allarme sulle carenze di figure professionali adeguate alle trasformazioni produttive e alle sfide tecnologiche più innovative e dunque sulla vera e propria crisi di competitività di larghi settori della nostra economia è sempre più evidente in Lombardia e nel Nord Est, in Emilia Romagna ma anche nelle aree del Mezzogiorno in cui, pur faticosamente, si affermano imprese che insistono sui settori hi tech di manifattura e servizi. E purtroppo non si intravvedono novità di rilievo che attenuino il divario.

“Le aree produttive più in sofferenza – ha raccontato al Sole24Ore Chiara Manfredda, direttrice dell’area Sistema formativo e capitale umano di Assolombarda – sono principalmente quelle relative ai processi di automazione industriale in ambito manifatturiero e quelle del comparto Ict, con particolare riferimento alla produzione e alla gestione dei big data. Accanto all’orientamento, quindi, occorre sensibilizzare i giovani verso quegli ambiti di studio e più in generale verso le discipline Stem di cui il Sistema Paese ha un grande bisogno”.

Stem, come i nostri lettori sanno, è un acronimo inglese da science, technology, engineering e mathematics, appunto le materie legate all’innovazione tecnologica più avanzata. In Italia, vi si laureano solo l’1,4% dei ragazzi tra i 20 e i 29 anni, rispetto al 3,6% della Germania e al 3,8% del Regno Unito. Studi, dunque, da rilanciare e diffondere, con politiche di orientamento fin dalle scuole superiori (le imprese si sono dichiarate da molto tempo pronte a dare il massimo della collaborazione in campagne in questo senso).

Tenendo conto delle particolarità dell’industria italiana, caratterizzata da aspetti di creatività, attenzione per la bellezza, qualità e design, da tempo Assolombarda ha varato un acronimo leggermente modificato, Steam e non più solo Stem, con la “a” di arts, cioè quel complesso di conoscenze umanistiche che, legate a quelle scientifiche in sintesi originali, assicurano al made in Italy un carattere distintivo competitivo particolare, un valore forte da cultura politecnica, da vero e proprio “umanesimo industriale”. Sfida culturale e formativa, anche in questo caso. Bisognerà lavorare molto, perché mondo politico e governo, finalmente, se ne rendano pienamente, responsabilmente conto.

Un milione di posti di lavoro. Non si tratta, stavolta, di promesse da propaganda politica elettorale. Ma di un dato vero, che quantifica l’offerta di opportunità lavorative da parte delle imprese italiane, nel primo trimestre di quest’anno. Oltre 1,1 milione di opportunità, per essere esatti. Ma c’è un problema: il 30,6% di queste offerte potrebbe non essere coperto per mancanza di profili professionali adeguati. Per dirla con numeri in assoluto e non in percentuale, ci saranno 355 mila posti scoperti. Il dato di un vero e proprio mismatch tra offerta e domanda campeggia sulla prima pagina de “Il Sole24Ore” di domenica 2 febbraio. E ripropone, con maggior evidenza che in passato, i profondi squilibri del mercato del lavoro italiano (ne abbiamo più volte parlato nelle pagine di questo blog), ancora più gravi in momenti in cui la lentissima crescita della nostra economia determina una caduta dell’occupazione e un aumento della disoccupazione e del numero di coloro che hanno smesso di cercare attivamente un lavoro (lo testimoniano i recenti dati Istat). Ecco il vero e proprio paradosso cui stiamo assistendo: i posti qualificati offerti dalle imprese non vengono coperti in circa un terzo dei casi, mentre aumentano le difficoltà di chi lavora in aree di crisi aziendale o di chi cerca invano un’occupazione.

Per fare fronte al fenomeno servirebbero scelte lungimiranti di governo sui temi della politica industriale, dell’innovazione, della formazione, del miglioramento delle relazioni tra mondo della scuola e mondo dell’impresa. Ma da troppo tempo ben poco si muove su questi temi. E negli ambienti di governo le questioni che purtroppo tengono ancora banco (anche nel passaggio dall’alleanza Cinque Stelle-Lega a quella Cinque Stelle Pd) sono il “reddito di cittadinanza” (un disastro, dal punto di vista dei costi per le casse pubbiliche e degli stimoli al lavoro, com’era stato peraltro previsto, già prima del varo del contestato provvedimento, da autorevoli ambienti economici e da tutto il mondo delle imprese, soprattutto di quelle delle associazioni confindustriali del Nord) e “quota 100” per il pensionamento (anche in questo caso, un netto insuccesso delle aspettative di sostituzione dei pensionati con i giovani).

Perde colpi la politica imprevidente, resta il divario tra bisogni e opportunità reali di lavoro e futuro. Ne soffrono sia le nuove generazioni che, più in generale, le possibilità di crescita equilibrata di tutto il Paese.

Guardando meglio i dati sul mismatch raccolti da Unioncamere, si scopre che i giovani, appunto, sono più colpiti, con picchi del 65% tra offerta e opportunità raccolte per quel che riguarda gli specialisti in scienze informatiche, in chimica e in fisica, mentre sono quasi “introvabili” tecnici, diplomati e provenienti dagli Its (gli Istituti tecnici superiori) di cui le imprese meccaniche, meccatroniche, chimiche ma anche tessili e della moda avrebbero un grande bisogno. Difficili da reperire pure data scientist e data analyst, ingegneri con preparazione digitale, operai specializzati in tutte le nuove mansioni professionali legate a “Industria 4.0” e alle trasformazioni della digital economy.

L’allarme sulle carenze di figure professionali adeguate alle trasformazioni produttive e alle sfide tecnologiche più innovative e dunque sulla vera e propria crisi di competitività di larghi settori della nostra economia è sempre più evidente in Lombardia e nel Nord Est, in Emilia Romagna ma anche nelle aree del Mezzogiorno in cui, pur faticosamente, si affermano imprese che insistono sui settori hi tech di manifattura e servizi. E purtroppo non si intravvedono novità di rilievo che attenuino il divario.

“Le aree produttive più in sofferenza – ha raccontato al Sole24Ore Chiara Manfredda, direttrice dell’area Sistema formativo e capitale umano di Assolombarda – sono principalmente quelle relative ai processi di automazione industriale in ambito manifatturiero e quelle del comparto Ict, con particolare riferimento alla produzione e alla gestione dei big data. Accanto all’orientamento, quindi, occorre sensibilizzare i giovani verso quegli ambiti di studio e più in generale verso le discipline Stem di cui il Sistema Paese ha un grande bisogno”.

Stem, come i nostri lettori sanno, è un acronimo inglese da science, technology, engineering e mathematics, appunto le materie legate all’innovazione tecnologica più avanzata. In Italia, vi si laureano solo l’1,4% dei ragazzi tra i 20 e i 29 anni, rispetto al 3,6% della Germania e al 3,8% del Regno Unito. Studi, dunque, da rilanciare e diffondere, con politiche di orientamento fin dalle scuole superiori (le imprese si sono dichiarate da molto tempo pronte a dare il massimo della collaborazione in campagne in questo senso).

Tenendo conto delle particolarità dell’industria italiana, caratterizzata da aspetti di creatività, attenzione per la bellezza, qualità e design, da tempo Assolombarda ha varato un acronimo leggermente modificato, Steam e non più solo Stem, con la “a” di arts, cioè quel complesso di conoscenze umanistiche che, legate a quelle scientifiche in sintesi originali, assicurano al made in Italy un carattere distintivo competitivo particolare, un valore forte da cultura politecnica, da vero e proprio “umanesimo industriale”. Sfida culturale e formativa, anche in questo caso. Bisognerà lavorare molto, perché mondo politico e governo, finalmente, se ne rendano pienamente, responsabilmente conto.

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