La cultura della produzione intangibile
Pubblicata in Italia una valida analisi della new economy
Fabbriche intangibili. Produzione reale eppure virtuale. Una cultura d’impresa che, a tratti, pare non conservare nulla del passato. Eppure cultura che rimane del produrre, anche se si basi completamente diverse rispetto a prima. A guardare una certa parte del panorama produttivo ed economico, parrebbe essere questa la conclusione: dalla prevalente produzione di beni tangibili, si è passati a quella di beni intangibili. Processo non compiuto, certo, ma sicuramente in corso, anche tumultuosamente in certi comparti. Processo comunque da comprendere.
Leggere “Capitalismo senza capitale. L’ascesa dell’economia intangibile” di Jonathan Haskel (Professore di Economia presso l’Imperial College di Londra) e di Stian Westlake (Senior fellow di Nesta, la fondazione nazionale britannica che si occupa di innovazione), è allora cosa da fare, e con attenzione. Il libro è stato appena pubblicato in Italia e parte da una constatazione: all’inizio del ventunesimo secolo una rivoluzione silenziosa ha condotto per la prima volta le economie a investire di più in asset intangibili (design, branding, ricerca e sviluppo e software) che in quelli tangibili (come macchinari, edifici e computer). E non solo, perché, praticamente per tutti i tipi d’impresa, la capacità di maneggiare strumenti intangibili di produzione è diventata determinante per la stessa sopravvivenza delle attività produttive.
È da qui che i due autori partono per un’esplorazione che non è solo della cosiddetta new economy ma soprattutto di alcuni dei grandi cambiamenti economici dello scorso decennio. Un viaggio utile anche per capire meglio il presente e il futuro che aspetta le imprese.
Il libro non è sempre di facile lettura, ma ha il gran pregio di essere ordinato con chiarezza a partire dalla definizione di economia intangibile della quale vengono poi delineate le modalità di misurazione e le differenze negli investimenti. Haskel e Westlake passano quindi ad affrontare le conseguenze dell’economia degli intangibili: le differenze che si determinano nelle organizzazioni della produzione, l’aumento delle diseguaglianze, le sfide finanziarie, la necessità di nuove competenze, le politiche pubbliche necessarie.
Il libro si conclude presentando tre possibili scenari futuri e delineando in che modo manager, investitori e decisori politici possano sfruttare le peculiarità di questa epoca per far crescere le aziende, gli investimenti commerciali e le economie nazionali.
Capitalismo senza capitale. L’ascesa dell’economia intangibile
Jonathan Haskel, Stian Westlake
Franco Angeli, 2018
Pubblicata in Italia una valida analisi della new economy
Fabbriche intangibili. Produzione reale eppure virtuale. Una cultura d’impresa che, a tratti, pare non conservare nulla del passato. Eppure cultura che rimane del produrre, anche se si basi completamente diverse rispetto a prima. A guardare una certa parte del panorama produttivo ed economico, parrebbe essere questa la conclusione: dalla prevalente produzione di beni tangibili, si è passati a quella di beni intangibili. Processo non compiuto, certo, ma sicuramente in corso, anche tumultuosamente in certi comparti. Processo comunque da comprendere.
Leggere “Capitalismo senza capitale. L’ascesa dell’economia intangibile” di Jonathan Haskel (Professore di Economia presso l’Imperial College di Londra) e di Stian Westlake (Senior fellow di Nesta, la fondazione nazionale britannica che si occupa di innovazione), è allora cosa da fare, e con attenzione. Il libro è stato appena pubblicato in Italia e parte da una constatazione: all’inizio del ventunesimo secolo una rivoluzione silenziosa ha condotto per la prima volta le economie a investire di più in asset intangibili (design, branding, ricerca e sviluppo e software) che in quelli tangibili (come macchinari, edifici e computer). E non solo, perché, praticamente per tutti i tipi d’impresa, la capacità di maneggiare strumenti intangibili di produzione è diventata determinante per la stessa sopravvivenza delle attività produttive.
È da qui che i due autori partono per un’esplorazione che non è solo della cosiddetta new economy ma soprattutto di alcuni dei grandi cambiamenti economici dello scorso decennio. Un viaggio utile anche per capire meglio il presente e il futuro che aspetta le imprese.
Il libro non è sempre di facile lettura, ma ha il gran pregio di essere ordinato con chiarezza a partire dalla definizione di economia intangibile della quale vengono poi delineate le modalità di misurazione e le differenze negli investimenti. Haskel e Westlake passano quindi ad affrontare le conseguenze dell’economia degli intangibili: le differenze che si determinano nelle organizzazioni della produzione, l’aumento delle diseguaglianze, le sfide finanziarie, la necessità di nuove competenze, le politiche pubbliche necessarie.
Il libro si conclude presentando tre possibili scenari futuri e delineando in che modo manager, investitori e decisori politici possano sfruttare le peculiarità di questa epoca per far crescere le aziende, gli investimenti commerciali e le economie nazionali.
Capitalismo senza capitale. L’ascesa dell’economia intangibile
Jonathan Haskel, Stian Westlake
Franco Angeli, 2018