La Milano della cultura vale 16 miliardi e rafforza il record di qualità della vita. Si prepara il summit delle capitali culturali
Cultura, 16 miliardi è il valore aggiunto del sistema produttivo culturale e creativo di Milano, il 10% del valore nazionale. Con il peso dei 204mila posti di lavoro del settore. Il valore di tutta la Lombardia è di 25,4 miliardi, con 365mila addetti. E sono proprio cultura e creatività a dare alla metropoli quella straordinaria forza economica e sociale che da tempo la mette al centro dell’osservazione di investitori e osservatori economici e sociali internazionali e a continuare a incidere sul miglioramento della qualità della vita: anche quest’anno, infatti, Milano si conferma in testa alla classifica delle città in cui si vive meglio stilata da “Il Sole24Ore”: reddito, lavoro, benessere, ambiente, relazioni sociali positive, salute, solidarietà e inclusione e, appunto, opportunità culturali che promuovono crescita e prospettive di buon futuro. Nella stagione della “economia della conoscenza” la cultura, a Milano, è un motore di competitività essenziale per la manifattura, i servizi, la finanza, il turismo, tutto il complesso delle attività di produzione e di scambio. E può fare da cardine per una crescita più equilibrata e sostenibile, con effetti positivi su tutta Italia.
I dati emergono dal Rapporto 2019 “Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, curato da Symbola e UnionCamere, presentato a metà dicembre a Milano. Vedono la Lombardia e Milano in testa alla classifica nazionale, seguite da Roma, Torino, Siena, Firenze, Arezzo, Aosta, Bologna e Modena. Calcolano una crescita del valore del settore del 3% circa sull’anno precedente. E confermano che proprio cultura e creatività sono un asset essenziale di sviluppo, nella relazione con la formazione, la ricerca e tutte le iniziative che parlano di innovazione.
“Con la cultura non si mangia. FALSO!”, aveva scritto nel 2018 Paola Dubini, economista della Bocconi, documentando con cifre, fatti e ragionamenti ben articolati l’apporto alla crescita economica e sociale di libri e musei, teatro e cinema, musica, arte e patrimonio storico. Adesso le analisi e i numeri del Rapporto Symbola e UnionCamere ne sono ulteriore conferma. “L’impresa si fa cultura e la cultura si fa impresa”, sintetizza Giuseppe Tripoli, segretario generale di UnionCamere. Ed Ermete Realacci, presidente di Symbola, l’associazione motore di iniziative sulla sostenibilità ambientale e sociale chiarisce: “Bellezza, cultura e creatività fanno aumentare ricchezza, occupazione e il soft power dell’Italia”.
Perché, il primato di Milano? La chiave sta anche in una attitudine storica all’accoglienza, all’inclusione di tutte le energie impegnate nel voler fare, e fare bene. Milano città aperta, mai “città stato” né arrogante modello o luogo di primati e privilegi, ma semmai spazio per confronti e dialoghi, pensando sempre di doversi e potersi fare carico di stimolare la crescita dell’intero Paese, nel contesto europeo.
“Milanesi si diventa”, aveva scritto nel 1991 Carlo Castellaneta, uno dei più acuti scrittori italiani, radici familiari pugliesi, nascita a Milano. E durante tutto il corso del Novecento la città è stata punto di riferimento per scrittori e poeti, artisti e fotografi, musicisti e architetti, registi e attori, nel dinamismo di case editrici, teatri (il Piccolo e il Parenti, tanto per fare solo due di molti nomi) e istituzioni musicali (la Scala, innanzitutto), musei e gallerie d’arte, quotidiani e riviste, circoli e iniziative culturali promosse e sostenute anche dalle maggiori famiglie dell’imprenditoria (i Pirelli, i Falck, i Feltrinelli, i Bracco, etc.) e dalle grandi società finanziarie (esemplare il ruolo della Banca Commerciale Italiana, sotto la guida di un banchiere colto e generoso come Raffaele Mattioli). Le università sono state un efficace motore di formazione, ricerca e diffusione popolare. E la ricerca scientifica ha animato la voglia diffusa di sperimentazione e innovazione. Tutto un mondo in movimento, dialettico, pronto al dialogo. E incline a camminare lungo strade di cambiamento. Tv e pubblicità, dagli anni Ottanta in poi, ne sono state anch’esse tra i protagonisti. Una cultura in continua trasformazione. Una “cultura politecnica”, sintesi originale di conoscenze umanistiche e scientifiche. Una cultura popolare di qualità: la conferma più recente è il grande seguito per la Tosca di Puccini, l’inaugurazione della stagione lirica il 7 dicembre in teatro, una “prima diffusa” con schermi per la visione simultanea in 40 posti di Milano, con 10mila persone ferme lì, a guardare. Qualità e popolarità sono caratteri culturali di fondo che ancora oggi hanno peso e valore.
“Milano è un esempio di quello che l’Italia può fare se crede in se stessa”, commenta il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, inaugurando le nuove Gallerie dedicate a Leonardo da Vinci al Museo della Scienza e della Tecnica. Città esemplare di “umanesimo industriale”, si dice nei dibattiti e nelle ricerche di fondazioni d’impresa e degli stessi progetti culturali dell’Assolombarda, l’associazione confindustriale che riunisce oltre seimila imprese di Milano, Lodi e Monza e Brianza e che, per le sue assemblee annuali, sceglie un luogo simbolo della grande cultura milanese e internazionale, la Scala.
C’è un’altra caratteristica di Milano, che vale la pena ricordare, proprio parlando di processi culturali e creativi: la collaborazione costante tra pubblico e privato, tra le istituzioni locali e le imprese, la politica, l’economia, gli attori sociali. Collaborazione costruita sulla consapevolezza delle reciproche autonomie e della necessità del confronto, per costruire sintesi di sviluppo.
All’orizzonte del 2020 c’è un appuntamento impegnativo: ospitare il Summit delle 40 città del mondo più influenti dal punto di vista culturale. Ci sarà molto da dire. E da prepararsi a imparare ascoltando altre storie, altre esperienze, altri paradigmi di successo. Fare cultura, a Milano, è un grande valore civile. E una buona impresa.
Cultura, 16 miliardi è il valore aggiunto del sistema produttivo culturale e creativo di Milano, il 10% del valore nazionale. Con il peso dei 204mila posti di lavoro del settore. Il valore di tutta la Lombardia è di 25,4 miliardi, con 365mila addetti. E sono proprio cultura e creatività a dare alla metropoli quella straordinaria forza economica e sociale che da tempo la mette al centro dell’osservazione di investitori e osservatori economici e sociali internazionali e a continuare a incidere sul miglioramento della qualità della vita: anche quest’anno, infatti, Milano si conferma in testa alla classifica delle città in cui si vive meglio stilata da “Il Sole24Ore”: reddito, lavoro, benessere, ambiente, relazioni sociali positive, salute, solidarietà e inclusione e, appunto, opportunità culturali che promuovono crescita e prospettive di buon futuro. Nella stagione della “economia della conoscenza” la cultura, a Milano, è un motore di competitività essenziale per la manifattura, i servizi, la finanza, il turismo, tutto il complesso delle attività di produzione e di scambio. E può fare da cardine per una crescita più equilibrata e sostenibile, con effetti positivi su tutta Italia.
I dati emergono dal Rapporto 2019 “Io sono cultura – L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, curato da Symbola e UnionCamere, presentato a metà dicembre a Milano. Vedono la Lombardia e Milano in testa alla classifica nazionale, seguite da Roma, Torino, Siena, Firenze, Arezzo, Aosta, Bologna e Modena. Calcolano una crescita del valore del settore del 3% circa sull’anno precedente. E confermano che proprio cultura e creatività sono un asset essenziale di sviluppo, nella relazione con la formazione, la ricerca e tutte le iniziative che parlano di innovazione.
“Con la cultura non si mangia. FALSO!”, aveva scritto nel 2018 Paola Dubini, economista della Bocconi, documentando con cifre, fatti e ragionamenti ben articolati l’apporto alla crescita economica e sociale di libri e musei, teatro e cinema, musica, arte e patrimonio storico. Adesso le analisi e i numeri del Rapporto Symbola e UnionCamere ne sono ulteriore conferma. “L’impresa si fa cultura e la cultura si fa impresa”, sintetizza Giuseppe Tripoli, segretario generale di UnionCamere. Ed Ermete Realacci, presidente di Symbola, l’associazione motore di iniziative sulla sostenibilità ambientale e sociale chiarisce: “Bellezza, cultura e creatività fanno aumentare ricchezza, occupazione e il soft power dell’Italia”.
Perché, il primato di Milano? La chiave sta anche in una attitudine storica all’accoglienza, all’inclusione di tutte le energie impegnate nel voler fare, e fare bene. Milano città aperta, mai “città stato” né arrogante modello o luogo di primati e privilegi, ma semmai spazio per confronti e dialoghi, pensando sempre di doversi e potersi fare carico di stimolare la crescita dell’intero Paese, nel contesto europeo.
“Milanesi si diventa”, aveva scritto nel 1991 Carlo Castellaneta, uno dei più acuti scrittori italiani, radici familiari pugliesi, nascita a Milano. E durante tutto il corso del Novecento la città è stata punto di riferimento per scrittori e poeti, artisti e fotografi, musicisti e architetti, registi e attori, nel dinamismo di case editrici, teatri (il Piccolo e il Parenti, tanto per fare solo due di molti nomi) e istituzioni musicali (la Scala, innanzitutto), musei e gallerie d’arte, quotidiani e riviste, circoli e iniziative culturali promosse e sostenute anche dalle maggiori famiglie dell’imprenditoria (i Pirelli, i Falck, i Feltrinelli, i Bracco, etc.) e dalle grandi società finanziarie (esemplare il ruolo della Banca Commerciale Italiana, sotto la guida di un banchiere colto e generoso come Raffaele Mattioli). Le università sono state un efficace motore di formazione, ricerca e diffusione popolare. E la ricerca scientifica ha animato la voglia diffusa di sperimentazione e innovazione. Tutto un mondo in movimento, dialettico, pronto al dialogo. E incline a camminare lungo strade di cambiamento. Tv e pubblicità, dagli anni Ottanta in poi, ne sono state anch’esse tra i protagonisti. Una cultura in continua trasformazione. Una “cultura politecnica”, sintesi originale di conoscenze umanistiche e scientifiche. Una cultura popolare di qualità: la conferma più recente è il grande seguito per la Tosca di Puccini, l’inaugurazione della stagione lirica il 7 dicembre in teatro, una “prima diffusa” con schermi per la visione simultanea in 40 posti di Milano, con 10mila persone ferme lì, a guardare. Qualità e popolarità sono caratteri culturali di fondo che ancora oggi hanno peso e valore.
“Milano è un esempio di quello che l’Italia può fare se crede in se stessa”, commenta il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, inaugurando le nuove Gallerie dedicate a Leonardo da Vinci al Museo della Scienza e della Tecnica. Città esemplare di “umanesimo industriale”, si dice nei dibattiti e nelle ricerche di fondazioni d’impresa e degli stessi progetti culturali dell’Assolombarda, l’associazione confindustriale che riunisce oltre seimila imprese di Milano, Lodi e Monza e Brianza e che, per le sue assemblee annuali, sceglie un luogo simbolo della grande cultura milanese e internazionale, la Scala.
C’è un’altra caratteristica di Milano, che vale la pena ricordare, proprio parlando di processi culturali e creativi: la collaborazione costante tra pubblico e privato, tra le istituzioni locali e le imprese, la politica, l’economia, gli attori sociali. Collaborazione costruita sulla consapevolezza delle reciproche autonomie e della necessità del confronto, per costruire sintesi di sviluppo.
All’orizzonte del 2020 c’è un appuntamento impegnativo: ospitare il Summit delle 40 città del mondo più influenti dal punto di vista culturale. Ci sarà molto da dire. E da prepararsi a imparare ascoltando altre storie, altre esperienze, altri paradigmi di successo. Fare cultura, a Milano, è un grande valore civile. E una buona impresa.