La testimonianza morale di Papa Francesco e la spinta di Draghi per un piano Ue di ripresa
Tre immagini fanno efficacemente da simbolo di questa stagione straordinaria di malattia, paura, incertezza e fragilità. L’infermiera d’un ospedale lombardo che, la testa china su un tavolo, strappa un attimo di sonno alla fatica dell’assistenza quotidiana ai malati e ai moribondi. La lunga fila dei camion militari che, nella Bergamasca, trasportano le bare delle vittime verso una solitaria sepoltura. E il Papa, nel deserto della grande piazza di San Pietro, che si fa carico del dolore del mondo offeso e prega perché nessuno sia lasciato solo.
Sono immagini forti, che “pungono”, come direbbe Roland Barthes, la nostra sensibilità e, nel profondo, la nostra coscienza. E testimoniano alcuni aspetti essenziali della tempesta che investe le nostre vite, la salute e l’insieme del tessuto economico e sociale: la sopravvivenza messa in pericolo dal contagio del virus, la solitudine che accompagna la morte e, nonostante tutto, l’impegno corale per fare fronte all’emergenza e, già adesso, discutere su come costruire le vie d’uscita dalla crisi sanitaria e dalla pesante recessione economica che coinvolge tutti noi.
Vengono in mente le parole d’un grande poeta: “Il passato è il prologo, il futuro è nelle vostre mani”. E’ William Shakespeare, nei dialoghi de “La tempesta”. Nelle nostre mani, appunto.
E’ chiaro dunque il dovere di pensare e mettere tempestivamente in campo soluzioni per uscire da questi giorni dolorosi e terribili. E di farlo con urgenza. Nella notte dello smarrimento e della paura, non si può abbandonare la speranza nella ripresa.
Il governo Conte, tra incertezze e controverse valutazioni, si sta muovendo con senso di responsabilità. Gli italiani si stanno comportando bene. Le persone più esposte, in prima linea, medici e infermieri innanzitutto, sono indicate come esemplari dagli osservatori dell’opinione pubblica internazionale.
C’è un compito che investe particolarmente le persone del mondo dell’impresa, impegnate nella società civile e che sanno di dovere mettere in gioco le proprie risorse, le conoscenze e le competenze per costruire fin d’ora ragioni più equilibrate e giuste d’un futuro migliore.
L’impresa è un attore sociale fondamentale, un motore di lavoro, reddito, cultura, relazioni positive, innovazione, solidarietà. Un soggetto attivo delle comunità, impegnato, proprio in questi tempi, anche in difficili processi di riconversione produttiva, dalle attività tradizionali ai presìdi sanitari (respiratori, mascherine, apparecchiature per l’emergenza, medicinali, etc.). Una leva per fare ripartire l’economia, appena le condizioni lo permetteranno. Il suo “capitale sociale”, con le donne e gli uomini che ne fanno parte, è sempre stato un cardine del cambiamento e del progresso.
Impresa come luogo fondamentare del “fare, e fare bene”. E testimone di una serie di valori positivi (ne abbiamo più volte parlato, in questo blog). Impresa, dunque, da valorizzare, salvare, fare crescere.
É evidente, proprio nel mondo dell’impresa, l’apprezzamento per l’incitamento che viene dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché la Ue superi vecchi schemi politici ed economici e ricostruisca con generosità e lungimiranza la rete del nostro stare insieme, recuperando e rinnovando i valori che ispirarono i padri fondatori dell’Europa, democrazia liberale, società aperta.
Su un’analoga ispirazione ideale e politica si muove anche un grande “padre dell’Europa” come Jacques Delors: “Il clima che sembra regnare tra i capi di Stato e di governo e la mancanza di solidarietà europea fanno correre un pericolo mortale all’Unione europea”.
Oggi è indispensabile un piano straordinario di investimenti comuni, che usi tutte le leve monetarie e finanziarie, tradizionali e innovative, per fare fronte all’emergenza, salvaguardando le imprese e il lavoro ma anche cominciando fin da subito a rafforzare le reti europee delle infrastrutture comuni, materiali e digitali, per la ricerca scientifica e i servizi della salute, la formazione, il welfare, l’energia. “Senza un piano comune” europeo, “nessun Paese, neanche i Paesi più ricchi, riuscirà a uscire da questa terribile crisi”, sostiene, con buona ragione, il Commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni.
La Bce, pur con alcune incertezze di comunicazione, si è mossa su questa strada, assicurando ampia liquidità alle banche europee, da mettere a disposizione di famiglie e imprese. La Commissione Ue, tra contraddizioni e tensioni interne, ha dichiarato “sospeso” il Patto di Stabilità, per consentire agli Stati colpiti dallo shock simmetrico del Grande Contagio, di fare fronte alla crisi.
Si tratta adesso di trovare strumenti finanziari ed economici adeguati, comunque si chiamino i “bond” comuni che potranno essere messi in campo. E, guardando avanti, di fare scelte adeguate ai tempi per nuove politiche industriali, fiscali e sociali. Il rilancio dell’Europa, appunto. Nonostante tutto. Nonostante le miopie, gli egoismi nazionali, le chiusure di opinioni pubbliche impaurite e sedotte dai demagoghi del nuovo nazionalismo. Nonostante una gretta ideologia del rigore che, dietro il paravento dell’attenzione corretta per l’equilibrio di fondo dei conti pubblici, non sa valutare i grandi nuovi bisogni sociali né le sfide politiche e, perché no? morali poste oggi dall’emergenza sanitaria, che aggrava quelle già evidenti degli squilibri sociali e dei divari messi in rilievo da tempo non solo da Papa Francesco e da gran parte della migliore letteratura economica, ma anche dagli stessi convegni del grande mondo degli affari, come il World Economic Forum di Davos.
Mario Draghi, forte della sua esperienza internazionale da civil servant e della sua competenza da economista sensibile, nel suo articolo al Financial Times, non parla dell’Italia, ma di tutta l’Europa. E appunto alla Ue ha indicato la strada essenziale da seguire, per salvare le istituzioni europee e rispondere alle aspettative di sviluppo e benessere dei suoi cittadini: “Fronteggiamo una guerra contro il coronavirus e dobbiamo mobilitarci di conseguenza… Livelli di debito pubblico molto più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato… L’alternativa sarebbe una distruzione permanente della capacità produttiva e della base fiscale”, ha scritto nei giorni scorsi. Debito tutt’altro che assistenziale. Ma finalizzato a sostenere le imprese e salvaguardare i posti di lavoro, come leve fondamentali per la ripresa. Alla Ue, Draghi chiede “forza e rapidità” per intervenire. “Rapidità” perché “il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”. Un danno drammatico per tutta la Ue.
Draghi invita dunque tutti i decisori politici europei, la classe dirigente, a “cambiare mentalità”: l’apparato di idee e convinzioni (e interessi particolari) del passato non serve al affrontare la tempesta in corso.
Bisogna pensare “una economia degli affetti e non solo delle regole”, per ricordare il pensiero di uno dei maggiori economisti italiani, Federico Caffè (maestro, tra gli altri, anche di Draghi). Un’economia che tenga in primo piano le persone e sappia legare, con intelligenza e umanità, la competitività e la solidarietà.
Il pensiero torna alla lezione di Keynes (Caffè ne era stato un originale interprete). E alle idee di George C. Marshall, ben espresse in un suo discorso ad Harvard nel giugno 1947 (ricordato pochi giorni fa da Mattia Feltri su La Stampa): se il mondo non torna a normali condizioni economiche, ne scaturirebbero instabilità politiche e guerre, mentre noi dobbiamo favorire un mondo libero e florido.
Era questa, la base politica del Piano Marshall, oggi tornato alla ribalta del discorso pubblico: aiuti alle nazioni devastate dalla guerra (anche alla Germania sconfitta) per rimettere in piedi economie e società. La traduzione concreta, operativa, lungimirante di quanto Keynes aveva scritto in “Le conseguenze economiche della pace”, criticando le politiche punitive contro la Germania del Trattato di Versailles che nel 1919 aveva concluso in modo squilibrato e infausto la stagione della Prima Guerra Mondiale. Un nuovo Piano di sviluppo dell’Europa? Un nuovo Piano Delors? E perché no? Proprio Draghi, con competenza e autorevolezza istituzionale e internazionale, ne potrebbe essere punto di riferimento e di guida.
Per il mondo delle imprese italiane, aperte, internazionalizzate, radicate nei mercati del mondo, è evidente l’attenzione, vissuta con forte senso di responsabilità e partecipazione, per una politica di collaborazione in cui l’Europa giochi da protagonista, nel dialogo con gli Usa e con la Cina. E proprio oggi l’orizzonte, al di là della fatica e del dolore, è chiaro: definire insieme proposte di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. Le imprese fanno da tempo la loro parte. Con sensibilità da italiani. E da europei, cittadini d’un mondo che si spera migliore.
Tre immagini fanno efficacemente da simbolo di questa stagione straordinaria di malattia, paura, incertezza e fragilità. L’infermiera d’un ospedale lombardo che, la testa china su un tavolo, strappa un attimo di sonno alla fatica dell’assistenza quotidiana ai malati e ai moribondi. La lunga fila dei camion militari che, nella Bergamasca, trasportano le bare delle vittime verso una solitaria sepoltura. E il Papa, nel deserto della grande piazza di San Pietro, che si fa carico del dolore del mondo offeso e prega perché nessuno sia lasciato solo.
Sono immagini forti, che “pungono”, come direbbe Roland Barthes, la nostra sensibilità e, nel profondo, la nostra coscienza. E testimoniano alcuni aspetti essenziali della tempesta che investe le nostre vite, la salute e l’insieme del tessuto economico e sociale: la sopravvivenza messa in pericolo dal contagio del virus, la solitudine che accompagna la morte e, nonostante tutto, l’impegno corale per fare fronte all’emergenza e, già adesso, discutere su come costruire le vie d’uscita dalla crisi sanitaria e dalla pesante recessione economica che coinvolge tutti noi.
Vengono in mente le parole d’un grande poeta: “Il passato è il prologo, il futuro è nelle vostre mani”. E’ William Shakespeare, nei dialoghi de “La tempesta”. Nelle nostre mani, appunto.
E’ chiaro dunque il dovere di pensare e mettere tempestivamente in campo soluzioni per uscire da questi giorni dolorosi e terribili. E di farlo con urgenza. Nella notte dello smarrimento e della paura, non si può abbandonare la speranza nella ripresa.
Il governo Conte, tra incertezze e controverse valutazioni, si sta muovendo con senso di responsabilità. Gli italiani si stanno comportando bene. Le persone più esposte, in prima linea, medici e infermieri innanzitutto, sono indicate come esemplari dagli osservatori dell’opinione pubblica internazionale.
C’è un compito che investe particolarmente le persone del mondo dell’impresa, impegnate nella società civile e che sanno di dovere mettere in gioco le proprie risorse, le conoscenze e le competenze per costruire fin d’ora ragioni più equilibrate e giuste d’un futuro migliore.
L’impresa è un attore sociale fondamentale, un motore di lavoro, reddito, cultura, relazioni positive, innovazione, solidarietà. Un soggetto attivo delle comunità, impegnato, proprio in questi tempi, anche in difficili processi di riconversione produttiva, dalle attività tradizionali ai presìdi sanitari (respiratori, mascherine, apparecchiature per l’emergenza, medicinali, etc.). Una leva per fare ripartire l’economia, appena le condizioni lo permetteranno. Il suo “capitale sociale”, con le donne e gli uomini che ne fanno parte, è sempre stato un cardine del cambiamento e del progresso.
Impresa come luogo fondamentare del “fare, e fare bene”. E testimone di una serie di valori positivi (ne abbiamo più volte parlato, in questo blog). Impresa, dunque, da valorizzare, salvare, fare crescere.
É evidente, proprio nel mondo dell’impresa, l’apprezzamento per l’incitamento che viene dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché la Ue superi vecchi schemi politici ed economici e ricostruisca con generosità e lungimiranza la rete del nostro stare insieme, recuperando e rinnovando i valori che ispirarono i padri fondatori dell’Europa, democrazia liberale, società aperta.
Su un’analoga ispirazione ideale e politica si muove anche un grande “padre dell’Europa” come Jacques Delors: “Il clima che sembra regnare tra i capi di Stato e di governo e la mancanza di solidarietà europea fanno correre un pericolo mortale all’Unione europea”.
Oggi è indispensabile un piano straordinario di investimenti comuni, che usi tutte le leve monetarie e finanziarie, tradizionali e innovative, per fare fronte all’emergenza, salvaguardando le imprese e il lavoro ma anche cominciando fin da subito a rafforzare le reti europee delle infrastrutture comuni, materiali e digitali, per la ricerca scientifica e i servizi della salute, la formazione, il welfare, l’energia. “Senza un piano comune” europeo, “nessun Paese, neanche i Paesi più ricchi, riuscirà a uscire da questa terribile crisi”, sostiene, con buona ragione, il Commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni.
La Bce, pur con alcune incertezze di comunicazione, si è mossa su questa strada, assicurando ampia liquidità alle banche europee, da mettere a disposizione di famiglie e imprese. La Commissione Ue, tra contraddizioni e tensioni interne, ha dichiarato “sospeso” il Patto di Stabilità, per consentire agli Stati colpiti dallo shock simmetrico del Grande Contagio, di fare fronte alla crisi.
Si tratta adesso di trovare strumenti finanziari ed economici adeguati, comunque si chiamino i “bond” comuni che potranno essere messi in campo. E, guardando avanti, di fare scelte adeguate ai tempi per nuove politiche industriali, fiscali e sociali. Il rilancio dell’Europa, appunto. Nonostante tutto. Nonostante le miopie, gli egoismi nazionali, le chiusure di opinioni pubbliche impaurite e sedotte dai demagoghi del nuovo nazionalismo. Nonostante una gretta ideologia del rigore che, dietro il paravento dell’attenzione corretta per l’equilibrio di fondo dei conti pubblici, non sa valutare i grandi nuovi bisogni sociali né le sfide politiche e, perché no? morali poste oggi dall’emergenza sanitaria, che aggrava quelle già evidenti degli squilibri sociali e dei divari messi in rilievo da tempo non solo da Papa Francesco e da gran parte della migliore letteratura economica, ma anche dagli stessi convegni del grande mondo degli affari, come il World Economic Forum di Davos.
Mario Draghi, forte della sua esperienza internazionale da civil servant e della sua competenza da economista sensibile, nel suo articolo al Financial Times, non parla dell’Italia, ma di tutta l’Europa. E appunto alla Ue ha indicato la strada essenziale da seguire, per salvare le istituzioni europee e rispondere alle aspettative di sviluppo e benessere dei suoi cittadini: “Fronteggiamo una guerra contro il coronavirus e dobbiamo mobilitarci di conseguenza… Livelli di debito pubblico molto più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato… L’alternativa sarebbe una distruzione permanente della capacità produttiva e della base fiscale”, ha scritto nei giorni scorsi. Debito tutt’altro che assistenziale. Ma finalizzato a sostenere le imprese e salvaguardare i posti di lavoro, come leve fondamentali per la ripresa. Alla Ue, Draghi chiede “forza e rapidità” per intervenire. “Rapidità” perché “il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”. Un danno drammatico per tutta la Ue.
Draghi invita dunque tutti i decisori politici europei, la classe dirigente, a “cambiare mentalità”: l’apparato di idee e convinzioni (e interessi particolari) del passato non serve al affrontare la tempesta in corso.
Bisogna pensare “una economia degli affetti e non solo delle regole”, per ricordare il pensiero di uno dei maggiori economisti italiani, Federico Caffè (maestro, tra gli altri, anche di Draghi). Un’economia che tenga in primo piano le persone e sappia legare, con intelligenza e umanità, la competitività e la solidarietà.
Il pensiero torna alla lezione di Keynes (Caffè ne era stato un originale interprete). E alle idee di George C. Marshall, ben espresse in un suo discorso ad Harvard nel giugno 1947 (ricordato pochi giorni fa da Mattia Feltri su La Stampa): se il mondo non torna a normali condizioni economiche, ne scaturirebbero instabilità politiche e guerre, mentre noi dobbiamo favorire un mondo libero e florido.
Era questa, la base politica del Piano Marshall, oggi tornato alla ribalta del discorso pubblico: aiuti alle nazioni devastate dalla guerra (anche alla Germania sconfitta) per rimettere in piedi economie e società. La traduzione concreta, operativa, lungimirante di quanto Keynes aveva scritto in “Le conseguenze economiche della pace”, criticando le politiche punitive contro la Germania del Trattato di Versailles che nel 1919 aveva concluso in modo squilibrato e infausto la stagione della Prima Guerra Mondiale. Un nuovo Piano di sviluppo dell’Europa? Un nuovo Piano Delors? E perché no? Proprio Draghi, con competenza e autorevolezza istituzionale e internazionale, ne potrebbe essere punto di riferimento e di guida.
Per il mondo delle imprese italiane, aperte, internazionalizzate, radicate nei mercati del mondo, è evidente l’attenzione, vissuta con forte senso di responsabilità e partecipazione, per una politica di collaborazione in cui l’Europa giochi da protagonista, nel dialogo con gli Usa e con la Cina. E proprio oggi l’orizzonte, al di là della fatica e del dolore, è chiaro: definire insieme proposte di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. Le imprese fanno da tempo la loro parte. Con sensibilità da italiani. E da europei, cittadini d’un mondo che si spera migliore.