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L’industria italiana avanguardia nei brevetti e le politiche industriali ricordando Ulisse

Alla rincorsa del tempo perduto. Dopo una lunga stagione di crisi, in cui le imprese non investivano in ricerca e innovazione, l’Italia s’è rimessa velocemente in cammino. E anche nel 2017, per il terzo anno consecutivo, le richieste di brevetti delle nostre aziende sono cresciute abbastanza di più della media europea: del 4,3% sul 2016, rispetto a una media Ue del 2,6% (nel 2015 erano cresciute del 9%, il doppio della media europea: il momento della svolta innovativa). Più brevetti, più competitività di industria e servizi hi tech, più crescita economica e sociale.

I dati dell’Epo (European Patent Office) di Monaco dicono che le imprese italiane hanno presentato 4.352 richieste di brevetto. In prima fila c’è l’Ansaldo Energia, con 60 domande. Subito dopo, Gd (Gruppo Seragnoli di Bologna, meccanica per il settore medico e il confezionamento, 54 domande), la Fca (automobili, 42 domande) e la Pirelli (40 domande). Poi, ancora, Chiesi Farmaceutica, Telecom Italia, Leonardo (meccanica d’avanguardia), Campagnolo (meccanica), Prysmian (cavi) e Saipem (energia e infrastrutture). Parecchie anche le piccole e medie imprese (dovranno fare di più).

I dati sui brevetti indicano una tendenza oramai crescente per la migliore industria italiana: investire massicciamente sull’innovazione, utilizzare intelligenze e competenze di un capitale umano di qualità, acquisire posizioni nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati internazionali. Sono stagioni difficili, per la competizione economica globale: regge e cresce chi investe sull’”economia della conoscenza”, su quella Industry4.0 che mescola processi industriali, digital, Internet of things, big data, su una profonda metamorfosi delle nostre strutture produttive con originali sintesi tra industria e servizi, laboratori di ricerca e linee di produzione, fabbriche e università. Con una caratteristica molto italiana: saper fare bene prodotti e servizi “su misura”, da straordinari “sarti meccanici” quali siano (meglio sarebbe dire, oggi, “sarti meccatronici”). Un esempio del digital industriale: i pneumatici per sistema cyber tyre di Pirelli, con sensori digitali nelle mescole dei pneumatici, per un “dialogo” tra strada e autovettura con conseguenze positive su tenuta di strada, sicurezza, consumi, ambiente (un successo, al recente Salone dell’Auto a Ginevra).

Che altro dicono i dati dell’Epo (“Il Sole24Ore”, 8 marzo)? Che l’Italia resta saldamente tra i primi dieci paesi al mondo per domande di brevetti (con Usa, Germania, Giappone, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Regno Unito, Corea del Sud e, in grande crescita, la Cina).

Seconda considerazione: la propensione all’innovazione è concentrata in tre regioni: Lombardia (il 33%, tra le prime “regioni innovative” della Ue), Emilia Romagna (16%) e Veneto (13,4%). Due terzi del brevetti italiani, insomma, nel grande cuore industriale del Nord (ai margini il Piemonte, che anche da questo punto di vista conferma un’allarmante condizione di crisi industriale). E poco nel Mezzogiorno. La graduatoria delle città vede in testa Milano, con il 20,4%: la Milano delle grandi università, Politecnico e Bocconi in testa, di “Human Technopole” e delle multinazionali, dei primati delle life sciences e della inclinazione Steam cara ad Assolombarda: l’acronimo che mette insieme le iniziali di science, technology, environment ma anche energy dei processi di produzione e consumo green, arts e cioè le conoscenze e la creatività umanistica e manifacturing, la buona industria manifatturiera d’avanguardia, tra meccatronica, gomma, plastica, chimica, farmaceutica e le icone del Made in Italy di arredamento, abbigliamento e agro-alimentare: cultura politecnica per lo sviluppo.

Un’altra considerazione, abbastanza ovvia peraltro, riguarda la relazione tra innovazione e ripresa economica. “La ripresa accelera: il triangolo della crescita è tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto”, ha documentato Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” (10 marzo), leggendo gli ultimi dati sulla crescita della produzione industriale. Proprio le tre regioni a maggior intensità di brevetti (nel blog della scorsa settimana avevamo ricordato che Milano è l’economia più dinamica: tra il 2014 e il 2017 è cresciuta del 6,2%, molto di più 3,6% della media italiana e dello stesso 5,1% della Lombardia. E rispetto alla stagione precedente alla crisi del 2008, ha recuperato tutto lo spazio perduto ed è sopra del 3,2%, mentre l’Italia è ancora indietro del 4,4% e la Lombardia dell’1,1%).

La terza considerazione è più politica. Questo dinamismo innovativo è stato innanzitutto endemico: troppo a lungo le imprese non avevano investito e hanno dunque “riacceso i motori” (per usare un’efficace immagine tratta dal titolo di un recente libro di Gianfelice Rocca, ex presidente di Assolombarda e leader di Techint e Humanitas). Ma ha ricevuto robusti stimoli di politica economica e fiscale da parte degli ultimi governi, con le agevolazioni per il “patent box” e i super-ammortamenti e gli iper-ammortamenti per chi investiva in innovazione e nuovi impianti. Le imprese, insomma, si sono mosse, per reggere finalmente la competizione e il governo ha fatto buona politica industriale. Un circuito virtuoso, in cui vanno considerati anche gli accordi contrattuali Confindustria-sindacati che sostengono formazione e produttività, legandole salari e welfare aziendale.

C’è un’Italia industriale in movimento. Cui continuare a guardare con attenzione. Un’Italia innovativa, che fa il suo dovere di intraprendente attore industriale e che chiede non tanto flat tax o dazi protettivi, ma sostegno alla creatività, all’innovazione, agli investimenti produttivi, riconoscimenti per la cultura del lavoro e dell’impresa (e non assistenzialismo), stimoli per la qualità e l’intelligenza flessibile e adattabile. Per usare il gioco delle citazioni classiche, l’industria italiana non è Polifemo dotato d’un solo occhio nel chiuso di un’isola o la maga Circe dei sotterfugi furbi e delle illusioni, ma Odisseo che sfida mari difficili e vecchi miti e segue “virtute e canoscenza”. La nostra migliore contemporaneità.

Alla rincorsa del tempo perduto. Dopo una lunga stagione di crisi, in cui le imprese non investivano in ricerca e innovazione, l’Italia s’è rimessa velocemente in cammino. E anche nel 2017, per il terzo anno consecutivo, le richieste di brevetti delle nostre aziende sono cresciute abbastanza di più della media europea: del 4,3% sul 2016, rispetto a una media Ue del 2,6% (nel 2015 erano cresciute del 9%, il doppio della media europea: il momento della svolta innovativa). Più brevetti, più competitività di industria e servizi hi tech, più crescita economica e sociale.

I dati dell’Epo (European Patent Office) di Monaco dicono che le imprese italiane hanno presentato 4.352 richieste di brevetto. In prima fila c’è l’Ansaldo Energia, con 60 domande. Subito dopo, Gd (Gruppo Seragnoli di Bologna, meccanica per il settore medico e il confezionamento, 54 domande), la Fca (automobili, 42 domande) e la Pirelli (40 domande). Poi, ancora, Chiesi Farmaceutica, Telecom Italia, Leonardo (meccanica d’avanguardia), Campagnolo (meccanica), Prysmian (cavi) e Saipem (energia e infrastrutture). Parecchie anche le piccole e medie imprese (dovranno fare di più).

I dati sui brevetti indicano una tendenza oramai crescente per la migliore industria italiana: investire massicciamente sull’innovazione, utilizzare intelligenze e competenze di un capitale umano di qualità, acquisire posizioni nelle nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati internazionali. Sono stagioni difficili, per la competizione economica globale: regge e cresce chi investe sull’”economia della conoscenza”, su quella Industry4.0 che mescola processi industriali, digital, Internet of things, big data, su una profonda metamorfosi delle nostre strutture produttive con originali sintesi tra industria e servizi, laboratori di ricerca e linee di produzione, fabbriche e università. Con una caratteristica molto italiana: saper fare bene prodotti e servizi “su misura”, da straordinari “sarti meccanici” quali siano (meglio sarebbe dire, oggi, “sarti meccatronici”). Un esempio del digital industriale: i pneumatici per sistema cyber tyre di Pirelli, con sensori digitali nelle mescole dei pneumatici, per un “dialogo” tra strada e autovettura con conseguenze positive su tenuta di strada, sicurezza, consumi, ambiente (un successo, al recente Salone dell’Auto a Ginevra).

Che altro dicono i dati dell’Epo (“Il Sole24Ore”, 8 marzo)? Che l’Italia resta saldamente tra i primi dieci paesi al mondo per domande di brevetti (con Usa, Germania, Giappone, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Regno Unito, Corea del Sud e, in grande crescita, la Cina).

Seconda considerazione: la propensione all’innovazione è concentrata in tre regioni: Lombardia (il 33%, tra le prime “regioni innovative” della Ue), Emilia Romagna (16%) e Veneto (13,4%). Due terzi del brevetti italiani, insomma, nel grande cuore industriale del Nord (ai margini il Piemonte, che anche da questo punto di vista conferma un’allarmante condizione di crisi industriale). E poco nel Mezzogiorno. La graduatoria delle città vede in testa Milano, con il 20,4%: la Milano delle grandi università, Politecnico e Bocconi in testa, di “Human Technopole” e delle multinazionali, dei primati delle life sciences e della inclinazione Steam cara ad Assolombarda: l’acronimo che mette insieme le iniziali di science, technology, environment ma anche energy dei processi di produzione e consumo green, arts e cioè le conoscenze e la creatività umanistica e manifacturing, la buona industria manifatturiera d’avanguardia, tra meccatronica, gomma, plastica, chimica, farmaceutica e le icone del Made in Italy di arredamento, abbigliamento e agro-alimentare: cultura politecnica per lo sviluppo.

Un’altra considerazione, abbastanza ovvia peraltro, riguarda la relazione tra innovazione e ripresa economica. “La ripresa accelera: il triangolo della crescita è tra Emilia Romagna, Lombardia e Veneto”, ha documentato Dario Di Vico sul “Corriere della Sera” (10 marzo), leggendo gli ultimi dati sulla crescita della produzione industriale. Proprio le tre regioni a maggior intensità di brevetti (nel blog della scorsa settimana avevamo ricordato che Milano è l’economia più dinamica: tra il 2014 e il 2017 è cresciuta del 6,2%, molto di più 3,6% della media italiana e dello stesso 5,1% della Lombardia. E rispetto alla stagione precedente alla crisi del 2008, ha recuperato tutto lo spazio perduto ed è sopra del 3,2%, mentre l’Italia è ancora indietro del 4,4% e la Lombardia dell’1,1%).

La terza considerazione è più politica. Questo dinamismo innovativo è stato innanzitutto endemico: troppo a lungo le imprese non avevano investito e hanno dunque “riacceso i motori” (per usare un’efficace immagine tratta dal titolo di un recente libro di Gianfelice Rocca, ex presidente di Assolombarda e leader di Techint e Humanitas). Ma ha ricevuto robusti stimoli di politica economica e fiscale da parte degli ultimi governi, con le agevolazioni per il “patent box” e i super-ammortamenti e gli iper-ammortamenti per chi investiva in innovazione e nuovi impianti. Le imprese, insomma, si sono mosse, per reggere finalmente la competizione e il governo ha fatto buona politica industriale. Un circuito virtuoso, in cui vanno considerati anche gli accordi contrattuali Confindustria-sindacati che sostengono formazione e produttività, legandole salari e welfare aziendale.

C’è un’Italia industriale in movimento. Cui continuare a guardare con attenzione. Un’Italia innovativa, che fa il suo dovere di intraprendente attore industriale e che chiede non tanto flat tax o dazi protettivi, ma sostegno alla creatività, all’innovazione, agli investimenti produttivi, riconoscimenti per la cultura del lavoro e dell’impresa (e non assistenzialismo), stimoli per la qualità e l’intelligenza flessibile e adattabile. Per usare il gioco delle citazioni classiche, l’industria italiana non è Polifemo dotato d’un solo occhio nel chiuso di un’isola o la maga Circe dei sotterfugi furbi e delle illusioni, ma Odisseo che sfida mari difficili e vecchi miti e segue “virtute e canoscenza”. La nostra migliore contemporaneità.

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