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L’innovazione di “Scribit” e gli altri robot domestici e per lo spazio
Ecco l’eccellenza dell’industria italiana, che sa creare nuovi lavori

Si chiama “Scribit”. E’ un robot che scrive, disegna e cancella, ideato e realizzato dal team italiano di Carlo Ratti, architetto e ingegnere, direttore del Senseable City Lab del Mit (il Massachusetts Institute of Technology) di Boston. E, secondo il settimanale americano “Time”, è tra le venti migliori invenzioni del 2019. Per realizzarlo, Ratti ha lanciato una campagna di crowdfunding, raccogliendo 2,4 milioni di dollari. E “Scribit” è dunque uno straordinario risultato di sintesi tra innovazione globale di matrice italiana, finanza popolare internazionale e visione hi tech maturata all’incrocio tra ricerca nei laboratori universitari e capacità manifatturiera d’impronta industriale. Ratti ne è un grande testimonial, in una vita vissuta tra gli Usa e gli studi professionali a Torino e Milano.

Sono molto bravi, appunto, gli italiani, nell’industria robotica. Tra i migliori al mondo. Con radici nella metalmeccanica e nell’elettronica d’avanguardia (con memoria ancora viva delle realizzazioni dell’Olivetti di Adriano e di Mario Tchou, “padri” del computer: una giornalista americana, Meryle Secrest, nel recente “The mysterious affair at Olivetti”, Knopf, ha riaperto la discussione sulle ombre delle manovre della Cia, per sottrarre agli italiani il primato nel settore tecnologico). E forti dell’attualità d’una sapienza manifatturiera che continua a conquistare spazi sui mercati globali.

La nostra industria robotica, dopo anni di crescita, risente adesso dei contraccolpi del rallentamento dell’economia mondiale, ma anche della caduta degli investimenti in Italia (per responsabilità dei governi, come quello Lega-M5S, che hanno bloccato i sostegni fiscali all’innovazione e per il diffondersi di una sfiducia complessiva legata al clima politico anti-impresa e anti-scienza). Ma è un’industria comunque vitale, in grado di ricominciare a crescere e competere, man mano che tutta l’economia fa i conti con la “rivoluzione digitale” e con lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale applicata ai processi produttivi: “Industria 4.0”, evoluzione dei big data, manifattura segnata dalla “economia della conoscenza” ma anche da un “cambio di paradigma” sulla sostenibilità ambientale e sociali in cui gli sviluppi hi tech hanno un ruolo positivo fondamentale.

Per capire meglio, vale la pena guardare con attenzione due recenti ricerche, la prima del Censis e la seconda di Symbola ed Enel, la prima sulle paure dell’innovazione rispetto al lavoro e l’altra sulle opportunità di crescita per le imprese italiane.

L’indagine Censis-Adapt (la Fondazione sul mercato del lavoro nata nel 2000 per iniziativa di Marco Biagi, lo studioso di Diritto del Lavoro assassinato dalle Brigate Rosse nel marzo 2002) rivela che 7 milioni di persone hanno paura di perdere la propria occupazione a causa della diffusione delle nuove tecnologie. Un timore diffuso. Ma sinora non confortato dai numeri: recenti studi sul mercato del lavoro in Europa (“Il Giornale”, 6 febbraio) dicono che a fronte di 1,64 milioni di posti di lavoro a bassa qualificazione sostituiti dall’attività delle macchine ce ne sono stati 3,4 milioni di nuovi, legati all’incremento della produttività da tecnologie digitali e alla diffusione di nuove professioni. Sostiene Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt: “L’assunto sbagliato è che innovazione ed automazione diminuiscano i posti di lavoro. C’è semmai bisogno di riposizionare e riqualificare i lavoratori. Dando alla fascia media del mercato, che soffre maggiormente delle conseguenze dell’innovazione tecnologica e e della modifica del lavoro, la possibilità di alzare il livello di conoscenza”.

Formazione, dunque. E flessibilità nell’adattamento ai nuovi processi produttivi. Come spiega bene anche un dirigente sindacale attento alle relazioni tra innovazione, lavoro, conoscenza e diritti, Marco Bentivogli, attivo segretario della Fim, la federazione dei metalmeccanici della Cisl, nelle pagine di un libro brillante e ben documentato, pubblicato da Rizzoli, “Contrordine compagni”, un “manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia”: “Non è la tecnologia che fa male all’occupazione. E’ la sua assenza”.

Le preoccupazioni, certamente, sono legittime. E tra le tante opere che le documentano, è appena arrivato in libreria un saggio di Marco Magnani, professore alla Luiss e ad Harvard, “Fatti non foste per vivere come robot”, Utet, che racconta, tra l’altro, come dei 5 milioni di posti di lavoro manifatturieri persi negli Usa dal 2000 al 2017 metà siano dovuti all’automazione e come intere filiere (dall’industria dell’auto al credito, dall’agricoltura ai trasporti e ad altri servizi) siano stravolte dal punto di vista occupazionale. Altro però nasce, anche se non immediatamente. Ed è dunque necessario pensare politiche di welfare e di formazione che abbattano i costi umani e sociali di questo processo. “Il robot rivoluziona il mercato del lavoro, ma in Italia nessuno pensa al futuro”, sintetizza Massimo Giannini su “Affari&Finanza” de “la Repubblica” (10 febbraio). Il fatto che gli ultimi due governi, invece che discutere e decidere su questi temi, con intelligenza, conoscenza e senso di responsabilità, continuino a insistere sull’assistenzialismo di reddito di cittadinanza e “quota 100” per le pensioni la dice lunga sull’insipienza politica di chi dovrebbe guidare il Paese fuori dalle secche della crisi.

Per fortuna, si muovono gli attori sociali, le imprese. E accanto alle preoccupazioni, si può dare spazio alle eccellenze, come suggerisce il Rapporto di Symbola ed Enel sull’innovazione e l’automazione “made in Italy”, ricostruendo cento storie italiane che vanno dai robot domestici a quelli per lo spazio e parla di imprese del Nord e del Sud, di tecnologie pronte a migliorare la vita delle persone: innovazioni applicate alle attività quotidiane, alla sanità, all’industria e alla ricerca.

Racconta Ermete Realacci, presidente di Symbola: “L’intuizione e l’esperienza, maturate nei rapporti con Enel, ci confermano che se si guarda l’Italia con occhi diversi si scoprono cose che altri umani non sanno leggere. È così anche per la robotica che già oggi contribuisce ad importanti filiere del Made in Italy come l’agroalimentare, la moda, il legno-arredo, la meccanica. Ed è attraversata dalle sfide del futuro, a cominciare dalla necessità di affrontare la crisi climatica, coniugando empatia e tecnologia. Le 100 esperienze, raccontate nel Rapporto, testimoniano che se l’Italia fa l’Italia è in grado di vincere qualsiasi sfida, grazie alla sua capacità di far sintesi tra funzionalità, bellezza, umanesimo, figlia di una cultura che nelle sfide tecnologiche più avanzate non dimentica la ricerca di un’economia e una società più a misura d’uomo, come affermiamo nel Manifesto di Assisi”.

Chiarisce Francesco Starace, amministratore delegato di Enel: “Insieme a Symbola vogliamo valorizzare il prezioso patrimonio di eccellenze del nostro Paese, mettendo in luce storie di successo, spesso poco conosciute, e di talento, non sempre riconosciuto, che contribuiscono al progresso attraverso soluzioni a misura d’uomo”. Infatti, “tecnologia e ricerca sono i pilastri dello studio che raccoglie 100 esempi virtuosi di aziende che operano nel settore della robotica e dell’automazione Made in Italy: storie di ricercatori, mondo accademico e imprese che hanno la capacità di anticipare i tempi, testimoniando ancora una volta la competitività e l’avanguardia del sistema italiano in ambito internazionale. Siamo convinti che il nostro Paese, con le sue eccellenze e competenze, possa essere esempio di crescita sostenibile a livello globale dimostrando, in linea con il Manifesto di Assisi, che è possibile riportare la dimensione umana al centro del modello economico”.

Il Rapporto, realizzato in collaborazione con Fondazione UCIMU (riunisce i costruttori italiani di macchine utensili) documenta che “robot e automi entrano nella vita di tutti i giorni, sono sempre più presenti nelle attività di pulizia domestica, in quelle ludiche o nei servizi di assistenza”. A livello mondiale il mercato ha raggiunto il valore di 16,5 miliardi di dollari e solo nel 2018 sono state consegnate 422mila unità, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. L’industria italiana è sesta per il numero complessivo di robot industriali installati (69.142 unità nel 2018), preceduta da Cina, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e Germania. Per numero di pubblicazioni scientifiche, oltre 10mila, l’Italia è inoltre sesta al mondo nella ricerca robotica davanti a Francia, Canada, Corea del Sud e Spagna.

Per quanto riguarda il comparto industriale, la filiera della robotica italiana conta 104mila imprese, cresciute del 10% in cinque anni, con un totale di 429mila addetti. Milano guida la classifica con circa 12mila imprese e 110mila addetti; seguono Roma con 11mila imprese e 63mila addetti, Napoli con 5mila imprese e 13mila addetti, Torino con 5mila imprese e 25mila addetti e, con circa 2mila imprese tra Brescia, Padova, Bari, Bologna, Firenze, Monza e Brianza, Bergamo e Salerno.

La robotica italiana arriva anche nello spazio: sono Made in Italy diverse tecnologie utilizzate sulla sonda robotica della NASA InSight, sbarcata su Marte nel 2018, e su quelle che nel 2020 saranno utilizzate nella missione ExoMars per lo studio del terreno marziano, come la semisfera catarifrangente Larri (Laser Retro-Reflector for InSight) che fornirà la posizione del lander sulla superficie di Marte, sviluppata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Tecnologia, innovazione, sviluppo, appunto. Una buona prospettiva di futuro. Lavoro compreso.

Si chiama “Scribit”. E’ un robot che scrive, disegna e cancella, ideato e realizzato dal team italiano di Carlo Ratti, architetto e ingegnere, direttore del Senseable City Lab del Mit (il Massachusetts Institute of Technology) di Boston. E, secondo il settimanale americano “Time”, è tra le venti migliori invenzioni del 2019. Per realizzarlo, Ratti ha lanciato una campagna di crowdfunding, raccogliendo 2,4 milioni di dollari. E “Scribit” è dunque uno straordinario risultato di sintesi tra innovazione globale di matrice italiana, finanza popolare internazionale e visione hi tech maturata all’incrocio tra ricerca nei laboratori universitari e capacità manifatturiera d’impronta industriale. Ratti ne è un grande testimonial, in una vita vissuta tra gli Usa e gli studi professionali a Torino e Milano.

Sono molto bravi, appunto, gli italiani, nell’industria robotica. Tra i migliori al mondo. Con radici nella metalmeccanica e nell’elettronica d’avanguardia (con memoria ancora viva delle realizzazioni dell’Olivetti di Adriano e di Mario Tchou, “padri” del computer: una giornalista americana, Meryle Secrest, nel recente “The mysterious affair at Olivetti”, Knopf, ha riaperto la discussione sulle ombre delle manovre della Cia, per sottrarre agli italiani il primato nel settore tecnologico). E forti dell’attualità d’una sapienza manifatturiera che continua a conquistare spazi sui mercati globali.

La nostra industria robotica, dopo anni di crescita, risente adesso dei contraccolpi del rallentamento dell’economia mondiale, ma anche della caduta degli investimenti in Italia (per responsabilità dei governi, come quello Lega-M5S, che hanno bloccato i sostegni fiscali all’innovazione e per il diffondersi di una sfiducia complessiva legata al clima politico anti-impresa e anti-scienza). Ma è un’industria comunque vitale, in grado di ricominciare a crescere e competere, man mano che tutta l’economia fa i conti con la “rivoluzione digitale” e con lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale applicata ai processi produttivi: “Industria 4.0”, evoluzione dei big data, manifattura segnata dalla “economia della conoscenza” ma anche da un “cambio di paradigma” sulla sostenibilità ambientale e sociali in cui gli sviluppi hi tech hanno un ruolo positivo fondamentale.

Per capire meglio, vale la pena guardare con attenzione due recenti ricerche, la prima del Censis e la seconda di Symbola ed Enel, la prima sulle paure dell’innovazione rispetto al lavoro e l’altra sulle opportunità di crescita per le imprese italiane.

L’indagine Censis-Adapt (la Fondazione sul mercato del lavoro nata nel 2000 per iniziativa di Marco Biagi, lo studioso di Diritto del Lavoro assassinato dalle Brigate Rosse nel marzo 2002) rivela che 7 milioni di persone hanno paura di perdere la propria occupazione a causa della diffusione delle nuove tecnologie. Un timore diffuso. Ma sinora non confortato dai numeri: recenti studi sul mercato del lavoro in Europa (“Il Giornale”, 6 febbraio) dicono che a fronte di 1,64 milioni di posti di lavoro a bassa qualificazione sostituiti dall’attività delle macchine ce ne sono stati 3,4 milioni di nuovi, legati all’incremento della produttività da tecnologie digitali e alla diffusione di nuove professioni. Sostiene Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt: “L’assunto sbagliato è che innovazione ed automazione diminuiscano i posti di lavoro. C’è semmai bisogno di riposizionare e riqualificare i lavoratori. Dando alla fascia media del mercato, che soffre maggiormente delle conseguenze dell’innovazione tecnologica e e della modifica del lavoro, la possibilità di alzare il livello di conoscenza”.

Formazione, dunque. E flessibilità nell’adattamento ai nuovi processi produttivi. Come spiega bene anche un dirigente sindacale attento alle relazioni tra innovazione, lavoro, conoscenza e diritti, Marco Bentivogli, attivo segretario della Fim, la federazione dei metalmeccanici della Cisl, nelle pagine di un libro brillante e ben documentato, pubblicato da Rizzoli, “Contrordine compagni”, un “manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia”: “Non è la tecnologia che fa male all’occupazione. E’ la sua assenza”.

Le preoccupazioni, certamente, sono legittime. E tra le tante opere che le documentano, è appena arrivato in libreria un saggio di Marco Magnani, professore alla Luiss e ad Harvard, “Fatti non foste per vivere come robot”, Utet, che racconta, tra l’altro, come dei 5 milioni di posti di lavoro manifatturieri persi negli Usa dal 2000 al 2017 metà siano dovuti all’automazione e come intere filiere (dall’industria dell’auto al credito, dall’agricoltura ai trasporti e ad altri servizi) siano stravolte dal punto di vista occupazionale. Altro però nasce, anche se non immediatamente. Ed è dunque necessario pensare politiche di welfare e di formazione che abbattano i costi umani e sociali di questo processo. “Il robot rivoluziona il mercato del lavoro, ma in Italia nessuno pensa al futuro”, sintetizza Massimo Giannini su “Affari&Finanza” de “la Repubblica” (10 febbraio). Il fatto che gli ultimi due governi, invece che discutere e decidere su questi temi, con intelligenza, conoscenza e senso di responsabilità, continuino a insistere sull’assistenzialismo di reddito di cittadinanza e “quota 100” per le pensioni la dice lunga sull’insipienza politica di chi dovrebbe guidare il Paese fuori dalle secche della crisi.

Per fortuna, si muovono gli attori sociali, le imprese. E accanto alle preoccupazioni, si può dare spazio alle eccellenze, come suggerisce il Rapporto di Symbola ed Enel sull’innovazione e l’automazione “made in Italy”, ricostruendo cento storie italiane che vanno dai robot domestici a quelli per lo spazio e parla di imprese del Nord e del Sud, di tecnologie pronte a migliorare la vita delle persone: innovazioni applicate alle attività quotidiane, alla sanità, all’industria e alla ricerca.

Racconta Ermete Realacci, presidente di Symbola: “L’intuizione e l’esperienza, maturate nei rapporti con Enel, ci confermano che se si guarda l’Italia con occhi diversi si scoprono cose che altri umani non sanno leggere. È così anche per la robotica che già oggi contribuisce ad importanti filiere del Made in Italy come l’agroalimentare, la moda, il legno-arredo, la meccanica. Ed è attraversata dalle sfide del futuro, a cominciare dalla necessità di affrontare la crisi climatica, coniugando empatia e tecnologia. Le 100 esperienze, raccontate nel Rapporto, testimoniano che se l’Italia fa l’Italia è in grado di vincere qualsiasi sfida, grazie alla sua capacità di far sintesi tra funzionalità, bellezza, umanesimo, figlia di una cultura che nelle sfide tecnologiche più avanzate non dimentica la ricerca di un’economia e una società più a misura d’uomo, come affermiamo nel Manifesto di Assisi”.

Chiarisce Francesco Starace, amministratore delegato di Enel: “Insieme a Symbola vogliamo valorizzare il prezioso patrimonio di eccellenze del nostro Paese, mettendo in luce storie di successo, spesso poco conosciute, e di talento, non sempre riconosciuto, che contribuiscono al progresso attraverso soluzioni a misura d’uomo”. Infatti, “tecnologia e ricerca sono i pilastri dello studio che raccoglie 100 esempi virtuosi di aziende che operano nel settore della robotica e dell’automazione Made in Italy: storie di ricercatori, mondo accademico e imprese che hanno la capacità di anticipare i tempi, testimoniando ancora una volta la competitività e l’avanguardia del sistema italiano in ambito internazionale. Siamo convinti che il nostro Paese, con le sue eccellenze e competenze, possa essere esempio di crescita sostenibile a livello globale dimostrando, in linea con il Manifesto di Assisi, che è possibile riportare la dimensione umana al centro del modello economico”.

Il Rapporto, realizzato in collaborazione con Fondazione UCIMU (riunisce i costruttori italiani di macchine utensili) documenta che “robot e automi entrano nella vita di tutti i giorni, sono sempre più presenti nelle attività di pulizia domestica, in quelle ludiche o nei servizi di assistenza”. A livello mondiale il mercato ha raggiunto il valore di 16,5 miliardi di dollari e solo nel 2018 sono state consegnate 422mila unità, con un aumento del 6% rispetto all’anno precedente. L’industria italiana è sesta per il numero complessivo di robot industriali installati (69.142 unità nel 2018), preceduta da Cina, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e Germania. Per numero di pubblicazioni scientifiche, oltre 10mila, l’Italia è inoltre sesta al mondo nella ricerca robotica davanti a Francia, Canada, Corea del Sud e Spagna.

Per quanto riguarda il comparto industriale, la filiera della robotica italiana conta 104mila imprese, cresciute del 10% in cinque anni, con un totale di 429mila addetti. Milano guida la classifica con circa 12mila imprese e 110mila addetti; seguono Roma con 11mila imprese e 63mila addetti, Napoli con 5mila imprese e 13mila addetti, Torino con 5mila imprese e 25mila addetti e, con circa 2mila imprese tra Brescia, Padova, Bari, Bologna, Firenze, Monza e Brianza, Bergamo e Salerno.

La robotica italiana arriva anche nello spazio: sono Made in Italy diverse tecnologie utilizzate sulla sonda robotica della NASA InSight, sbarcata su Marte nel 2018, e su quelle che nel 2020 saranno utilizzate nella missione ExoMars per lo studio del terreno marziano, come la semisfera catarifrangente Larri (Laser Retro-Reflector for InSight) che fornirà la posizione del lander sulla superficie di Marte, sviluppata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Tecnologia, innovazione, sviluppo, appunto. Una buona prospettiva di futuro. Lavoro compreso.

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