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Milano deve saper essere “lenta e veloce” per migliorare sviluppo e qualità della vita

Festìna lente”. Affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza. La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto, costruttore d’impero. E’ stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale, massimo dello splendore mercantile. Ed ha ispirato l’insegna della flotta di Cosimo I de’ Medici, granduca d’una Firenze cinquecentesca potente, ricca, colta, cosmopolita: lo stemma, ben visibile ancora oggi sulle decorazioni di Palazzo Vecchio, era una tartaruga sormontata da una vela gonfia di vento. La frase sembra un ossimoro, un complicato gioco di opposizioni e negazioni. Ha invece la forza dell’intelligenza e la profondità d’una buona prospettiva: velocità e cautela. Un senso originale del buon uso del tempo.

“Festìna lente” potrebbe essere oggi la sintesi delle discussioni che si sono aperte a Milano sul futuro della metropoli, partendo proprio dalle considerazioni del sindaco Beppe Sala affidate a un’intervista al Corriere della Sera (24 settembre): Milano deve “rallentare”, puntare su una maggiore qualità della vita, superare la frenesia dei ritmi profittevoli a ogni costo, ripensare criticamente i miti della “velocità”. Ci sono, nelle riflessioni di Sala, alcune sagge considerazioni di fondo: l’ideologia novecentesca del “progresso infinito” è entrata in crisi, la cultura futurista della velocità come valore merita posto nella memoria e nelle preziose collezioni d’arte (le opere di Boccioni e Balla, testimoni del tempo e capolavori fuori dal tempo), l’economia ha bisogno di superare l’ossessione della quantità e insistere invece sulla qualità, sulla sostenibilità, sulle strategie per uno sviluppo migliore e più equilibrato (lo suggerisce d’altronde parecchia buona letteratura economica internazionale, lo ricorda il monito di Papa Francesco per una “economia giusta”). Ne segue un suggerimento acuto: Milano, locomotiva economica, può essere paradigma positivo per tutto il sistema Paese che guardi all’Europa.

Ampio dibattito, dunque. Con interventi critici, come quello di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (“Milano non deve fermarsi ma migliorarsi”). E attenzione positiva, come quella di Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda. “Più lenti e produttivi, ecco la mossa giusta per vivere meglio. E dal 2030 in strada solo auto elettriche”. Insiste Sala: “La velocità di Milano non può essere messa in discussione neanche per un attimo, se con questo s’intende la sua capacità d’essere pronta e reattiva alle sollecitazioni che vengono dal mondo che la circonda e al quale vuole intensamente appartenere”. Ma mettendo comunque da canto “un’idea di velocità figlia d’un progresso proprio del secolo scorso” e semmai usando le nuove tecnologie per vivere meglio.

“Festìna lente”, appunto. Bisogna imparare a ragionare sul senso e sul valore del tempo.

C’è la velocità positiva delle connessioni digitali che migliorano traffico, servizi, medicina, assistenza, ricerca, intrattenimento da “smart city” (“Milano capitale europea del 5G, nella svolta di Internet superveloce”, annuncia Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia, parlando di robusti investimenti per progetti europei che riguardano sanità, sicurezza, energia, education, etc.). E c’è la lentezza necessaria per le discussioni pubbliche approfondite, per la partecipazione, per l’inclusione. E’ lenta, la democrazia, ma indispensabile, migliore comunque, per un’equilibrata convivenza civile, della rapidità delle scelte tecnocratiche. Dev’essere veloce, cioè efficiente ed efficace, l’applicazione delle decisioni prese democraticamente e responsabilmente nell’interesse dei cittadini.

E’ veloce, velocissima, nevrotica, la finanza rapace che lucra vantaggi sulle mutazioni rapide dei corsi di titoli e valute sui mercati globali. Ma è lento, il tempo della manifattura, delle fabbriche, del lavoro industriale (luoghi da valori forti, aziendali e personali, da riscoprire).

E’ lenta, la ricerca che porta, dopo tentativi ripetuti, errori, ripensamenti e nuove strade, alla “scoperta sulla molecola che limita lo sviluppo del tumore” (un successo italiano dei ricercatori dell’Humanitas guidati da u grande scienziato come Alberto Mantovani). Ma veloce dev’essere il procedimento dei brevetti e la produzione dell’industria farmaceutica, secondo criteri di competitività.

Il gioco dell’ossimoro può andare avanti quasi all’infinito. Gli esempi fatti servono per dire che la contrapposizione tra “lento” e “rock” va bene per una divertente e originale battuta televisiva, ma non per una discussione seria sul futuro di Milano. Le idee hanno bisogno di tempo. La frenesia è nemica dei progetti innovativi e della stessa buona politica.

Una indicazione condivisibile viene da Renzo Piano, che da grande architetto e senatore a vita, ha destinato cultura e risorse al progetto di “rammendo” e recupero delle periferie (Ponte Lambro, a Milano): la lentezza è “riflessione, farsi delle domande, ragionare sul modo più giusto per affrontare le questioni legate alla vita e alla città” (Corriere della Sera, 30 ottobre). E ancora: “Il mio compito è seminare qualcosa, accendere una coscienza. Milano oggi può essere capofila di un pensiero profondo che non è la decrescita felice ma la rinascita senza cancellare la storia”. Ci vuole tempo, per farlo bene.

Festìna lente”. Affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza. La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto, costruttore d’impero. E’ stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale, massimo dello splendore mercantile. Ed ha ispirato l’insegna della flotta di Cosimo I de’ Medici, granduca d’una Firenze cinquecentesca potente, ricca, colta, cosmopolita: lo stemma, ben visibile ancora oggi sulle decorazioni di Palazzo Vecchio, era una tartaruga sormontata da una vela gonfia di vento. La frase sembra un ossimoro, un complicato gioco di opposizioni e negazioni. Ha invece la forza dell’intelligenza e la profondità d’una buona prospettiva: velocità e cautela. Un senso originale del buon uso del tempo.

“Festìna lente” potrebbe essere oggi la sintesi delle discussioni che si sono aperte a Milano sul futuro della metropoli, partendo proprio dalle considerazioni del sindaco Beppe Sala affidate a un’intervista al Corriere della Sera (24 settembre): Milano deve “rallentare”, puntare su una maggiore qualità della vita, superare la frenesia dei ritmi profittevoli a ogni costo, ripensare criticamente i miti della “velocità”. Ci sono, nelle riflessioni di Sala, alcune sagge considerazioni di fondo: l’ideologia novecentesca del “progresso infinito” è entrata in crisi, la cultura futurista della velocità come valore merita posto nella memoria e nelle preziose collezioni d’arte (le opere di Boccioni e Balla, testimoni del tempo e capolavori fuori dal tempo), l’economia ha bisogno di superare l’ossessione della quantità e insistere invece sulla qualità, sulla sostenibilità, sulle strategie per uno sviluppo migliore e più equilibrato (lo suggerisce d’altronde parecchia buona letteratura economica internazionale, lo ricorda il monito di Papa Francesco per una “economia giusta”). Ne segue un suggerimento acuto: Milano, locomotiva economica, può essere paradigma positivo per tutto il sistema Paese che guardi all’Europa.

Ampio dibattito, dunque. Con interventi critici, come quello di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (“Milano non deve fermarsi ma migliorarsi”). E attenzione positiva, come quella di Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda. “Più lenti e produttivi, ecco la mossa giusta per vivere meglio. E dal 2030 in strada solo auto elettriche”. Insiste Sala: “La velocità di Milano non può essere messa in discussione neanche per un attimo, se con questo s’intende la sua capacità d’essere pronta e reattiva alle sollecitazioni che vengono dal mondo che la circonda e al quale vuole intensamente appartenere”. Ma mettendo comunque da canto “un’idea di velocità figlia d’un progresso proprio del secolo scorso” e semmai usando le nuove tecnologie per vivere meglio.

“Festìna lente”, appunto. Bisogna imparare a ragionare sul senso e sul valore del tempo.

C’è la velocità positiva delle connessioni digitali che migliorano traffico, servizi, medicina, assistenza, ricerca, intrattenimento da “smart city” (“Milano capitale europea del 5G, nella svolta di Internet superveloce”, annuncia Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia, parlando di robusti investimenti per progetti europei che riguardano sanità, sicurezza, energia, education, etc.). E c’è la lentezza necessaria per le discussioni pubbliche approfondite, per la partecipazione, per l’inclusione. E’ lenta, la democrazia, ma indispensabile, migliore comunque, per un’equilibrata convivenza civile, della rapidità delle scelte tecnocratiche. Dev’essere veloce, cioè efficiente ed efficace, l’applicazione delle decisioni prese democraticamente e responsabilmente nell’interesse dei cittadini.

E’ veloce, velocissima, nevrotica, la finanza rapace che lucra vantaggi sulle mutazioni rapide dei corsi di titoli e valute sui mercati globali. Ma è lento, il tempo della manifattura, delle fabbriche, del lavoro industriale (luoghi da valori forti, aziendali e personali, da riscoprire).

E’ lenta, la ricerca che porta, dopo tentativi ripetuti, errori, ripensamenti e nuove strade, alla “scoperta sulla molecola che limita lo sviluppo del tumore” (un successo italiano dei ricercatori dell’Humanitas guidati da u grande scienziato come Alberto Mantovani). Ma veloce dev’essere il procedimento dei brevetti e la produzione dell’industria farmaceutica, secondo criteri di competitività.

Il gioco dell’ossimoro può andare avanti quasi all’infinito. Gli esempi fatti servono per dire che la contrapposizione tra “lento” e “rock” va bene per una divertente e originale battuta televisiva, ma non per una discussione seria sul futuro di Milano. Le idee hanno bisogno di tempo. La frenesia è nemica dei progetti innovativi e della stessa buona politica.

Una indicazione condivisibile viene da Renzo Piano, che da grande architetto e senatore a vita, ha destinato cultura e risorse al progetto di “rammendo” e recupero delle periferie (Ponte Lambro, a Milano): la lentezza è “riflessione, farsi delle domande, ragionare sul modo più giusto per affrontare le questioni legate alla vita e alla città” (Corriere della Sera, 30 ottobre). E ancora: “Il mio compito è seminare qualcosa, accendere una coscienza. Milano oggi può essere capofila di un pensiero profondo che non è la decrescita felice ma la rinascita senza cancellare la storia”. Ci vuole tempo, per farlo bene.

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