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Post Brexit, ecco le sfide di Milano “steam” per attrarre imprese e capitali internazionali

“L’alternativa della City siamo noi”. Beppe Sala, sindaco di Milano, candida la metropoli come nuova sede dell’Eba (la European Banking Authority) e dell’Ema (l’Agenzia per il Farmaco). E ne sottolinea l’attrattività, non solo per le istituzioni internazionali ma anche per imprese, investimenti, attività qualificate delle multinazionali della finanza e dell’hi tech. Il post Brexit crea, è vero, problemi generali a tutti i paesi Ue, di prospettive politiche e di tenuta economica. Ma apre anche opportunità, proprio per Milano, che può fare un salto, nel panorama europeo, come metropoli competitiva.

Il sindaco Sala, la scorsa settimana, è andato appunto a Londra, per un road show con investitori e autorità, sulle qualità economiche e sociali della città, “the place to be”, per riprendere lo slogan dei media internazionali durante la fortunata stagione dell’Expo. Ha ricordato che Milano è cresciuta, negli ultimi tempi, come metropoli che sa fare sintesi originali d’imprenditorialità, creatività, efficienza dei servizi, ricerca, innovazione, formazione del capitale umano, ottima qualità della vita. E che proprio adesso può ancora di più e meglio fare da grande, qualificato motore di sviluppo. Nel cuore dell’Europa industriale. Ma anche rispetto a tutta l’Italia, come determinante motore economico. Strategia interessante. E sfida affascinante. Che si può vincere. Se ne discute anche a Palazzo Chigi, alla Farnesina, negli ambienti di Confindustria e dell’Assolombarda. Servono una regia nazionale e un veloce gioco di squadra che vedano all’opera gli attori istituzionali ed economici, nazionali, della Lombardia e di Milano, dalla Regione a Palazzo Marino. E anche un’associazione come “Brand Milano”, da poco costituita, mettendo insieme aziende pubbliche, associazioni d’impresa private, università, istituzioni culturali, con un ambizioso programma di marketing territoriale, offre buone competenze da usare. Beppe Sala, da sindaco autorevole, con un passato di uomo d’impresa (Pirelli, Telecom) ma anche di gestore di successo di grandi eventi pubblici (l’Expo) ha tutte le caratteristiche per giocare bene la partita. Una città “steam”, come si usa dire in Assolombarda, sottolineandone le eccellenze con l’acronimo che nasce dalle iniziali di “science”, “technology”, “education” ma anche “environment”, “arts” (il complesso di culture umanistiche, creative) e “manifacturing”. Una sintesi che nessun’altra metropoli europea può offrire, nella costruzione di un’alternativa a Londra.

E’ in crisi, infatti, proprio Londra, dopo il gravissimo esito di Brexit. La Borsa si rivela un mercato molto nevrotico, instabile, volatile. La sterlina crolla. Il mercato immobiliare, che era arrivato alle stelle, comincia a mostrare i sintomi non solo dell’incrinatura della bolla speculativa, ma anche di un vero e proprio “effetto svuotamento” dei grattacieli e dei quartieri di uffici di finanza e servizi: dopo Brexit, perché restare a Londra? “Fuga dai fondi immobiliari inglesi, dopo Standard Life, anche Aviva e M&G congelano i rimborsi agli investitori”, scrive Il Sole24Ore (6 luglio).

Clima pesante, insomma. “Anarchy in the Uk”, ha subito scritto The Economist all’indomani del voto. E anche “Post-Brexit turmoil” e “managing caos”, a proposito di “the economic fallout”. A tre settimane di distanza dal controverso voto inglese, negli uffici londinesi di parecchie multinazionali si continua a discutere su come gestire, dal punto di vista degli interessi delle imprese, l’immediato futuro. Restare in una Gran Bretagna fuori dalla Ue e dunque dalle convenienze del mercato unico o trovare nuovi “head quarter”, a Dublino o a Francoforte, in Lussemburgo o, perché no? a Milano? Se lo chiedono Vodafone e Easy Jet, JP Morgan e Goldman Sachs, ma anche grandi manifatturieri, come Johnson Matthey (chimica) e Nissan (automotive). E sui giornali si dà pure conto di una “tentazione Milano per le start up: al via la fuga da Londra degli ‘incubatori’”, come scrive Affari&Finanza de la Repubblica (4 luglio), notando che “la capitale inglese è uno degli hub più importanti del mondo per le aziende giovani della tecnologia, innanzitutto per la facilità di trovare facilmente finanziamenti. Ma con la vittoria del ‘leave’ la situazione cambia ed è già scattata la corsa delle altre capitali finanziarie per prenderne il posto”. “Il 53% di ingegneri e informatici, l’essenziale capitale umano di competenze e intelligenze delle start-up arriva a Londra dall’estero”, calcola Il Sole24Ore (1 luglio). Ma dopo Brexit la metropoli inglese rischia radicalmente di perdere attrattività. Dove si andrà, allora? Ecco l’opportunità di Milano.

Il governo inglese, terrorizzato dagli effetti negativi di Brexit sull’economia (ricchezza, posti di lavoro, innovazione, introiti fiscali, futuro) sta cercando di porre argini alla possibile fuga delle imprese. “Un piano per tagliare le tasse per le imprese nel Regno Unito dal 20% al 15% o anche meno”, ha annunciato il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne: una spregiudicata sfida da “dumping fiscale”, una mossa molto disinvolta cui si spera che Bruxelles e le grandi nazioni Ue, dalla Germania alla Francia, dall’Italia alla Spagna rispondano efficacemente. Londra si muove velocemente, per cercare d’uscire dalla situazione di scacco in cui si è cacciata da sola. Le multinazionali, sempre sensibili ai vantaggi fiscali, possono essere tentate. Ecco perché la risposta della Ue a Brexit e le iniziative per attrarre investimenti e opportunità devono essere altrettanto rapide, convincenti, di lungo respiro.

Si gioca proprio qui la carta di Milano, come opportunità metropolitana e nazionale. Sulle agenzie Ue, Eba ed Ema, si stanno già muovendo Francoforte, Madrid, Amsterdam, Dublino. Città attive anche sui terreni più finanziari. Dove andrà, per esempio, la sede centrale della nuova società nata dalla fusione tra London Stock Exchange (azionista di maggioranza anche della Borsa italiana) e Deutsche Börse? A Francoforte, probabilmente, già sede della Bce. Ma pure Piazza Affari potrebbe ambire a diventare il braccio nell’eurozona del Lse (London Stock Exchange) Group.

Per potere cogliere le opportunità del momento, in una Milano che sia punto di riferimento dell’intero sistema Paese e abbia la meglio sulle metropoli europee, come muoversi? Ci sono le questioni regolatorie, infrastrutturali, fiscali, di rapporti con Bruxelles, tutte di ambito nazionale (appunto la presidenza del Consiglio, il ministero degli Esteri e quelli dell’Economia e dello Sviluppo). Ma Milano può mettere in campo i suoi elementi specifici di attrattività. Un progetto di alleggerimento fiscale, una “no tax area”, per Human Technopole, l’hub hi tech nella zona ex Expo, per esempio (una delle idee forti di Sala durante la campagna elettorale). E tutte le altre iniziative per fare vivere, proprio lì, ricerca, innovazione, imprese internazionali specializzate nelle “scienze della vita” e della genomica (Bayer s’è più volte detta molto interessata), università e società specializzate nella gestione e nello sviluppo dei big data.

Anche sui settori manifatturieri, Milano può far valere la sua attrattività. Se Toyota e Nissan, così come gli altri produttori d’auto in Gran Bretagna (1,6 milioni di auto fabbricate nel 2015, 800mila addetti) intendono valutare convenienze diverse di allocazione di nuovi investimenti e impianti, Milano metropoli  può fare bene da punto di condensa di una grande capacità industriale nell’automotive e nella componentistica che, proprio passando dalla Lombardia, coinvolge Piemonte, Emilia e parte del Nord Est: fabbriche hi tech, servizi, ricerca e innovazione in ambiti Industry 4.0, formazione. Milano metropoli ne è appunto al centro.

“L’alternativa della City siamo noi”. Beppe Sala, sindaco di Milano, candida la metropoli come nuova sede dell’Eba (la European Banking Authority) e dell’Ema (l’Agenzia per il Farmaco). E ne sottolinea l’attrattività, non solo per le istituzioni internazionali ma anche per imprese, investimenti, attività qualificate delle multinazionali della finanza e dell’hi tech. Il post Brexit crea, è vero, problemi generali a tutti i paesi Ue, di prospettive politiche e di tenuta economica. Ma apre anche opportunità, proprio per Milano, che può fare un salto, nel panorama europeo, come metropoli competitiva.

Il sindaco Sala, la scorsa settimana, è andato appunto a Londra, per un road show con investitori e autorità, sulle qualità economiche e sociali della città, “the place to be”, per riprendere lo slogan dei media internazionali durante la fortunata stagione dell’Expo. Ha ricordato che Milano è cresciuta, negli ultimi tempi, come metropoli che sa fare sintesi originali d’imprenditorialità, creatività, efficienza dei servizi, ricerca, innovazione, formazione del capitale umano, ottima qualità della vita. E che proprio adesso può ancora di più e meglio fare da grande, qualificato motore di sviluppo. Nel cuore dell’Europa industriale. Ma anche rispetto a tutta l’Italia, come determinante motore economico. Strategia interessante. E sfida affascinante. Che si può vincere. Se ne discute anche a Palazzo Chigi, alla Farnesina, negli ambienti di Confindustria e dell’Assolombarda. Servono una regia nazionale e un veloce gioco di squadra che vedano all’opera gli attori istituzionali ed economici, nazionali, della Lombardia e di Milano, dalla Regione a Palazzo Marino. E anche un’associazione come “Brand Milano”, da poco costituita, mettendo insieme aziende pubbliche, associazioni d’impresa private, università, istituzioni culturali, con un ambizioso programma di marketing territoriale, offre buone competenze da usare. Beppe Sala, da sindaco autorevole, con un passato di uomo d’impresa (Pirelli, Telecom) ma anche di gestore di successo di grandi eventi pubblici (l’Expo) ha tutte le caratteristiche per giocare bene la partita. Una città “steam”, come si usa dire in Assolombarda, sottolineandone le eccellenze con l’acronimo che nasce dalle iniziali di “science”, “technology”, “education” ma anche “environment”, “arts” (il complesso di culture umanistiche, creative) e “manifacturing”. Una sintesi che nessun’altra metropoli europea può offrire, nella costruzione di un’alternativa a Londra.

E’ in crisi, infatti, proprio Londra, dopo il gravissimo esito di Brexit. La Borsa si rivela un mercato molto nevrotico, instabile, volatile. La sterlina crolla. Il mercato immobiliare, che era arrivato alle stelle, comincia a mostrare i sintomi non solo dell’incrinatura della bolla speculativa, ma anche di un vero e proprio “effetto svuotamento” dei grattacieli e dei quartieri di uffici di finanza e servizi: dopo Brexit, perché restare a Londra? “Fuga dai fondi immobiliari inglesi, dopo Standard Life, anche Aviva e M&G congelano i rimborsi agli investitori”, scrive Il Sole24Ore (6 luglio).

Clima pesante, insomma. “Anarchy in the Uk”, ha subito scritto The Economist all’indomani del voto. E anche “Post-Brexit turmoil” e “managing caos”, a proposito di “the economic fallout”. A tre settimane di distanza dal controverso voto inglese, negli uffici londinesi di parecchie multinazionali si continua a discutere su come gestire, dal punto di vista degli interessi delle imprese, l’immediato futuro. Restare in una Gran Bretagna fuori dalla Ue e dunque dalle convenienze del mercato unico o trovare nuovi “head quarter”, a Dublino o a Francoforte, in Lussemburgo o, perché no? a Milano? Se lo chiedono Vodafone e Easy Jet, JP Morgan e Goldman Sachs, ma anche grandi manifatturieri, come Johnson Matthey (chimica) e Nissan (automotive). E sui giornali si dà pure conto di una “tentazione Milano per le start up: al via la fuga da Londra degli ‘incubatori’”, come scrive Affari&Finanza de la Repubblica (4 luglio), notando che “la capitale inglese è uno degli hub più importanti del mondo per le aziende giovani della tecnologia, innanzitutto per la facilità di trovare facilmente finanziamenti. Ma con la vittoria del ‘leave’ la situazione cambia ed è già scattata la corsa delle altre capitali finanziarie per prenderne il posto”. “Il 53% di ingegneri e informatici, l’essenziale capitale umano di competenze e intelligenze delle start-up arriva a Londra dall’estero”, calcola Il Sole24Ore (1 luglio). Ma dopo Brexit la metropoli inglese rischia radicalmente di perdere attrattività. Dove si andrà, allora? Ecco l’opportunità di Milano.

Il governo inglese, terrorizzato dagli effetti negativi di Brexit sull’economia (ricchezza, posti di lavoro, innovazione, introiti fiscali, futuro) sta cercando di porre argini alla possibile fuga delle imprese. “Un piano per tagliare le tasse per le imprese nel Regno Unito dal 20% al 15% o anche meno”, ha annunciato il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne: una spregiudicata sfida da “dumping fiscale”, una mossa molto disinvolta cui si spera che Bruxelles e le grandi nazioni Ue, dalla Germania alla Francia, dall’Italia alla Spagna rispondano efficacemente. Londra si muove velocemente, per cercare d’uscire dalla situazione di scacco in cui si è cacciata da sola. Le multinazionali, sempre sensibili ai vantaggi fiscali, possono essere tentate. Ecco perché la risposta della Ue a Brexit e le iniziative per attrarre investimenti e opportunità devono essere altrettanto rapide, convincenti, di lungo respiro.

Si gioca proprio qui la carta di Milano, come opportunità metropolitana e nazionale. Sulle agenzie Ue, Eba ed Ema, si stanno già muovendo Francoforte, Madrid, Amsterdam, Dublino. Città attive anche sui terreni più finanziari. Dove andrà, per esempio, la sede centrale della nuova società nata dalla fusione tra London Stock Exchange (azionista di maggioranza anche della Borsa italiana) e Deutsche Börse? A Francoforte, probabilmente, già sede della Bce. Ma pure Piazza Affari potrebbe ambire a diventare il braccio nell’eurozona del Lse (London Stock Exchange) Group.

Per potere cogliere le opportunità del momento, in una Milano che sia punto di riferimento dell’intero sistema Paese e abbia la meglio sulle metropoli europee, come muoversi? Ci sono le questioni regolatorie, infrastrutturali, fiscali, di rapporti con Bruxelles, tutte di ambito nazionale (appunto la presidenza del Consiglio, il ministero degli Esteri e quelli dell’Economia e dello Sviluppo). Ma Milano può mettere in campo i suoi elementi specifici di attrattività. Un progetto di alleggerimento fiscale, una “no tax area”, per Human Technopole, l’hub hi tech nella zona ex Expo, per esempio (una delle idee forti di Sala durante la campagna elettorale). E tutte le altre iniziative per fare vivere, proprio lì, ricerca, innovazione, imprese internazionali specializzate nelle “scienze della vita” e della genomica (Bayer s’è più volte detta molto interessata), università e società specializzate nella gestione e nello sviluppo dei big data.

Anche sui settori manifatturieri, Milano può far valere la sua attrattività. Se Toyota e Nissan, così come gli altri produttori d’auto in Gran Bretagna (1,6 milioni di auto fabbricate nel 2015, 800mila addetti) intendono valutare convenienze diverse di allocazione di nuovi investimenti e impianti, Milano metropoli  può fare bene da punto di condensa di una grande capacità industriale nell’automotive e nella componentistica che, proprio passando dalla Lombardia, coinvolge Piemonte, Emilia e parte del Nord Est: fabbriche hi tech, servizi, ricerca e innovazione in ambiti Industry 4.0, formazione. Milano metropoli ne è appunto al centro.

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