Quale politica industriale?
L’industria italiana perde competitività, in tutti i comparti i livelli produttivi sono inferiori a quelli precedenti la crisi e, con l’eccezione dell’alimentare e del farmaceutico, la perdita di produzione ha assunto dimensioni preoccupanti. Accanto agli effetti della congiuntura, c’è poi il declinare storico del tessile e delle calzature, ma anche quelli di settori chiave come l’elettronica e gli autoveicoli. E’ di fronte ad un quadro di questo genere – che mina alle fondamenta la stessa cultura del fare impresa in Italia -, che da tempo è scattata una sola domanda: che fare?
Fra le risposte, è da tenere in particolare conto quanto arriva da un gruppo di otto ricercatori di Banca d’Italia che in uno studio sull’evoluzione del sistema industriale italiano appena pubblicato propongono tre linee d’azione per tentare di risollevare le sorti del nostro sistema produttivo.
Antonio Accetturo, Antonio Bassanetti, Matteo Bugamelli, Ivan Faiella, Paolo Finaldi Russo, Daniele Franco, Silvia Giacomelli e Massimo Omiccioli – nel loro “Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi” – partono da una constatazione di fondo: nel 2012 l’industria ha prodotto 257 miliardi di valore aggiunto, occupato 4,7 milioni di addetti, è una fonte “fondamentale di innovazione e competitività” (con oltre il 70% della spesa per ricerca e sviluppo del settore privato) e ha “un ruolo decisivo nell’equilibrio dei conti con l’estero”. Quindi non si può rimanere a guardare.
Da qui le proposte. Prima di tutto fare selezione cioè “intervenire sui meccanismi di allocazione delle risorse dai settori e dalle imprese meno produttive a quelli più produttivi, dalle lavorazioni in cui la pressione competitiva dei paesi emergenti non è sostenibile ad altre più avanzate e complesse”. Un compito che passa dalla revisione del sistema di ammortizzatori sociali e delle politiche attive per il lavoro, dalla revisione delle capacità del sistema finanziario, dal rifacimento della tassazione d’impresa. In secondo luogo, “vanno ridotti i costi sopportati dalle imprese italiane” (energia, burocrazia, infrastrutture e servizi pubblici sono sul banco degli imputati). Terzo, “occorre rendere le politiche industriali meno invasive e frammentarie”, che significa, di fatto, mirare meglio gli interventi, puntando sulla crescita delle dimensioni, sulla R&S ma anche su un riassetto dell’attività pubblica di sostegno all’internazionalizzazione.
Certo, si tratta di proposte condensate in 70 pagine di ragionamenti, numeri e grafici. Ma si tratta di idee chiare. Quello che ci vuole per iniziare a capire di più.
Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi
Antonio Accetturo, Antonio Bassanetti, Matteo Bugamelli, Ivan Faiella, Paolo Finaldi Russo, Daniele Franco, Silvia Giacomelli, Massimo Omiccioli
Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), 193, luglio, 2013
L’industria italiana perde competitività, in tutti i comparti i livelli produttivi sono inferiori a quelli precedenti la crisi e, con l’eccezione dell’alimentare e del farmaceutico, la perdita di produzione ha assunto dimensioni preoccupanti. Accanto agli effetti della congiuntura, c’è poi il declinare storico del tessile e delle calzature, ma anche quelli di settori chiave come l’elettronica e gli autoveicoli. E’ di fronte ad un quadro di questo genere – che mina alle fondamenta la stessa cultura del fare impresa in Italia -, che da tempo è scattata una sola domanda: che fare?
Fra le risposte, è da tenere in particolare conto quanto arriva da un gruppo di otto ricercatori di Banca d’Italia che in uno studio sull’evoluzione del sistema industriale italiano appena pubblicato propongono tre linee d’azione per tentare di risollevare le sorti del nostro sistema produttivo.
Antonio Accetturo, Antonio Bassanetti, Matteo Bugamelli, Ivan Faiella, Paolo Finaldi Russo, Daniele Franco, Silvia Giacomelli e Massimo Omiccioli – nel loro “Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi” – partono da una constatazione di fondo: nel 2012 l’industria ha prodotto 257 miliardi di valore aggiunto, occupato 4,7 milioni di addetti, è una fonte “fondamentale di innovazione e competitività” (con oltre il 70% della spesa per ricerca e sviluppo del settore privato) e ha “un ruolo decisivo nell’equilibrio dei conti con l’estero”. Quindi non si può rimanere a guardare.
Da qui le proposte. Prima di tutto fare selezione cioè “intervenire sui meccanismi di allocazione delle risorse dai settori e dalle imprese meno produttive a quelli più produttivi, dalle lavorazioni in cui la pressione competitiva dei paesi emergenti non è sostenibile ad altre più avanzate e complesse”. Un compito che passa dalla revisione del sistema di ammortizzatori sociali e delle politiche attive per il lavoro, dalla revisione delle capacità del sistema finanziario, dal rifacimento della tassazione d’impresa. In secondo luogo, “vanno ridotti i costi sopportati dalle imprese italiane” (energia, burocrazia, infrastrutture e servizi pubblici sono sul banco degli imputati). Terzo, “occorre rendere le politiche industriali meno invasive e frammentarie”, che significa, di fatto, mirare meglio gli interventi, puntando sulla crescita delle dimensioni, sulla R&S ma anche su un riassetto dell’attività pubblica di sostegno all’internazionalizzazione.
Certo, si tratta di proposte condensate in 70 pagine di ragionamenti, numeri e grafici. Ma si tratta di idee chiare. Quello che ci vuole per iniziare a capire di più.
Il sistema industriale italiano tra globalizzazione e crisi
Antonio Accetturo, Antonio Bassanetti, Matteo Bugamelli, Ivan Faiella, Paolo Finaldi Russo, Daniele Franco, Silvia Giacomelli, Massimo Omiccioli
Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), 193, luglio, 2013