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Riforme dell’economia e sviluppo sostenibile riguardando “L’Allegoria del buon Governo”

Per riflettere criticamente sull’economia contemporanea, superare i vincoli del Pil (il prodotto interno lordo) e ragionare su benessere e felicità e cioè sulla qualità della vita, si può utilmente partire da un’opera d’arte del Trecento italiano, “L’allegoria e gli effetti del Buono e del Cattivo Governo”, dipinta da Ambrogio Lorenzetti fra il 1338 e il 1339, sulle pareti della “Sala dei Nove” o “della Pace” del Palazzo Pubblico di Siena. Il Cattivo Governo, nella raffigurazione, determina disordine, miseria, rovine. Il Buon Governo anima commerci prosperi, campagne ben coltivate, botteghe artigiane operose ed è accompagnato da cortei in allegria, feste, manifestazioni evidenti di felicità. Siena, città Stato ricca e potente, ne era forte e fiera.

Ecco il punto: considerare l’economia non come “scienza triste” (secondo la definizione critica di Thomas Carlyle) ma come un insieme di conoscenze e competenze che mirano non solo alla ricchezza, ma soprattutto al benessere. Una svolta culturale radicale rispetto ai meccanismi che puntano al massimo dell’accumulazione e alla crescita del valore economico dei beni di chi già ne ha. E un passaggio dall’individualismo sovrano dominato dalla competizione antagonista dell’homo homini lupus all’idea forte dell’homo homini natura amicus. Un’idea che aveva animato le lezioni d’economia di Antonio Genovesi, padre delle scienze economiche, intelligenza di punta dell’Illuminismo napoletano, apprezzato dal philosophes di Parigi come l’amico e allievo abate Ferdinando Galiani e considerato maestro da Adam Smith. Conosceva bene il dipinto di Lorenzetti, Genovesi. E proprio a lui si devono le riflessioni sull’obiettivo della “pubblica felicità” e su quella “economia civile” che oggi torna d’attualità, nel tentativo di riparare ai guasti della stagione della rapacità finanziaria e della crescita egoistica, che genera crescenti e inaccettabili diseguaglianze.

Economia civile, felicità, benessere, competizione legata con cooperazione sono state parole ricorrenti nel corso di un recente incontro dal titolo suggestivo, “Processo all’economia. Demografia, democrazia e felicità”, organizzato dalla Luiss in collaborazione con il Cortile del Gentili, la struttura promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, guidato dal cardinale Gianfranco Ravasi, per favorire il dialogo tra credenti e non sulle grandi sfide della società contemporanea (ne parla Il Sole24Ore, 15 marzo).

Non solo crescita economica e profitto, s’è detto. Ma benessere e sviluppo. Non si va avanti con processi economici fondati sul dumping ambientale e sociale, con attività economiche segnate da bassi salari, scarsa sicurezza sul lavoro, rapina e devastazione dell’ambiente, concorrenza illegale. E se la ricerca del profitto resta centrale nell’attività delle imprese, quel profitto va ricercato in condizioni di sostenibilità ambientale e sociale, con un’attenzione forte delle imprese stesse non solo ai loro shareholders, gli azionisti, ma soprattutto agli stakeholders, tutti i soggetti sociali che hanno relazioni con l’impresa: i dipendenti, le comunità e i territori, i fornitori, i consumatori. Dal valore (il profitto) ai valori.

E’ un percorso possibile, su cui da tempo si riflette, in cerca di una teoria economica che tenga fermi i valori liberali, mettendoli però in connessione con quelli di una responsabile socialità.

Al “Processo all’economia” di Roma un contributo importante è arrivato da Jeffrey D. Sachs, economista di grande spessore, direttore dell’Earth Institute alla Columbia University e ascoltato da Papa Bergoglio proprio sui temi dell’ambiente e della lotta alla povertà e agli squilibri sociali.

“L’economia sociale di mercato” cara alla tradizione culturale europea, è stata indicata da Sachs come un punto di riferimento su cui ragionare (pure per le riforme del welfare). Ma anche la Costituzione Italiana, permeata di valori di socialità e intraprendenza, libertà e riscatto sociale, può offrire importanti spunti di riflessione (in occasione del settant’anni dalla sua entrata in vigore, potrebbe essere quanto mai utile rileggere gli atti dell’Assemblea Costituente e discutere sull’attualità delle analisi dei Padri Costituenti, da Piero Calamandrei a Costantino Mortati, da De Gasperi a Togliatti, da Nenni all’allora giovanissimo Aldo Moro, già molto sensibile al pensiero sociale d’ispirazione cristiana).  

Stanno in quest’ambito di dibattito le critiche all’ossessione della crescita del Pil, una dimensione solo quantitativa della ricchezza e le ricerche aperte sul passaggio non dalla crescita alla decrescita (mai comunque “felice”) ma dalla crescita allo sviluppo sostenibile. E l’indice di riferimento può essere il Bes, che misura appunto il “Benessere equo e sostenibile” e che da alcuni anni i governi italiani tengono in attenta considerazione per la preparazione del Def, il principale documento di guida dell’economia del paese.

C’è un altro indicatore di cui tenere conto: il “World Happiness Report”, la cui edizione 2018, la sesta, è stata presentata nei giorni scorsi in Vaticano (Corriere della Sera, 14 marzo), in occasione della “Giornata mondiale della felicità” istituita dall’Onu (la ricorrenza è il 20 marzo) per chiedere ai governi “un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone”. Non si tratta di buone intenzioni. Ma di indicazioni politiche. Di strategie di scelta tra un’economia dell’accumulazione, delle chiusure e delle diseguaglianze e un’economia in cui competitività, ricchezza e inclusione sociale sono processi convergenti.

In quell’”Indice della felicità”, costruito tenendo conto di parecchi indicatori (reddito pro-capite, sostegno sociale, aspettativa di una vita sana, libertà delle scelte di vita, generosità, percezione della corruzione e lunghezza della vita rispetto ai parametri socio-sanitari del paese), al primo posto c’è la Finlandia, seguita da Norvegia, Danimarca e Islanda. La Germania è al 15° posto, seguita dagli Usa e dalla Gran Bretagna. La Francia al 23°. L’Italia al 47°: era al 28° nel 2012, poi è precipitata al 50° a causa degli effetti, per noi particolarmente pesanti, della Grande Crisi e adesso sta lentamente recuperando posizioni.

E’ una sfida politica, passare dalla crescita allo sviluppo. Riguarda i cittadini, le imprese che proprio sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale fondano la loro competitività, gli amministratori pubblici, la politica. Una sfida del “Buon Governo”. Come sapevano bene, già nel Trecento, il sapiente Ambrogio Lorenzetti e i lungimiranti Nove governanti di Siena.

Per riflettere criticamente sull’economia contemporanea, superare i vincoli del Pil (il prodotto interno lordo) e ragionare su benessere e felicità e cioè sulla qualità della vita, si può utilmente partire da un’opera d’arte del Trecento italiano, “L’allegoria e gli effetti del Buono e del Cattivo Governo”, dipinta da Ambrogio Lorenzetti fra il 1338 e il 1339, sulle pareti della “Sala dei Nove” o “della Pace” del Palazzo Pubblico di Siena. Il Cattivo Governo, nella raffigurazione, determina disordine, miseria, rovine. Il Buon Governo anima commerci prosperi, campagne ben coltivate, botteghe artigiane operose ed è accompagnato da cortei in allegria, feste, manifestazioni evidenti di felicità. Siena, città Stato ricca e potente, ne era forte e fiera.

Ecco il punto: considerare l’economia non come “scienza triste” (secondo la definizione critica di Thomas Carlyle) ma come un insieme di conoscenze e competenze che mirano non solo alla ricchezza, ma soprattutto al benessere. Una svolta culturale radicale rispetto ai meccanismi che puntano al massimo dell’accumulazione e alla crescita del valore economico dei beni di chi già ne ha. E un passaggio dall’individualismo sovrano dominato dalla competizione antagonista dell’homo homini lupus all’idea forte dell’homo homini natura amicus. Un’idea che aveva animato le lezioni d’economia di Antonio Genovesi, padre delle scienze economiche, intelligenza di punta dell’Illuminismo napoletano, apprezzato dal philosophes di Parigi come l’amico e allievo abate Ferdinando Galiani e considerato maestro da Adam Smith. Conosceva bene il dipinto di Lorenzetti, Genovesi. E proprio a lui si devono le riflessioni sull’obiettivo della “pubblica felicità” e su quella “economia civile” che oggi torna d’attualità, nel tentativo di riparare ai guasti della stagione della rapacità finanziaria e della crescita egoistica, che genera crescenti e inaccettabili diseguaglianze.

Economia civile, felicità, benessere, competizione legata con cooperazione sono state parole ricorrenti nel corso di un recente incontro dal titolo suggestivo, “Processo all’economia. Demografia, democrazia e felicità”, organizzato dalla Luiss in collaborazione con il Cortile del Gentili, la struttura promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura, guidato dal cardinale Gianfranco Ravasi, per favorire il dialogo tra credenti e non sulle grandi sfide della società contemporanea (ne parla Il Sole24Ore, 15 marzo).

Non solo crescita economica e profitto, s’è detto. Ma benessere e sviluppo. Non si va avanti con processi economici fondati sul dumping ambientale e sociale, con attività economiche segnate da bassi salari, scarsa sicurezza sul lavoro, rapina e devastazione dell’ambiente, concorrenza illegale. E se la ricerca del profitto resta centrale nell’attività delle imprese, quel profitto va ricercato in condizioni di sostenibilità ambientale e sociale, con un’attenzione forte delle imprese stesse non solo ai loro shareholders, gli azionisti, ma soprattutto agli stakeholders, tutti i soggetti sociali che hanno relazioni con l’impresa: i dipendenti, le comunità e i territori, i fornitori, i consumatori. Dal valore (il profitto) ai valori.

E’ un percorso possibile, su cui da tempo si riflette, in cerca di una teoria economica che tenga fermi i valori liberali, mettendoli però in connessione con quelli di una responsabile socialità.

Al “Processo all’economia” di Roma un contributo importante è arrivato da Jeffrey D. Sachs, economista di grande spessore, direttore dell’Earth Institute alla Columbia University e ascoltato da Papa Bergoglio proprio sui temi dell’ambiente e della lotta alla povertà e agli squilibri sociali.

“L’economia sociale di mercato” cara alla tradizione culturale europea, è stata indicata da Sachs come un punto di riferimento su cui ragionare (pure per le riforme del welfare). Ma anche la Costituzione Italiana, permeata di valori di socialità e intraprendenza, libertà e riscatto sociale, può offrire importanti spunti di riflessione (in occasione del settant’anni dalla sua entrata in vigore, potrebbe essere quanto mai utile rileggere gli atti dell’Assemblea Costituente e discutere sull’attualità delle analisi dei Padri Costituenti, da Piero Calamandrei a Costantino Mortati, da De Gasperi a Togliatti, da Nenni all’allora giovanissimo Aldo Moro, già molto sensibile al pensiero sociale d’ispirazione cristiana).  

Stanno in quest’ambito di dibattito le critiche all’ossessione della crescita del Pil, una dimensione solo quantitativa della ricchezza e le ricerche aperte sul passaggio non dalla crescita alla decrescita (mai comunque “felice”) ma dalla crescita allo sviluppo sostenibile. E l’indice di riferimento può essere il Bes, che misura appunto il “Benessere equo e sostenibile” e che da alcuni anni i governi italiani tengono in attenta considerazione per la preparazione del Def, il principale documento di guida dell’economia del paese.

C’è un altro indicatore di cui tenere conto: il “World Happiness Report”, la cui edizione 2018, la sesta, è stata presentata nei giorni scorsi in Vaticano (Corriere della Sera, 14 marzo), in occasione della “Giornata mondiale della felicità” istituita dall’Onu (la ricorrenza è il 20 marzo) per chiedere ai governi “un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l’eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone”. Non si tratta di buone intenzioni. Ma di indicazioni politiche. Di strategie di scelta tra un’economia dell’accumulazione, delle chiusure e delle diseguaglianze e un’economia in cui competitività, ricchezza e inclusione sociale sono processi convergenti.

In quell’”Indice della felicità”, costruito tenendo conto di parecchi indicatori (reddito pro-capite, sostegno sociale, aspettativa di una vita sana, libertà delle scelte di vita, generosità, percezione della corruzione e lunghezza della vita rispetto ai parametri socio-sanitari del paese), al primo posto c’è la Finlandia, seguita da Norvegia, Danimarca e Islanda. La Germania è al 15° posto, seguita dagli Usa e dalla Gran Bretagna. La Francia al 23°. L’Italia al 47°: era al 28° nel 2012, poi è precipitata al 50° a causa degli effetti, per noi particolarmente pesanti, della Grande Crisi e adesso sta lentamente recuperando posizioni.

E’ una sfida politica, passare dalla crescita allo sviluppo. Riguarda i cittadini, le imprese che proprio sulla sostenibilità e sulla responsabilità sociale fondano la loro competitività, gli amministratori pubblici, la politica. Una sfida del “Buon Governo”. Come sapevano bene, già nel Trecento, il sapiente Ambrogio Lorenzetti e i lungimiranti Nove governanti di Siena.

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