Tra meccatronica e voucher il volto contraddittorio d’una Italia che cresce poco e male: sfida di fiducia
L’industria meccanica sta cambiando nome. Meccatronica, adesso. La meccanica di precisione affidata ai robot di produzione connessi in una rete di relazioni digitali. Italia dunque dinamica, competitiva, in buona posizione sui mercati internazionale (una sfida comunque aperta, anche in stagioni di muri, neo-nazionalismi, volgari protezionismi).
Ma c’è anche un altro volto, radicalmente diverso, dell’Italia economica e sociale. E’ quello dei voucher in crescita, della precarietà che tocca parte larga del mondo giovanile, dell’aumento dei morti sul lavoro (c’è un nesso stretto e doloroso tra incidenti e precarietà).
Nelle cronache dei giornali e dei siti web, negli stessi giorni, i due volti, l’innovazione e l’arretratezza, si confrontano e in parte si sovrappongono. “Industria, informatica e robotica, anche con accordi sindacali innovativi, come il nuovo contratto dei metalmeccanici, attento a formazione e welfare aziendale. E ‘sommerso carsico’, di attività che s’inabissano, partite Iva a basso reddito e che mascherano lavoro dipendente, voucher”, sintetizza Aldo Bonomi, sociologo attento seguire “le tracce e i soggetti” nei “microcosmi” delle trasformazioni sociali. E tutto questo ha una forte connotazione geografica, tra Nord e Sud. Proprio nel Sud dove la cosiddetta “Terza società” censita dalla Fondazione Hume (IlSole24Ore, 12 febbraio) e composta da “esclusi” e cioè disoccupati, lavoratori in nero e persone inattive che non vedono una possibilità d’occupazione all’orizzonte tocca il 48,5% della forza lavoro, rispetto a una media nazionale del 30% (dato comunque preoccupante, in crescita negli ultimi anni e ben superiore a Germania e Francia: “Un’onda negativa che può portare a nuovi terremoti sociali”, secondo Luca Ricolfi, economista statistico).
Nord è, appunto, la meccatronica (al Sud, soprattutto in Puglia, se ne individuano isole, non tessuto produttivo connesso). Ed è “Industry 4.0”, l’innovativa dimensione della manifattura che, già in crescita negli Usa e in Germania, sta cercando in Italia un suo paradigma particolare, adatto a un insieme d’imprese più piccole e medie che medie e grandi, a distretti e reti, ad articolate supply chain forti sui territori di più robusta vocazione industriale ma anche capaci di trovare spazi a livello internazionale. Il governo, con le scelte del ministero dello Sviluppo Economico di sostegno fiscale e finanziario a chi investe in tecnologie e macchinari e anche in ricerca&sviluppo, si muove per dare una mano.
Se ne parla molto, tra imprenditori, nel cuore europeo della manifattura di qualità, nella “grande Milano” che ibrida industria e servizi d’impresa hi tech, nel Piemonte dove la meccatronica è carattere distintivo dell’industria automotive post-Fiat, nella dinamica provincia bresciana e bergamasca e nel Nord Est e nell’Emilia in cui crescono meccanica di precisione e “macchine per fare macchine”. Cresce, nonostante tutto, questa industria. Può confrontarsi con le altre aree industriali europee più forti, come la Baviera e il Baden-Württemberg, il Rhone Alpes e la dinamica Catalogna. E la manifattura ha già adesso un’incidenza sul Pil analoga a quella media tedesca, superiore al 20% (già oltre, dunque, gli obiettivi che la Ue chiede di raggiungere entro il 2020).
“Nuovi capitalismi del lombardo-veneto”, sintetizza efficacemente Bonomi (IlSole24Ore, 12 febbraio), dando comunque conto della forza del “baricentro Milano” smart city capace di protagonismo e progetti (l’Assolombarda ne è testimonianza) e delle incertezze del Nord Est, dinamico e con un robusti “capitale sociale imprenditoriale” ma ancora privo di una visione, di un progetto comune. Da costruire tra imprese e territori, ridisegnando nuove opportunità di sviluppo.
E il resto d’Italia? Arranca. La sua industria è ancora troppo legata al mercato interno (da anni in sostanziale contrazione dei consumi). E’ piccola. Poco innovativa e competitiva. Familista. Chiusa.
L’effetto di questo dualismo, tra innovazione e conservazione, spirito d’impresa e assistenzialismo, parzialmente Nord e Sud, si riflette sugli indici di crescita del Pil: stentati, al di sotto della media Ue. La grande e lunga stagnazione.
Statistiche a parte, chi viaggia nella grande e complessa provincia italiana, coglie comunque tracce di dinamismo. Ben espresso, nelle aree lombarde, emiliane e venete in cui l’impresa è dentro i processi di cambiamento, attore sociale protagonista (anche con le sue organizzazioni di rappresentanza) d’una pur difficile crescita economica e sociale. Un dinamismo che sarebbe grave errore frustrare e lasciare disperdere.
La sfida è tutta qui: dare fiducia all’impresa. E muovere, verso l’impresa e il mercato, il risparmio, in forma di investimenti. Sfida politica (un orizzonte di senso e di sicurezza, al di là dei pur essenziali stimoli e sostegni a Industry 4.0). E culturale. Il discorso pubblico, oltre alle discussioni su elezioni anticipate o meno e disfide interne al centro sinistra e al centro destra, dovrebbe finalmente farsene carico.
L’industria meccanica sta cambiando nome. Meccatronica, adesso. La meccanica di precisione affidata ai robot di produzione connessi in una rete di relazioni digitali. Italia dunque dinamica, competitiva, in buona posizione sui mercati internazionale (una sfida comunque aperta, anche in stagioni di muri, neo-nazionalismi, volgari protezionismi).
Ma c’è anche un altro volto, radicalmente diverso, dell’Italia economica e sociale. E’ quello dei voucher in crescita, della precarietà che tocca parte larga del mondo giovanile, dell’aumento dei morti sul lavoro (c’è un nesso stretto e doloroso tra incidenti e precarietà).
Nelle cronache dei giornali e dei siti web, negli stessi giorni, i due volti, l’innovazione e l’arretratezza, si confrontano e in parte si sovrappongono. “Industria, informatica e robotica, anche con accordi sindacali innovativi, come il nuovo contratto dei metalmeccanici, attento a formazione e welfare aziendale. E ‘sommerso carsico’, di attività che s’inabissano, partite Iva a basso reddito e che mascherano lavoro dipendente, voucher”, sintetizza Aldo Bonomi, sociologo attento seguire “le tracce e i soggetti” nei “microcosmi” delle trasformazioni sociali. E tutto questo ha una forte connotazione geografica, tra Nord e Sud. Proprio nel Sud dove la cosiddetta “Terza società” censita dalla Fondazione Hume (IlSole24Ore, 12 febbraio) e composta da “esclusi” e cioè disoccupati, lavoratori in nero e persone inattive che non vedono una possibilità d’occupazione all’orizzonte tocca il 48,5% della forza lavoro, rispetto a una media nazionale del 30% (dato comunque preoccupante, in crescita negli ultimi anni e ben superiore a Germania e Francia: “Un’onda negativa che può portare a nuovi terremoti sociali”, secondo Luca Ricolfi, economista statistico).
Nord è, appunto, la meccatronica (al Sud, soprattutto in Puglia, se ne individuano isole, non tessuto produttivo connesso). Ed è “Industry 4.0”, l’innovativa dimensione della manifattura che, già in crescita negli Usa e in Germania, sta cercando in Italia un suo paradigma particolare, adatto a un insieme d’imprese più piccole e medie che medie e grandi, a distretti e reti, ad articolate supply chain forti sui territori di più robusta vocazione industriale ma anche capaci di trovare spazi a livello internazionale. Il governo, con le scelte del ministero dello Sviluppo Economico di sostegno fiscale e finanziario a chi investe in tecnologie e macchinari e anche in ricerca&sviluppo, si muove per dare una mano.
Se ne parla molto, tra imprenditori, nel cuore europeo della manifattura di qualità, nella “grande Milano” che ibrida industria e servizi d’impresa hi tech, nel Piemonte dove la meccatronica è carattere distintivo dell’industria automotive post-Fiat, nella dinamica provincia bresciana e bergamasca e nel Nord Est e nell’Emilia in cui crescono meccanica di precisione e “macchine per fare macchine”. Cresce, nonostante tutto, questa industria. Può confrontarsi con le altre aree industriali europee più forti, come la Baviera e il Baden-Württemberg, il Rhone Alpes e la dinamica Catalogna. E la manifattura ha già adesso un’incidenza sul Pil analoga a quella media tedesca, superiore al 20% (già oltre, dunque, gli obiettivi che la Ue chiede di raggiungere entro il 2020).
“Nuovi capitalismi del lombardo-veneto”, sintetizza efficacemente Bonomi (IlSole24Ore, 12 febbraio), dando comunque conto della forza del “baricentro Milano” smart city capace di protagonismo e progetti (l’Assolombarda ne è testimonianza) e delle incertezze del Nord Est, dinamico e con un robusti “capitale sociale imprenditoriale” ma ancora privo di una visione, di un progetto comune. Da costruire tra imprese e territori, ridisegnando nuove opportunità di sviluppo.
E il resto d’Italia? Arranca. La sua industria è ancora troppo legata al mercato interno (da anni in sostanziale contrazione dei consumi). E’ piccola. Poco innovativa e competitiva. Familista. Chiusa.
L’effetto di questo dualismo, tra innovazione e conservazione, spirito d’impresa e assistenzialismo, parzialmente Nord e Sud, si riflette sugli indici di crescita del Pil: stentati, al di sotto della media Ue. La grande e lunga stagnazione.
Statistiche a parte, chi viaggia nella grande e complessa provincia italiana, coglie comunque tracce di dinamismo. Ben espresso, nelle aree lombarde, emiliane e venete in cui l’impresa è dentro i processi di cambiamento, attore sociale protagonista (anche con le sue organizzazioni di rappresentanza) d’una pur difficile crescita economica e sociale. Un dinamismo che sarebbe grave errore frustrare e lasciare disperdere.
La sfida è tutta qui: dare fiducia all’impresa. E muovere, verso l’impresa e il mercato, il risparmio, in forma di investimenti. Sfida politica (un orizzonte di senso e di sicurezza, al di là dei pur essenziali stimoli e sostegni a Industry 4.0). E culturale. Il discorso pubblico, oltre alle discussioni su elezioni anticipate o meno e disfide interne al centro sinistra e al centro destra, dovrebbe finalmente farsene carico.