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Un Fondo per salvare anche le imprese culturali:
sono cardini di comunità e sviluppo economico

“Il passato è il prologo, il futuro sta nelle vostre mani e nelle mie”, scrive William Shakespeare nelle pagine del secondo atto de “La tempesta”. E’ un buon viatico, in questi giorni drammatici di pandemia e di paura, per la nostra salute e per le prospettive economiche e sociali. Perché ci parla di memoria e di consapevolezza di quello che è stato fatto, di bene e male, nella nostra storia. E di responsabilità per il progetto e le scelte di costruzione di migliori equilibri per il nostro domani: salute, sicurezza, lavoro, benessere e, naturalmente, libertà, in quell’intreccio ragionevole di diritti e doveri che fa da base all’insostituibile democrazia liberale. Ci parla di cultura.

Ecco il punto. “La nostra forza è la cultura”, sostiene un documento firmato dai tre ministri dei Beni culturali d’Italia, Germania e Spagna, Dario Franceschini , Michelle Müntefering e José Manuel Rodriguez Urbes (Corriere della Sera, 4 aprile). C’è una comune consapevolezza: “Che cosa ne sarebbe di noi in questo momento senza libri, film e musica in cui trovare rifugio e sostegno? Senza le artiste e gli artisti che li hanno creati?”.

I tre ministri sostengono che “la forza della nostra politica internazionale della cultura e dell’educazione può dare, proprio adesso, un contributo sostanziale, aiutando a essere più compatti nel momento del bisogno”. Da molti anni, in Europa, “agiamo a livello transfrontaliero: abbiamo potenziato e consolidato la cooperazione culturale e la diplomazia scientifica. Facciamo ricerca assieme sui cambiamenti ambientali e sulla scarsità delle risorse, facciamo musica assieme, impariamo e viviamo assieme”. Adesso, “è giusto e importante che nei nostri paesi abbiamo adottato tempestivamente aiuti finanziari a sostegno anche dei numerosi operatori creativi e delle istituzioni culturali, la cui esistenza è in pericolo. Questa è la base per consentire, dopo la crisi, la fruizione comune di arte e cultura. Anche se già oggi presagiamo che questa crisi lascerà tracce profonde, siamo tuttavia convinti che in futuro il sipario tornerà ad aprirsi nei teatri dell’opera e sui palcoscenici teatrali, che la gente tornerà ad affollare le sale cinematografiche, che i giovani torneranno a frequentare i festival, a ballare e ad abbracciarsi”.

Siamo di fronte alla trasformazione digitale e all’impatto delle tecniche digitali sulla società globale. Le persone interagiscono in modo innovativo e la platea si amplia. Dicono i tre ministri: “Vediamo anche che la cultura può offrire soluzioni. Questi nuovi format sono molto di più d’un aiuto alla sopravvivenza nell’emergenza. Ci offrono l’opportunità di accedere, senza fermarsi ai confini, a nuovi canali culturali ed educativi nonché di contribuire alla creazione di un’opinione pubblica europea. Pertanto, abbiamo concordato di riflettere assieme sullo sviluppo e sul sostegno di forme digitali nella politica culturale internazionale. A tal fine, inviteremo operatori culturali e creativi dei nostri Paesi a un forum di discussione virtuale, previsto per la seconda metà dell’anno”.

La conclusione è interessante, per un rafforzamento della stessa idea di Europa: “Le tante idee creative che stanno nascendo nel cuore delle nostre società civili e che vedono la luce in tutta l’Europa, soprattutto anche nello spazio digitale, ci incoraggiano e ci mostrano come superare questo periodo. Con i suoi impulsi, la società civile ci insegna come sviluppare gli spazi digitali a vantaggio di tutti: prendiamo le distanze dall’egoismo e andiamo verso una maggiore solidarietà. Un pensiero che ora deve servire da orientamento per tutti gli Stati membri. In questo modo anche l’idea europea supererà la crisi e ne uscirà rafforzata”.

Il documento dei tre ministri della cultura offre un orizzonte di riferimento all’iniziativa dell’appello per un Fondo nazionale per la cultura lanciato il 26 marzo, sulle pagine del Corriere della Sera, da Pierluigi Battista e raccolto da Andrea Carandini per il Fai, Andrea Cancellato e Umberto Croppi per Federcultura, Carlo Fuortes per il Teatro dell’Opera di Roma, da chi scrive per Museimpresa, da Piergaetano Marchetti per la Fondazione Corriere della Sera, da Innoceno Cipolletta per Confindustria Cultura, da Giovanna Melandri per il Maxxi e da tanti altri protagonisti del mondo della cultura e delle imprese culturali. Più di 1.500 le altre firme di sostegno, per questo Fondo garantito dallo Stato e aperto al contributo di tutti i cittadini che vogliano sostenere il settore culturale nell’attuale fase di emergenza e di crisi di liquidità, conseguente alla chiusura generalizzata di musei, cinema, teatri, libreria, di tutto i luoghi in cui si costruisce cultura e si partecipa, da attori o spettatori, alle attività culturali.

Vale la pena rileggere bene le parole di Battista: serve “un Piano, con cui i risparmiatori italiani contribuiscano a salvare dal disastro, o addirittura dalla morte, quel patrimonio immenso fatto di teatri di prosa e sale cinematografiche, teatri dell’Opera, musei, gallerie, siti archeologici, auditorium, balletti, orchestre, librerie, biblioteche, Conservatori, scuole d’arte e di fotografia, laboratori artistici e artigianali che oggi coinvolge direttamente ben più di mezzo milione di italiani. E bisogna fare in fretta, oggi, nei prossimi giorni, quando siamo ancora chiusi in casa”. Insiste Battista: “Insieme alle politiche del governo, alle defiscalizzazioni auspicabili, alle misure di assistenza e di finanziamento pubblico che dovranno essere cospicue e generose se non si vuole assistere alla morte per asfissia della cultura italiana: ma non basta, non si deve perdere tempo”.

Infatti, “chi lavora nel teatro o nei musei, tutto il mondo umano e professionale che gira attorno alla produzione del cinema e dell’audiovisivo, i musicisti che tengono vive le nostre orchestre, le librerie senza le quali l’editoria non esisterebbe più perché le piattaforme online, benvenute, non bastano e tutte le altre figure che lavorano nell’universo della cultura, dell’arte devono sapere che per ricominciare, finita la clausura, devono avere il polmone finanziario per farlo. Per dare un senso e la prospettiva di un nuovo inizio”. Insomma, “anche la cultura ha bisogno d’aria, perché le sue mille istituzioni, grandi e piccole, centrali o periferiche, pubbliche o private sono il polmone di un Paese. E sarebbe bello e necessario se gli italiani, che si stanno dimostrano così prodighi di donazioni in questi giorni tristi, diventassero protagonisti di un Fondo che serve a tenere in vita quel polmone”.

Creatività, racconto, rappresentazione, partecipazione, costruzione, appunto attraverso i processi e le attività culturali, di una migliore comunità di cittadini colti, consapevoli, critici, responsabili.

E’ una dimensione che riguarda naturalmente anche la cultura d’impresa, che ha radici profonde nei territori e può fare leva sulla forza distintiva della bellezza e della qualità della manifattura e sulla vocazione internazionale. Cultura d’impresa, dunque, come identità e come chiave competitiva.

Una cultura politecnica, sofisticata e popolare, che sa legare le conoscenze umanistiche con quelle della scienza, Leon Battista Alberti e Leonardo, le scoperte di Galileo e la ragione illuminista dei Verri e di Beccaria nella Milano che si prepara all’industria, l’avanguardia artistica di Boccioni nella “città che sale” e prefigura l’urbanistica e l’edilizia della metropoli (con il protagonismo di Gio Ponti con il Grattacielo Pirelli, simbolo del boom economico, giusto sessant’anni fa) e la chimica del premio Nobel Giulio Natta, che trasforma l’industria italiana con dimensioni mondiali. I teatri e la musica, sostenuti da parecchi imprenditori come mecenati. La cultura dell’Olivetti di Adriano, design e tecnologia. E quella d’una lunga serie di altre imprese che, appunto sulla qualità e l’estetica originale, sul rapporto con il design e l’arte contemporanea, continuano a fondare la propria capacità di “fare, e fare bene” e dominare così le nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati del mondo.

Non avremmo, insomma, sviluppo economico se le nostre imprese non fossero connotate da una robusta base culturale. La chiave dell’innovazione sta non tanto in un binomio “impresa e cultura” ma in una sintesi, “impresa è cultura”.

Le Fondazioni d’impresa ne sono testimonianza viva. Così come ne è conferma la decisione di Museimpresa di sostenere la proposta del Fondo per la Cultura.

Museimpresa, nata per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, forte di oltre novanta iscritti tra musei e archivi storici d’imprese sia grandi (Eni, Leonardo, Ferrovie, Poste, Pirelli, Generali, Banca Intesa, Unipol-Sai, Barilla, A2A/Aem, Lavazza, Dalmine e Tenaris, Reale Mutua, Bracco, Campari, Magneti Marelli, Piaggio, Touring Club, Benetton, Fondazione Corriere della Sera, etc.) che medio-grandi, medie e piccole (Dompè, Zambon, Same, Nicolis, Kartell, Alessi, Molteni, Ducati, Peroni, Keyline, Amarelli, Cimbali, Cozzi, Amaro Lucano, Pasta di Gragnano e tanti altri ancora), lavora sulla custodia della memoria come leva di consapevolezza storica e di rilancio dei valori delle imprese come attori sociali responsabili. E in questa identità c’è la consapevolezza del legame forte tra il patrimonio culturale e l’attitudine a costruire, appunto nelle imprese, lavoro, benessere, inclusione sociale. Cultura, cambiamento, solidarietà, in un orizzonte condiviso di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. Investire e valorizzare la cultura, la scienza, la ricerca, l’intraprendenza e la loro rappresentazione, soprattutto in tempi così dolorosi di crisi, è la via fondamentale per ricominciare a vivere e a crescere, progettando un futuro con maggiore e migliore equilibrio.

“Il passato è il prologo, il futuro sta nelle vostre mani e nelle mie”, scrive William Shakespeare nelle pagine del secondo atto de “La tempesta”. E’ un buon viatico, in questi giorni drammatici di pandemia e di paura, per la nostra salute e per le prospettive economiche e sociali. Perché ci parla di memoria e di consapevolezza di quello che è stato fatto, di bene e male, nella nostra storia. E di responsabilità per il progetto e le scelte di costruzione di migliori equilibri per il nostro domani: salute, sicurezza, lavoro, benessere e, naturalmente, libertà, in quell’intreccio ragionevole di diritti e doveri che fa da base all’insostituibile democrazia liberale. Ci parla di cultura.

Ecco il punto. “La nostra forza è la cultura”, sostiene un documento firmato dai tre ministri dei Beni culturali d’Italia, Germania e Spagna, Dario Franceschini , Michelle Müntefering e José Manuel Rodriguez Urbes (Corriere della Sera, 4 aprile). C’è una comune consapevolezza: “Che cosa ne sarebbe di noi in questo momento senza libri, film e musica in cui trovare rifugio e sostegno? Senza le artiste e gli artisti che li hanno creati?”.

I tre ministri sostengono che “la forza della nostra politica internazionale della cultura e dell’educazione può dare, proprio adesso, un contributo sostanziale, aiutando a essere più compatti nel momento del bisogno”. Da molti anni, in Europa, “agiamo a livello transfrontaliero: abbiamo potenziato e consolidato la cooperazione culturale e la diplomazia scientifica. Facciamo ricerca assieme sui cambiamenti ambientali e sulla scarsità delle risorse, facciamo musica assieme, impariamo e viviamo assieme”. Adesso, “è giusto e importante che nei nostri paesi abbiamo adottato tempestivamente aiuti finanziari a sostegno anche dei numerosi operatori creativi e delle istituzioni culturali, la cui esistenza è in pericolo. Questa è la base per consentire, dopo la crisi, la fruizione comune di arte e cultura. Anche se già oggi presagiamo che questa crisi lascerà tracce profonde, siamo tuttavia convinti che in futuro il sipario tornerà ad aprirsi nei teatri dell’opera e sui palcoscenici teatrali, che la gente tornerà ad affollare le sale cinematografiche, che i giovani torneranno a frequentare i festival, a ballare e ad abbracciarsi”.

Siamo di fronte alla trasformazione digitale e all’impatto delle tecniche digitali sulla società globale. Le persone interagiscono in modo innovativo e la platea si amplia. Dicono i tre ministri: “Vediamo anche che la cultura può offrire soluzioni. Questi nuovi format sono molto di più d’un aiuto alla sopravvivenza nell’emergenza. Ci offrono l’opportunità di accedere, senza fermarsi ai confini, a nuovi canali culturali ed educativi nonché di contribuire alla creazione di un’opinione pubblica europea. Pertanto, abbiamo concordato di riflettere assieme sullo sviluppo e sul sostegno di forme digitali nella politica culturale internazionale. A tal fine, inviteremo operatori culturali e creativi dei nostri Paesi a un forum di discussione virtuale, previsto per la seconda metà dell’anno”.

La conclusione è interessante, per un rafforzamento della stessa idea di Europa: “Le tante idee creative che stanno nascendo nel cuore delle nostre società civili e che vedono la luce in tutta l’Europa, soprattutto anche nello spazio digitale, ci incoraggiano e ci mostrano come superare questo periodo. Con i suoi impulsi, la società civile ci insegna come sviluppare gli spazi digitali a vantaggio di tutti: prendiamo le distanze dall’egoismo e andiamo verso una maggiore solidarietà. Un pensiero che ora deve servire da orientamento per tutti gli Stati membri. In questo modo anche l’idea europea supererà la crisi e ne uscirà rafforzata”.

Il documento dei tre ministri della cultura offre un orizzonte di riferimento all’iniziativa dell’appello per un Fondo nazionale per la cultura lanciato il 26 marzo, sulle pagine del Corriere della Sera, da Pierluigi Battista e raccolto da Andrea Carandini per il Fai, Andrea Cancellato e Umberto Croppi per Federcultura, Carlo Fuortes per il Teatro dell’Opera di Roma, da chi scrive per Museimpresa, da Piergaetano Marchetti per la Fondazione Corriere della Sera, da Innoceno Cipolletta per Confindustria Cultura, da Giovanna Melandri per il Maxxi e da tanti altri protagonisti del mondo della cultura e delle imprese culturali. Più di 1.500 le altre firme di sostegno, per questo Fondo garantito dallo Stato e aperto al contributo di tutti i cittadini che vogliano sostenere il settore culturale nell’attuale fase di emergenza e di crisi di liquidità, conseguente alla chiusura generalizzata di musei, cinema, teatri, libreria, di tutto i luoghi in cui si costruisce cultura e si partecipa, da attori o spettatori, alle attività culturali.

Vale la pena rileggere bene le parole di Battista: serve “un Piano, con cui i risparmiatori italiani contribuiscano a salvare dal disastro, o addirittura dalla morte, quel patrimonio immenso fatto di teatri di prosa e sale cinematografiche, teatri dell’Opera, musei, gallerie, siti archeologici, auditorium, balletti, orchestre, librerie, biblioteche, Conservatori, scuole d’arte e di fotografia, laboratori artistici e artigianali che oggi coinvolge direttamente ben più di mezzo milione di italiani. E bisogna fare in fretta, oggi, nei prossimi giorni, quando siamo ancora chiusi in casa”. Insiste Battista: “Insieme alle politiche del governo, alle defiscalizzazioni auspicabili, alle misure di assistenza e di finanziamento pubblico che dovranno essere cospicue e generose se non si vuole assistere alla morte per asfissia della cultura italiana: ma non basta, non si deve perdere tempo”.

Infatti, “chi lavora nel teatro o nei musei, tutto il mondo umano e professionale che gira attorno alla produzione del cinema e dell’audiovisivo, i musicisti che tengono vive le nostre orchestre, le librerie senza le quali l’editoria non esisterebbe più perché le piattaforme online, benvenute, non bastano e tutte le altre figure che lavorano nell’universo della cultura, dell’arte devono sapere che per ricominciare, finita la clausura, devono avere il polmone finanziario per farlo. Per dare un senso e la prospettiva di un nuovo inizio”. Insomma, “anche la cultura ha bisogno d’aria, perché le sue mille istituzioni, grandi e piccole, centrali o periferiche, pubbliche o private sono il polmone di un Paese. E sarebbe bello e necessario se gli italiani, che si stanno dimostrano così prodighi di donazioni in questi giorni tristi, diventassero protagonisti di un Fondo che serve a tenere in vita quel polmone”.

Creatività, racconto, rappresentazione, partecipazione, costruzione, appunto attraverso i processi e le attività culturali, di una migliore comunità di cittadini colti, consapevoli, critici, responsabili.

E’ una dimensione che riguarda naturalmente anche la cultura d’impresa, che ha radici profonde nei territori e può fare leva sulla forza distintiva della bellezza e della qualità della manifattura e sulla vocazione internazionale. Cultura d’impresa, dunque, come identità e come chiave competitiva.

Una cultura politecnica, sofisticata e popolare, che sa legare le conoscenze umanistiche con quelle della scienza, Leon Battista Alberti e Leonardo, le scoperte di Galileo e la ragione illuminista dei Verri e di Beccaria nella Milano che si prepara all’industria, l’avanguardia artistica di Boccioni nella “città che sale” e prefigura l’urbanistica e l’edilizia della metropoli (con il protagonismo di Gio Ponti con il Grattacielo Pirelli, simbolo del boom economico, giusto sessant’anni fa) e la chimica del premio Nobel Giulio Natta, che trasforma l’industria italiana con dimensioni mondiali. I teatri e la musica, sostenuti da parecchi imprenditori come mecenati. La cultura dell’Olivetti di Adriano, design e tecnologia. E quella d’una lunga serie di altre imprese che, appunto sulla qualità e l’estetica originale, sul rapporto con il design e l’arte contemporanea, continuano a fondare la propria capacità di “fare, e fare bene” e dominare così le nicchie a maggior valore aggiunto sui mercati del mondo.

Non avremmo, insomma, sviluppo economico se le nostre imprese non fossero connotate da una robusta base culturale. La chiave dell’innovazione sta non tanto in un binomio “impresa e cultura” ma in una sintesi, “impresa è cultura”.

Le Fondazioni d’impresa ne sono testimonianza viva. Così come ne è conferma la decisione di Museimpresa di sostenere la proposta del Fondo per la Cultura.

Museimpresa, nata per iniziativa di Assolombarda e Confindustria, forte di oltre novanta iscritti tra musei e archivi storici d’imprese sia grandi (Eni, Leonardo, Ferrovie, Poste, Pirelli, Generali, Banca Intesa, Unipol-Sai, Barilla, A2A/Aem, Lavazza, Dalmine e Tenaris, Reale Mutua, Bracco, Campari, Magneti Marelli, Piaggio, Touring Club, Benetton, Fondazione Corriere della Sera, etc.) che medio-grandi, medie e piccole (Dompè, Zambon, Same, Nicolis, Kartell, Alessi, Molteni, Ducati, Peroni, Keyline, Amarelli, Cimbali, Cozzi, Amaro Lucano, Pasta di Gragnano e tanti altri ancora), lavora sulla custodia della memoria come leva di consapevolezza storica e di rilancio dei valori delle imprese come attori sociali responsabili. E in questa identità c’è la consapevolezza del legame forte tra il patrimonio culturale e l’attitudine a costruire, appunto nelle imprese, lavoro, benessere, inclusione sociale. Cultura, cambiamento, solidarietà, in un orizzonte condiviso di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. Investire e valorizzare la cultura, la scienza, la ricerca, l’intraprendenza e la loro rappresentazione, soprattutto in tempi così dolorosi di crisi, è la via fondamentale per ricominciare a vivere e a crescere, progettando un futuro con maggiore e migliore equilibrio.

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