Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli.

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione, visite guidate e l'accessibilità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o compilare il form qui sotto anticipando nel campo note i dettagli nella richiesta.

Formarsi sempre

Una tesi discussa all’Università di Padova puntualizza tratti e condizioni per la diffusione efficace del sapere nelle aziende

 

Sapere per crescere. Indicazione all’apparenza naturale da mettere in pratica, eppure così complessa da affrontare nella realtà dei fatti. Formazione, aggiornamento delle competenze, messa in discussione di pratiche d’azienda collaudate ma polverose, sono alcuni dei dettati della moderna gestione delle risorse umane. Che deve essere però compresa a fondo, e ogni volta misurata con la realtà dell’organizzazione della produzione alla quale viene applicata. Il lavoro di tesi discusso recentemente da Martina Spinello nell’ambito del corso di laurea in economia del Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” di Padova, affronta alcuni aspetti del “tema formazione” ai quali è bene sempre ritornare.

E’ possibile cogliere l’assunto di base dell’indagine di Spinello dallo stesso titolo: “L’importanza di investire nella formazione e nelle competenze”. In un mercato del lavoro ormai saturo e con competenze base spesso comuni, dice quindi l’autrice, è importante sapersi distinguere attraverso abilità professionali e conoscenze personali capaci di aumentare le proprie performance e di conseguenza quelle dell’organizzazione per la quale si opera. Non semplice apprendimento di manualità ripetitive, ma qualcosa che ormai si è fatto più ampio e complesso.

Spinello indaga quindi il tema prima dal punto di vista teorico e poi guardando ad un caso d’azienda. Vengono quindi presi in considerazione aspetti diversi della formazione come quelli relativi al “capitale umano” presente in azienda e quindi la “formazione continua” come elemento imprescindibile dell’organizzazione d’impresa declinato nelle sue varie espressioni fino ad arrivare alla gamification intesa come ultima frontiera formativa aziendale. Il caso aziendale è quello della Sixton Peak, marchio di calzature antinfortunistiche di proprietà di Maspica S.p.A., con circa 600 dipendenti.

Spinello conclude il suo lavoro non solo sottolineando che la formazione flessibile è l’obiettivo corretto da perseguire sia per i lavoratori che per le imprese, ma puntando il dito su un aspetto: la formazione corretta è quella che riesce a trovare il giusto equilibrio tra impegno e costi per realizzarla e risultati (anche in termini umani oltre che economici) che riesce a raggiungere. In altre parole, si fa buona formazione e buona cultura d’impresa anche tenendo conto dei numeri che entrano in gioco.

 

L’importanza di investire nella formazione e nelle competenze

Martina Spinello

Tesi. Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno”, Corso di laurea in Economia, 2020

Una tesi discussa all’Università di Padova puntualizza tratti e condizioni per la diffusione efficace del sapere nelle aziende

 

Sapere per crescere. Indicazione all’apparenza naturale da mettere in pratica, eppure così complessa da affrontare nella realtà dei fatti. Formazione, aggiornamento delle competenze, messa in discussione di pratiche d’azienda collaudate ma polverose, sono alcuni dei dettati della moderna gestione delle risorse umane. Che deve essere però compresa a fondo, e ogni volta misurata con la realtà dell’organizzazione della produzione alla quale viene applicata. Il lavoro di tesi discusso recentemente da Martina Spinello nell’ambito del corso di laurea in economia del Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” di Padova, affronta alcuni aspetti del “tema formazione” ai quali è bene sempre ritornare.

E’ possibile cogliere l’assunto di base dell’indagine di Spinello dallo stesso titolo: “L’importanza di investire nella formazione e nelle competenze”. In un mercato del lavoro ormai saturo e con competenze base spesso comuni, dice quindi l’autrice, è importante sapersi distinguere attraverso abilità professionali e conoscenze personali capaci di aumentare le proprie performance e di conseguenza quelle dell’organizzazione per la quale si opera. Non semplice apprendimento di manualità ripetitive, ma qualcosa che ormai si è fatto più ampio e complesso.

Spinello indaga quindi il tema prima dal punto di vista teorico e poi guardando ad un caso d’azienda. Vengono quindi presi in considerazione aspetti diversi della formazione come quelli relativi al “capitale umano” presente in azienda e quindi la “formazione continua” come elemento imprescindibile dell’organizzazione d’impresa declinato nelle sue varie espressioni fino ad arrivare alla gamification intesa come ultima frontiera formativa aziendale. Il caso aziendale è quello della Sixton Peak, marchio di calzature antinfortunistiche di proprietà di Maspica S.p.A., con circa 600 dipendenti.

Spinello conclude il suo lavoro non solo sottolineando che la formazione flessibile è l’obiettivo corretto da perseguire sia per i lavoratori che per le imprese, ma puntando il dito su un aspetto: la formazione corretta è quella che riesce a trovare il giusto equilibrio tra impegno e costi per realizzarla e risultati (anche in termini umani oltre che economici) che riesce a raggiungere. In altre parole, si fa buona formazione e buona cultura d’impresa anche tenendo conto dei numeri che entrano in gioco.

 

L’importanza di investire nella formazione e nelle competenze

Martina Spinello

Tesi. Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno”, Corso di laurea in Economia, 2020

Progettare dentro l’impresa

Il tema del project management affrontato da un punto di vista diverso dal consueto

Dietro e dentro ad ogni progetto d’impresa ci sono delle persone. Constatazione che può apparire banale ma che, in realtà, non deve essere data per scontata. Travolti dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie, spesso si corre il rischio di dimenticare l’elemento centrale di ogni organizzazione della produzione: la persona umana.

Da qui deriva l’importanza di leggere “La prospettiva degli stakeholder. La gestione delle relazioni per aumentare il valore ed il tasso di successo dei progetti”, libro di poco più di un centinaio di pagine scritto da Massimo Pirozzi e basato sull’analisi dei progetto d’impresa dal punto di vista delle persone e cioè di quelli che – ormai per abitudine acquisita -, vengono indicati come stakeholder.

L’intento dell’autore è esattamente quello di “metter al centro” la persona sia per quanto riguarda i progetti che il project management. L’obiettivo non è solo quello di una maggiore considerazione dell’aspetto umano del lavoro, ma quello di incrementare sia il valore rilasciato, sia il tasso di successo dei progetti.

Quanto scritto da Pirozzi è diviso semplicemente in due parti: nella prima vengono descritti gli stakeholder, nella seconda la modalità corretta di gestione delle relazioni con e tra gli stakeholder. Dal punto di vista operativo, il libro presenta un insieme di tecniche innovative, immediatamente applicabili ed efficaci, per l’identificazione e l’analisi degli stakeholder e per la gestione efficace delle relazioni con loro. Prima ancora, il concetto e la realtà degli stakeholder vengono analizzati a fondo arrivando prima ad una loro classificazione e poi all’identificazione del loro modo di affrontare l’impresa.

Pirozzi dimostra come il fattore critico di successo in tutti i progetti sia costituito dalla soddisfazione non solo dei requisiti ma anche delle aspettative degli stakeholder. Proprio partendo da un uso diverso dei fattori critici di successo, infine, Pirozzi propone un metodo nuovo per la gestione efficace della complessità e per la generazione di valore.

Il libro scritto da Massimo Pirozzi non è sempre facile di facile lettura, ma va seriamente affrontato per costruire una cultura del produrre aggiornata e attenta.

 

La prospettiva degli stakeholder. La gestione delle relazioni per aumentare il valore ed il tasso di successo dei progetti

Massimo Pirozzi

Franco Angeli, 2020

Il tema del project management affrontato da un punto di vista diverso dal consueto

Dietro e dentro ad ogni progetto d’impresa ci sono delle persone. Constatazione che può apparire banale ma che, in realtà, non deve essere data per scontata. Travolti dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie, spesso si corre il rischio di dimenticare l’elemento centrale di ogni organizzazione della produzione: la persona umana.

Da qui deriva l’importanza di leggere “La prospettiva degli stakeholder. La gestione delle relazioni per aumentare il valore ed il tasso di successo dei progetti”, libro di poco più di un centinaio di pagine scritto da Massimo Pirozzi e basato sull’analisi dei progetto d’impresa dal punto di vista delle persone e cioè di quelli che – ormai per abitudine acquisita -, vengono indicati come stakeholder.

L’intento dell’autore è esattamente quello di “metter al centro” la persona sia per quanto riguarda i progetti che il project management. L’obiettivo non è solo quello di una maggiore considerazione dell’aspetto umano del lavoro, ma quello di incrementare sia il valore rilasciato, sia il tasso di successo dei progetti.

Quanto scritto da Pirozzi è diviso semplicemente in due parti: nella prima vengono descritti gli stakeholder, nella seconda la modalità corretta di gestione delle relazioni con e tra gli stakeholder. Dal punto di vista operativo, il libro presenta un insieme di tecniche innovative, immediatamente applicabili ed efficaci, per l’identificazione e l’analisi degli stakeholder e per la gestione efficace delle relazioni con loro. Prima ancora, il concetto e la realtà degli stakeholder vengono analizzati a fondo arrivando prima ad una loro classificazione e poi all’identificazione del loro modo di affrontare l’impresa.

Pirozzi dimostra come il fattore critico di successo in tutti i progetti sia costituito dalla soddisfazione non solo dei requisiti ma anche delle aspettative degli stakeholder. Proprio partendo da un uso diverso dei fattori critici di successo, infine, Pirozzi propone un metodo nuovo per la gestione efficace della complessità e per la generazione di valore.

Il libro scritto da Massimo Pirozzi non è sempre facile di facile lettura, ma va seriamente affrontato per costruire una cultura del produrre aggiornata e attenta.

 

La prospettiva degli stakeholder. La gestione delle relazioni per aumentare il valore ed il tasso di successo dei progetti

Massimo Pirozzi

Franco Angeli, 2020

Fondazione Pirelli alla XIX Settimana della Cultura d’Impresa con un gioco fra arte e storia

“Giallo in archivio: sulle tracce del Cinturato Pirelli” è il titolo dell’iniziativa di Fondazione Pirelli, organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Dramatrà per la XIX Settimana della Cultura d’Impresa, che si è svolta mercoledì 18 novembre2020. Un inedito tour virtuale, che ha visto la partecipazione di circa 170 persone di tutte le età, incluse alcune classi delle scuole superiori. I partecipanti, organizzati in squadre e collegati dall’Italia e dall’estero, hanno risolto enigmi attraverso indizi nascosti tra i corridoi dell’archivio della Fondazione Pirelli.

Durante il gioco l’attore Carlo Alberto Montori ha interpretato l’ingegner Klaus Pneumad, ricercatore a capo di un’azienda rivale di Pirelli nell’anno 2120, tornato indietro nel tempo per sabotare lo sviluppo del celebre pneumatico Cinturato Pirelli, ed eliminare così il suo più temibile concorrente. Le squadre partecipanti sono riuscite a impedire allo scienziato di portare a termine il suo piano, risolvendo quesiti di logica, matematica e prove che hanno richiesto l’uso della creatività.

Sui temi della sostenibilità si sono invece concentrati gli incontri di TIME4CHILD Digital, l’altra iniziativa di Fondazione Pirelli nel palinsesto della Settimana della cultura d’impresa. Un’occasione per parlare con bambini e ragazzi di tematiche legate alla storia di Pirelli, alla smart mobility e alle iniziative dell’azienda legate al mondo della gomma naturale, in un fitto calendario di incontri online in diretta e con approfondimenti tematici messi a disposizione in uno stand virtuale.

“Giallo in archivio: sulle tracce del Cinturato Pirelli” è il titolo dell’iniziativa di Fondazione Pirelli, organizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Dramatrà per la XIX Settimana della Cultura d’Impresa, che si è svolta mercoledì 18 novembre2020. Un inedito tour virtuale, che ha visto la partecipazione di circa 170 persone di tutte le età, incluse alcune classi delle scuole superiori. I partecipanti, organizzati in squadre e collegati dall’Italia e dall’estero, hanno risolto enigmi attraverso indizi nascosti tra i corridoi dell’archivio della Fondazione Pirelli.

Durante il gioco l’attore Carlo Alberto Montori ha interpretato l’ingegner Klaus Pneumad, ricercatore a capo di un’azienda rivale di Pirelli nell’anno 2120, tornato indietro nel tempo per sabotare lo sviluppo del celebre pneumatico Cinturato Pirelli, ed eliminare così il suo più temibile concorrente. Le squadre partecipanti sono riuscite a impedire allo scienziato di portare a termine il suo piano, risolvendo quesiti di logica, matematica e prove che hanno richiesto l’uso della creatività.

Sui temi della sostenibilità si sono invece concentrati gli incontri di TIME4CHILD Digital, l’altra iniziativa di Fondazione Pirelli nel palinsesto della Settimana della cultura d’impresa. Un’occasione per parlare con bambini e ragazzi di tematiche legate alla storia di Pirelli, alla smart mobility e alle iniziative dell’azienda legate al mondo della gomma naturale, in un fitto calendario di incontri online in diretta e con approfondimenti tematici messi a disposizione in uno stand virtuale.

Multimedia

Images

Pirelli, il 18 novembre un gioco virtuale per la cultura d’impresa

Pirelli: un gioco tutto virtuale per la cultura d’impresa

Buona impresa, buona cultura

Attraverso l’analisi delle sfide che attendono il sistema culturale italiano, emerge la conferma del significato forte della collaborazione tra pubblico e privato

Fare cultura con modalità diverse da prima. E farlo anche mettendo a frutto metodi di organizzazione della produzione culturale che possano essere ad un tempo efficienti e fruibili per tutti. Prendere ad esempio le imprese private. Covid-19 pone anche questa sfida, che può essere declinata a più livelli. E’ attorno a questo nucleo di idee che ragiona Claudio Bocci (già Direttore Federculture e adesso Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab) con il suo intervento “Cultura e sviluppo locale: un nuovo inizio”.

Bocci inizia il suo contributo constatando che la pandemia ha inciso profondamente anche nella fruizione e gestione dei luoghi della cultura. Ci vorrà tempo – spiega -, per tornare al numero elevatissimo di visitatori dei grandi musei statali che oggi si rivolgono alla cittadinanza di prossimità. Quindi che fare? Per l’autore è necessario “rendere stabile la capacità di dialogo attraverso il digitale, sorta in maniera improvvisata nella fase di confinamento e che da ora in avanti costituirà una leva strategica di rapporto con i cittadini”. Percorso certo non facile, quello della digitalizzazione efficace dei luoghi della cultura italiana, eppure certamente da compiere con accortezza e attenzione.

La digitalizzazione dei luoghi culturali italiani, implica di fatto una nuova mentalità tecnologica ma anche un nuovo atteggiamento che è esso stesso novità culturale. Dice quindi Bocci che sarà necessario “affrontare il tema della gestione dei luoghi della cultura a partire da un’ottica integrata della governance pubblica”. Anzi di più. I luoghi della cultura dovranno sempre di più diventare “piattaforme di benessere esperienziale” e a tal fine meritevoli di un sostegno finanziario pubblico.

Per far comprendere meglio il suo pensiero, nell’intervento pubblicato in “Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage”, Bocci prende in considerazione prima il tema della “sostenibilità dei luoghi della cultura” per passare poi a ricordare le indicazioni tratte dalla Convezione Faro promossa dal Consiglio d’Europa che pone l’accento, oltre che sulla tutela del patrimonio culturale, sul diritto dei cittadini ad accedere e partecipare all’esperienza culturale. Bocci chiede quindi che si ponga attenzione a nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, e lancia quasi una sfida: “Ci attendiamo – scrive -, (…), che per impulsi diversi il sistema delle imprese prenda sempre più in considerazione di puntare in alto”.

Sottolinea poi Bocci come anche da queste attività possano derivare maggiore coesione sociale, nuova e buona occupazione, e conclude: “Le imprese culturali dovranno accrescere la loro capacità di dialogo con il sistema delle imprese private, anche loro sensibili ad un nuovo quadro di riferimento che pone come finalità dell’impresa, accanto al profitto, una crescente responsabilità sociale”.

Cultura e sviluppo locale: un nuovo inizio

Claudio Bocci

Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Supplementi 11 (2020), pp. 81-89

 

Attraverso l’analisi delle sfide che attendono il sistema culturale italiano, emerge la conferma del significato forte della collaborazione tra pubblico e privato

Fare cultura con modalità diverse da prima. E farlo anche mettendo a frutto metodi di organizzazione della produzione culturale che possano essere ad un tempo efficienti e fruibili per tutti. Prendere ad esempio le imprese private. Covid-19 pone anche questa sfida, che può essere declinata a più livelli. E’ attorno a questo nucleo di idee che ragiona Claudio Bocci (già Direttore Federculture e adesso Consigliere Delegato Comitato Ravello Lab) con il suo intervento “Cultura e sviluppo locale: un nuovo inizio”.

Bocci inizia il suo contributo constatando che la pandemia ha inciso profondamente anche nella fruizione e gestione dei luoghi della cultura. Ci vorrà tempo – spiega -, per tornare al numero elevatissimo di visitatori dei grandi musei statali che oggi si rivolgono alla cittadinanza di prossimità. Quindi che fare? Per l’autore è necessario “rendere stabile la capacità di dialogo attraverso il digitale, sorta in maniera improvvisata nella fase di confinamento e che da ora in avanti costituirà una leva strategica di rapporto con i cittadini”. Percorso certo non facile, quello della digitalizzazione efficace dei luoghi della cultura italiana, eppure certamente da compiere con accortezza e attenzione.

La digitalizzazione dei luoghi culturali italiani, implica di fatto una nuova mentalità tecnologica ma anche un nuovo atteggiamento che è esso stesso novità culturale. Dice quindi Bocci che sarà necessario “affrontare il tema della gestione dei luoghi della cultura a partire da un’ottica integrata della governance pubblica”. Anzi di più. I luoghi della cultura dovranno sempre di più diventare “piattaforme di benessere esperienziale” e a tal fine meritevoli di un sostegno finanziario pubblico.

Per far comprendere meglio il suo pensiero, nell’intervento pubblicato in “Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage”, Bocci prende in considerazione prima il tema della “sostenibilità dei luoghi della cultura” per passare poi a ricordare le indicazioni tratte dalla Convezione Faro promossa dal Consiglio d’Europa che pone l’accento, oltre che sulla tutela del patrimonio culturale, sul diritto dei cittadini ad accedere e partecipare all’esperienza culturale. Bocci chiede quindi che si ponga attenzione a nuove forme di collaborazione tra pubblico e privato, e lancia quasi una sfida: “Ci attendiamo – scrive -, (…), che per impulsi diversi il sistema delle imprese prenda sempre più in considerazione di puntare in alto”.

Sottolinea poi Bocci come anche da queste attività possano derivare maggiore coesione sociale, nuova e buona occupazione, e conclude: “Le imprese culturali dovranno accrescere la loro capacità di dialogo con il sistema delle imprese private, anche loro sensibili ad un nuovo quadro di riferimento che pone come finalità dell’impresa, accanto al profitto, una crescente responsabilità sociale”.

Cultura e sviluppo locale: un nuovo inizio

Claudio Bocci

Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Supplementi 11 (2020), pp. 81-89

 

Storia di un uomo d’impresa

Nella vita di Vittorio Merloni raccontata dalla figlia, la sintesi di una particolare cultura del produrre

Cultura d’impresa fatta a persona. Che d’altra parte non può che essere così. Perché la cultura non la fanno le macchine, ma gli uomini e le donne che vivono e lavorano. Per questo conoscere delle vite di chi le imprese le ha pensate, costruite e gestite è sempre cosa buona da fare. E lo è quindi leggere “Oggi è già domani. Vittorio Merloni. Vita di un imprenditore” scritto da Maria Paola Merloni che del padre ha raccontato le vicende dall’ingresso in azienda, nel 1960, alla guida di Confindustria nei primi anni Ottanta, durante uno dei passaggi più delicati della storia dell’economia italiana, fino alla conquista dei mercati dell’Est, ai grandi successi e alle decisioni più difficili. Vita di successi ma anche di problemi e di scelte, quella di Merloni, vita comune a molti altri uomini d’impresa che hanno, come si diceva poco sopra, costruito una propria cultura del produrre che adesso può insegnare molto a molti.

Attraverso le pagine scritte dalla figlia – che per questo libro ha da poco vinto il Premio Biella Letteratura e Industria 2020 -, viene raccontato un imprenditore che riconosce il valore della sua terra e allo stesso tempo ha “il mondo in testa”. Soprattutto, emerge la figura di un visionario, capace di portare un’azienda familiare alla dimensione di un’impresa internazionale. Tutto senza perdere il suo carattere di uomo schivo, non espressione del gotha dell’imprenditoria italiana, un uomo che riesce ad essere nello stesso tempo umile e grande esploratore di soluzione produttive diverse dalle consuete oltre che di mercati nuovi. E’ così un Vittorio Merloni modesto e ambizioso, intraprendente e attento, quello che si legge nelle pagine di questo libro che raccontano, alla fine, un’esperienza d’impresa che si fa cultura per tutti. E che lascia qualcosa di utile anche oggi.

Chiarissimi alcuni passaggi che sintetizzano la buona cultura d’impresa del protagonista. Come una delle citazioni di un discorso di Merloni ai suoi in azienda che si dice convinto che “lo sviluppo vero e la produzione di ricchezza si facciano sul lavoro che costruisce e non sulle architetture finanziarie fini a se stesse”.

Il libro di Maria Paola Merloni (scritto con Claudio Novelli) non è solo la storia di un padre raccontata da una figlia  – una storia che, lo si coglie in molti passaggi, trabocca di qualcosa che è molto più che affetto -, ma è un racconto dal quale si trae l’indicazione di una cultura d’impresa che non è certo l’unica da apprezzare, ma che è traccia di vita e di lavoro, vicenda corale, manuale di gestione d’azienda, abbecedario per imparare la difficile lingua del produrre non solo per profitto ma anche per qualcosa di più complesso e tutto sommato affascinante.

Oggi è già domani. Vittorio Merloni. Vita di un imprenditore

Maria Paola Merloni (con Claudio Novelli)

Marsilio, 2019

Nella vita di Vittorio Merloni raccontata dalla figlia, la sintesi di una particolare cultura del produrre

Cultura d’impresa fatta a persona. Che d’altra parte non può che essere così. Perché la cultura non la fanno le macchine, ma gli uomini e le donne che vivono e lavorano. Per questo conoscere delle vite di chi le imprese le ha pensate, costruite e gestite è sempre cosa buona da fare. E lo è quindi leggere “Oggi è già domani. Vittorio Merloni. Vita di un imprenditore” scritto da Maria Paola Merloni che del padre ha raccontato le vicende dall’ingresso in azienda, nel 1960, alla guida di Confindustria nei primi anni Ottanta, durante uno dei passaggi più delicati della storia dell’economia italiana, fino alla conquista dei mercati dell’Est, ai grandi successi e alle decisioni più difficili. Vita di successi ma anche di problemi e di scelte, quella di Merloni, vita comune a molti altri uomini d’impresa che hanno, come si diceva poco sopra, costruito una propria cultura del produrre che adesso può insegnare molto a molti.

Attraverso le pagine scritte dalla figlia – che per questo libro ha da poco vinto il Premio Biella Letteratura e Industria 2020 -, viene raccontato un imprenditore che riconosce il valore della sua terra e allo stesso tempo ha “il mondo in testa”. Soprattutto, emerge la figura di un visionario, capace di portare un’azienda familiare alla dimensione di un’impresa internazionale. Tutto senza perdere il suo carattere di uomo schivo, non espressione del gotha dell’imprenditoria italiana, un uomo che riesce ad essere nello stesso tempo umile e grande esploratore di soluzione produttive diverse dalle consuete oltre che di mercati nuovi. E’ così un Vittorio Merloni modesto e ambizioso, intraprendente e attento, quello che si legge nelle pagine di questo libro che raccontano, alla fine, un’esperienza d’impresa che si fa cultura per tutti. E che lascia qualcosa di utile anche oggi.

Chiarissimi alcuni passaggi che sintetizzano la buona cultura d’impresa del protagonista. Come una delle citazioni di un discorso di Merloni ai suoi in azienda che si dice convinto che “lo sviluppo vero e la produzione di ricchezza si facciano sul lavoro che costruisce e non sulle architetture finanziarie fini a se stesse”.

Il libro di Maria Paola Merloni (scritto con Claudio Novelli) non è solo la storia di un padre raccontata da una figlia  – una storia che, lo si coglie in molti passaggi, trabocca di qualcosa che è molto più che affetto -, ma è un racconto dal quale si trae l’indicazione di una cultura d’impresa che non è certo l’unica da apprezzare, ma che è traccia di vita e di lavoro, vicenda corale, manuale di gestione d’azienda, abbecedario per imparare la difficile lingua del produrre non solo per profitto ma anche per qualcosa di più complesso e tutto sommato affascinante.

Oggi è già domani. Vittorio Merloni. Vita di un imprenditore

Maria Paola Merloni (con Claudio Novelli)

Marsilio, 2019

Economia “verde e blu”: ambiente e innovazione premiano Enel, Pirelli e Intesa nel Dow Jones Index

Il verde dell’ambiente. E il blu dell’innovazione. Sono i due colori della possibile e quanto mai opportuna costruzione di una svolta per l’economia, di un “cambio di paradigma” per uno sviluppo di qualità. E sono particolarmente cari alla riflessione di Luciano Floridi, filosofo a Oxford (dirige il Digital Ethics Lab) e studioso tra i più autorevoli nel panorama internazionale sulla “infosfera”, l’ambiente delle connessioni digitali e personali in cui viviamo (i suoi due ultimi libri, pubblicati da Raffaello Cortina editore, sono appunto “Pensare l’infosfera”, del 2019 e “Il verde e il blu”, 2020). Viviamo la “quarta rivoluzione”, spiega da tempo Floridi, dopo quella di Copernico che ha tolto alla Terra la centralità dell’universo, quella di Darwin che l’ha tolta all’uomo come lo conosciamo nell’evoluzione della biologia, quella di Freud che è andato oltre la mente cosciente. Adesso, “con il digitale, interagiamo con oggetti che fanno cose al nostro posto e sfidano il nostro senso di unicità”. Prevale l’intelligenza artificiale? No. Ma ci tocca definire una nuova economia delle relazioni e capire il senso profondo di tutto ciò che facciamo. Siamo noi, d’altronde, a scrivere gli algoritmi che muovono l’intelligenza artificiale. E sempre noi, con le nostre scelte, a decidere le sorti della Terra.

Infosfera ed ecologia si incontrano. Il verde e il blu, appunto. Un ambizioso, straordinario progetto culturale, con un forte valore politico: i progetti, i programmi, le riforme. Nel confuso presente che stiano dolorosamente vivendo, nella ricerca di strategie che ci conducano oltre la fragilità della nostra condizione personale e sociale, tra pandemia e recessione, le strade possibili per una ripartenza, una ricostruzione, una ripresa non effimera stanno proprio nell’incrocio tra ecologia e innovazione. Dopo il Covid19, nulla sarà come prima. Tocca a noi, insomma, decidere se avremo una rinascita o precipiteremo in una lunga stagione di declino.

L’indicazione che arriva dalla Ue è chiara: il Recovery Plan costruito su green economy  e digital economy, appunto. Con lo sguardo rivolto alla Next Generation: scuola, formazione di lungo periodo, ricerca, riforme per spendere efficacemente i 750 miliardi a disposizione nell’arco dei prossimi quattro anni. Politica e pubbliche amministrazioni, imprese e altre forze sociali, cultura, sono alla prova di una sfida lungimirante, decisiva.

Sono temi di grande rilevanza, che occupano per fortuna uno spazio crescente nel discorso pubblico italiano e internazionale. Se n’è discusso proprio in questi giorni a BookCity, a Milano, nel corso di una serie di incontri digitali attenti ai valori dello sviluppo sostenibile. E a Torino, per la Biennale Tecnologia, organizzata dal Politecnico, con grande partecipazione di pubblico per decine di dibattiti (tutti in rete, naturalmente) legati da un titolo esemplare: “Tecnologia è Umanità”.

Una riflessione sulle nuove frontiere della scienza e della ricerca. Ma anche un recupero critico di una delle migliori stagioni della storia del mondo, il nostro Umanesimo, sintesi originalissima tra conoscenze filosofiche, letterarie, artistiche e nuove conoscenze scientifiche tutte centrate sull’uomo. E d’altronde, non è certo un caso che, nel delineare i valori della nostra attualità e gli orizzonti del futuribile, si parli di “umanesimo digitale” o di “umanesimo industriale”, di “cultura politecnica” e, per tornare a Floridi, di “verde e blu”, unendo politiche ambientalistiche e politiche da economia dei servizi hi tech: un umanesimo dell’infosfera. Storie da ingegneri filosofi. O anche da ingegneri poeti. Da intellettuali responsabili, comunque. “L’intelligenza, che come Poe ci insegna, è meno mente matematica e più mente poetica, è semplice e semplificante, produce il semplice e semplifica”: sono parole di Leonardo Sciascia, nelle pagine di “A futura memoria”. Anche questa, è una straordinaria eredità umanistica.

Per le imprese italiane quello del “verde” e del “blu” è un fertile terreno di lavoro, con la forza della diffusa cultura del “fare, e fare bene”, con le radici nei territori del cui sviluppo sono responsabili, con i valori della competitività legati alle persone. Un terreno con cui, peraltro, hanno da tempo una robusta confidenza.

Una conferma arriva dai nuovi indici di sostenibilità del Dow Jones, che segnala ogni anno le migliori imprese internazionali in termini di sostenibilità. Stavolta, in cima c’è l’Enel, con un punteggio altissimo, per la strategia climatica e le opportunità di mercato nel guidare la transizione verso un modello energetico a basse emissioni di CO2. Altre imprese sono ai vertici di sostenibilità per i loro settori: nell’industria, Pirelli è ancora una volta leader per il settore Automobiles & Components. Moncler è al primo posto tra le aziende tessili e del lusso. E ai vertici dei loro settori ci sono anche Intesa Sanpaolo, Poste ed Hera. E’ “un’onda verde nelle aziende che piace agli investitori”, titola “La Stampa” (15 novembre), ricordando come appunto il Dow Jones Sustenaibility Index e e il DJ Europe di S&P Global guidino gli investimenti dei grandi operatori internazionali.

Il successo delle imprese italiane, d’altronde, è legato a una scelta strategica, nel considerare la sostenibilità come un asset fondamentale, un cardine della propria competitività, frutto di una serie di impegni maturati nel tempo e via via affinati nei giudizi dei mercati e nelle valutazioni di tutti gli stakeholders : dipendenti, clienti, fornitori, cittadini dei territori con cui l’impresa è in rapporto. Valori forti, con positive ricadute economiche e sociali.

Il verde dell’ambiente. E il blu dell’innovazione. Sono i due colori della possibile e quanto mai opportuna costruzione di una svolta per l’economia, di un “cambio di paradigma” per uno sviluppo di qualità. E sono particolarmente cari alla riflessione di Luciano Floridi, filosofo a Oxford (dirige il Digital Ethics Lab) e studioso tra i più autorevoli nel panorama internazionale sulla “infosfera”, l’ambiente delle connessioni digitali e personali in cui viviamo (i suoi due ultimi libri, pubblicati da Raffaello Cortina editore, sono appunto “Pensare l’infosfera”, del 2019 e “Il verde e il blu”, 2020). Viviamo la “quarta rivoluzione”, spiega da tempo Floridi, dopo quella di Copernico che ha tolto alla Terra la centralità dell’universo, quella di Darwin che l’ha tolta all’uomo come lo conosciamo nell’evoluzione della biologia, quella di Freud che è andato oltre la mente cosciente. Adesso, “con il digitale, interagiamo con oggetti che fanno cose al nostro posto e sfidano il nostro senso di unicità”. Prevale l’intelligenza artificiale? No. Ma ci tocca definire una nuova economia delle relazioni e capire il senso profondo di tutto ciò che facciamo. Siamo noi, d’altronde, a scrivere gli algoritmi che muovono l’intelligenza artificiale. E sempre noi, con le nostre scelte, a decidere le sorti della Terra.

Infosfera ed ecologia si incontrano. Il verde e il blu, appunto. Un ambizioso, straordinario progetto culturale, con un forte valore politico: i progetti, i programmi, le riforme. Nel confuso presente che stiano dolorosamente vivendo, nella ricerca di strategie che ci conducano oltre la fragilità della nostra condizione personale e sociale, tra pandemia e recessione, le strade possibili per una ripartenza, una ricostruzione, una ripresa non effimera stanno proprio nell’incrocio tra ecologia e innovazione. Dopo il Covid19, nulla sarà come prima. Tocca a noi, insomma, decidere se avremo una rinascita o precipiteremo in una lunga stagione di declino.

L’indicazione che arriva dalla Ue è chiara: il Recovery Plan costruito su green economy  e digital economy, appunto. Con lo sguardo rivolto alla Next Generation: scuola, formazione di lungo periodo, ricerca, riforme per spendere efficacemente i 750 miliardi a disposizione nell’arco dei prossimi quattro anni. Politica e pubbliche amministrazioni, imprese e altre forze sociali, cultura, sono alla prova di una sfida lungimirante, decisiva.

Sono temi di grande rilevanza, che occupano per fortuna uno spazio crescente nel discorso pubblico italiano e internazionale. Se n’è discusso proprio in questi giorni a BookCity, a Milano, nel corso di una serie di incontri digitali attenti ai valori dello sviluppo sostenibile. E a Torino, per la Biennale Tecnologia, organizzata dal Politecnico, con grande partecipazione di pubblico per decine di dibattiti (tutti in rete, naturalmente) legati da un titolo esemplare: “Tecnologia è Umanità”.

Una riflessione sulle nuove frontiere della scienza e della ricerca. Ma anche un recupero critico di una delle migliori stagioni della storia del mondo, il nostro Umanesimo, sintesi originalissima tra conoscenze filosofiche, letterarie, artistiche e nuove conoscenze scientifiche tutte centrate sull’uomo. E d’altronde, non è certo un caso che, nel delineare i valori della nostra attualità e gli orizzonti del futuribile, si parli di “umanesimo digitale” o di “umanesimo industriale”, di “cultura politecnica” e, per tornare a Floridi, di “verde e blu”, unendo politiche ambientalistiche e politiche da economia dei servizi hi tech: un umanesimo dell’infosfera. Storie da ingegneri filosofi. O anche da ingegneri poeti. Da intellettuali responsabili, comunque. “L’intelligenza, che come Poe ci insegna, è meno mente matematica e più mente poetica, è semplice e semplificante, produce il semplice e semplifica”: sono parole di Leonardo Sciascia, nelle pagine di “A futura memoria”. Anche questa, è una straordinaria eredità umanistica.

Per le imprese italiane quello del “verde” e del “blu” è un fertile terreno di lavoro, con la forza della diffusa cultura del “fare, e fare bene”, con le radici nei territori del cui sviluppo sono responsabili, con i valori della competitività legati alle persone. Un terreno con cui, peraltro, hanno da tempo una robusta confidenza.

Una conferma arriva dai nuovi indici di sostenibilità del Dow Jones, che segnala ogni anno le migliori imprese internazionali in termini di sostenibilità. Stavolta, in cima c’è l’Enel, con un punteggio altissimo, per la strategia climatica e le opportunità di mercato nel guidare la transizione verso un modello energetico a basse emissioni di CO2. Altre imprese sono ai vertici di sostenibilità per i loro settori: nell’industria, Pirelli è ancora una volta leader per il settore Automobiles & Components. Moncler è al primo posto tra le aziende tessili e del lusso. E ai vertici dei loro settori ci sono anche Intesa Sanpaolo, Poste ed Hera. E’ “un’onda verde nelle aziende che piace agli investitori”, titola “La Stampa” (15 novembre), ricordando come appunto il Dow Jones Sustenaibility Index e e il DJ Europe di S&P Global guidino gli investimenti dei grandi operatori internazionali.

Il successo delle imprese italiane, d’altronde, è legato a una scelta strategica, nel considerare la sostenibilità come un asset fondamentale, un cardine della propria competitività, frutto di una serie di impegni maturati nel tempo e via via affinati nei giudizi dei mercati e nelle valutazioni di tutti gli stakeholders : dipendenti, clienti, fornitori, cittadini dei territori con cui l’impresa è in rapporto. Valori forti, con positive ricadute economiche e sociali.

Torna “Parole Insieme” in streaming:
un nuovo incontro con il vincitore del premio Campiello 2020

Un nuovo appuntamento per il ciclo di “Parole Insieme”, il programma di incontri con gli autori rivolto ai lettori Pirelli, che quest’anno si presenta con un nuovo formato digitale: una serie di conversazioni, disponibili in streaming.

Questa volta a dialogare con il Direttore della Fondazione Pirelli, Antonio Calabrò, è lo scrittore Remo Rapino, vincitore del prestigioso Premio Campiello, del quale Pirelli è stato sponsor per l’edizione 2020. In questo nuovo appuntamento si parla del libro “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” e di come la letteratura, attraverso la narrazione delle storie di figure marginali come quella di Liborio, riesca “a dare voce a chi voce non ha”.

Il libro ripercorre la storia di Bonfiglio Liborio, personaggio ormai ottantenne che decide di mettere mano a un quaderno con le righe ben dritte e a una bella penna Bic nera e di raccontare la sua vita, a partire dal padre mai conosciuto, ma di cui gli hanno detto che porta gli occhi. I suoi ricordi di quasi un secolo di vita si intrecciano con gli eventi della storia d’Italia di quegli anni. Remo Rapino scrive questo romanzo con un linguaggio che mischia italiano, espressioni dialettali e gergali, neologismi. Il Liborio di Rapino è un escluso, vive ai margini della società: una figura che si muove negli interstizi dalla storia, in un mondo che sembra non accorgersi della sua presenza.

Per guardare il video dell’incontro clicca qui.

Buona lettura, e buona visione!

Un nuovo appuntamento per il ciclo di “Parole Insieme”, il programma di incontri con gli autori rivolto ai lettori Pirelli, che quest’anno si presenta con un nuovo formato digitale: una serie di conversazioni, disponibili in streaming.

Questa volta a dialogare con il Direttore della Fondazione Pirelli, Antonio Calabrò, è lo scrittore Remo Rapino, vincitore del prestigioso Premio Campiello, del quale Pirelli è stato sponsor per l’edizione 2020. In questo nuovo appuntamento si parla del libro “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” e di come la letteratura, attraverso la narrazione delle storie di figure marginali come quella di Liborio, riesca “a dare voce a chi voce non ha”.

Il libro ripercorre la storia di Bonfiglio Liborio, personaggio ormai ottantenne che decide di mettere mano a un quaderno con le righe ben dritte e a una bella penna Bic nera e di raccontare la sua vita, a partire dal padre mai conosciuto, ma di cui gli hanno detto che porta gli occhi. I suoi ricordi di quasi un secolo di vita si intrecciano con gli eventi della storia d’Italia di quegli anni. Remo Rapino scrive questo romanzo con un linguaggio che mischia italiano, espressioni dialettali e gergali, neologismi. Il Liborio di Rapino è un escluso, vive ai margini della società: una figura che si muove negli interstizi dalla storia, in un mondo che sembra non accorgersi della sua presenza.

Per guardare il video dell’incontro clicca qui.

Buona lettura, e buona visione!

“Buona economia” per tutti

L’ultimo libro di due premi Nobel, racconta e interpreta la realtà analizzandone i problemi ma soprattutto le soluzioni

L’economia come strumento per “rimettere al centro” la dignità della persona. Traguardo che dovrebbe essere di tutti (e che così invece non è), così come dovrebbe essere nella natura di ogni organizzazione sociale, oppure della produzione, lavorare per il benessere della comunità. “Buona economia” contro “cattiva economia”, ma anche antitetica ad una “economia con il paraocchi” oppure “cieca”. Su tutto, poi, la necessità di avere una consapevolezza avveduta di cosa si muove attorno al luogo dove si vive e si lavora. Condizione, quest’ultima, necessaria ancora una volta a tutti. Leggere “Una buona economia per tempi difficili” scritto dai due premi Nobel Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo, serve proprio per crearsi quel bagaglio di conoscenze utili a costruire una visione della realtà che sia attenta e critica.

Il libro affronta i grandi temi dell’economia e della società globali e in particolare quelli della disuguaglianza, del commercio internazionale, dell’impatto delle tecnologie sul lavoro, della diffusione della povertà nel mondo. E lo fa, tra l’altro, con un linguaggio leggibile ma esatto, vivace ma mai scontato e banale. Sotto la lente dei due economisti, quindi, passano otto grandi argomenti: le migrazioni, il mercato, i meccanismi di scelta, il benessere, il clima, il lavoro, il ruolo della politica, il significato del welfare.

Il libro di Banerjee e Duflo pone molti problemi, ma non è un racconto pessimista. “Abbiamo scritto questo libro – spiegano i due all’inizio -, per aggrapparci alla speranza. Per riepilogare la storia di quello che è andato storto e perché è andato storto, ma anche per ricordarci di tutto quello che è andato per il verso giusto. Un libro che parla sia dei problemi sia di quello che possiamo fare per rimettere insieme il nostro mondo, se riusciremo a fare una diagnosi onesta”. E proprio l’onestà unità alla libertà, alla giustizia, all’attenzione verso gli altri, alla limpidezza delle scelte e al rispetto di ogni persona, sono alcuni dei concetti chiave che si rincorrono nelle circa 400 pagine del libro (che si leggono quasi fossero quelle di un racconto e non di un manuale di economia).

Bellissimo uno dei passaggi finali: “L’unica risorsa che abbiamo contro le idee cattive è essere vigili, resistere alla seduzione dell’ovvio, guardare con scetticismo ai miracoli promessi, mettere in discussione l’evidenza, affrontare con pazienza la complessità ed essere onesti sulle cose che sappiamo e quelle che non sappiamo”.

Libro tutto da leggere e da rileggere, quello di Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo.

Una buona economia per tempi difficili

Abhijit V. Banerjee, Esther Duflo

Laterza, 2020

L’ultimo libro di due premi Nobel, racconta e interpreta la realtà analizzandone i problemi ma soprattutto le soluzioni

L’economia come strumento per “rimettere al centro” la dignità della persona. Traguardo che dovrebbe essere di tutti (e che così invece non è), così come dovrebbe essere nella natura di ogni organizzazione sociale, oppure della produzione, lavorare per il benessere della comunità. “Buona economia” contro “cattiva economia”, ma anche antitetica ad una “economia con il paraocchi” oppure “cieca”. Su tutto, poi, la necessità di avere una consapevolezza avveduta di cosa si muove attorno al luogo dove si vive e si lavora. Condizione, quest’ultima, necessaria ancora una volta a tutti. Leggere “Una buona economia per tempi difficili” scritto dai due premi Nobel Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo, serve proprio per crearsi quel bagaglio di conoscenze utili a costruire una visione della realtà che sia attenta e critica.

Il libro affronta i grandi temi dell’economia e della società globali e in particolare quelli della disuguaglianza, del commercio internazionale, dell’impatto delle tecnologie sul lavoro, della diffusione della povertà nel mondo. E lo fa, tra l’altro, con un linguaggio leggibile ma esatto, vivace ma mai scontato e banale. Sotto la lente dei due economisti, quindi, passano otto grandi argomenti: le migrazioni, il mercato, i meccanismi di scelta, il benessere, il clima, il lavoro, il ruolo della politica, il significato del welfare.

Il libro di Banerjee e Duflo pone molti problemi, ma non è un racconto pessimista. “Abbiamo scritto questo libro – spiegano i due all’inizio -, per aggrapparci alla speranza. Per riepilogare la storia di quello che è andato storto e perché è andato storto, ma anche per ricordarci di tutto quello che è andato per il verso giusto. Un libro che parla sia dei problemi sia di quello che possiamo fare per rimettere insieme il nostro mondo, se riusciremo a fare una diagnosi onesta”. E proprio l’onestà unità alla libertà, alla giustizia, all’attenzione verso gli altri, alla limpidezza delle scelte e al rispetto di ogni persona, sono alcuni dei concetti chiave che si rincorrono nelle circa 400 pagine del libro (che si leggono quasi fossero quelle di un racconto e non di un manuale di economia).

Bellissimo uno dei passaggi finali: “L’unica risorsa che abbiamo contro le idee cattive è essere vigili, resistere alla seduzione dell’ovvio, guardare con scetticismo ai miracoli promessi, mettere in discussione l’evidenza, affrontare con pazienza la complessità ed essere onesti sulle cose che sappiamo e quelle che non sappiamo”.

Libro tutto da leggere e da rileggere, quello di Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo.

Una buona economia per tempi difficili

Abhijit V. Banerjee, Esther Duflo

Laterza, 2020

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?