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Covid-19, a che punto è l’economia

Una lucida analisi del Direttore generale di Banca d’Italia fornisce gli elementi chiave per capire meglio

Capire la situazione, adottare le misure più efficaci, metterle in pratica con efficienza. Tre passi per affrontare ogni crisi. Tappe successive che valgono anche in una situazione complessa come quella generate da Covid-19, ma che, a ben vedere, dovrebbero essere seguite sempre e da ogni organizzazione. Le analisi affidabili, dunque, sono la base per qualsiasi decisione. “Farsi un’idea precisa”, verrebbe da dire, è fondamentale. A questo si arriva leggendo l’intervento del Direttore generale di Banca d’Italia, Daniele Franco, in occasione della 52a Giornata del Credito.

“L’economia italiana e la pandemia” è una lucida sintesi di quanto è accaduto, di quanto accade e di quanto potrebbe accadere. Franco parte da una considerazione: “La recessione di quest’anno ha cause (la pandemia da Covid-19) del tutto diverse dalle tensioni del 2011, connotate dalla crisi dei debiti sovrani, che faceva seguito alla grande recessione del 2008-09. Tuttavia, ora come allora l’Italia si trova a gestire uno shock esogeno con un’economia che fatica strutturalmente a crescere e con una finanza pubblica molto indebitata”. E’ da queste righe che Franco inizia una analisi puntuale che prende in considerazione prima la recessione mondiale e le azioni intraprese dai diversi governi, poi quanto fatto dalle banche centrali. Successivamente, il Direttore della banca centrale italiana si sofferma sulle conseguenze sul lavoro e sugli ultimi sviluppi congiunturale della situazione. Risparmio, credito e investimenti, quindi, vengono approfonditi singolarmente, oltre ai problemi strutturali dell’economia italiana, per arrivare quindi a focalizzare alcuni punti sui quali è più importante intervenire con grande decisione. Tra questi, Franco individua la necessità di porre attenzione ai giovani. Viene spiegato nelle battute finali della ricerca: “La pandemia e la recessione tendono (…) ad accentuare gli squilibri generazionali, che erano già significativi, per effetto, per esempio, dell’aumento della disoccupazione giovanile, del debito pubblico, dell’incidenza della spesa per pensioni”. Sottolineato tutto questo, Daniele Franco insiste: “Con la crisi si ampliano inoltre i divari di opportunità fra chi può lavorare anche in delocalizzato e chi non può farlo, tra chi è impegnato in attività essenziali e chi in settori in cui la pandemia ostacola la produzione e il consumo. È importante che la risposta data nell’emergenza con l’aumento temporaneo dei sussidi sia ricondotta a un disegno organico e coerente, che per il futuro limiti le distorsioni e renda la crescita più inclusiva. Il disegno degli strumenti di welfare e dell’intero sistema fiscale sono quindi da considerare componenti essenziali di un progetto di rilancio dell’economia italiana, che sappia coniugare maggior crescita e maggiore equità”.

L’economia italiana e la pandemia

Intervento di Daniele Franco (Direttore Generale della Banca d’Italia)

52a Giornata del Credito, Roma, 5 novembre 2020

Una lucida analisi del Direttore generale di Banca d’Italia fornisce gli elementi chiave per capire meglio

Capire la situazione, adottare le misure più efficaci, metterle in pratica con efficienza. Tre passi per affrontare ogni crisi. Tappe successive che valgono anche in una situazione complessa come quella generate da Covid-19, ma che, a ben vedere, dovrebbero essere seguite sempre e da ogni organizzazione. Le analisi affidabili, dunque, sono la base per qualsiasi decisione. “Farsi un’idea precisa”, verrebbe da dire, è fondamentale. A questo si arriva leggendo l’intervento del Direttore generale di Banca d’Italia, Daniele Franco, in occasione della 52a Giornata del Credito.

“L’economia italiana e la pandemia” è una lucida sintesi di quanto è accaduto, di quanto accade e di quanto potrebbe accadere. Franco parte da una considerazione: “La recessione di quest’anno ha cause (la pandemia da Covid-19) del tutto diverse dalle tensioni del 2011, connotate dalla crisi dei debiti sovrani, che faceva seguito alla grande recessione del 2008-09. Tuttavia, ora come allora l’Italia si trova a gestire uno shock esogeno con un’economia che fatica strutturalmente a crescere e con una finanza pubblica molto indebitata”. E’ da queste righe che Franco inizia una analisi puntuale che prende in considerazione prima la recessione mondiale e le azioni intraprese dai diversi governi, poi quanto fatto dalle banche centrali. Successivamente, il Direttore della banca centrale italiana si sofferma sulle conseguenze sul lavoro e sugli ultimi sviluppi congiunturale della situazione. Risparmio, credito e investimenti, quindi, vengono approfonditi singolarmente, oltre ai problemi strutturali dell’economia italiana, per arrivare quindi a focalizzare alcuni punti sui quali è più importante intervenire con grande decisione. Tra questi, Franco individua la necessità di porre attenzione ai giovani. Viene spiegato nelle battute finali della ricerca: “La pandemia e la recessione tendono (…) ad accentuare gli squilibri generazionali, che erano già significativi, per effetto, per esempio, dell’aumento della disoccupazione giovanile, del debito pubblico, dell’incidenza della spesa per pensioni”. Sottolineato tutto questo, Daniele Franco insiste: “Con la crisi si ampliano inoltre i divari di opportunità fra chi può lavorare anche in delocalizzato e chi non può farlo, tra chi è impegnato in attività essenziali e chi in settori in cui la pandemia ostacola la produzione e il consumo. È importante che la risposta data nell’emergenza con l’aumento temporaneo dei sussidi sia ricondotta a un disegno organico e coerente, che per il futuro limiti le distorsioni e renda la crescita più inclusiva. Il disegno degli strumenti di welfare e dell’intero sistema fiscale sono quindi da considerare componenti essenziali di un progetto di rilancio dell’economia italiana, che sappia coniugare maggior crescita e maggiore equità”.

L’economia italiana e la pandemia

Intervento di Daniele Franco (Direttore Generale della Banca d’Italia)

52a Giornata del Credito, Roma, 5 novembre 2020

La Settimana della cultura d’impresa con 130 incontri digitali: si parla di sviluppo sostenibile e “avvenire della memoria”

Nel capitale sociale dell’Italia ci sono creatività e intraprendenza, gusto della scoperta e passione per il “bello e ben fatto”, amore per le tradizioni e, contemporaneamente, ambizione per il cambiamento. La storia e il futuro. O, per azzardare una sintesi d’impatto, “l’avvenire della memoria”. Sono caratteristiche che ben rappresentano anche un soggetto che di quel capitale sociale è tra i principali protagonisti: l’impresa. E, strettamente connesso, il lavoro.

Capitale Italia” è il titolo della nuova Settimana della Cultura d’impresa, organizzata da Confindustria e Museimpresa e arrivata alla sua XIX edizione. “Capitale” con un fantasioso gioco semantico. “L’Italia come un’unica grande capitale, una realtà che genera il made in Italy, quel nostro modo di produrre, unico al mondo, dove si unisce al prodotto un contenuto impalpabile di cultura e di valori”, spiega Maria Cristina Piovesana, vicepresidente di Confindustria, con la delega per i temi dell’ambiente, della sostenibilità e della cultura (“Il Sole24Ore”, 8 novembre). Ma anche, appunto, come “capitale sociale” a disposizione dell’Italia e dell’Europa, per cercare di definire e mettere in atto nuovi paradigmi di sviluppo sostenibile: la leva forte della nostra “cultura politecnica” che, proprio nelle imprese, sa costruire sintesi originali di sapienza umanistica e conoscenze scientifiche e tecnologiche, su cui, appunto, si basa la nostra migliore competitività.

Dunque, “Capitale Italia” ovvero “la cultura imprenditoriale per la rinascita del Paese”, per questa Settimana cominciata pochi giorni fa, il 5 novembre e destinata ad andare avanti sino al 20 novembre, una settimana molto lunga, guardando le date, addirittura sino al doppio, densa com’è di oltre 130 appuntamenti  (ecco il link per le informazioni https://museimpresa.com/settimana-cultura/ e il link al palinsesto: https://museimpresa.com/programma-20 ) tra dibattiti, webinar, tour digitali di musei e archivi d’impresa e dialoghi a distanza con le scuole, tra cui quello che sta al centro del Pmi Day, la tradizionale giornata in cui le piccole e medie imprese incontrano studenti e professori, per discutere insieme sui valori dell’impresa e sull’importanza fondamentale della formazione, in un rapporto essenziale tra scuola e lavoro. Di nuovo la “cultura politecnica”, appunto.

Quest’anno, la Settimana della cultura d’impresa si carica di valenze particolari. Siamo, infatti, ancora nel cuore d’una crisi segnata dalle connessioni dolorose e drammatiche tra la pandemia da Covid19 e la recessione. E vediamo emergere tutte le fragilità sociali ed economiche di meccanismi di sviluppo disattenti ai grandi temi dei beni comuni: la salute e una sanità che non si limiti alla cura ma sappia dare risposte sia di prevenzione sia di intervento efficace per le emergenze; l’attenzione all’ambiente, sapendo che “non si può rimanere sempre sani in un mondo malato”, per usare le parole di Papa Francesco; l’impegno per ridurre le disuguaglianze sociali e i divari educativi e culturali.

Abbiamo vissuto nell’illusione di un progresso inarrestabile e di una globalizzazione sempre positiva per tutti. Abbiamo scambiato gli interessi del free trade (il libero scambio ossessivo, che ha premiato solo i paesi più forti e aperto la strada alle manovre più spregiudicate della speculazione finanziaria) con i valori del fair trade, un sistema di relazioni di produzione e di scambio attente alle esigenze delle persone, dei territori, delle regole dei mercati secondo codici internazionali equilibrati (i meccanismi della Wto mandati in crisi dalle guerre commerciali, dalle prepotenze asimmetriche dei più grandi, dai guasti di “America first” e Brexit, etc.). E adesso è tempo d’un radicale “cambio di paradigma” per un’economia più “giusta”, sostenibile, circolare, inclusiva, insomma una “economia civile”, per riprendere la lezione di Antonio Genovesi, illuminista, essenziale riferimento culturale del padre dell’economia liberale, Adam Smith e, un paio di secoli dopo, del maestro del liberalismo con forti venature sociali, John Maynard Keynes.

La pandemia accelera le trasformazioni necessarie. E giustamente si parla di “una nuova Bretton Woods”, di una nuova stagione di accordi internazionali come quelli che, nel dopoguerra, garantirono una lunga stagione di crescita economica e prosperità.

Sono questioni politiche di gran peso, naturalmente. Sfide di portata globale, cui l’Unione Europea mostra finalmente una significativa capacità di risposta, con il Recovery Plan Next Generation, fondato su green economy e digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con attenzione per la conoscenza, la scienza, la scuola e la formazione di lungo periodo. E, naturalmente, sfide che proprio qui in Italia vede le imprese in primo piano, come attori fondamentali dei progetti e delle iniziative di sviluppo sostenibile.

“L’impresa è perno del rilancio sul territorio, il soggetto cardine di una comunità, il punto di riferimento per la crescita e per garantire la pace sociale, fattore importantissimo, specie in questo periodo”, sostiene ancora Maria Cristina Piovesana. E sta proprio alle imprese, con i loro investimenti e il loro lavoro, dare un contributo forte per fare uscire finalmente l’Italia dalla lunga crisi della produttività (addirittura sotto zero, secondo gli ultimi dati Istat sul 2019, dopo un ventennio di stagnazione, mentre gli altri paesi Ue sono cresciuti in media dell’1,6%) e dunque dalla palude della mancata crescita economica e sociale.

Le imprese sono, appunto, segnate da innovazione, ricchezza, benessere diffuso e inclusione sociale. Competitività e solidarietà. Un motore fondamentale, dunque, del cambiamento positivo. E i loro valori, la concorrenza corretta negli ambiti della legalità, il mercato, il premio al merito, la produttività da far crescere, con ricadute positive sui salari, il gusto del “fare, e fare bene”, per costruire equilibri migliori sono oggi elementi fondamentali non solo di crescita economica, ma anche di migliori assetti civili. Cultura d’impresa, dunque, come lievito di nuovi equilibri sociali.

L’Italia ha sempre mostrato una sofisticata capacità di resilienza. Dalle crisi (la recessione dopo il boom degli anni Cinquanta, la crisi petrolifera del 1973 e gli “anni di piombo”, le illusioni degli anni 80, il dramma del 1992 tra tangentopoli, bombe mafiose e crollo del valore della lira, il disastro finanziario del 2008) si è sempre ripresa e ricostruita, pur se faticosamente. Ci riusciremo anche stavolta, grazie a quella “cultura politecnica” di cui abbiamo parlato e alla capacità di fare vivere concretamente un “umanesimo industriale” in cui le radici del saper fare rafforzano l’intraprendente ambizione verso un migliore futuro.

Dalla documentazione del passato custodite grazie all’impegno delle imprese e degli archivi e musei, adesso è necessario cogliere le chiavi per superare questa ennesima sfida, consapevoli che non si può essere resilienti senza innovare e viceversa è impensabile essere innovativi senza essere resilienti nei periodi di crisi e di difficoltà. La nostra cultura d’impresa, insomma, racconta come si tengono insieme conoscenze, tecnologie, valori personali e sociali, produttività. Dimensioni fondamentali, in tempi di crisi. Cardini del nostro migliore capitale sociale.

Nel capitale sociale dell’Italia ci sono creatività e intraprendenza, gusto della scoperta e passione per il “bello e ben fatto”, amore per le tradizioni e, contemporaneamente, ambizione per il cambiamento. La storia e il futuro. O, per azzardare una sintesi d’impatto, “l’avvenire della memoria”. Sono caratteristiche che ben rappresentano anche un soggetto che di quel capitale sociale è tra i principali protagonisti: l’impresa. E, strettamente connesso, il lavoro.

Capitale Italia” è il titolo della nuova Settimana della Cultura d’impresa, organizzata da Confindustria e Museimpresa e arrivata alla sua XIX edizione. “Capitale” con un fantasioso gioco semantico. “L’Italia come un’unica grande capitale, una realtà che genera il made in Italy, quel nostro modo di produrre, unico al mondo, dove si unisce al prodotto un contenuto impalpabile di cultura e di valori”, spiega Maria Cristina Piovesana, vicepresidente di Confindustria, con la delega per i temi dell’ambiente, della sostenibilità e della cultura (“Il Sole24Ore”, 8 novembre). Ma anche, appunto, come “capitale sociale” a disposizione dell’Italia e dell’Europa, per cercare di definire e mettere in atto nuovi paradigmi di sviluppo sostenibile: la leva forte della nostra “cultura politecnica” che, proprio nelle imprese, sa costruire sintesi originali di sapienza umanistica e conoscenze scientifiche e tecnologiche, su cui, appunto, si basa la nostra migliore competitività.

Dunque, “Capitale Italia” ovvero “la cultura imprenditoriale per la rinascita del Paese”, per questa Settimana cominciata pochi giorni fa, il 5 novembre e destinata ad andare avanti sino al 20 novembre, una settimana molto lunga, guardando le date, addirittura sino al doppio, densa com’è di oltre 130 appuntamenti  (ecco il link per le informazioni https://museimpresa.com/settimana-cultura/ e il link al palinsesto: https://museimpresa.com/programma-20 ) tra dibattiti, webinar, tour digitali di musei e archivi d’impresa e dialoghi a distanza con le scuole, tra cui quello che sta al centro del Pmi Day, la tradizionale giornata in cui le piccole e medie imprese incontrano studenti e professori, per discutere insieme sui valori dell’impresa e sull’importanza fondamentale della formazione, in un rapporto essenziale tra scuola e lavoro. Di nuovo la “cultura politecnica”, appunto.

Quest’anno, la Settimana della cultura d’impresa si carica di valenze particolari. Siamo, infatti, ancora nel cuore d’una crisi segnata dalle connessioni dolorose e drammatiche tra la pandemia da Covid19 e la recessione. E vediamo emergere tutte le fragilità sociali ed economiche di meccanismi di sviluppo disattenti ai grandi temi dei beni comuni: la salute e una sanità che non si limiti alla cura ma sappia dare risposte sia di prevenzione sia di intervento efficace per le emergenze; l’attenzione all’ambiente, sapendo che “non si può rimanere sempre sani in un mondo malato”, per usare le parole di Papa Francesco; l’impegno per ridurre le disuguaglianze sociali e i divari educativi e culturali.

Abbiamo vissuto nell’illusione di un progresso inarrestabile e di una globalizzazione sempre positiva per tutti. Abbiamo scambiato gli interessi del free trade (il libero scambio ossessivo, che ha premiato solo i paesi più forti e aperto la strada alle manovre più spregiudicate della speculazione finanziaria) con i valori del fair trade, un sistema di relazioni di produzione e di scambio attente alle esigenze delle persone, dei territori, delle regole dei mercati secondo codici internazionali equilibrati (i meccanismi della Wto mandati in crisi dalle guerre commerciali, dalle prepotenze asimmetriche dei più grandi, dai guasti di “America first” e Brexit, etc.). E adesso è tempo d’un radicale “cambio di paradigma” per un’economia più “giusta”, sostenibile, circolare, inclusiva, insomma una “economia civile”, per riprendere la lezione di Antonio Genovesi, illuminista, essenziale riferimento culturale del padre dell’economia liberale, Adam Smith e, un paio di secoli dopo, del maestro del liberalismo con forti venature sociali, John Maynard Keynes.

La pandemia accelera le trasformazioni necessarie. E giustamente si parla di “una nuova Bretton Woods”, di una nuova stagione di accordi internazionali come quelli che, nel dopoguerra, garantirono una lunga stagione di crescita economica e prosperità.

Sono questioni politiche di gran peso, naturalmente. Sfide di portata globale, cui l’Unione Europea mostra finalmente una significativa capacità di risposta, con il Recovery Plan Next Generation, fondato su green economy e digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con attenzione per la conoscenza, la scienza, la scuola e la formazione di lungo periodo. E, naturalmente, sfide che proprio qui in Italia vede le imprese in primo piano, come attori fondamentali dei progetti e delle iniziative di sviluppo sostenibile.

“L’impresa è perno del rilancio sul territorio, il soggetto cardine di una comunità, il punto di riferimento per la crescita e per garantire la pace sociale, fattore importantissimo, specie in questo periodo”, sostiene ancora Maria Cristina Piovesana. E sta proprio alle imprese, con i loro investimenti e il loro lavoro, dare un contributo forte per fare uscire finalmente l’Italia dalla lunga crisi della produttività (addirittura sotto zero, secondo gli ultimi dati Istat sul 2019, dopo un ventennio di stagnazione, mentre gli altri paesi Ue sono cresciuti in media dell’1,6%) e dunque dalla palude della mancata crescita economica e sociale.

Le imprese sono, appunto, segnate da innovazione, ricchezza, benessere diffuso e inclusione sociale. Competitività e solidarietà. Un motore fondamentale, dunque, del cambiamento positivo. E i loro valori, la concorrenza corretta negli ambiti della legalità, il mercato, il premio al merito, la produttività da far crescere, con ricadute positive sui salari, il gusto del “fare, e fare bene”, per costruire equilibri migliori sono oggi elementi fondamentali non solo di crescita economica, ma anche di migliori assetti civili. Cultura d’impresa, dunque, come lievito di nuovi equilibri sociali.

L’Italia ha sempre mostrato una sofisticata capacità di resilienza. Dalle crisi (la recessione dopo il boom degli anni Cinquanta, la crisi petrolifera del 1973 e gli “anni di piombo”, le illusioni degli anni 80, il dramma del 1992 tra tangentopoli, bombe mafiose e crollo del valore della lira, il disastro finanziario del 2008) si è sempre ripresa e ricostruita, pur se faticosamente. Ci riusciremo anche stavolta, grazie a quella “cultura politecnica” di cui abbiamo parlato e alla capacità di fare vivere concretamente un “umanesimo industriale” in cui le radici del saper fare rafforzano l’intraprendente ambizione verso un migliore futuro.

Dalla documentazione del passato custodite grazie all’impegno delle imprese e degli archivi e musei, adesso è necessario cogliere le chiavi per superare questa ennesima sfida, consapevoli che non si può essere resilienti senza innovare e viceversa è impensabile essere innovativi senza essere resilienti nei periodi di crisi e di difficoltà. La nostra cultura d’impresa, insomma, racconta come si tengono insieme conoscenze, tecnologie, valori personali e sociali, produttività. Dimensioni fondamentali, in tempi di crisi. Cardini del nostro migliore capitale sociale.

Fabbriche e archivi via alle visite online

Dalla Campari alla Pirelli viaggio virtuale

Nei nostri musei c’è l’avvenire della memoria

Qualità e ambiente le sfide del futuro. Da oggi la Settimana della Cultura d’impresa

Musei e archivi delle imprese viaggio infinito

Pirelli e #IOLEGGOPERCHÉ 2020: un libro unisce sempre

Torna l’appuntamento con ##IOLEGGOPERCHÉ, la più grande iniziativa nazionale di promozione della lettura organizzata dall’AIE – Associazione Italiana Editori, quest’anno per la prima volta insieme al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e al Centro per il Libro e la Lettura e in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. Il progetto, che ha l’obiettivo di coinvolgere nuovi lettori con le creazione e il potenziamento delle biblioteche scolastiche, nel 2019 ha interessato 15mila scuole e oltre 3milioni di ragazzi e in 4 anni, grazie all’impegno di studenti, librai, editori, genitori e insegnanti, ha portato oltre 1 milione di nuovi libri nelle biblioteche italiane. Lo scorso anno “Facciamo squadra con i libri” è stato un incontro partecipato nel nostro Auditorium con oltre 300 studenti, mentre sul palco si alternavano Javier Zanetti, Luigi Garlando, Regina Baresi e Mario Isola. E anche quest’anno l’impegno di Pirelli prosegue per sostenere #ioleggoperché e diffondere la passione della lettura tra i più giovani, invitando tutti ad acquistare un libro da donare a una scuola.

La donazione potrà avvenire anche a distanza: in questa quinta edizione, infatti, sul sito di #IOLEGGOPERCHÉ sono segnalate tutte le librerie che si sono organizzate per l’acquisto di un libro ‘da casa’, insieme all’elenco delle scuole che aderiscono al progetto.

Alla fine della campagna anche gli editori contribuiranno donando fino a 100.000 ulteriori libri alle scuole che ne faranno richiesta.

Partecipate numerosi! Perché un libro unisce sempre, anche a distanza.

Torna l’appuntamento con ##IOLEGGOPERCHÉ, la più grande iniziativa nazionale di promozione della lettura organizzata dall’AIE – Associazione Italiana Editori, quest’anno per la prima volta insieme al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo e al Centro per il Libro e la Lettura e in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. Il progetto, che ha l’obiettivo di coinvolgere nuovi lettori con le creazione e il potenziamento delle biblioteche scolastiche, nel 2019 ha interessato 15mila scuole e oltre 3milioni di ragazzi e in 4 anni, grazie all’impegno di studenti, librai, editori, genitori e insegnanti, ha portato oltre 1 milione di nuovi libri nelle biblioteche italiane. Lo scorso anno “Facciamo squadra con i libri” è stato un incontro partecipato nel nostro Auditorium con oltre 300 studenti, mentre sul palco si alternavano Javier Zanetti, Luigi Garlando, Regina Baresi e Mario Isola. E anche quest’anno l’impegno di Pirelli prosegue per sostenere #ioleggoperché e diffondere la passione della lettura tra i più giovani, invitando tutti ad acquistare un libro da donare a una scuola.

La donazione potrà avvenire anche a distanza: in questa quinta edizione, infatti, sul sito di #IOLEGGOPERCHÉ sono segnalate tutte le librerie che si sono organizzate per l’acquisto di un libro ‘da casa’, insieme all’elenco delle scuole che aderiscono al progetto.

Alla fine della campagna anche gli editori contribuiranno donando fino a 100.000 ulteriori libri alle scuole che ne faranno richiesta.

Partecipate numerosi! Perché un libro unisce sempre, anche a distanza.

Fondazione Pirelli alla XIX Settimana della Cultura d’Impresa

Anche quest’anno Fondazione Pirelli partecipa alla Settimana della Cultura d’Impresa, la rassegna di eventi ed iniziative sulla cultura imprenditoriale promossa da Museimpresa, quest’anno giunta alla sua XIX edizione.

Fondazione Pirelli sarà presente anche con la seguente iniziativa:

Giallo in archivio: sulle tracce del Cinturato Pirelli

Un mistero tra arte e storia da scoprire online

Mercoledì 18 novembre 2020 – Ore 19.00

Un tour virtuale, organizzato in collaborazione con l’associazione culturale Dramatrà, che porta i partecipanti in un viaggio nel tempo, addirittura fino all’anno 2120, quando l’inarrestabile ingegnere K. Pneumad, ricercatore di una nota azienda internazionale, è determinato a impedire lo sviluppo del celebre Cinturato al fine di eliminare il suo più temibile concorrente. Attraverso un gioco di squadra i partecipanti dovranno esplorare presente e passato della Pirelli, così da trovare indizi, nascosti nei materiali dell’archivio storico, che permetteranno di risolvere il mistero e di respingere la minaccia dal futuro…

Per partecipare scrivere a visite@fondazionepirelli.org entro lunedì 16 novembre 2020 alle ore 12.00 indicando numero, nome, cognome ed età dei partecipanti. La partecipazione è consentita a squadre formate da uno a più componenti. Nei giorni precedenti all’iniziativa i partecipanti riceveranno via e-mail alcuni indizi per prepararsi al gioco.

Vi aspettiamo

Fondazione Pirelli

Anche quest’anno Fondazione Pirelli partecipa alla Settimana della Cultura d’Impresa, la rassegna di eventi ed iniziative sulla cultura imprenditoriale promossa da Museimpresa, quest’anno giunta alla sua XIX edizione.

Fondazione Pirelli sarà presente anche con la seguente iniziativa:

Giallo in archivio: sulle tracce del Cinturato Pirelli

Un mistero tra arte e storia da scoprire online

Mercoledì 18 novembre 2020 – Ore 19.00

Un tour virtuale, organizzato in collaborazione con l’associazione culturale Dramatrà, che porta i partecipanti in un viaggio nel tempo, addirittura fino all’anno 2120, quando l’inarrestabile ingegnere K. Pneumad, ricercatore di una nota azienda internazionale, è determinato a impedire lo sviluppo del celebre Cinturato al fine di eliminare il suo più temibile concorrente. Attraverso un gioco di squadra i partecipanti dovranno esplorare presente e passato della Pirelli, così da trovare indizi, nascosti nei materiali dell’archivio storico, che permetteranno di risolvere il mistero e di respingere la minaccia dal futuro…

Per partecipare scrivere a visite@fondazionepirelli.org entro lunedì 16 novembre 2020 alle ore 12.00 indicando numero, nome, cognome ed età dei partecipanti. La partecipazione è consentita a squadre formate da uno a più componenti. Nei giorni precedenti all’iniziativa i partecipanti riceveranno via e-mail alcuni indizi per prepararsi al gioco.

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Affrontare l’insicurezza

L’ultimo libro di G. E. Rusconi racconta il mondo attuale e riporta all’importanza della razionalità e della ragionevolezza

 

 

Essere razionali e ragionevoli. Affrontare con attenzione e solidarietà una situazione inaspettata e globale. Sono le indicazioni da seguire per chi voglia rispondere adeguatamente alla situazione d’emergenza che (ormai da mesi, in effetti), attanaglia tutti. Sfida globale, quella di Covid-19, alla quale anche le imprese e chi le governa, così come le istituzioni e i singoli sono chiamati a rispondere con un livello senza pari nei tempi recenti della storia. Leggere “Vivere nell’insicurezza”, scritto da Gian Enrico Rusconi e appena pubblicato, serve moltissimo per dotarsi di una luce in più utile a percorrere un sentiero impervio come quello che – volenti o nolenti – si è obbligati a seguire.

Rusconi mette in fila una serie di ragionamenti – e provocazioni -, partendo dal concetto duplice di sicurezza e insicurezza. E’ da questo binomio che l’autore alza subito il suo sguardo prima sulle conseguenze di Covid-19 a carico dello Stato e del welfare, per passare poi alla geopolitica  e quindi alla situazione dell’Europa. Il libro, poi, si conclude con una serie di indicazioni che ruotano sui ruoli della scienza, della politica e della razionalità di fronte alla pandemia e alle nuove situazioni alle quali la società è chiamata a rispondere.

Il messaggio del libro (nemmeno 150 pagine da leggere con attenzione), è semplice: se prima del febbraio 2020 il mondo si confrontava con problemi tutto sommato conosciuti, dopo quella data Covid-19 ha creato una condizione pressoché nuova e globale, che ha travalicato prestissimo la dimensione sanitaria per trasformarsi in emergenza economica, sociale e politica. Proprio superando ogni confine, la crisi modifica la percezione della sicurezza nel sentire collettivo, ma soprattutto sembra cambiare le relazioni che definivano le condizioni stesse della sicurezza nazionale e internazionale.

Di fronte a tutto questo che fare? Rusconi rimette in gioco allora il senso di razionalità come unica risorsa che abbiamo per contrastare il mondo di insicurezze in cui dovremo vivere. L’ultimo passo del libro dice: “La razionalità/ragionevolezza (…) è l’unica risorsa che abbiamo per reagire adeguatamente e contrastare il mondo di insicurezza in cui continuiamo a vivere”. Un’indicazione che fa bene a tutti.

Vivere nell’insicurezza

Gian Enrico Rusconi

il Mulino, 2020

L’ultimo libro di G. E. Rusconi racconta il mondo attuale e riporta all’importanza della razionalità e della ragionevolezza

 

 

Essere razionali e ragionevoli. Affrontare con attenzione e solidarietà una situazione inaspettata e globale. Sono le indicazioni da seguire per chi voglia rispondere adeguatamente alla situazione d’emergenza che (ormai da mesi, in effetti), attanaglia tutti. Sfida globale, quella di Covid-19, alla quale anche le imprese e chi le governa, così come le istituzioni e i singoli sono chiamati a rispondere con un livello senza pari nei tempi recenti della storia. Leggere “Vivere nell’insicurezza”, scritto da Gian Enrico Rusconi e appena pubblicato, serve moltissimo per dotarsi di una luce in più utile a percorrere un sentiero impervio come quello che – volenti o nolenti – si è obbligati a seguire.

Rusconi mette in fila una serie di ragionamenti – e provocazioni -, partendo dal concetto duplice di sicurezza e insicurezza. E’ da questo binomio che l’autore alza subito il suo sguardo prima sulle conseguenze di Covid-19 a carico dello Stato e del welfare, per passare poi alla geopolitica  e quindi alla situazione dell’Europa. Il libro, poi, si conclude con una serie di indicazioni che ruotano sui ruoli della scienza, della politica e della razionalità di fronte alla pandemia e alle nuove situazioni alle quali la società è chiamata a rispondere.

Il messaggio del libro (nemmeno 150 pagine da leggere con attenzione), è semplice: se prima del febbraio 2020 il mondo si confrontava con problemi tutto sommato conosciuti, dopo quella data Covid-19 ha creato una condizione pressoché nuova e globale, che ha travalicato prestissimo la dimensione sanitaria per trasformarsi in emergenza economica, sociale e politica. Proprio superando ogni confine, la crisi modifica la percezione della sicurezza nel sentire collettivo, ma soprattutto sembra cambiare le relazioni che definivano le condizioni stesse della sicurezza nazionale e internazionale.

Di fronte a tutto questo che fare? Rusconi rimette in gioco allora il senso di razionalità come unica risorsa che abbiamo per contrastare il mondo di insicurezze in cui dovremo vivere. L’ultimo passo del libro dice: “La razionalità/ragionevolezza (…) è l’unica risorsa che abbiamo per reagire adeguatamente e contrastare il mondo di insicurezza in cui continuiamo a vivere”. Un’indicazione che fa bene a tutti.

Vivere nell’insicurezza

Gian Enrico Rusconi

il Mulino, 2020

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