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Modernità da cambiare

Un libro appena pubblicato propone una lettura e una prospettiva diverse della realtà

Cambio di passo per restare al passo. Necessità per tutti, anche per imprenditori e manager che vogliano dare per davvero un’orizzonte nuovo alle proprie imprese. E necessità per tutti, quella di cambiare occhiali con cui guardare al mondo. Per questo serve leggere, e con attenzione, “Occidenti e Modernità. Vedere un mondo nuovo”, scritto da Andrea Graziosi (che insegna storia contemporanea all’Università di Napoli).

Il libro di Graziosi prende le mosse da una doppia constatazione: da un lato gli effetti della pandemia di Covid-19, dall’altro quelli della guerra Russia-Ucraina. E ne trae le conseguenze. Partendo dal considerare la necessità di rivedere le nostre idee, le nostre categorie, la nostra interpretazione del passato oltre che del presente. Covid e invasione russa dell’Ucraina, secondo Graziosi, hanno illuminato di colpo l’evoluzione e la crisi delle società occidentali e, facendo ciò, hanno reso evidente quanto le categorie con cui siamo cresciuti e abbiamo interpretato il Novecento, e, le nostre stesse vite, siano ormai logore.

L’autore considera, cioè, quanto sia da cambiare ciò che viene indicato come “Moderno” cioè il “prodotto in continua evoluzione del veloce cambiamento avviatosi in Europa centroccidentale circa quattro secoli fa, un cambiamento strettamente legato allo sviluppo scientifico, tecnico ed economico”.

Il libro è diviso in due parti ben distinte. Nelle prime cento pagine circa, è presente l’analisi attenta del “Moderno” e della sua evoluzione dal secondo conflitto mondiale ad oggi: la fine del mondo contadino, l’individualizzazione, il crollo delle nascite e lo straordinario balzo in avanti nell’attesa di vita, ma anche la diminuzione della vitalità dei sistemi sociali e il coagularsi di nuove istanze reazionarie, e poi la ricomposizione faticosa di collettività plurali dal punto di vista etnico e del colore. Nella seconda parte, invece, Graziosi ragiona su “problemi e possibilità” di evoluzione del “Moderno” che abbiamo vissuto fino a poco tempo fa. Qui l’attenzione è posta su cosa si possa fare per salvare, innovandolo, un tipo di Occidente e di modernità che è in crisi ma che è riuscito, pur con tutti i suoi difetti, ad aumentare libertà e dignità umane più di ogni altro sistema conosciuto; tutto con un’attenzione particolare al progetto, realizzato ma in evoluzione, di Europa unita.

“Occidenti e Modernità” , è certamente da leggere con attenzione e, magari, da rileggere alla luce degli avvenimenti da qui in avanti.

Occidenti e Modernità. Vedere un mondo nuovo

Andrea Graziosi

il Mulino, 2023

Un libro appena pubblicato propone una lettura e una prospettiva diverse della realtà

Cambio di passo per restare al passo. Necessità per tutti, anche per imprenditori e manager che vogliano dare per davvero un’orizzonte nuovo alle proprie imprese. E necessità per tutti, quella di cambiare occhiali con cui guardare al mondo. Per questo serve leggere, e con attenzione, “Occidenti e Modernità. Vedere un mondo nuovo”, scritto da Andrea Graziosi (che insegna storia contemporanea all’Università di Napoli).

Il libro di Graziosi prende le mosse da una doppia constatazione: da un lato gli effetti della pandemia di Covid-19, dall’altro quelli della guerra Russia-Ucraina. E ne trae le conseguenze. Partendo dal considerare la necessità di rivedere le nostre idee, le nostre categorie, la nostra interpretazione del passato oltre che del presente. Covid e invasione russa dell’Ucraina, secondo Graziosi, hanno illuminato di colpo l’evoluzione e la crisi delle società occidentali e, facendo ciò, hanno reso evidente quanto le categorie con cui siamo cresciuti e abbiamo interpretato il Novecento, e, le nostre stesse vite, siano ormai logore.

L’autore considera, cioè, quanto sia da cambiare ciò che viene indicato come “Moderno” cioè il “prodotto in continua evoluzione del veloce cambiamento avviatosi in Europa centroccidentale circa quattro secoli fa, un cambiamento strettamente legato allo sviluppo scientifico, tecnico ed economico”.

Il libro è diviso in due parti ben distinte. Nelle prime cento pagine circa, è presente l’analisi attenta del “Moderno” e della sua evoluzione dal secondo conflitto mondiale ad oggi: la fine del mondo contadino, l’individualizzazione, il crollo delle nascite e lo straordinario balzo in avanti nell’attesa di vita, ma anche la diminuzione della vitalità dei sistemi sociali e il coagularsi di nuove istanze reazionarie, e poi la ricomposizione faticosa di collettività plurali dal punto di vista etnico e del colore. Nella seconda parte, invece, Graziosi ragiona su “problemi e possibilità” di evoluzione del “Moderno” che abbiamo vissuto fino a poco tempo fa. Qui l’attenzione è posta su cosa si possa fare per salvare, innovandolo, un tipo di Occidente e di modernità che è in crisi ma che è riuscito, pur con tutti i suoi difetti, ad aumentare libertà e dignità umane più di ogni altro sistema conosciuto; tutto con un’attenzione particolare al progetto, realizzato ma in evoluzione, di Europa unita.

“Occidenti e Modernità” , è certamente da leggere con attenzione e, magari, da rileggere alla luce degli avvenimenti da qui in avanti.

Occidenti e Modernità. Vedere un mondo nuovo

Andrea Graziosi

il Mulino, 2023

I rischi per lo sviluppo, tra inverno demografico e crollo dei laureati: chi progetta il futuro?

Il rischio che corre l’Italia, paese creativo e ancora capace di sorprendenti riprese, è ritrovarsi a corto di risorse essenziali per lo sviluppo: le persone. I giovani, soprattutto. Ci avviamo verso un “inverno demografico”, con un crollo della natalità e un crescente invecchiamento della popolazione. Una vera e propria “decrescita infelice”. E subiamo una crisi già acuta della formazione, particolarmente grave man mano che la competizione e la qualità della crescita economica e sociale sono fortemente segnate dal primato della “economia della conoscenza”. Le sfide della cosiddetta “economia digitale” e della diffusione dell’Intelligenza Artificiale chiedono persone dotate di un robusto bagaglio culturale critico. Ma, per numero di laureati, siamo in coda alle classifiche Ue. E, nei prossimi anni, ne avremo sempre meno. Il declino, dunque, è inevitabile? Non saremo più capaci di scrivere “una storia al futuro”?

Per capire meglio, guardiamo alcuni numeri, ricavati dai recenti dati diffusi dall’Istat (Il Sole24Ore e La Stampa, 8 aprile). Nel ’22, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sono nati meno di 400mila bambini (393mila, per l’esattezza), con 713mila decessi. In sintesi: ogni mille abitanti abbiamo avuto 7 neonati e 13 morti, quasi il doppio, cioè.

In cinque anni, l’Italia ha perso un milione di abitanti, scendendo sotto quota 59 milioni (con il Sud devastato da una emigrazione crescente: 629mila abitanti in meno dal 2018). Ed è invecchiato: l’età media è di 46 anni, gli over 65 sono più di 14 milioni e costituiscono il 24% della popolazione (dopo il Giappone, insomma, siamo il paese più vecchio del mondo).

“L’Italia sta scomparendo”, ha twittato, catastrofico, Elon Musk. Più meditativo e responsabile Giuseppe De Rita, presidente del Censis, l’istituto di ricerca più sensibile alle mutazioni sociali: “Siamo un Paese senza un’idea di futuro, senza motivazioni, senza obiettivi. I ragazzi non solo non fanno figli, ma nemmeno si sposano più. Non si pongono almeno un traguardo minimo nel fare famiglia” (Corriere della Sera, 8 aprile). Precarietà del lavoro per gran parte delle nuove generazioni, alto costo della vita nelle grandi città, scarsa diffusione dei servizi per la famiglia (scuole, asili nido, etc.) e disattenzione per l’impegno lavorativo femminile sono tra le cause della sfiducia diffusa.

Una sintesi di problemi e prospettive sta nelle parole di Chiara Saraceno, sociologa attenta ai temi delle disuguaglianze: “Sostenere le scelte positive di fecondità implica impegnarsi in politiche integrate e continuative che consentono ai giovani di poter pensare con ragionevole fiducia al futuro e creino contesti accoglienti sia per chi nasce e cresce, sia per chi mette al mondo”.

I confronti internazionali mostrano che “in Europa i tassi di fecondità più alti (anche se per lo più al di sotto del livello di riproduzione), perciò anche un minore squilibrio tra le varie fasce di età, si trovano nei paesi che offrono maggiori opportunità ai giovani, che sono meglio dotati di servizi, insieme più accoglienti per i bambini fin dalla nascita e più amichevoli nei confronti delle lavoratrici madri. I trasferimenti monetari sono importanti, se continuativi e di importo significativo, ma meno dei servizi educativi per la prima infanzia, del sostegno all’uguaglianza di genere, delle politiche di conciliazione”.

Abbiamo, insomma, un problema demografico, di tenuta del tessuto sociale e di riforme. Ma anche di qualità e formazione delle risorse umane e dunque di produttività e competitività dell’economia, dall’industria ai servizi. “Tra vent’anni avremo solo 80mila laureati”, calcola con grande preoccupazione Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo ed ex ministro dell’Università e dell’Istruzione (nel governo Monti) ed ex presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Il conto è presto fatto. Agli esami di maturità di quest’anno avremo circa 500mila studenti (nati prevalentemente nel 2004). Ma in quel 2004, gli studenti della maturità erano 800mila. In quasi vent’anni, insomma, quella popolazione studentesca si è poco meno che dimezzata. Dei 500mila studenti attuali, il 60% si iscriverà all’università, 300mila, dunque. E solo il 60% si laureerà tra quattro, cinque anni: 180mila. Continuando questa tendenza, dei 390mila bambini nati quest’anno, nel 2041 faranno la maturità in 240mila. 140mila andranno all’università. E 80mila si laureeranno. Troppo pochi, appunto.

Che fare? Insistere su nuove politiche demografiche, sapendo che però il loro corso, per dare risultati, sarà ventennale. E intanto, spiega Profumo, “imparare a gestire l’immigrazione”. Pensare, insomma, a lungo termine ad attrarre in Italia giovani con voglia di crescita e di futuro, formarli, dare loro prospettive di avvenire.

Ancora Profumo: “La questione demografica, come quella immigratoria e l’istruzione sono centrali per il futuro. Ma i partiti vogliono avere dei risultati immediati. E questo certamente non aiuta l’Italia”.

Siamo “un Paese inconsapevole delle dinamiche che governano il mondo”, sostiene Luca De Biase (Il Sole24Ore, 8 aprile. Un Paese, cioè, disattento all’innovazione, poco sensibile alle sfide di una modernità oggi nel cuore di una intensa e impetuosa “metamorfosi” da twin transition, ambientale e digitale.

La creatività e l’intraprendenza innovativa, qualità italiane ben emerse dal boom economico al dinamismo degli anni Ottanta, dagli impegni per l’Europa e l’euro allo slancio di risposta post pandemia da Covid19 rischiano oggi di essere frustrate proprio dalla caduta di fiducia e dalle carenze formative e culturali che investono le nuove generazioni.

Abbiamo dunque bisogno di formazione secondo valori e criteri da “cultura politecnica” che mescoli saperi umanistici e conoscenze scientifiche, di multidisciplinarietà tra cyberscienziati, filosofi, matematici, giuristi e sociologhi per scrivere le nuove “mappe degli algoritmi” dell’Intelligenza artificiale. Di intelligenze tecniche, progettuali e creative, dalla manifattura ai servizi. E di un’educazione a una coscienza critica e propositiva per le smart cities e per tutte le nuove declinazioni dell’economia circolare e civile, fondata sulla sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo.

Serve, insomma, ricostruire “l’idea di futuro”. E tornare a rendere possibile l’innovazione. La buona politica sta tutta qua.

(foto Getty Images)

Il rischio che corre l’Italia, paese creativo e ancora capace di sorprendenti riprese, è ritrovarsi a corto di risorse essenziali per lo sviluppo: le persone. I giovani, soprattutto. Ci avviamo verso un “inverno demografico”, con un crollo della natalità e un crescente invecchiamento della popolazione. Una vera e propria “decrescita infelice”. E subiamo una crisi già acuta della formazione, particolarmente grave man mano che la competizione e la qualità della crescita economica e sociale sono fortemente segnate dal primato della “economia della conoscenza”. Le sfide della cosiddetta “economia digitale” e della diffusione dell’Intelligenza Artificiale chiedono persone dotate di un robusto bagaglio culturale critico. Ma, per numero di laureati, siamo in coda alle classifiche Ue. E, nei prossimi anni, ne avremo sempre meno. Il declino, dunque, è inevitabile? Non saremo più capaci di scrivere “una storia al futuro”?

Per capire meglio, guardiamo alcuni numeri, ricavati dai recenti dati diffusi dall’Istat (Il Sole24Ore e La Stampa, 8 aprile). Nel ’22, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sono nati meno di 400mila bambini (393mila, per l’esattezza), con 713mila decessi. In sintesi: ogni mille abitanti abbiamo avuto 7 neonati e 13 morti, quasi il doppio, cioè.

In cinque anni, l’Italia ha perso un milione di abitanti, scendendo sotto quota 59 milioni (con il Sud devastato da una emigrazione crescente: 629mila abitanti in meno dal 2018). Ed è invecchiato: l’età media è di 46 anni, gli over 65 sono più di 14 milioni e costituiscono il 24% della popolazione (dopo il Giappone, insomma, siamo il paese più vecchio del mondo).

“L’Italia sta scomparendo”, ha twittato, catastrofico, Elon Musk. Più meditativo e responsabile Giuseppe De Rita, presidente del Censis, l’istituto di ricerca più sensibile alle mutazioni sociali: “Siamo un Paese senza un’idea di futuro, senza motivazioni, senza obiettivi. I ragazzi non solo non fanno figli, ma nemmeno si sposano più. Non si pongono almeno un traguardo minimo nel fare famiglia” (Corriere della Sera, 8 aprile). Precarietà del lavoro per gran parte delle nuove generazioni, alto costo della vita nelle grandi città, scarsa diffusione dei servizi per la famiglia (scuole, asili nido, etc.) e disattenzione per l’impegno lavorativo femminile sono tra le cause della sfiducia diffusa.

Una sintesi di problemi e prospettive sta nelle parole di Chiara Saraceno, sociologa attenta ai temi delle disuguaglianze: “Sostenere le scelte positive di fecondità implica impegnarsi in politiche integrate e continuative che consentono ai giovani di poter pensare con ragionevole fiducia al futuro e creino contesti accoglienti sia per chi nasce e cresce, sia per chi mette al mondo”.

I confronti internazionali mostrano che “in Europa i tassi di fecondità più alti (anche se per lo più al di sotto del livello di riproduzione), perciò anche un minore squilibrio tra le varie fasce di età, si trovano nei paesi che offrono maggiori opportunità ai giovani, che sono meglio dotati di servizi, insieme più accoglienti per i bambini fin dalla nascita e più amichevoli nei confronti delle lavoratrici madri. I trasferimenti monetari sono importanti, se continuativi e di importo significativo, ma meno dei servizi educativi per la prima infanzia, del sostegno all’uguaglianza di genere, delle politiche di conciliazione”.

Abbiamo, insomma, un problema demografico, di tenuta del tessuto sociale e di riforme. Ma anche di qualità e formazione delle risorse umane e dunque di produttività e competitività dell’economia, dall’industria ai servizi. “Tra vent’anni avremo solo 80mila laureati”, calcola con grande preoccupazione Francesco Profumo, presidente della Compagnia di San Paolo ed ex ministro dell’Università e dell’Istruzione (nel governo Monti) ed ex presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Il conto è presto fatto. Agli esami di maturità di quest’anno avremo circa 500mila studenti (nati prevalentemente nel 2004). Ma in quel 2004, gli studenti della maturità erano 800mila. In quasi vent’anni, insomma, quella popolazione studentesca si è poco meno che dimezzata. Dei 500mila studenti attuali, il 60% si iscriverà all’università, 300mila, dunque. E solo il 60% si laureerà tra quattro, cinque anni: 180mila. Continuando questa tendenza, dei 390mila bambini nati quest’anno, nel 2041 faranno la maturità in 240mila. 140mila andranno all’università. E 80mila si laureeranno. Troppo pochi, appunto.

Che fare? Insistere su nuove politiche demografiche, sapendo che però il loro corso, per dare risultati, sarà ventennale. E intanto, spiega Profumo, “imparare a gestire l’immigrazione”. Pensare, insomma, a lungo termine ad attrarre in Italia giovani con voglia di crescita e di futuro, formarli, dare loro prospettive di avvenire.

Ancora Profumo: “La questione demografica, come quella immigratoria e l’istruzione sono centrali per il futuro. Ma i partiti vogliono avere dei risultati immediati. E questo certamente non aiuta l’Italia”.

Siamo “un Paese inconsapevole delle dinamiche che governano il mondo”, sostiene Luca De Biase (Il Sole24Ore, 8 aprile. Un Paese, cioè, disattento all’innovazione, poco sensibile alle sfide di una modernità oggi nel cuore di una intensa e impetuosa “metamorfosi” da twin transition, ambientale e digitale.

La creatività e l’intraprendenza innovativa, qualità italiane ben emerse dal boom economico al dinamismo degli anni Ottanta, dagli impegni per l’Europa e l’euro allo slancio di risposta post pandemia da Covid19 rischiano oggi di essere frustrate proprio dalla caduta di fiducia e dalle carenze formative e culturali che investono le nuove generazioni.

Abbiamo dunque bisogno di formazione secondo valori e criteri da “cultura politecnica” che mescoli saperi umanistici e conoscenze scientifiche, di multidisciplinarietà tra cyberscienziati, filosofi, matematici, giuristi e sociologhi per scrivere le nuove “mappe degli algoritmi” dell’Intelligenza artificiale. Di intelligenze tecniche, progettuali e creative, dalla manifattura ai servizi. E di un’educazione a una coscienza critica e propositiva per le smart cities e per tutte le nuove declinazioni dell’economia circolare e civile, fondata sulla sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo.

Serve, insomma, ricostruire “l’idea di futuro”. E tornare a rendere possibile l’innovazione. La buona politica sta tutta qua.

(foto Getty Images)

Viaggio e modernità, tra Cinema e Storia.
Si è conclusa l’XI edizione del Corso di aggiornamento per docenti

Si è concluso il 3 aprile “Cinema & Storia – Viaggio e modernità”, il corso di formazione gratuito per docenti delle scuole secondarie, promosso da Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC, in collaborazione con il Cinema Beltrade di Milano.

Sei gli appuntamenti online che hanno coinvolto più di 200 docenti da tutta Italia sulla tematica del viaggio indagato tra metafora e realtà: cinque lezioni condotte da docenti universitari e affiancate da una selezione di film resi disponibili in streaming e commentati da esperti del settore, e un laboratorio didattico sui linguaggi cinematografici.

Il corso è stato avviato dalla lezione del professor Gian Luca Podestà, docente di Storia Economica presso l’Università degli Studi di Parma, che ha analizzato l’espansione coloniale italiana in Africa, tentativo di consacrare la giovane nazione tra le grandi potenze, e i suoi rapporti con gli ideali di unificazione del Risorgimento.
Il legame con l’Africa è stato esaminato anche nel film Safari di Ulrich Seidl (2016), una spietata ricerca antropologica che registra voci e riflessioni di ricchi turisti austriaci e tedeschi durante le battute di caccia nelle riserve al confine fra Namibia e Sudafrica. Tra economia, vita e morte, il film ricerca il senso dell’attività venatoria.

Tra la prima e la seconda lezione è stato proposto un appuntamento curato da Monica Naldi, tra i responsabili del Cinema Beltrade, che con il laboratorio In viaggio con Pigmalione – il potere delle immagini in movimento ha condotto i docenti verso un utilizzo più consapevole del testo filmico a fini didattici, a partire dalla scelta dei titoli fino alle modalità di approfondimento con gli studenti in classe.

La seconda lezione è stata tenuta dalla professoressa Patrizia Battilani, docente di Storia dell’Economia e del Turismo presso l’Università di Bologna, che ha offerto uno sguardo sulle profonde trasformazioni che i cambiamenti tecnologici e di costume degli ultimi due secoli hanno prodotto sul settore del turismo culturale. Un racconto che dal Grand Tour giunge fino ai voli Low Cost di oggi.
Un’attualità caratterizzata da un’esistenza frenetica, fatta di spostamenti infiniti, e da un lavoro che non tiene più conto dei ritmi umani è il ritratto simbolico che emerge dal film Generazione Low Cost di Julie Lecoustre e Emmanuel Marre (2022) e dalla sua protagonista, Cassandra, alle prese con gli affetti, le inquietudini e le speranze del suo tempo.

Il professor Sandro Rinauro, del dipartimento di Geografia Politica ed Economica all’Università degli Studi di Milano, ha approfondito, durante la terza lezione del corso, le migrazioni interne degli italiani dagli anni Trenta del Novecento fino all’intenso periodo della ricostruzione e del boom economico. Non è mancato uno sguardo alla contemporaneità e ai cambiamenti della geografia migratoria delle partenze e delle destinazioni.
Il film Europa di Haider Rashid (2021) ha condotto i corsisti attraverso un racconto straordinario e fortemente immersivo, una strenua lotta per la libertà e la vita. Kamal è un giovane iracheno che seguendo la “rotta balcanica” cerca di entrare in Europa a piedi, in fuga dalla polizia bulgara e dai “Cacciatori di Migranti”.

Il Direttore della Fondazione Pirelli Antonio Calabrò ha condotto una lezione sul viaggio degli imprenditori, inteso non solo come occasione per apprendere nuove prospettive ma come viaggio delle idee, delle conoscenze, delle informazioni e dei capitali. Una lunga storia che giunge alla necessità odierna di “ripensare la globalizzazione” e definire criteri più equilibrati.
Ad affiancare questa quarta lezione è stato il film Erasmus a Gaza di Matteo Delbò e Chiara Avesani (2021). È il percorso di formazione e di crescita umana verso l’impresa di costruire il proprio futuro professionale di Riccardo, giovane studente di medicina, nella Striscia di Gaza.

Con l’ultima lezione del corso, condotta dalla professoressa Raimonda Riccini, docente di Storia del Design all’Università IUAV di Venezia, gli insegnanti si sono confrontati con il movimento, nel tempo e nello spazio, degli oggetti quotidiani: bussole moderne che ci orientano nel sistema dei consumi come nella dimensione del ricordo e degli affetti.
“Cosa accadrebbe se un artista famoso offrisse a un rifugiato di diventare una sua opera per ottenere la libertà di movimento?”. Questo quesito della regista Kaouther Ben Hania è stato il punto di partenza per il film L’uomo che vendette la sua pelle (2020). Sam Ali, un giovane siriano, viene così trasformato in merce, in oggetto artistico, tramite un visto Schengen tatuato sulla schiena. Una profonda riflessione sul concetto di libertà.

 

 

 

 

Si è concluso il 3 aprile “Cinema & Storia – Viaggio e modernità”, il corso di formazione gratuito per docenti delle scuole secondarie, promosso da Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC, in collaborazione con il Cinema Beltrade di Milano.

Sei gli appuntamenti online che hanno coinvolto più di 200 docenti da tutta Italia sulla tematica del viaggio indagato tra metafora e realtà: cinque lezioni condotte da docenti universitari e affiancate da una selezione di film resi disponibili in streaming e commentati da esperti del settore, e un laboratorio didattico sui linguaggi cinematografici.

Il corso è stato avviato dalla lezione del professor Gian Luca Podestà, docente di Storia Economica presso l’Università degli Studi di Parma, che ha analizzato l’espansione coloniale italiana in Africa, tentativo di consacrare la giovane nazione tra le grandi potenze, e i suoi rapporti con gli ideali di unificazione del Risorgimento.
Il legame con l’Africa è stato esaminato anche nel film Safari di Ulrich Seidl (2016), una spietata ricerca antropologica che registra voci e riflessioni di ricchi turisti austriaci e tedeschi durante le battute di caccia nelle riserve al confine fra Namibia e Sudafrica. Tra economia, vita e morte, il film ricerca il senso dell’attività venatoria.

Tra la prima e la seconda lezione è stato proposto un appuntamento curato da Monica Naldi, tra i responsabili del Cinema Beltrade, che con il laboratorio In viaggio con Pigmalione – il potere delle immagini in movimento ha condotto i docenti verso un utilizzo più consapevole del testo filmico a fini didattici, a partire dalla scelta dei titoli fino alle modalità di approfondimento con gli studenti in classe.

La seconda lezione è stata tenuta dalla professoressa Patrizia Battilani, docente di Storia dell’Economia e del Turismo presso l’Università di Bologna, che ha offerto uno sguardo sulle profonde trasformazioni che i cambiamenti tecnologici e di costume degli ultimi due secoli hanno prodotto sul settore del turismo culturale. Un racconto che dal Grand Tour giunge fino ai voli Low Cost di oggi.
Un’attualità caratterizzata da un’esistenza frenetica, fatta di spostamenti infiniti, e da un lavoro che non tiene più conto dei ritmi umani è il ritratto simbolico che emerge dal film Generazione Low Cost di Julie Lecoustre e Emmanuel Marre (2022) e dalla sua protagonista, Cassandra, alle prese con gli affetti, le inquietudini e le speranze del suo tempo.

Il professor Sandro Rinauro, del dipartimento di Geografia Politica ed Economica all’Università degli Studi di Milano, ha approfondito, durante la terza lezione del corso, le migrazioni interne degli italiani dagli anni Trenta del Novecento fino all’intenso periodo della ricostruzione e del boom economico. Non è mancato uno sguardo alla contemporaneità e ai cambiamenti della geografia migratoria delle partenze e delle destinazioni.
Il film Europa di Haider Rashid (2021) ha condotto i corsisti attraverso un racconto straordinario e fortemente immersivo, una strenua lotta per la libertà e la vita. Kamal è un giovane iracheno che seguendo la “rotta balcanica” cerca di entrare in Europa a piedi, in fuga dalla polizia bulgara e dai “Cacciatori di Migranti”.

Il Direttore della Fondazione Pirelli Antonio Calabrò ha condotto una lezione sul viaggio degli imprenditori, inteso non solo come occasione per apprendere nuove prospettive ma come viaggio delle idee, delle conoscenze, delle informazioni e dei capitali. Una lunga storia che giunge alla necessità odierna di “ripensare la globalizzazione” e definire criteri più equilibrati.
Ad affiancare questa quarta lezione è stato il film Erasmus a Gaza di Matteo Delbò e Chiara Avesani (2021). È il percorso di formazione e di crescita umana verso l’impresa di costruire il proprio futuro professionale di Riccardo, giovane studente di medicina, nella Striscia di Gaza.

Con l’ultima lezione del corso, condotta dalla professoressa Raimonda Riccini, docente di Storia del Design all’Università IUAV di Venezia, gli insegnanti si sono confrontati con il movimento, nel tempo e nello spazio, degli oggetti quotidiani: bussole moderne che ci orientano nel sistema dei consumi come nella dimensione del ricordo e degli affetti.
“Cosa accadrebbe se un artista famoso offrisse a un rifugiato di diventare una sua opera per ottenere la libertà di movimento?”. Questo quesito della regista Kaouther Ben Hania è stato il punto di partenza per il film L’uomo che vendette la sua pelle (2020). Sam Ali, un giovane siriano, viene così trasformato in merce, in oggetto artistico, tramite un visto Schengen tatuato sulla schiena. Una profonda riflessione sul concetto di libertà.

 

 

 

 

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