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Digitale futuro
Il delinearsi di un “nuovo rinascimento” dalle tecnologie più avanzate e moderne. Anche per l’Italia
Digitale contro reale. Virtuale contro concreto. Opposti che non si eliminano ma che, anzi, devono sempre di più convivere e integrarsi. E ai quali le attività sociali e produttive devono abituarsi. Digitalizzazione come percorso che deve per forza di cose essere perseguito da tutti. Con attenzione. E misura.
E’ su questo nodo di temi che ragionano Francesco Caio e Pierangelo Soldavini con il loro “Digitalizzazione. Per un nuovo rinascimento italiano” appena dato alle stampe. Un libro che affronta efficacemente e con chiarezza un tema complesso e spesso abusato.
Tutto parte dalla constatazione della realtà. L’emergenza pandemica, l’inflazione, la guerra in Europa, la crisi energetica, tutto questo ha di fatto ribaltato il mondo come lo conoscevamo e fatto emergere l’esigenza di affrontare una “nuova normalità”. Da questa condizione, è la tesi dei due autori, è nata e si è delineata l’importanza degli strumenti digitali, che abilitano relazioni e servizi più rapidi e flessibili e offrono prodotti personalizzati e su misura. Il problema è il “governo” di queste nuove tecnologie e quindi del “mondo ibrido” che ne deriva.
Una sfida che, viene sottolineato, deve essere intrapresa con la consapevolezza che chi rimane indietro adesso, rischia di non riuscire più a colmare le distanze. Sfida ancora più importante per l’Italia che, obiettivamente, è in svantaggio proprio nelle digitalizzazione. Eppure sfida che può dare vita ad un “rinascimento digitale” con tutto quello di positivo che ne può derivare. Un rinascimento che può toccare svariati ambiti del vivere civile ed economico del Paese: pubblica amministrazione, telemedicina, cybersecurity, cittadinanza digitale, smart working, turismo, scuola e università e molto altro ancora.
Caio e Soldavini esplorano quindi l’argomento partendo dalle “resistenza da sciogliere”, guardando al lungo periodo e non solo all’immediato, approfondendo gli aspetti infrastrutturali cui mettere mano, valutando le numerose applicazioni che possono essere già efficaci. Percorsi e traguardi che possono essere raggiunti con investimenti (si parla anche del PNRR naturalmente) ma soprattutto con la creazione di una vera cultura digitale, che porti tutti a capire le logiche dei nuovi paradigmi e della trasformazione da attuare. Un progetto ambizioso e urgentissimo, e tuttavia alla nostra portata.
Bella e importante una delle ultime affermazioni contenute nel libro che delinea “una cultura che si trasformi anche in consapevolezza delle conseguenze della tecnologia e delle proprie azioni, che permetta a ciascuno di sapersi tutelare dagli eccessi e dalla pervasività di una tecnologia che per sua natura è totalizzante, in grado di impossessarsi dei molteplici aspetti della vita personale. E che si trasformi in capacità di padroneggiare i rischi di controllo e di manipolazione delle coscienze che sono frutto delle spinte costanti di un uso distorto e improntato al business della tecnologia”.
Digitalizzazione. Per un nuovo rinascimento italiano
Francesco Caio, Pierangelo Soldavini
Vita e Pensiero, 2023






Il delinearsi di un “nuovo rinascimento” dalle tecnologie più avanzate e moderne. Anche per l’Italia
Digitale contro reale. Virtuale contro concreto. Opposti che non si eliminano ma che, anzi, devono sempre di più convivere e integrarsi. E ai quali le attività sociali e produttive devono abituarsi. Digitalizzazione come percorso che deve per forza di cose essere perseguito da tutti. Con attenzione. E misura.
E’ su questo nodo di temi che ragionano Francesco Caio e Pierangelo Soldavini con il loro “Digitalizzazione. Per un nuovo rinascimento italiano” appena dato alle stampe. Un libro che affronta efficacemente e con chiarezza un tema complesso e spesso abusato.
Tutto parte dalla constatazione della realtà. L’emergenza pandemica, l’inflazione, la guerra in Europa, la crisi energetica, tutto questo ha di fatto ribaltato il mondo come lo conoscevamo e fatto emergere l’esigenza di affrontare una “nuova normalità”. Da questa condizione, è la tesi dei due autori, è nata e si è delineata l’importanza degli strumenti digitali, che abilitano relazioni e servizi più rapidi e flessibili e offrono prodotti personalizzati e su misura. Il problema è il “governo” di queste nuove tecnologie e quindi del “mondo ibrido” che ne deriva.
Una sfida che, viene sottolineato, deve essere intrapresa con la consapevolezza che chi rimane indietro adesso, rischia di non riuscire più a colmare le distanze. Sfida ancora più importante per l’Italia che, obiettivamente, è in svantaggio proprio nelle digitalizzazione. Eppure sfida che può dare vita ad un “rinascimento digitale” con tutto quello di positivo che ne può derivare. Un rinascimento che può toccare svariati ambiti del vivere civile ed economico del Paese: pubblica amministrazione, telemedicina, cybersecurity, cittadinanza digitale, smart working, turismo, scuola e università e molto altro ancora.
Caio e Soldavini esplorano quindi l’argomento partendo dalle “resistenza da sciogliere”, guardando al lungo periodo e non solo all’immediato, approfondendo gli aspetti infrastrutturali cui mettere mano, valutando le numerose applicazioni che possono essere già efficaci. Percorsi e traguardi che possono essere raggiunti con investimenti (si parla anche del PNRR naturalmente) ma soprattutto con la creazione di una vera cultura digitale, che porti tutti a capire le logiche dei nuovi paradigmi e della trasformazione da attuare. Un progetto ambizioso e urgentissimo, e tuttavia alla nostra portata.
Bella e importante una delle ultime affermazioni contenute nel libro che delinea “una cultura che si trasformi anche in consapevolezza delle conseguenze della tecnologia e delle proprie azioni, che permetta a ciascuno di sapersi tutelare dagli eccessi e dalla pervasività di una tecnologia che per sua natura è totalizzante, in grado di impossessarsi dei molteplici aspetti della vita personale. E che si trasformi in capacità di padroneggiare i rischi di controllo e di manipolazione delle coscienze che sono frutto delle spinte costanti di un uso distorto e improntato al business della tecnologia”.
Digitalizzazione. Per un nuovo rinascimento italiano
Francesco Caio, Pierangelo Soldavini
Vita e Pensiero, 2023
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L’innovazione sostenibile
Analizzati in una tesi discussa all’Università di Padova, teoria e pratica dei collegamenti tra tecnologie 4.0 e sostenibilità della produzione
Sostenibilità della produzione e innovazione. Connubio solo in apparenza scontato ma che, in realtà, conta ancora più di un’incertezza d’applicazione. E che ha comunque bisogno di èpiù di un approfondimento. Oltre che di analisi che ne sistemino le conoscenze in una forma compiuta.
A tutto questo serve leggere il lavoro di tesi – discussa presso l’Università di Padova Dipartimento di scienze economiche -, di Marco Bettiol.
“Innovazione e tecnologie 4.0: sfide e opportunità per uno sviluppo sostenibile” contiene una seria analisi della situazione attuale e della storia delle relazioni tra innovazione, tecnologie 4.0 e produzione sostenibile. In particolare, l’indagine – spiega lo stesso Bettiol -, “si concentra sull’analisi del rapporto tra innovazione e sostenibilità” con l’obiettivo di “esaminare come l’innovazione tecnologica può contribuire a promuovere uno sviluppo sostenibile”.
Nella ricerca, vengono prima analizzati i principali concetti di innovazione e degli obiettivi di sviluppo sostenibili; successivamente viene affrontato la “tecnologia 4.0” nelle sue implicazioni positive per la sostenibilità. Nella terza parte dell’indagine di Bettiol, infine, sono studiati due casi di altrettante aziende trevigiane: Gasparini Industries S.r.l., azienda metalmeccanica che produce pressa piegatrici idrauliche e cesoie, e la Meneghin S.r.l., azienda leader nel mercato mondiale per la progettazione, la costruzione e il montaggio di impianti completi per l’allevamento intensivo e professionale di conigli. Due casi tra i molti, che esemplificano però bene i collegamenti che la tesi si prefigge di approfondire.
La ricerca di Bettiol è un onesto lavoro di inquadramento del tema innovazione-sostenibilità. Ed è per questo che va apprezzata.
Innovazione e tecnologie 4.0: sfide e opportunità per uno sviluppo sostenibile
Tesi, Marco Bettiol, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M. Fanno”, Corso di laurea in Economia
Analizzati in una tesi discussa all’Università di Padova, teoria e pratica dei collegamenti tra tecnologie 4.0 e sostenibilità della produzione
Sostenibilità della produzione e innovazione. Connubio solo in apparenza scontato ma che, in realtà, conta ancora più di un’incertezza d’applicazione. E che ha comunque bisogno di èpiù di un approfondimento. Oltre che di analisi che ne sistemino le conoscenze in una forma compiuta.
A tutto questo serve leggere il lavoro di tesi – discussa presso l’Università di Padova Dipartimento di scienze economiche -, di Marco Bettiol.
“Innovazione e tecnologie 4.0: sfide e opportunità per uno sviluppo sostenibile” contiene una seria analisi della situazione attuale e della storia delle relazioni tra innovazione, tecnologie 4.0 e produzione sostenibile. In particolare, l’indagine – spiega lo stesso Bettiol -, “si concentra sull’analisi del rapporto tra innovazione e sostenibilità” con l’obiettivo di “esaminare come l’innovazione tecnologica può contribuire a promuovere uno sviluppo sostenibile”.
Nella ricerca, vengono prima analizzati i principali concetti di innovazione e degli obiettivi di sviluppo sostenibili; successivamente viene affrontato la “tecnologia 4.0” nelle sue implicazioni positive per la sostenibilità. Nella terza parte dell’indagine di Bettiol, infine, sono studiati due casi di altrettante aziende trevigiane: Gasparini Industries S.r.l., azienda metalmeccanica che produce pressa piegatrici idrauliche e cesoie, e la Meneghin S.r.l., azienda leader nel mercato mondiale per la progettazione, la costruzione e il montaggio di impianti completi per l’allevamento intensivo e professionale di conigli. Due casi tra i molti, che esemplificano però bene i collegamenti che la tesi si prefigge di approfondire.
La ricerca di Bettiol è un onesto lavoro di inquadramento del tema innovazione-sostenibilità. Ed è per questo che va apprezzata.
Innovazione e tecnologie 4.0: sfide e opportunità per uno sviluppo sostenibile
Tesi, Marco Bettiol, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M. Fanno”, Corso di laurea in Economia
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La “fabbrica degli attori” va in scena a Milano per raccontare ai giovani l’impresa e il lavoro
Raccontare l’impresa. I suoi valori, i ritmi, la storia, il futuro. Riconoscerne e farne conoscere le caratteristiche di cardine dell’identità italiana, con l’attitudine a “fare, fare bene e fare del bene”, per continuare così a essere la seconda manifattura europea, subito dopo la Germania. Impresa come lavoro, benessere, innovazione, comunità. E racconto come rappresentazione di valori e cardine di un vero e proprio “orgoglio industriale” su cui fondare il nostro sviluppo sostenibile.
Servono, per farlo, tutti i linguaggi più adatti a una capacità narrativa contemporanea. I film e i video, di autori che entrano in fabbriche e laboratori con occhi curiosi. Le opere di scrittura (selezionate, per esempio, da tre anni, dal “Premio per la letteratura d’impresa” organizzato da ItalyPost). Le fotografie (esemplari le rassegne alla Fondazione Mast di Bologna, ispirata da una grande imprenditrice come Isabella Seragnoli). Le opere d’arte contemporanea (come documentano le istallazioni di Gian Maria Tosatti “Ritratti” e “NOw/here” attualmente all’HangarBicocca, “una luce sull’epoca dell’industria”, secondo “Il Sole24Ore” del 2 aprile, con rimandi a Kounellis, Burri e Tàpies). O, ancora, la musica, come “Il Canto della fabbrica” dell’Orchestra da Camera Italiana diretta da Salvatore Accardo, ispirato dai ritmi dello stabilimento Pirelli di Settimo Torinese progettato da Renzo Piano. E, per stare sull’attualità, il teatro.
Come mostra “L’Umana Impresa” ovvero “La fabbrica degli attori” in scena ieri sera al Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Stefano De Luca: Sala Grande pienissima, applausi ripetuti e insistenti. Ne parleremo meglio tra poco.
Ecco, appunto, il teatro. Già, tempo fa, “L’impresa va in scena” era stato il filo conduttore della Settimana della Cultura d’impresa organizzata da Confindustria e Museimpresa nell’autunno del 2015, con rappresentazioni nei teatri di dieci città italiane. Un paio d’anni prima, al Piccolo Teatro, la regista Serena Sinigaglia aveva diretto “Settimo, la fabbrica e il lavoro”, uno spettacolo costruito su ore di testimonianze di operai, tecnici e ingeneri dello stabilimento di Pirelli.
Poi, nel tempo, c’è stato un numero crescente di altre iniziative, tutte ispirate dall’idea dei legami forti che corrono tra l’intraprendere e il rappresentare, tra la manifattura industriale e l’abilità artigiana dei creatori di scenari e costumi, tra il laboratorio di ricerca e il laboratorio teatrale, con la diffusa consapevolezza che sia l’impresa sia il teatro vanno vissuti come “comunità” (lo documentano, per esempio, anche gli impegni di famiglie imprenditoriali per promuovere e sostenere teatri, come avevano fatto i Falck, i Borletti e i Pirelli per la nascita del Piccolo Teatro di Milano).
Andrée Shammah, animatrice del Teatro Parenti, al rapporto fra teatro e impresa, agli incroci culturali, crede profondamente. E, oltre che considerare appunto “impresa” l’impegno di chi fa vivere un teatro, e insistere sull’idea del “laboratorio”, enuncia altre parole comuni. Come, per esempio, condivisione e contagio: “cum” e “tangere”. Contagioso, infatti, lo spirito del teatro verso il suo pubblico che ha valore quando è partecipe. Contagiosa, la tendenza all’innovazione e alla partecipazione, anche in fabbrica: senza partecipazione, appunto, non c’è alcuna competitività e dunque non c’è futuro.
Il gioco delle coincidenze rafforza le relazioni. C’era, un tempo, una fabbrica di bulloni, proprio in via Pier Lombardo, dove adesso sorge il Teatro Parenti. “Ci sono, qui, forse, degli spiritelli che ispirano i luoghi e ne influenzano l’anima”, sorride Andrée Shammah. Spiritelli industriosi.
Torniamo, allora, a “L’Umana Impresa”. La rappresentazione è il risultato di un lungo lavorìo seminariale di un gruppo di sei giovani attori (Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti, Claudia Grassi, Edoardo Rivoira ed Emilia Tiburzi), guidati da un regista-maestro, Stefano De Luca e con la drammaturgia di Veronica Del Vecchio (abile anche a far rivivere testi di Dino Buzzati e Leonardo Sinisgalli).
Tra ricerche d’archivio alla Fondazione Pirelli, testimonianze, incontri nei laboratori di “ricerca e sviluppo” ad alta tecnologia industriale, gli attori hanno cercato di costruire una rappresentazione dei 150 anni della storia della Pirelli, partendo dalla figura del fondatore, Giovan Battista Pirelli. E, contemporaneamente, si sono messi alla prova nella costruzione di gruppo, come squadra impegnata in attività di ricerca e traduzione su un palcoscenico.
Una vera e propria “fabbrica degli attori”, appunto, per parlare di un’iniziativa che, come la manifattura, si muove tra passato e futuro. Un’opera aperta, di sperimentazione, fondata su otto parole chiave: Materie, Fabbrica, Macchina, Teatro, Strada, Mondi, Natura, Futuro. Ma anche una indagine formativa sui molteplici significati del vocabolo “impresa”, sulle logiche che stanno dietro alla cultura industriale e ai processi di produzione nel corso del cambiamento di tempi, tecnologie, metodi, condizioni lavorative, mercati. E una riflessione a più voci sulla relazione tra consapevolezza storica e sfide contemporanee, sulla forza della memoria come condizione di competitività aziendale, sulla “metamorfosi” messa in movimento dai processi produttivi e sociali.
Su mercati globali difficili e selettivi, infatti, l’identità di un prodotto e di un servizio, il racconto della storia e le testimonianze d’innovazione nel corso del tempo sono fattori che rafforzano la capacità di reggere la concorrenza.
Va in scena, insomma, un tema per gran tempo poco considerato dalle rappresentazioni teatrali, quello dei valori dell’intraprendenza e del lavoro, anche per dire alle nuove generazioni che l’impresa è un luogo straordinario in cui poter realizzare i loro progetti e le loro ambizioni.
L’anteprima, a metà della scorsa settimana, è stata provata davanti a un pubblico particolare, 450 ragazze e ragazzi di 16-18 anni degli istituti tecnici milanesi: “Ne sono usciti profondamente affascinati – dicono i responsabili della Fondazione Pirelli – grazie alla scoperta di un mondo, quello industriale, che non conoscevano, denso com’è di tecnologie digitali, sfide professionali, orizzonti di opportunità personali e professionali”. E, nel caso di Pirelli, anche un universo in cui i prodotti ad alta tecnologia si legano alle competizioni sportive, a cominciare dalla Formula 1 e a una cultura d’avanguardia sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulla comunicazione, sulle relazioni tra scienza e società.
L’ambizione, adesso, è “fare vedere ‘L’Umana Impresa’ ad altre scuole, agli studenti universitari del Politecnico e della Bocconi e, dopo Milano, portarlo in altre città”. Mettere ancora in scena l’intraprendenza. E continuare a costruire “una storia al futuro”.






Raccontare l’impresa. I suoi valori, i ritmi, la storia, il futuro. Riconoscerne e farne conoscere le caratteristiche di cardine dell’identità italiana, con l’attitudine a “fare, fare bene e fare del bene”, per continuare così a essere la seconda manifattura europea, subito dopo la Germania. Impresa come lavoro, benessere, innovazione, comunità. E racconto come rappresentazione di valori e cardine di un vero e proprio “orgoglio industriale” su cui fondare il nostro sviluppo sostenibile.
Servono, per farlo, tutti i linguaggi più adatti a una capacità narrativa contemporanea. I film e i video, di autori che entrano in fabbriche e laboratori con occhi curiosi. Le opere di scrittura (selezionate, per esempio, da tre anni, dal “Premio per la letteratura d’impresa” organizzato da ItalyPost). Le fotografie (esemplari le rassegne alla Fondazione Mast di Bologna, ispirata da una grande imprenditrice come Isabella Seragnoli). Le opere d’arte contemporanea (come documentano le istallazioni di Gian Maria Tosatti “Ritratti” e “NOw/here” attualmente all’HangarBicocca, “una luce sull’epoca dell’industria”, secondo “Il Sole24Ore” del 2 aprile, con rimandi a Kounellis, Burri e Tàpies). O, ancora, la musica, come “Il Canto della fabbrica” dell’Orchestra da Camera Italiana diretta da Salvatore Accardo, ispirato dai ritmi dello stabilimento Pirelli di Settimo Torinese progettato da Renzo Piano. E, per stare sull’attualità, il teatro.
Come mostra “L’Umana Impresa” ovvero “La fabbrica degli attori” in scena ieri sera al Teatro Franco Parenti di Milano, con la regia di Stefano De Luca: Sala Grande pienissima, applausi ripetuti e insistenti. Ne parleremo meglio tra poco.
Ecco, appunto, il teatro. Già, tempo fa, “L’impresa va in scena” era stato il filo conduttore della Settimana della Cultura d’impresa organizzata da Confindustria e Museimpresa nell’autunno del 2015, con rappresentazioni nei teatri di dieci città italiane. Un paio d’anni prima, al Piccolo Teatro, la regista Serena Sinigaglia aveva diretto “Settimo, la fabbrica e il lavoro”, uno spettacolo costruito su ore di testimonianze di operai, tecnici e ingeneri dello stabilimento di Pirelli.
Poi, nel tempo, c’è stato un numero crescente di altre iniziative, tutte ispirate dall’idea dei legami forti che corrono tra l’intraprendere e il rappresentare, tra la manifattura industriale e l’abilità artigiana dei creatori di scenari e costumi, tra il laboratorio di ricerca e il laboratorio teatrale, con la diffusa consapevolezza che sia l’impresa sia il teatro vanno vissuti come “comunità” (lo documentano, per esempio, anche gli impegni di famiglie imprenditoriali per promuovere e sostenere teatri, come avevano fatto i Falck, i Borletti e i Pirelli per la nascita del Piccolo Teatro di Milano).
Andrée Shammah, animatrice del Teatro Parenti, al rapporto fra teatro e impresa, agli incroci culturali, crede profondamente. E, oltre che considerare appunto “impresa” l’impegno di chi fa vivere un teatro, e insistere sull’idea del “laboratorio”, enuncia altre parole comuni. Come, per esempio, condivisione e contagio: “cum” e “tangere”. Contagioso, infatti, lo spirito del teatro verso il suo pubblico che ha valore quando è partecipe. Contagiosa, la tendenza all’innovazione e alla partecipazione, anche in fabbrica: senza partecipazione, appunto, non c’è alcuna competitività e dunque non c’è futuro.
Il gioco delle coincidenze rafforza le relazioni. C’era, un tempo, una fabbrica di bulloni, proprio in via Pier Lombardo, dove adesso sorge il Teatro Parenti. “Ci sono, qui, forse, degli spiritelli che ispirano i luoghi e ne influenzano l’anima”, sorride Andrée Shammah. Spiritelli industriosi.
Torniamo, allora, a “L’Umana Impresa”. La rappresentazione è il risultato di un lungo lavorìo seminariale di un gruppo di sei giovani attori (Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti, Claudia Grassi, Edoardo Rivoira ed Emilia Tiburzi), guidati da un regista-maestro, Stefano De Luca e con la drammaturgia di Veronica Del Vecchio (abile anche a far rivivere testi di Dino Buzzati e Leonardo Sinisgalli).
Tra ricerche d’archivio alla Fondazione Pirelli, testimonianze, incontri nei laboratori di “ricerca e sviluppo” ad alta tecnologia industriale, gli attori hanno cercato di costruire una rappresentazione dei 150 anni della storia della Pirelli, partendo dalla figura del fondatore, Giovan Battista Pirelli. E, contemporaneamente, si sono messi alla prova nella costruzione di gruppo, come squadra impegnata in attività di ricerca e traduzione su un palcoscenico.
Una vera e propria “fabbrica degli attori”, appunto, per parlare di un’iniziativa che, come la manifattura, si muove tra passato e futuro. Un’opera aperta, di sperimentazione, fondata su otto parole chiave: Materie, Fabbrica, Macchina, Teatro, Strada, Mondi, Natura, Futuro. Ma anche una indagine formativa sui molteplici significati del vocabolo “impresa”, sulle logiche che stanno dietro alla cultura industriale e ai processi di produzione nel corso del cambiamento di tempi, tecnologie, metodi, condizioni lavorative, mercati. E una riflessione a più voci sulla relazione tra consapevolezza storica e sfide contemporanee, sulla forza della memoria come condizione di competitività aziendale, sulla “metamorfosi” messa in movimento dai processi produttivi e sociali.
Su mercati globali difficili e selettivi, infatti, l’identità di un prodotto e di un servizio, il racconto della storia e le testimonianze d’innovazione nel corso del tempo sono fattori che rafforzano la capacità di reggere la concorrenza.
Va in scena, insomma, un tema per gran tempo poco considerato dalle rappresentazioni teatrali, quello dei valori dell’intraprendenza e del lavoro, anche per dire alle nuove generazioni che l’impresa è un luogo straordinario in cui poter realizzare i loro progetti e le loro ambizioni.
L’anteprima, a metà della scorsa settimana, è stata provata davanti a un pubblico particolare, 450 ragazze e ragazzi di 16-18 anni degli istituti tecnici milanesi: “Ne sono usciti profondamente affascinati – dicono i responsabili della Fondazione Pirelli – grazie alla scoperta di un mondo, quello industriale, che non conoscevano, denso com’è di tecnologie digitali, sfide professionali, orizzonti di opportunità personali e professionali”. E, nel caso di Pirelli, anche un universo in cui i prodotti ad alta tecnologia si legano alle competizioni sportive, a cominciare dalla Formula 1 e a una cultura d’avanguardia sulla sostenibilità ambientale e sociale, sulla comunicazione, sulle relazioni tra scienza e società.
L’ambizione, adesso, è “fare vedere ‘L’Umana Impresa’ ad altre scuole, agli studenti universitari del Politecnico e della Bocconi e, dopo Milano, portarlo in altre città”. Mettere ancora in scena l’intraprendenza. E continuare a costruire “una storia al futuro”.
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Pirelli, le architetture dell’industria. Da via Ponte Seveso al quartiere Bicocca
Venerdì 21 aprile 2023 la Fondazione Pirelli propone percorsi di visite guidate dal titolo “Pirelli, le architetture dell’industria. Da via Ponte Seveso al quartiere Bicocca”, organizzate in occasione dell’iniziativa “Dai borghi alla città Dalla città ai quartieri”, dedicata al centenario dell’aggregazione del Comune di Niguarda alla Città di Milano. L’evento è realizzato con il patrocinio del Municipio 9 e del Comune di Milano, in collaborazione, tra gli altri, con il Comitato Bicocca.
Attraverso i documenti d’archivio storici e contemporanei conservati presso la Fondazione, i partecipanti potranno ripercorrere la storia del quartiere Bicocca, fino al 1923 parte del Comune di Niguarda e che ha conosciuto una profonda trasformazione nel corso degli ultimi cento anni, e della Pirelli. Si potranno scoprire infatti i principali edifici che hanno segnato la storia del marchio con la P lunga, con una mostra temporanea dedicata ad alcune delle architetture aziendali milanesi: la moderna mensa degli anni Cinquanta progettata da Giulio Minoletti, il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti, l’Headquarters di Bicocca disegnato da Vittorio Gregotti.
Tre turni di visita: ore 17-18-19 (durata: 45 minuti)
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti con prenotazione obbligatoria a questo link. Le iscrizioni si chiuderanno lunedì 17 aprile 2023.
Ingresso visitatori: Fondazione Pirelli, Viale Sarca 220, Milano.
Per il programma completo dell’iniziativa “Dai borghi alla città Dalla città ai quartieri” clicca qui.
Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo visite@fondazionepirelli.org.






Venerdì 21 aprile 2023 la Fondazione Pirelli propone percorsi di visite guidate dal titolo “Pirelli, le architetture dell’industria. Da via Ponte Seveso al quartiere Bicocca”, organizzate in occasione dell’iniziativa “Dai borghi alla città Dalla città ai quartieri”, dedicata al centenario dell’aggregazione del Comune di Niguarda alla Città di Milano. L’evento è realizzato con il patrocinio del Municipio 9 e del Comune di Milano, in collaborazione, tra gli altri, con il Comitato Bicocca.
Attraverso i documenti d’archivio storici e contemporanei conservati presso la Fondazione, i partecipanti potranno ripercorrere la storia del quartiere Bicocca, fino al 1923 parte del Comune di Niguarda e che ha conosciuto una profonda trasformazione nel corso degli ultimi cento anni, e della Pirelli. Si potranno scoprire infatti i principali edifici che hanno segnato la storia del marchio con la P lunga, con una mostra temporanea dedicata ad alcune delle architetture aziendali milanesi: la moderna mensa degli anni Cinquanta progettata da Giulio Minoletti, il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti, l’Headquarters di Bicocca disegnato da Vittorio Gregotti.
Tre turni di visita: ore 17-18-19 (durata: 45 minuti)
L’ingresso è libero fino a esaurimento posti con prenotazione obbligatoria a questo link. Le iscrizioni si chiuderanno lunedì 17 aprile 2023.
Ingresso visitatori: Fondazione Pirelli, Viale Sarca 220, Milano.
Per il programma completo dell’iniziativa “Dai borghi alla città Dalla città ai quartieri” clicca qui.
Per ulteriori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo visite@fondazionepirelli.org.
Raccontare l’impresa, così il lavoro si fonde con la drammaturgia
Questa sera in scena al Teatro Franco Parenti di Milano il progetto di formazione teatrale “L’umana impresa. La fabbrica degli attori” a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli. Regia di Stefano De Luca, drammaturgia di Veronica Del Vecchio, e con Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti, Claudia Grassi, Edoardo Rivoira, Emilia Tiburzi
Era la mia macchina
Eccola qua. È la mia macchina. Ci ho lavorato più di vent’anni”. Gira intorno alla calandra, passa la mano ruvida sulla vernice scrostata, muove una manopola, alza una leva, accarezza un ingranaggio. E poi insiste: “Più di vent’anni…”. Sorride, con una sorta d’affetto, come si fa parlando d’una amicizia o d’un legame di famiglia. E attacca con i ricordi.
Il magazzino sta in fondo alla vecchia fabbrica alla periferia occidentale di Settimo Torinese, chiusa oramai da qualche anno per lasciare il posto al nuovo stabilimento, architettura d’avanguardia, robot, computer, luce diffusa e impianti a norma di massima sicurezza, una “fabbrica bella”, sostenibile e quanto mai produttiva. E tutti i macchinari che sanno di Novecento e catena di montaggio, fumo e rumore, stanno ammassati in uno stanzone, in attesa d’essere rottamati, buoni per ridiventare, dopo i passaggi in fonderia, materia prima per il ferro e l’acciaio. Intanto, aspettando il riciclo, animano le memorie.
“Ero entrato in stabilimento a metà degli anni Ottanta. Operaio. E avevo imparato presto: precisione, abilità, sensibilità per i materiali, attenzione. Fare nei tempi. Fare bene”. Fatica, durezza, tensioni, conflitti, cambiamenti. Lavoro, comunque. E gioco di squadra. “Ci si incontrava, nella sala del cambio turno, per passarci le consegne, dire d’un problema a una macchina, fare il conto della produzione. E parlare di noi, delle famiglie, del contratto da firmare, degli obiettivi per il premio da raggiungere”.
Insieme, insomma. Per crescere, con la soddisfazione di un mestiere che non dà solo salario, ma orgoglio di solida manifattura. Un orgoglio che resta, anche adesso che tutto s’è rinnovato, seguendo le regole e i ritmi dell’industria digitale. Si impara, a usare le macchine e governarle con un iPad. Ci si incontra, tra generazioni.
“E’ il tempo dei giovani, tecnologici. Noi, operai anziani, però, abbiamo esperienza. E ci tocca consigliare, insegnare”.
Parla, ricorda, commenta. Ripassa la mano sul rullo attorno a cui girava la gomma. Si appoggia e si alza dal sediolino di servizio, rimemorando movimenti un tempo consueti. È padrone dei gesti, rivela abitudine e cura.
“Lei, mi ha insegnato un sacco di cose”, confida, guardando la calandra spenta e silenziosa, come fosse una persona. E racconta che la meccanica non è solo materiali e ingranaggi, ma ha anche una sorta di anima. “E la macchina, docile, lo aiuta…”, aveva scritto anni fa un ingegnere poeta che amava la fabbrica.
L’operaio non sa chi era quell’ingegnere, non ne ha mai letto le pagine. Ma capisce bene quelle sue parole, per conoscenza di vita vissuta. “Era la mia macchina…”, ripete. E inclina la testa, per un ultimo sguardo, prima di girarsi e andar via.
Antonio Calabrò






Questa sera in scena al Teatro Franco Parenti di Milano il progetto di formazione teatrale “L’umana impresa. La fabbrica degli attori” a cura dell’Associazione Pier Lombardo in collaborazione con Fondazione Pirelli. Regia di Stefano De Luca, drammaturgia di Veronica Del Vecchio, e con Tobia Dal Corso Polzot, Elia Galeotti, Lorenzo Giovannetti, Claudia Grassi, Edoardo Rivoira, Emilia Tiburzi
Era la mia macchina
Eccola qua. È la mia macchina. Ci ho lavorato più di vent’anni”. Gira intorno alla calandra, passa la mano ruvida sulla vernice scrostata, muove una manopola, alza una leva, accarezza un ingranaggio. E poi insiste: “Più di vent’anni…”. Sorride, con una sorta d’affetto, come si fa parlando d’una amicizia o d’un legame di famiglia. E attacca con i ricordi.
Il magazzino sta in fondo alla vecchia fabbrica alla periferia occidentale di Settimo Torinese, chiusa oramai da qualche anno per lasciare il posto al nuovo stabilimento, architettura d’avanguardia, robot, computer, luce diffusa e impianti a norma di massima sicurezza, una “fabbrica bella”, sostenibile e quanto mai produttiva. E tutti i macchinari che sanno di Novecento e catena di montaggio, fumo e rumore, stanno ammassati in uno stanzone, in attesa d’essere rottamati, buoni per ridiventare, dopo i passaggi in fonderia, materia prima per il ferro e l’acciaio. Intanto, aspettando il riciclo, animano le memorie.
“Ero entrato in stabilimento a metà degli anni Ottanta. Operaio. E avevo imparato presto: precisione, abilità, sensibilità per i materiali, attenzione. Fare nei tempi. Fare bene”. Fatica, durezza, tensioni, conflitti, cambiamenti. Lavoro, comunque. E gioco di squadra. “Ci si incontrava, nella sala del cambio turno, per passarci le consegne, dire d’un problema a una macchina, fare il conto della produzione. E parlare di noi, delle famiglie, del contratto da firmare, degli obiettivi per il premio da raggiungere”.
Insieme, insomma. Per crescere, con la soddisfazione di un mestiere che non dà solo salario, ma orgoglio di solida manifattura. Un orgoglio che resta, anche adesso che tutto s’è rinnovato, seguendo le regole e i ritmi dell’industria digitale. Si impara, a usare le macchine e governarle con un iPad. Ci si incontra, tra generazioni.
“E’ il tempo dei giovani, tecnologici. Noi, operai anziani, però, abbiamo esperienza. E ci tocca consigliare, insegnare”.
Parla, ricorda, commenta. Ripassa la mano sul rullo attorno a cui girava la gomma. Si appoggia e si alza dal sediolino di servizio, rimemorando movimenti un tempo consueti. È padrone dei gesti, rivela abitudine e cura.
“Lei, mi ha insegnato un sacco di cose”, confida, guardando la calandra spenta e silenziosa, come fosse una persona. E racconta che la meccanica non è solo materiali e ingranaggi, ma ha anche una sorta di anima. “E la macchina, docile, lo aiuta…”, aveva scritto anni fa un ingegnere poeta che amava la fabbrica.
L’operaio non sa chi era quell’ingegnere, non ne ha mai letto le pagine. Ma capisce bene quelle sue parole, per conoscenza di vita vissuta. “Era la mia macchina…”, ripete. E inclina la testa, per un ultimo sguardo, prima di girarsi e andar via.
Antonio Calabrò
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Innovazione
“Adess ghe capissarem on quaicoss: andemm a guardagh denter”, è la frase in dialetto milanese (“Adesso ci capiremo qualcosa, andiamo a guardare dentro”) che ripeteva spesso Luigi Emanueli, uno dei più grandi ingegneri di Pirelli degli anni Quaranta, inventore del cavo a olio fluido e del celebre CINTURATO™ Pirelli. Guardare dentro il prodotto e le macchine per sperimentare continuamente.
L’innovazione è nel DNA di Pirelli e attraversa tutta la storia aziendale: nelle ricerche sui materiali sempre più sostenibili, nelle nuove tecnologie di processo e di prodotto, nel campo della comunicazione.






“Adess ghe capissarem on quaicoss: andemm a guardagh denter”, è la frase in dialetto milanese (“Adesso ci capiremo qualcosa, andiamo a guardare dentro”) che ripeteva spesso Luigi Emanueli, uno dei più grandi ingegneri di Pirelli degli anni Quaranta, inventore del cavo a olio fluido e del celebre CINTURATO™ Pirelli. Guardare dentro il prodotto e le macchine per sperimentare continuamente.
L’innovazione è nel DNA di Pirelli e attraversa tutta la storia aziendale: nelle ricerche sui materiali sempre più sostenibili, nelle nuove tecnologie di processo e di prodotto, nel campo della comunicazione.
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Persone
Lungo i 150 anni della sua storia, tanti sono i risultati raggiunti da Pirelli nelle iniziative di “welfare aziendale”, alle quali sin dai primissimi tempi il fondatore Giovanni Battista si era dedicato investendo su forme di previdenza e assistenza sociale e avviando iniziative all’avanguardia per l’epoca. Tra le più importanti l’istituzione, nel 1877, di una “Cassa sociale” che elargiva sussidi in caso di malattia, uno dei primi esempi di intervento a sostegno dei lavoratori introdotti da una grande azienda.
E poi l’istituzione del Servizio di Assistenza Sanitaria nel 1926 in favore dei dipendenti e dei loro familiari, che forniva consulenze specialistiche, esami di laboratorio, cure domiciliari e notevoli facilitazioni per il ricovero in ospedali e in case di salute. Con il crescere dell’azienda, si intensificano le attività assistenziali in favore dei lavoratori, che vanno a coprire non solo la sfera della salute, del tempo libero e dello sport, ma anche quella della famiglia, come ad esempio la formazione dei figli.
Ancora oggi l’obiettivo di Pirelli è quello di promuovere e supportare il benessere delle persone e favorire un forte senso di appartenenza, facendo sentire tutti i lavoratori parte di una comunità aperta e inclusiva.






Lungo i 150 anni della sua storia, tanti sono i risultati raggiunti da Pirelli nelle iniziative di “welfare aziendale”, alle quali sin dai primissimi tempi il fondatore Giovanni Battista si era dedicato investendo su forme di previdenza e assistenza sociale e avviando iniziative all’avanguardia per l’epoca. Tra le più importanti l’istituzione, nel 1877, di una “Cassa sociale” che elargiva sussidi in caso di malattia, uno dei primi esempi di intervento a sostegno dei lavoratori introdotti da una grande azienda.
E poi l’istituzione del Servizio di Assistenza Sanitaria nel 1926 in favore dei dipendenti e dei loro familiari, che forniva consulenze specialistiche, esami di laboratorio, cure domiciliari e notevoli facilitazioni per il ricovero in ospedali e in case di salute. Con il crescere dell’azienda, si intensificano le attività assistenziali in favore dei lavoratori, che vanno a coprire non solo la sfera della salute, del tempo libero e dello sport, ma anche quella della famiglia, come ad esempio la formazione dei figli.
Ancora oggi l’obiettivo di Pirelli è quello di promuovere e supportare il benessere delle persone e favorire un forte senso di appartenenza, facendo sentire tutti i lavoratori parte di una comunità aperta e inclusiva.
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Milano, 1905












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Fabbriche
Parlare di fabbrica significa parlare di processi, di prodotti, di innovazione tecnologica, di Paesi, di persone. Il primo stabilimento Pirelli per la lavorazione della gomma si è aperto nel 1873 a Milano. In pochi anni l’azienda si espande anche all’estero aprendo filiali e insediamenti produttivi e diventando ben presto una multinazionale conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, oggi presente con 18 fabbriche in 12 Paesi. Negli anni Cinquanta attraverso lo sguardo di artisti e pittori la fabbrica ha una rappresentazione sempre aggiornata, in linea con i tempi che cambiano, e in tempi più recenti anche una musica: i suoi ritmi, tempi e suoni diventano il “Canto della fabbrica”, il brano creato dal Maestro Francesco Fiore per l’Orchestra da Camera Italiana di Salvatore Accardo.
La fabbrica diventa anche bella e 4.0: è il caso della “Spina” del Polo Industriale di Settimo Torinese progettata da Renzo Piano. Progetti architettonici nati per rappresentare l’industria finiscono per diventare landmark e simboli come lo è stato il Grattacielo Pirelli, conosciuto da tutti come il “Pirellone” progettato da Gio Ponti nel 1955 e divenuto l’emblema di modernità in un momento eccezionale per l’economica italiana, negli anni del “boom economico”.
La fabbrica è anche trasformazione. Ne è un esempio il “Progetto Bicocca” nato per la riconversione dell’area a nord di Milano divenuto poi uno dei simboli, tra gli altri, dello stretto legame tra le architetture industriali aziendali e il tessuto urbano. Progetto fortemente voluto dall’allora Presidente Leopoldo Pirelli a metà degli anni Ottanta il cui obiettivo è riassunto in questa frase: “La Bicocca degli anni Novanta non dovrà essere uno spazio chiuso e inaccessibile ai cittadini, ma al contrario un luogo aperto, ricco di possibilità di comunicazione e di interscambio economico, sociale e culturale. Un’area dove le nuove tecnologie parleranno il linguaggio degli uomini”.






Parlare di fabbrica significa parlare di processi, di prodotti, di innovazione tecnologica, di Paesi, di persone. Il primo stabilimento Pirelli per la lavorazione della gomma si è aperto nel 1873 a Milano. In pochi anni l’azienda si espande anche all’estero aprendo filiali e insediamenti produttivi e diventando ben presto una multinazionale conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, oggi presente con 18 fabbriche in 12 Paesi. Negli anni Cinquanta attraverso lo sguardo di artisti e pittori la fabbrica ha una rappresentazione sempre aggiornata, in linea con i tempi che cambiano, e in tempi più recenti anche una musica: i suoi ritmi, tempi e suoni diventano il “Canto della fabbrica”, il brano creato dal Maestro Francesco Fiore per l’Orchestra da Camera Italiana di Salvatore Accardo.
La fabbrica diventa anche bella e 4.0: è il caso della “Spina” del Polo Industriale di Settimo Torinese progettata da Renzo Piano. Progetti architettonici nati per rappresentare l’industria finiscono per diventare landmark e simboli come lo è stato il Grattacielo Pirelli, conosciuto da tutti come il “Pirellone” progettato da Gio Ponti nel 1955 e divenuto l’emblema di modernità in un momento eccezionale per l’economica italiana, negli anni del “boom economico”.
La fabbrica è anche trasformazione. Ne è un esempio il “Progetto Bicocca” nato per la riconversione dell’area a nord di Milano divenuto poi uno dei simboli, tra gli altri, dello stretto legame tra le architetture industriali aziendali e il tessuto urbano. Progetto fortemente voluto dall’allora Presidente Leopoldo Pirelli a metà degli anni Ottanta il cui obiettivo è riassunto in questa frase: “La Bicocca degli anni Novanta non dovrà essere uno spazio chiuso e inaccessibile ai cittadini, ma al contrario un luogo aperto, ricco di possibilità di comunicazione e di interscambio economico, sociale e culturale. Un’area dove le nuove tecnologie parleranno il linguaggio degli uomini”.
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Furgeri Gilbert






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Arti
La storia della Pirelli è contraddistinta da una cultura d’impresa capace di coniugare tecnologia e cultura umanistica, ricerca scientifica e sperimentazione artistica. Grazie alla collaborazione di lungo corso con artisti, designer, scrittori e fotografi, Pirelli ha da sempre contribuito allo sviluppo di una cultura politecnica che caratterizza l’identità del Gruppo fin dalla sua fondazione.
Arte e cultura trovano spazio anche sulle riviste aziendali e nelle campagne pubblicitarie globali che hanno fatto la storia della comunicazione visiva internazionale. Oggi il rapporto di Pirelli con l’arte e la cultura continua con i progetti e le attività di valorizzazione del patrimonio storico di Fondazione Pirelli e con le mostre di arte contemporanea di Pirelli HangarBicocca.






La storia della Pirelli è contraddistinta da una cultura d’impresa capace di coniugare tecnologia e cultura umanistica, ricerca scientifica e sperimentazione artistica. Grazie alla collaborazione di lungo corso con artisti, designer, scrittori e fotografi, Pirelli ha da sempre contribuito allo sviluppo di una cultura politecnica che caratterizza l’identità del Gruppo fin dalla sua fondazione.
Arte e cultura trovano spazio anche sulle riviste aziendali e nelle campagne pubblicitarie globali che hanno fatto la storia della comunicazione visiva internazionale. Oggi il rapporto di Pirelli con l’arte e la cultura continua con i progetti e le attività di valorizzazione del patrimonio storico di Fondazione Pirelli e con le mostre di arte contemporanea di Pirelli HangarBicocca.
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