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Robotica, pubblicità, sicurezza stradale, internazionalità: si conclude l’anno di Fondazione Pirelli Educational
Riviste da sfogliare, cassetti da aprire, fotografie da osservare e video da proiettare: tante le azioni dirette a coinvolgere gli studenti nella storia di un’azienda che ha tanto da raccontare.
Sono infatti più di 3000 gli studenti provenienti da 60 istituti scolastici e universitari che da settembre dello scorso anno a oggi hanno partecipato alle attività del nostro programma didattico.
Per cogliere impressioni e opinioni di bambini e ragazzi è nato Inside Edu, un progetto di video-interviste che ha portato alla realizzazione di 11 videoclip, pubblicati sui social network, dove si è parlato di innovazione, comunicazione e archivi d’impresa.
I percorsi guidati agli spazi della Fondazione hanno accompagnato le classi in approfondimenti nel campo della fotografia, della storia d’impresa, della sostenibilità e della comunicazione visiva solo per citarne alcuni. Proprio il percorso dedicato all’evoluzione della grafica pubblicitaria è stato tra i più apprezzati: tante le classi che, dopo la visita alla mostra in corso “La Pubblicità con la P maiuscola”, si sono cimentati nella realizzazione di caroselli in stop-motion o di manifesti per pneumatici velo.
Per cogliere più da vicino la complessità che ruota attorno alla creazione di un nuovo pneumatico i ragazzi hanno potuto conoscere i laboratori chimici, dove vengono analizzate le materie prime, i laboratori di fisica e, sempre all’interno della sezione ricerca e sviluppo, i laboratori di sperimentazione dove i prototipi vengono testati per rispondere alla caratteristiche necessarie per essere sicuri e sostenibili.
Lo stabilimento Next Mirs di Milano Bicocca e il Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese, due esempi eccellenti di fabbrica digitale, hanno permesso agli studenti di seguire l’intero processo produttivo, dalle mescole al pneumatico pronto per essere immesso sul mercato.
In autunno 2018 sono state diverse le collaborazioni con istituzioni e associazioni esterne a Pirelli: Fondazione Pirelli Educational ha collaborato per la prima volta con la Polizia Stradale affiancando gli agenti nelle attività educative svolte presso “WOW Spazio Fumetto” durante la settimana dedicata alle vittime della strada. Un’esposizione di manifesti storici Pirelli e percorsi didattici per le scuole primarie sono stati organizzati con il fine di sensibilizzare i più giovani sui pericoli della strada e far conoscere loro le 10 regole d’oro della sicurezza stradale.
L’attenzione di Fondazione Pirelli al mondo della robotica, del coding e più in generale della digital transformation è stata invece al centro del legame con Coolest Projects Milano 2018, progetto internazionale che dà la possibilità ai più giovani di presentare le proprie invenzioni nell’ambito della creatività digitale. All’interno dell’evento, Fondazione Pirelli – in collaborazione con il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo dell’azienda – ha raccontato l’impegno di Pirelli nel campo della formazione e delle innovazioni nell’era digitale.
Nell’ultimo quadrimestre, da febbraio ad aprile, si è svolta la VII edizione del corso di formazione e aggiornamento per docenti Cinema & Storia organizzato in collaborazione con Fondazione ISEC e Fondazione Cineteca Italiana. Quest’anno circa 80 docenti attraverso lezioni e proiezioni hanno seguito un percorso di riflessione sull’esperienza degli stati nazione e sulla loro parabola storica alla luce dei processi di globalizzazione contemporanei.






Riviste da sfogliare, cassetti da aprire, fotografie da osservare e video da proiettare: tante le azioni dirette a coinvolgere gli studenti nella storia di un’azienda che ha tanto da raccontare.
Sono infatti più di 3000 gli studenti provenienti da 60 istituti scolastici e universitari che da settembre dello scorso anno a oggi hanno partecipato alle attività del nostro programma didattico.
Per cogliere impressioni e opinioni di bambini e ragazzi è nato Inside Edu, un progetto di video-interviste che ha portato alla realizzazione di 11 videoclip, pubblicati sui social network, dove si è parlato di innovazione, comunicazione e archivi d’impresa.
I percorsi guidati agli spazi della Fondazione hanno accompagnato le classi in approfondimenti nel campo della fotografia, della storia d’impresa, della sostenibilità e della comunicazione visiva solo per citarne alcuni. Proprio il percorso dedicato all’evoluzione della grafica pubblicitaria è stato tra i più apprezzati: tante le classi che, dopo la visita alla mostra in corso “La Pubblicità con la P maiuscola”, si sono cimentati nella realizzazione di caroselli in stop-motion o di manifesti per pneumatici velo.
Per cogliere più da vicino la complessità che ruota attorno alla creazione di un nuovo pneumatico i ragazzi hanno potuto conoscere i laboratori chimici, dove vengono analizzate le materie prime, i laboratori di fisica e, sempre all’interno della sezione ricerca e sviluppo, i laboratori di sperimentazione dove i prototipi vengono testati per rispondere alla caratteristiche necessarie per essere sicuri e sostenibili.
Lo stabilimento Next Mirs di Milano Bicocca e il Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese, due esempi eccellenti di fabbrica digitale, hanno permesso agli studenti di seguire l’intero processo produttivo, dalle mescole al pneumatico pronto per essere immesso sul mercato.
In autunno 2018 sono state diverse le collaborazioni con istituzioni e associazioni esterne a Pirelli: Fondazione Pirelli Educational ha collaborato per la prima volta con la Polizia Stradale affiancando gli agenti nelle attività educative svolte presso “WOW Spazio Fumetto” durante la settimana dedicata alle vittime della strada. Un’esposizione di manifesti storici Pirelli e percorsi didattici per le scuole primarie sono stati organizzati con il fine di sensibilizzare i più giovani sui pericoli della strada e far conoscere loro le 10 regole d’oro della sicurezza stradale.
L’attenzione di Fondazione Pirelli al mondo della robotica, del coding e più in generale della digital transformation è stata invece al centro del legame con Coolest Projects Milano 2018, progetto internazionale che dà la possibilità ai più giovani di presentare le proprie invenzioni nell’ambito della creatività digitale. All’interno dell’evento, Fondazione Pirelli – in collaborazione con il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo dell’azienda – ha raccontato l’impegno di Pirelli nel campo della formazione e delle innovazioni nell’era digitale.
Nell’ultimo quadrimestre, da febbraio ad aprile, si è svolta la VII edizione del corso di formazione e aggiornamento per docenti Cinema & Storia organizzato in collaborazione con Fondazione ISEC e Fondazione Cineteca Italiana. Quest’anno circa 80 docenti attraverso lezioni e proiezioni hanno seguito un percorso di riflessione sull’esperienza degli stati nazione e sulla loro parabola storica alla luce dei processi di globalizzazione contemporanei.
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Medici-ingegneri, un corso di laurea internazionale da Humanitas e Politecnico: l’originale sintesi di hi tech e scienze della vita
Medici-ingegneri. Per integrare le conoscenze legate alla salute, al benessere e alla qualità della vita con quelle delle più innovative tecnologie digitali. Nasce a Milano un nuovo corso di laurea, per formarli, grazie all’accordo tra l’Università Humanitas e il Politecnico. E ancora una volta la città si conferma come luogo ideale di sintesi originali tra scienze e discipline diverse, di un “nuovo umanesimo” che costruisce innovative dimensioni del sapere. “In tutto il mondo la ricerca medica e quella tecnologica stanno convergendo. Big data, intelligenza artificiale, biomateriali, machine learnig. E l’Italia è in condizione di giocare una partita ambiziosa, se c’è uno sforzo comune tra università, centri di ricerca, imprese, istituzioni pubbliche e private”, sostiene Gianfelice Rocca, uomo di scienza e di economia, presidente di Techint e di Humanitas ed ex presidente di Assolombarda (Corriere della Sera, 6 giugno).
Ecco dunque la Medtech School, un corso di laurea in Medicina e, contemporaneamente, in Ingegneria biomedica. Sei anni di studi, 50 studenti selezionati tra richieste internazionali (test d’ingresso il 6 settembre), corsi in inglese, aule e laboratori tra l’Humanitas (con i reparti d’ospedale a disposizione) e il Politecnico. E un’ambizione: diventare innovativo punto di riferimento per altre esperienze nel mondo. “Un’assistenza sanitaria efficace, personalizzata e sostenibile”, dicono Marco Montorsi, chirurgo, rettore della Humanitas University e Ferruccio Resta, ingegnere, rettore del Politecnico (Il Sole24Ore, 6 giugno). E spiegano: “Medicina di precisione, nanotecnologie, robotica, intelligenza artificiale, big data, entreranno sempre più a far parte della quotidianità dei futuri medici, ed è per questo che la loro formazione deve adeguarsi, per arricchire il paese di conoscenze e competenze necessarie alla crescita dei nostri laureati”. Sostiene ancora Rocca: “E’ una svolta culturale. La tecnologia serve per aiutare i medici ad avere più tempo per sollevare lo sguardo dal paziente e guardare il paziente. E il settore delle scienze della vita è destinato a diventare sempre più decisivo nelle economie che invecchiano. Negli Stati Uniti rappresenta il 20% dell’economia, vale il 30-40% della ricerca. Un settore profondamente sociale. Con comunità che competono per raggiungere l’eccellenza e fare da volano ai territori”.
Si muovono, nel settore della scienza della vita, le grandi case farmaceutiche. Ma anche Google, Apple e Ibm. Le logiche degli affari si incontrano con quelle sociali legate al “prendersi cura” delle persone che invecchiano, dei soggetti deboli (i malati), delle famiglie che vivono le sofferenze dei loro cari. L’Europa e l’Italia hanno una grande tradizione positiva, in termini di welfare. E proprio quella profonda cultura della solidarietà e dell’assistenza, come missione pubblica, va sostenuta da un’attenzione particolare, proprio grazie al supporto delle nuove tecnologie. In sintesi: un welfare migliore grazie alle conoscenze hi tech. E’ una missione “pubblica” – va aggiunto – che si rafforza con la collaborazione tra strutture pubbliche e imprese private. La sanità, a Milano e in Lombardia (ma anche in Emilia), ne offre indicazioni esemplari, che possono fare da riferimento nazionale ed europeo. Racconta Rocca: “Sul fronte dell’innovazione i risultati sono buoni: dei primi dieci centri di ricerca italiani, sette sono a Milano e tutti nel primo 5% mondiale. Abbiamo adesso, tutti insieme, la responsabilità di fare volare questo cluster delle scienze della vita”. Milano come Boston? “Boston è nel primo 2% mondiale. Ma noi possiamo crescere”. Come? Continuando ad attrarre risorse, talenti, competenze. Facendo lavorare insieme accademia, industria, Stato e regioni che investono grandi quote dei bilanci pubblici nella sanità, assicurazioni. E coinvolgendo i pazienti e le loro famiglie.
Dicono ancora Montorsi e Resta: “Medtech School è pensato per quei giovani che vorranno essere medici capaci di governare lo sviluppo dell’innovazione in Medicina; medici in grado di sfruttare appieno le nuove tecnologie, conoscerne i meccanismi, governarne i processi per modificarli e migliorarli, mettendole al servizio della sanità e avvicinandosi ancora di più al paziente”. Ma non è solo questo, l’orizzonte: “Si crea una nuova figura professionale rivolta alle imprese e ai settori industriali che operano nell’ambito dei dispositivi e delle tecnologie biomediche o in quello farmaceutico; alle istituzioni di governo della sanità; ai centri di ricerca, dove la competenza medica e quella ingegneristica saranno al centro di grandi possibilità in termini di innovazione e di nuovi risultati”. E’ una sfida complessa. Tecnologica, imprenditoriale, formativa, sociale. E dunque politica e culturale. L’Italia e Milano hanno ottime carte da giocare, anche guardando all’Europa.






Medici-ingegneri. Per integrare le conoscenze legate alla salute, al benessere e alla qualità della vita con quelle delle più innovative tecnologie digitali. Nasce a Milano un nuovo corso di laurea, per formarli, grazie all’accordo tra l’Università Humanitas e il Politecnico. E ancora una volta la città si conferma come luogo ideale di sintesi originali tra scienze e discipline diverse, di un “nuovo umanesimo” che costruisce innovative dimensioni del sapere. “In tutto il mondo la ricerca medica e quella tecnologica stanno convergendo. Big data, intelligenza artificiale, biomateriali, machine learnig. E l’Italia è in condizione di giocare una partita ambiziosa, se c’è uno sforzo comune tra università, centri di ricerca, imprese, istituzioni pubbliche e private”, sostiene Gianfelice Rocca, uomo di scienza e di economia, presidente di Techint e di Humanitas ed ex presidente di Assolombarda (Corriere della Sera, 6 giugno).
Ecco dunque la Medtech School, un corso di laurea in Medicina e, contemporaneamente, in Ingegneria biomedica. Sei anni di studi, 50 studenti selezionati tra richieste internazionali (test d’ingresso il 6 settembre), corsi in inglese, aule e laboratori tra l’Humanitas (con i reparti d’ospedale a disposizione) e il Politecnico. E un’ambizione: diventare innovativo punto di riferimento per altre esperienze nel mondo. “Un’assistenza sanitaria efficace, personalizzata e sostenibile”, dicono Marco Montorsi, chirurgo, rettore della Humanitas University e Ferruccio Resta, ingegnere, rettore del Politecnico (Il Sole24Ore, 6 giugno). E spiegano: “Medicina di precisione, nanotecnologie, robotica, intelligenza artificiale, big data, entreranno sempre più a far parte della quotidianità dei futuri medici, ed è per questo che la loro formazione deve adeguarsi, per arricchire il paese di conoscenze e competenze necessarie alla crescita dei nostri laureati”. Sostiene ancora Rocca: “E’ una svolta culturale. La tecnologia serve per aiutare i medici ad avere più tempo per sollevare lo sguardo dal paziente e guardare il paziente. E il settore delle scienze della vita è destinato a diventare sempre più decisivo nelle economie che invecchiano. Negli Stati Uniti rappresenta il 20% dell’economia, vale il 30-40% della ricerca. Un settore profondamente sociale. Con comunità che competono per raggiungere l’eccellenza e fare da volano ai territori”.
Si muovono, nel settore della scienza della vita, le grandi case farmaceutiche. Ma anche Google, Apple e Ibm. Le logiche degli affari si incontrano con quelle sociali legate al “prendersi cura” delle persone che invecchiano, dei soggetti deboli (i malati), delle famiglie che vivono le sofferenze dei loro cari. L’Europa e l’Italia hanno una grande tradizione positiva, in termini di welfare. E proprio quella profonda cultura della solidarietà e dell’assistenza, come missione pubblica, va sostenuta da un’attenzione particolare, proprio grazie al supporto delle nuove tecnologie. In sintesi: un welfare migliore grazie alle conoscenze hi tech. E’ una missione “pubblica” – va aggiunto – che si rafforza con la collaborazione tra strutture pubbliche e imprese private. La sanità, a Milano e in Lombardia (ma anche in Emilia), ne offre indicazioni esemplari, che possono fare da riferimento nazionale ed europeo. Racconta Rocca: “Sul fronte dell’innovazione i risultati sono buoni: dei primi dieci centri di ricerca italiani, sette sono a Milano e tutti nel primo 5% mondiale. Abbiamo adesso, tutti insieme, la responsabilità di fare volare questo cluster delle scienze della vita”. Milano come Boston? “Boston è nel primo 2% mondiale. Ma noi possiamo crescere”. Come? Continuando ad attrarre risorse, talenti, competenze. Facendo lavorare insieme accademia, industria, Stato e regioni che investono grandi quote dei bilanci pubblici nella sanità, assicurazioni. E coinvolgendo i pazienti e le loro famiglie.
Dicono ancora Montorsi e Resta: “Medtech School è pensato per quei giovani che vorranno essere medici capaci di governare lo sviluppo dell’innovazione in Medicina; medici in grado di sfruttare appieno le nuove tecnologie, conoscerne i meccanismi, governarne i processi per modificarli e migliorarli, mettendole al servizio della sanità e avvicinandosi ancora di più al paziente”. Ma non è solo questo, l’orizzonte: “Si crea una nuova figura professionale rivolta alle imprese e ai settori industriali che operano nell’ambito dei dispositivi e delle tecnologie biomediche o in quello farmaceutico; alle istituzioni di governo della sanità; ai centri di ricerca, dove la competenza medica e quella ingegneristica saranno al centro di grandi possibilità in termini di innovazione e di nuovi risultati”. E’ una sfida complessa. Tecnologica, imprenditoriale, formativa, sociale. E dunque politica e culturale. L’Italia e Milano hanno ottime carte da giocare, anche guardando all’Europa.
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Chi servire?
Un intervento dell’Arcivescovo di Milano ripropone una visione importante di cultura d’impresa
Porsi domande sul significato di quello che si fa è importante. E, forse, è ancora più importante chiedersi quali siano gli obiettivi veri della propria azione. Domande che valgono per tutti. Anche per gli imprenditori e i manager che hanno a che fare con sistemi produttivi che, per ciò che fanno, possono toccare anche profondamente l’ambiente in cui sono e le persone che contribuiscono al raggiungimento dei risultati produttivi.
Leggere allora “Contributo per un confronto. Economia, lavoro, giustizia sociale” scritto e letto dall’Arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, alla LIUC in occasione dei 150 dalla morte di Carlo Cattaneo, è una buona cosa per aggiungere alle proprie idee altri elementi di ragionamento.
Delpini inizia il suo discorso da quanto le Scritture possono fornire per l’interpretazione della situazione di crisi dell’oggi. Partendo in particolare da uno dei più famosi passi dei Vangeli (“Non potete servire Dio e la ricchezza “), l’Arcivescovo ragiona sui rischi dell’idolatria del benessere. “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza – dice Delpini -, induce ad attribuire a una illusione che rende stolte le persone, perché alimenta la persuasione che il benessere economico possa salvare la vita e garantire la felicità, ignorando la precarietà degli idoli (…)”. E poi ancora: “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza/accumulo si avvale della spersonalizzazione delle persone e diventa sistema”. Tutto tenendo conto che è “legittimo che ogni imprenditore, insegnante e studente, si ponga la questione di chi vuole servire, se il vero Dio o il dio denaro, perché, talvolta, è come se ci fossero due tipi di dei: uno della domenica e dei giorni festivi e l’altro per i giorni dal lunedì al venerdì”. Il pericolo, naturalmente, è “che il profitto diventi una sorta di assoluto illusorio, creato dalla stoltezza di un uomo che perde il senso delle proporzioni”.
Da tutto questo, Delpini trae l’indicazione della necessità di “cambiare registro” per una buona parte del sistema economico e produttivo. Operazione complessa e difficile, ma possibile partendo dalla constatazione che “la cura per il ‘capitale umano’ è una tendenza che presenta buone pratiche nell’esperienza di una imprenditoria lungimirante” che ha nella condivisione dei valori, nella crescita delle persone e nella trasmissione stessa dei valori e delle conoscenze alcuni dei suoi più forti capisaldi.
Certamente Delpini pone una visione della cultura d’impresa da un punto di vista strettamente cristiano che, tuttavia, può trovare grandi spazi di condivisione anche partendo da altre visioni del mondo. E, in ogni caso, quanto scritto dall’Arcivescovo di Milano costituisce una buona lettura per tutti.
Contributo per un confronto. “Economia, lavoro, giustizia sociale”
Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano,
LIUC, Castellanza, 14 maggio 2019
Clicca qui per scaricare il PDF
Un intervento dell’Arcivescovo di Milano ripropone una visione importante di cultura d’impresa
Porsi domande sul significato di quello che si fa è importante. E, forse, è ancora più importante chiedersi quali siano gli obiettivi veri della propria azione. Domande che valgono per tutti. Anche per gli imprenditori e i manager che hanno a che fare con sistemi produttivi che, per ciò che fanno, possono toccare anche profondamente l’ambiente in cui sono e le persone che contribuiscono al raggiungimento dei risultati produttivi.
Leggere allora “Contributo per un confronto. Economia, lavoro, giustizia sociale” scritto e letto dall’Arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, alla LIUC in occasione dei 150 dalla morte di Carlo Cattaneo, è una buona cosa per aggiungere alle proprie idee altri elementi di ragionamento.
Delpini inizia il suo discorso da quanto le Scritture possono fornire per l’interpretazione della situazione di crisi dell’oggi. Partendo in particolare da uno dei più famosi passi dei Vangeli (“Non potete servire Dio e la ricchezza “), l’Arcivescovo ragiona sui rischi dell’idolatria del benessere. “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza – dice Delpini -, induce ad attribuire a una illusione che rende stolte le persone, perché alimenta la persuasione che il benessere economico possa salvare la vita e garantire la felicità, ignorando la precarietà degli idoli (…)”. E poi ancora: “L’idolatria della ricchezza/profitto/efficienza/accumulo si avvale della spersonalizzazione delle persone e diventa sistema”. Tutto tenendo conto che è “legittimo che ogni imprenditore, insegnante e studente, si ponga la questione di chi vuole servire, se il vero Dio o il dio denaro, perché, talvolta, è come se ci fossero due tipi di dei: uno della domenica e dei giorni festivi e l’altro per i giorni dal lunedì al venerdì”. Il pericolo, naturalmente, è “che il profitto diventi una sorta di assoluto illusorio, creato dalla stoltezza di un uomo che perde il senso delle proporzioni”.
Da tutto questo, Delpini trae l’indicazione della necessità di “cambiare registro” per una buona parte del sistema economico e produttivo. Operazione complessa e difficile, ma possibile partendo dalla constatazione che “la cura per il ‘capitale umano’ è una tendenza che presenta buone pratiche nell’esperienza di una imprenditoria lungimirante” che ha nella condivisione dei valori, nella crescita delle persone e nella trasmissione stessa dei valori e delle conoscenze alcuni dei suoi più forti capisaldi.
Certamente Delpini pone una visione della cultura d’impresa da un punto di vista strettamente cristiano che, tuttavia, può trovare grandi spazi di condivisione anche partendo da altre visioni del mondo. E, in ogni caso, quanto scritto dall’Arcivescovo di Milano costituisce una buona lettura per tutti.
Contributo per un confronto. “Economia, lavoro, giustizia sociale”
Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano,
LIUC, Castellanza, 14 maggio 2019
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Dov’è la (vera) innovazione?
Un libro esamina criticamente i miti del sistema economico digitale e fa scoprire nuove risorse per il nostro Paese
Anche oggi esistono i miti. Ed esistono anche nel sistema delle imprese. Senza contare quelli nati dalla Rete (anche la Rete stessa è spesso un mito). E senza dire dell’insieme di indicazioni per la corretta gestione delle imprese che va sotto il nome di teorie del management. Il mito del buon manager esiste ed è diffuso, così come quello del web in grado di risolvere positivamente ogni problema, e così come anche quello del “fare squadra” a tutti i costi. Di fronte alla super-efficienza è necessario stare con i piedi per terra. Informarsi e capire. E’ quanto accade leggendo (anche) “Start down. La crisi dei miti digitali e il risveglio dell’innovazione”, scritto da Gabriele Colasanto e Marco Rossella.
Il libro mette in discussione i miti del sistema economico digitale attraverso un punto di vista ironico e documentato. Contiene numeri, ma soprattutto storie, immagini, personaggi, punti di vista raccolti in circa 200 pagine per addetti ai lavori e non. Il punto cruciale del ragionamento dei due autori, sta nella rivalutazione della capacità del nostro Paese di creare posti di lavoro senza necessaria ogni volta dare vita a startup avveniristiche. Che, invece, è ciò che molto spesso viene fatto credere. Fenomeno che, in Italia, avviene frequentemente, tanto da poter parlare di una sorta di “clima di perenne campagna elettorale” dove prima vengono gli artigiani, la piccola media impresa, i pensionati, in una costante dialettica tra l’imbonimento o l’amplificazione della rabbia sociale che permea oggi il Paese. Su tutto, fra l’altro, anche una constatazione che deriva dai numeri stessi: il sistema delle startup a livello globale non produce più da almeno quindici anni aziende capaci di inventare nuovi paradigmi a livello mondiale e cerca nuove vie originali per reinventarsi. L’Italia rischia dunque di continuare inseguire affannosamente un sogno già vecchio, guardando con deferenza al mito della Silicon Valley, scommettendo in ritardo su idee di importazione e riproducendo i vizi di nanismo e presunzione tipici del nostro Paese.
Diviso in nove capitoli e numerose schede di approfondimento, il libro inizia con un prologo dal titolo significativo – “Prologo. O della necessità di uno smascheramento” -, e finisce con una conclusione dal titolo ugualmente bello – “Per tutti i giovani di belle speranze” -, che contiene, proprio nelle ultime righe un’indicazione importante: “L’impressione è che ci farebbe bene, almeno per un po’, smettere di usare impropriamente la parola «digitale» e riprenderci invece pienamente la parola «innovazione»: su questa il campo da gioco è più ampio e possiamo ancora dire la nostra con le nostre storie individuali e collettive”.
Arricchiscono il testo anche tre interventi di Marco Grazioli (presidente di The European House – Ambrosetti), Salvatore Majorana (direttore del Kilometro Rosso, Bergamo), Luigi Serio (che insegna Economia e gestione delle imprese all’Università Cattolica del Sacro Cuore).
Le pagine scritte da Colasanto e Rossella sono pagine scritte bene, vivaci, che prima della teoria contengono persone e quindi vite vissute, fatte di fallimenti e di successi e perciò in grado di insegnare comunque qualcosa a tutti noi.
Start down. La crisi dei miti digitali e il risveglio dell’innovazione
Gabriele Colasanto, Marco Rossella
GueriniNEXT, 2019






Un libro esamina criticamente i miti del sistema economico digitale e fa scoprire nuove risorse per il nostro Paese
Anche oggi esistono i miti. Ed esistono anche nel sistema delle imprese. Senza contare quelli nati dalla Rete (anche la Rete stessa è spesso un mito). E senza dire dell’insieme di indicazioni per la corretta gestione delle imprese che va sotto il nome di teorie del management. Il mito del buon manager esiste ed è diffuso, così come quello del web in grado di risolvere positivamente ogni problema, e così come anche quello del “fare squadra” a tutti i costi. Di fronte alla super-efficienza è necessario stare con i piedi per terra. Informarsi e capire. E’ quanto accade leggendo (anche) “Start down. La crisi dei miti digitali e il risveglio dell’innovazione”, scritto da Gabriele Colasanto e Marco Rossella.
Il libro mette in discussione i miti del sistema economico digitale attraverso un punto di vista ironico e documentato. Contiene numeri, ma soprattutto storie, immagini, personaggi, punti di vista raccolti in circa 200 pagine per addetti ai lavori e non. Il punto cruciale del ragionamento dei due autori, sta nella rivalutazione della capacità del nostro Paese di creare posti di lavoro senza necessaria ogni volta dare vita a startup avveniristiche. Che, invece, è ciò che molto spesso viene fatto credere. Fenomeno che, in Italia, avviene frequentemente, tanto da poter parlare di una sorta di “clima di perenne campagna elettorale” dove prima vengono gli artigiani, la piccola media impresa, i pensionati, in una costante dialettica tra l’imbonimento o l’amplificazione della rabbia sociale che permea oggi il Paese. Su tutto, fra l’altro, anche una constatazione che deriva dai numeri stessi: il sistema delle startup a livello globale non produce più da almeno quindici anni aziende capaci di inventare nuovi paradigmi a livello mondiale e cerca nuove vie originali per reinventarsi. L’Italia rischia dunque di continuare inseguire affannosamente un sogno già vecchio, guardando con deferenza al mito della Silicon Valley, scommettendo in ritardo su idee di importazione e riproducendo i vizi di nanismo e presunzione tipici del nostro Paese.
Diviso in nove capitoli e numerose schede di approfondimento, il libro inizia con un prologo dal titolo significativo – “Prologo. O della necessità di uno smascheramento” -, e finisce con una conclusione dal titolo ugualmente bello – “Per tutti i giovani di belle speranze” -, che contiene, proprio nelle ultime righe un’indicazione importante: “L’impressione è che ci farebbe bene, almeno per un po’, smettere di usare impropriamente la parola «digitale» e riprenderci invece pienamente la parola «innovazione»: su questa il campo da gioco è più ampio e possiamo ancora dire la nostra con le nostre storie individuali e collettive”.
Arricchiscono il testo anche tre interventi di Marco Grazioli (presidente di The European House – Ambrosetti), Salvatore Majorana (direttore del Kilometro Rosso, Bergamo), Luigi Serio (che insegna Economia e gestione delle imprese all’Università Cattolica del Sacro Cuore).
Le pagine scritte da Colasanto e Rossella sono pagine scritte bene, vivaci, che prima della teoria contengono persone e quindi vite vissute, fatte di fallimenti e di successi e perciò in grado di insegnare comunque qualcosa a tutti noi.
Start down. La crisi dei miti digitali e il risveglio dell’innovazione
Gabriele Colasanto, Marco Rossella
GueriniNEXT, 2019
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Innovazione tecnologica e cultura d’impresa
Un’ampia ricerca indaga le relazioni fra Industria 4.0 e condizioni di lavoro
L’innovazione tecnologica non è solamente cosa di macchine ma, soprattutto, di donne e uomini al lavoro. È, a ben vedere, stato sempre così, fin dai tempi della prima Rivoluzione industriale. Ed è così anche oggi, ai tempi della rivoluzione di Industria 4.0. Dotarsi degli strumenti conoscitivi per comprendere pienamente quanto sta accadendo, è quindi cosa buona e utile per tutti: non solo cioè per i lavoratori intesi in senso tradizionale, ma anche per gli imprenditori e i manager che con Industria 4.0 hanno a che fare.
A mettere ordine nel complesso degli effetti dell’innovazione tecnologica oggi, ci hanno provato Michele Faioli (dell’Università di Roma Tor Vergata), Gualtiero Fantoni (dell’Università di Pisa) e Manuelita Mancini (della Fondazione Giacomo Brodolini), in un’ampia ricerca pubblicata nell’ambito dei Working Papers della Fondazione Giacomo Brodolini.
“Lavoro e organizzazione della logistica 4.0” – viene scritto all’inizio dell’indagine, “si pone l’obiettivo di comprendere come e in che misura le novità prodotte dall’innovazione tecnologica possano avere (come già in parte hanno) ricadute nei nostri settori in termini di nozioni, di inquadramenti professionali, di declaratorie, di retribuzioni. Il che con una attenzione anche agli effetti che l’automazione può avere in termini di organizzazione degli orari di lavoro”. Ad essere messo fuoco in particolare, infatti, è il settore della logistica la cui trasformazione sotto l’impatto dell’innovazione viene prima analizzata dal punto di vista tecnico e poi da quello più vicino al ruolo dei lavoratori.
La ricerca inizia quindi con una descrizione accurata delle diverse relazioni fra logistica e innovazione collocate in ambiti di applicazione vari: sistemi portuali e aeroportuali, gli hub, la catena del freddo. I tre autori prendono poi in considerazione lo stesso tema ma guardandolo dal punto di vista giuridico per passare quindi ad approfondire cosa accade circa la formazione e i salari.
Nelle conclusioni, viene poi focalizzato con attenzione il “diritto all’alfabetizzazione digitale” come punto di partenza per il miglioramento delle condizioni di lavoro e quindi dell’organizzazione stessa della produzione. Più di tutto, si profila non solo la necessità di un rinnovo degli aspetti contrattuali del lavoro, ma soprattutto quella di un riesame complessivo della cultura del produrre che deve coinvolgere tutti i soggetti che prendono parte ad un determinato ciclo produttivo.
Lavoro e organizzazione della logistica 4.0
Michele Faioli, Gualtiero Fantoni, Manuelita Mancini
Working Papers della Fondazione Giacomo Brodolini, 2018
Clicca qui per scaricare il PDF
Un’ampia ricerca indaga le relazioni fra Industria 4.0 e condizioni di lavoro
L’innovazione tecnologica non è solamente cosa di macchine ma, soprattutto, di donne e uomini al lavoro. È, a ben vedere, stato sempre così, fin dai tempi della prima Rivoluzione industriale. Ed è così anche oggi, ai tempi della rivoluzione di Industria 4.0. Dotarsi degli strumenti conoscitivi per comprendere pienamente quanto sta accadendo, è quindi cosa buona e utile per tutti: non solo cioè per i lavoratori intesi in senso tradizionale, ma anche per gli imprenditori e i manager che con Industria 4.0 hanno a che fare.
A mettere ordine nel complesso degli effetti dell’innovazione tecnologica oggi, ci hanno provato Michele Faioli (dell’Università di Roma Tor Vergata), Gualtiero Fantoni (dell’Università di Pisa) e Manuelita Mancini (della Fondazione Giacomo Brodolini), in un’ampia ricerca pubblicata nell’ambito dei Working Papers della Fondazione Giacomo Brodolini.
“Lavoro e organizzazione della logistica 4.0” – viene scritto all’inizio dell’indagine, “si pone l’obiettivo di comprendere come e in che misura le novità prodotte dall’innovazione tecnologica possano avere (come già in parte hanno) ricadute nei nostri settori in termini di nozioni, di inquadramenti professionali, di declaratorie, di retribuzioni. Il che con una attenzione anche agli effetti che l’automazione può avere in termini di organizzazione degli orari di lavoro”. Ad essere messo fuoco in particolare, infatti, è il settore della logistica la cui trasformazione sotto l’impatto dell’innovazione viene prima analizzata dal punto di vista tecnico e poi da quello più vicino al ruolo dei lavoratori.
La ricerca inizia quindi con una descrizione accurata delle diverse relazioni fra logistica e innovazione collocate in ambiti di applicazione vari: sistemi portuali e aeroportuali, gli hub, la catena del freddo. I tre autori prendono poi in considerazione lo stesso tema ma guardandolo dal punto di vista giuridico per passare quindi ad approfondire cosa accade circa la formazione e i salari.
Nelle conclusioni, viene poi focalizzato con attenzione il “diritto all’alfabetizzazione digitale” come punto di partenza per il miglioramento delle condizioni di lavoro e quindi dell’organizzazione stessa della produzione. Più di tutto, si profila non solo la necessità di un rinnovo degli aspetti contrattuali del lavoro, ma soprattutto quella di un riesame complessivo della cultura del produrre che deve coinvolgere tutti i soggetti che prendono parte ad un determinato ciclo produttivo.
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Buona energia d’impresa
La nuova edizione di un libro ripropone la forza della condivisione e della “squadra”
Il buon imprenditore non lavora ma da solo. E la buona impresa non si costruisce se non è un’avventura che ha nell’uomo il suo fulcro. Ed è dall’insieme di calcolo e di sentimento che nasce quella cultura del produrre che può far grande un’organizzazione della produzione. Che è meccanismo produttivo non fisso ma resiliente, non rigido ma flessibile, non costituito solamente dal freddo calcolo ma anche dal caldo sentimento dell’uomo. Apprendere le storie d’impresa esemplificatrici di tutto questo, fa bene a tutti. Ed è per questo che fa bene leggere la nuova edizione di “Samurai Manager. La montagna inaccessibile” scritto da Pierluigi Tosato sulla base della sua esperienza di manager internazionale passato dalla Zoppas Industries alla Interpump e poi alla Global Garden Products SA, all’Acqua Minerale San Benedetto e adesso alla DeOleo SA, la multinazionale spagnola nel settore dell’olio d’oliva con i marchi Bertolli e Carapelli.
Tosato prende coma paradigma della sua azione manageriale la figura del Samurai inteso come catalizzatore di energie che viene sintetizzata da una circostanza: quando “le menti di tutti coincidono, le energie si armonizzano, e quando le energie si armonizzano, la forza è unica e uniforme”. L’autore ha cercato di trasferire questo “metodo di lavoro” nelle aziende nelle quali ha lavorato e delle quali racconta la storia nel libro.
Ne è nato il racconto di un’avventura ricca di volti, sfide, traguardi e contemporaneamente di indicazioni gestionali in grado di portare al successo un’impresa. Il libro quindi passa in rassegna le crisi esistenziali del manager, la necessità della ricerca della perfezione, la constatazione che le aziende in declino sono gestire da “manager negativi”, la bontà della resilienza, la necessità di avere fiducia in se stessi e quella di costruire una “visione condivisa” oltre a quella di “ripartire dall’Uomo”.
Il libro di Tosato è da leggere con attenzione anche se si può leggere in fretta: non è un manuale di gestione aziendale e non è nemmeno un racconto di vita da manager un po’ sui generis. E’ qualcosa di tutto questo e d’altro ancora. Qualcosa che mischia – con abilità e leggibilità -, concetti ed esperienze cardine della buona gestione d’impresa (con esempi che vanno dalla Toyota alla Coca Cola, dalla Nestlé alla Apple, passando per molte altre aziende), con idee e suggestioni che arrivano dalla filosofia e dalla grande letteratura: nomi come quelli di Kant, Platone, Leonardo, Dostoevskij, Bulgakov, García Márquez, Pessoa, Yourcenar e tanti altri si incontra più frequentemente di quelli dei guru dell’economia e del management.
Alla fine del testo, così come d’altra parte un po’ ovunque, emerge l’indicazione di fondo contenuta dal libro: il mondo contemporaneo è malato di narcisismo, il concetto stesso di successo viene osservato con le lenti distorte dell’individualismo e del risultato di breve periodo ad ogni costo. Guarire dal narcisismo significa passare dall’io al tutto, dall’alienazione all’autenticità, dall’effimero dominio su cose e persone alla realizzazione di un valore condiviso.
Non si è obbligati ad essere d’accordo con tutto quello che Tosatto scrive, ma certamente si è obbligati a pensarci su.
Samurai Manager. La montagna inaccessibile
Pierluigi Tosato
Guerini Next, Nuova edizione, 2019






La nuova edizione di un libro ripropone la forza della condivisione e della “squadra”
Il buon imprenditore non lavora ma da solo. E la buona impresa non si costruisce se non è un’avventura che ha nell’uomo il suo fulcro. Ed è dall’insieme di calcolo e di sentimento che nasce quella cultura del produrre che può far grande un’organizzazione della produzione. Che è meccanismo produttivo non fisso ma resiliente, non rigido ma flessibile, non costituito solamente dal freddo calcolo ma anche dal caldo sentimento dell’uomo. Apprendere le storie d’impresa esemplificatrici di tutto questo, fa bene a tutti. Ed è per questo che fa bene leggere la nuova edizione di “Samurai Manager. La montagna inaccessibile” scritto da Pierluigi Tosato sulla base della sua esperienza di manager internazionale passato dalla Zoppas Industries alla Interpump e poi alla Global Garden Products SA, all’Acqua Minerale San Benedetto e adesso alla DeOleo SA, la multinazionale spagnola nel settore dell’olio d’oliva con i marchi Bertolli e Carapelli.
Tosato prende coma paradigma della sua azione manageriale la figura del Samurai inteso come catalizzatore di energie che viene sintetizzata da una circostanza: quando “le menti di tutti coincidono, le energie si armonizzano, e quando le energie si armonizzano, la forza è unica e uniforme”. L’autore ha cercato di trasferire questo “metodo di lavoro” nelle aziende nelle quali ha lavorato e delle quali racconta la storia nel libro.
Ne è nato il racconto di un’avventura ricca di volti, sfide, traguardi e contemporaneamente di indicazioni gestionali in grado di portare al successo un’impresa. Il libro quindi passa in rassegna le crisi esistenziali del manager, la necessità della ricerca della perfezione, la constatazione che le aziende in declino sono gestire da “manager negativi”, la bontà della resilienza, la necessità di avere fiducia in se stessi e quella di costruire una “visione condivisa” oltre a quella di “ripartire dall’Uomo”.
Il libro di Tosato è da leggere con attenzione anche se si può leggere in fretta: non è un manuale di gestione aziendale e non è nemmeno un racconto di vita da manager un po’ sui generis. E’ qualcosa di tutto questo e d’altro ancora. Qualcosa che mischia – con abilità e leggibilità -, concetti ed esperienze cardine della buona gestione d’impresa (con esempi che vanno dalla Toyota alla Coca Cola, dalla Nestlé alla Apple, passando per molte altre aziende), con idee e suggestioni che arrivano dalla filosofia e dalla grande letteratura: nomi come quelli di Kant, Platone, Leonardo, Dostoevskij, Bulgakov, García Márquez, Pessoa, Yourcenar e tanti altri si incontra più frequentemente di quelli dei guru dell’economia e del management.
Alla fine del testo, così come d’altra parte un po’ ovunque, emerge l’indicazione di fondo contenuta dal libro: il mondo contemporaneo è malato di narcisismo, il concetto stesso di successo viene osservato con le lenti distorte dell’individualismo e del risultato di breve periodo ad ogni costo. Guarire dal narcisismo significa passare dall’io al tutto, dall’alienazione all’autenticità, dall’effimero dominio su cose e persone alla realizzazione di un valore condiviso.
Non si è obbligati ad essere d’accordo con tutto quello che Tosatto scrive, ma certamente si è obbligati a pensarci su.
Samurai Manager. La montagna inaccessibile
Pierluigi Tosato
Guerini Next, Nuova edizione, 2019
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