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Quale potere con la IA

Appena pubblicato in Italia un libro che esplora le relazioni tra le capacità dell’Intelligenza Artificiale e i suoi effetti nell’economia e nella società

 

E’ l’Intelligenza Artificiale (IA) il nuovo orizzonte dell’economia e della produzione oltre che della società. Così, almeno, sembra essere. Ma su quali siano i meccanismi d’uso, quelli di tutela e, soprattutto, gli effetti dell’IA, sono molti ancora gli interrogativi ai quali rispondere. Per provarci è utile leggere “Potere e previsione. L’economia dirompente dell’intelligenza artificiale” scritto a sei mani da Ajay Agrawal, Joshua Gans e Avi Goldfarb e da poco pubblicato anche in Italia.

Il libro prende le mosse da una constatazione. L’IA ha già avuto un impatto significativo su molti settori economici – sulla finanza, sulla farmaceutica, sull’industria automobilistica, nell’ambito medico, in quello manifatturiero e sul commercio mondiale – ma il percorso verso una sua efficace e corretta applicazione è, di fatto, appena cominciato. Soprattutto per quanto riguarda, è il parere dei tre autori, le previsioni economiche che potranno essere più precise e più rapide, in grado di guidare le decisioni strategiche.
Usare la IA, dunque, per prevedere quanto potrà accadere nell’economia. Il libro spiega come i due ingredienti chiave del processo decisionale, la previsione e il giudizio, siano elaborati contestualmente dalla nostra mente, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto. L’ascesa dell’IA sta spostando il compito di effettuare previsioni dagli esseri umani alle macchine, sollevando i primi da questo carico cognitivo e aumentando la velocità e l’accuratezza delle decisioni. La realizzazione di un orizzonte di questo genere deve però passare dalla riprogettazione di una corposa serie di sistemi e di procedure. Ed è su questa fase che si concentra il libro.

Agrawal, Gans e Goldfarb conducono quindi chi legge attraverso le regole e i sistemi da applicare ma, soprattutto, approfondiscono il tema del potere conferito a chi potrà usare l’IA. Il processo decisionale, viene infatti notato, conferisce potere. E nell’economia il potere genera profitti; nella società, il potere permette il controllo. Tutto questo condurrà ad un profondo rimescolamento degli assetti economici e sociali. Le aziende potranno sfruttare le opportunità che si apriranno e dovranno proteggere le loro posizioni. La società dovrà riscrivere assetti e diritti.

Il libro di Agrawal, Gans e Goldfarb è una di quelle letture da compiere con attenzione e senso critico. Lettura utile e importante. Che chi vuole essere cittadino consapevole oppure imprenditore avveduto dovrebbe fare.

Potere e previsione. L’economia dirompente dell’intelligenza artificiale

Ajay Agrawal, Joshua Gans, Avi Goldfarb

Franco Angeli, 2024

Appena pubblicato in Italia un libro che esplora le relazioni tra le capacità dell’Intelligenza Artificiale e i suoi effetti nell’economia e nella società

 

E’ l’Intelligenza Artificiale (IA) il nuovo orizzonte dell’economia e della produzione oltre che della società. Così, almeno, sembra essere. Ma su quali siano i meccanismi d’uso, quelli di tutela e, soprattutto, gli effetti dell’IA, sono molti ancora gli interrogativi ai quali rispondere. Per provarci è utile leggere “Potere e previsione. L’economia dirompente dell’intelligenza artificiale” scritto a sei mani da Ajay Agrawal, Joshua Gans e Avi Goldfarb e da poco pubblicato anche in Italia.

Il libro prende le mosse da una constatazione. L’IA ha già avuto un impatto significativo su molti settori economici – sulla finanza, sulla farmaceutica, sull’industria automobilistica, nell’ambito medico, in quello manifatturiero e sul commercio mondiale – ma il percorso verso una sua efficace e corretta applicazione è, di fatto, appena cominciato. Soprattutto per quanto riguarda, è il parere dei tre autori, le previsioni economiche che potranno essere più precise e più rapide, in grado di guidare le decisioni strategiche.
Usare la IA, dunque, per prevedere quanto potrà accadere nell’economia. Il libro spiega come i due ingredienti chiave del processo decisionale, la previsione e il giudizio, siano elaborati contestualmente dalla nostra mente, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto. L’ascesa dell’IA sta spostando il compito di effettuare previsioni dagli esseri umani alle macchine, sollevando i primi da questo carico cognitivo e aumentando la velocità e l’accuratezza delle decisioni. La realizzazione di un orizzonte di questo genere deve però passare dalla riprogettazione di una corposa serie di sistemi e di procedure. Ed è su questa fase che si concentra il libro.

Agrawal, Gans e Goldfarb conducono quindi chi legge attraverso le regole e i sistemi da applicare ma, soprattutto, approfondiscono il tema del potere conferito a chi potrà usare l’IA. Il processo decisionale, viene infatti notato, conferisce potere. E nell’economia il potere genera profitti; nella società, il potere permette il controllo. Tutto questo condurrà ad un profondo rimescolamento degli assetti economici e sociali. Le aziende potranno sfruttare le opportunità che si apriranno e dovranno proteggere le loro posizioni. La società dovrà riscrivere assetti e diritti.

Il libro di Agrawal, Gans e Goldfarb è una di quelle letture da compiere con attenzione e senso critico. Lettura utile e importante. Che chi vuole essere cittadino consapevole oppure imprenditore avveduto dovrebbe fare.

Potere e previsione. L’economia dirompente dell’intelligenza artificiale

Ajay Agrawal, Joshua Gans, Avi Goldfarb

Franco Angeli, 2024

L’impresa del bene comune

Sintetizzati i tratti salienti del dibattito sulle nuove forme di economia e produzione

Individuare gli errori per fare meglio dopo. E porre come obiettivo dell’attività d’impresa non semplicemente “l’utilità” (e il profitto), ma anche altro. E’ attorno a questi temi che ruota buona parte dell’attuale dibattito sui fini dell’attività economica. Una discussione che si fa spesso ragionamento costruttivo, ma che necessita di periodiche messe a punto per non perdersi in divagazioni e fraintendimenti. E’ a questo che serve il contributo di Elena Beccalli apparso recentemente su Nuova Rivista di Teologia Morale. “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e The economy of Francesco: nuove prospettive di riflessione etica e di impegno culturale in ambito economico-finanziario”, è una valida sintesi del tema che parte dall’imprescindibile dimensione etica propria dell’economia e della finanza intese come attività umane. L’intervento si propone quindi di mettere a fuoco, in primo luogo, i principali errori ai quali, secondo Beccalli, “induce il modello economico utilitaristico che per decenni ha dominato la teoria economica e, conseguentemente, la prassi operativa”. La ricerca, quindi, propone “il valore positivo della biodiversità economica e analizza le potenzialità dei modelli di impresa sociale nelle sue varie possibili forme”. Infine, Beccalli approfondisce il nuovo ruolo della finanza “nell’intersezione con la sostenibilità e forme positive come il microcredito e le banche di comunità”. Fanno da “base” del ragionamento alcuni spunti proposti nel documento vaticano Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e dall’iniziativa The Economy of Francesco.

Il percorso seguito da Elena Beccalli è semplice: dopo una introduzione che serve ad inquadrare il tema, vengono prima ripercorsi i tratti del paradigma economico tradizionale e, poi, viene ripensato il concetto di impresa secondo indicazioni diverse da quelle consuete (una parte che arriva a toccare il welfare e l’impresa sociale), per arrivare quindi alle relazioni tra finanza e nuova economia.

Scrive Beccalli in uno dei passaggi più significativi della sua indagine: “Non si può sacrificare il bene di qualcuno per migliorare il bene di qualcun altro e, in altre parole, il bene di ognuno non può essere fruito se non lo è anche degli altri (l’interesse di ognuno si realizza assieme a quello degli altri, né contro né a prescindere)”.

Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e The economy of Francesco: nuove prospettive di riflessione etica e di impegno culturale in ambito economico-finanziario

Elena Beccalli

Nuova Rivista di Teologia Morale, 2024 n. 1

Sintetizzati i tratti salienti del dibattito sulle nuove forme di economia e produzione

Individuare gli errori per fare meglio dopo. E porre come obiettivo dell’attività d’impresa non semplicemente “l’utilità” (e il profitto), ma anche altro. E’ attorno a questi temi che ruota buona parte dell’attuale dibattito sui fini dell’attività economica. Una discussione che si fa spesso ragionamento costruttivo, ma che necessita di periodiche messe a punto per non perdersi in divagazioni e fraintendimenti. E’ a questo che serve il contributo di Elena Beccalli apparso recentemente su Nuova Rivista di Teologia Morale. “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e The economy of Francesco: nuove prospettive di riflessione etica e di impegno culturale in ambito economico-finanziario”, è una valida sintesi del tema che parte dall’imprescindibile dimensione etica propria dell’economia e della finanza intese come attività umane. L’intervento si propone quindi di mettere a fuoco, in primo luogo, i principali errori ai quali, secondo Beccalli, “induce il modello economico utilitaristico che per decenni ha dominato la teoria economica e, conseguentemente, la prassi operativa”. La ricerca, quindi, propone “il valore positivo della biodiversità economica e analizza le potenzialità dei modelli di impresa sociale nelle sue varie possibili forme”. Infine, Beccalli approfondisce il nuovo ruolo della finanza “nell’intersezione con la sostenibilità e forme positive come il microcredito e le banche di comunità”. Fanno da “base” del ragionamento alcuni spunti proposti nel documento vaticano Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e dall’iniziativa The Economy of Francesco.

Il percorso seguito da Elena Beccalli è semplice: dopo una introduzione che serve ad inquadrare il tema, vengono prima ripercorsi i tratti del paradigma economico tradizionale e, poi, viene ripensato il concetto di impresa secondo indicazioni diverse da quelle consuete (una parte che arriva a toccare il welfare e l’impresa sociale), per arrivare quindi alle relazioni tra finanza e nuova economia.

Scrive Beccalli in uno dei passaggi più significativi della sua indagine: “Non si può sacrificare il bene di qualcuno per migliorare il bene di qualcun altro e, in altre parole, il bene di ognuno non può essere fruito se non lo è anche degli altri (l’interesse di ognuno si realizza assieme a quello degli altri, né contro né a prescindere)”.

Oeconomicae et pecuniariae quaestiones e The economy of Francesco: nuove prospettive di riflessione etica e di impegno culturale in ambito economico-finanziario

Elena Beccalli

Nuova Rivista di Teologia Morale, 2024 n. 1

Ricostruire la fiducia in istituzioni e democrazia: è la sfida per un’Europa più aperta e competitiva

Attenzione, la fiducia nelle istituzioni pubbliche è in calo. E questa crisi investe la politica, ma anche l’economia e mette in difficoltà governi e mercati, partiti e associazioni di rappresentanza sociale e culturale, scuola e comunità. Ferisce la nostra convivenza civile. E, quel che è peggio, danneggia profondamente la relazione delle nuove generazioni con il futuro. Rende fragile la storia che stiamo scrivendo e soprattutto impedisce di scriverne una migliore da parte dei nostri figli e nipoti.

L’allarme arriva dall’Ocse che, in un recente rapporto, “Trust Survey – 2024 Results: Building Trust in a Complex Policy Environment” (IlSole24Ore, 5 settembre) nota come il 44% degli intervistati nei 30 paesi coinvolti nella ricerca (per la prima volta c’è anche l’Italia) dichiari di avere poca o nessuna fiducia nelle istituzioni pubbliche, superando coloro che invece sostengono di averne abbastanza, il 39%. Negli Usa va ancora peggio: i “fiduciosi” sono appena il 23%.

Le istituzioni che riscuotono più fiducia sono le forze dell’ordine (62,9%) e le Corti di giustizia (54,1%), in coda ci sono i partiti (23,4%), le amministrazioni internazionali, ma anche quelle regionali e locali stanno appena sopra il 40%, i governi e i parlamenti nazionali appena sotto. I dati, naturalmente, andranno letti con grande attenzione ai dettagli, alle differenze tra paese e paese, alle contingenze storiche e politiche. Resta comunque il dato di fondo: il “patto di fiducia” che sta alla base delle democrazie rappresentative, ispira il rapporto tra governanti e governati e fa da base alla delega di rappresentanza si va sempre più incrinando. E’ la crisi della democrazia liberale e del “patto sociale” che la ispira (libertà & benessere diffuso). E sono necessarie rapide, efficaci risposte, anche per evitare che abbiano la meglio, in una competizione sempre più aspra e spregiudicata, i sistemi autoritari, le “demokrature”, le “democrazie illiberali” che caratterizzano la maggior parte dei paesi nel mondo.

La questione investe in pieno l’Europa, oltre che gli Usa (il voto dei primi di novembre per la Casa Bianca chiarirà bene quanto profonda sia la crisi di fiducia politica e istituzionale e quali risposte sul tema potranno venirci da una grande e solida democrazia, punto di riferimento internazionale). E ha proprio ragione chi, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parla di “Europa incompiuta” che “può crollare”, di limiti da superare, riforme da fare (per l’Italia, anche quelle necessarie ad abbattere un gigantesco debito pubblico, pericoloso per la stabilità e lo sviluppo del Paese) e fantasmi cui non cedere: “Nella pubblica opinione si riaffacciano spinte che immaginano, senza motivo, un futuro frutto di nostalgie di un passato che ci ha riservato spesso tragedia”. L’ancoraggio è la Costituzione. Lo sguardo è verso i giovani, sollecitati a “combattere contro fantasmi che sperano nell’oblio per poter riemergere con vesti nuove”.

Più Europa, dice in sostanza Mattarella. E un’Europa migliore, capace cioè di riforme, investimenti comuni, scelte lungimiranti. Anche per difendere e rilanciare il patrimonio di Stati e istituzioni comunitarie che hanno saputo, come in nessun altro posto al mondo, tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e innovazione, crescita economica e inclusione, intraprendenza individuale e giustizia sociale. Un equilibrio complesso, sottoposto oggi a stravolgenti fibrillazioni dalla rapidità e radicalità delle crisi ambientali e delle trasformazioni tecnologiche (la diffusione crescente di fake news è un veleno sempre più allarmante). E che ha bisogno, per essere rafforzato e rinnovato, di una decisa ricostruzione di fiducia.

Il rapporto sulla competitività presentato ieri da Mario Draghi chiarisce i termini della questione, sollecita “cambi radicali”, ammonisce che “se la Ue non può più fornire pace, equità, libertà, prosperità non ha motivo di esistere”. E indica la necessità di massicci investimenti, “pari a due volte il Piano Marshall” su sicurezza, energia, difesa, innovazione (a cominciare dall’Intelligenza Artificiale), ambiente, formazione, con scelte politiche essenziali per reggere la competizione con Usa e Cina.

La nuova Commissione Ue, guidata da Ursula von der Leyen, adesso, con il Rapporto Draghi e con quello presentato a luglio da Enrico Letta sulla costruzione di un vero ed efficiente Mercato Unico, ha i cardini della sua agenda politica. Su cui ritessere la tela della fiducia e dunque dello sviluppo sostenibile.

Una sintesi da ascoltare è anche quella contenuta nelle pagine di “Un patto per il futuro – Dalla sopravvivenza alla convivenza” di Giovanni Maria Flick, pubblicato dal Sole24Ore. Ex ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte Costituzionale, Flick insiste, con lungimirante acume, sulle scelte da fare, sia a Bruxelles che a Roma, per evitare di cadere nella trappola del “presentismo” (agevolato dalle tentazioni semplificatorie dei social media) e avviare ambiziose riforme. Anche per lui la Costituzione è punto essenziale di riferimento. E la centralità della persona è una linea guida. Anche per cercare di governare le innovazioni tecnologiche.

C’è, infatti, un rischio: la conquista del potere da parte di oligarchie tecnologiche estranee a valori e metodi delle democrazie liberali, manipolatorie, sostanzialmente autoritarie (“il ragionamento robotico altro non è se non il riflesso di chi gestisce il robot”, ne scrive l’algoritmo di funzionamento). E dunque scelte e riforme devono essere fatte, senza negare importanza e aspetti positivi delle nuove tecnologie, Intelligenza Artificiale compresa, nel contesto dei valori democratici, dell’efficacia e della responsabilità delle istituzioni pubbliche e delle responsabilità degli attori economici e sociali. Una questione di fiducia, appunto. E di rinnovamento di una buona democrazia.

(foto Getty Images)

Attenzione, la fiducia nelle istituzioni pubbliche è in calo. E questa crisi investe la politica, ma anche l’economia e mette in difficoltà governi e mercati, partiti e associazioni di rappresentanza sociale e culturale, scuola e comunità. Ferisce la nostra convivenza civile. E, quel che è peggio, danneggia profondamente la relazione delle nuove generazioni con il futuro. Rende fragile la storia che stiamo scrivendo e soprattutto impedisce di scriverne una migliore da parte dei nostri figli e nipoti.

L’allarme arriva dall’Ocse che, in un recente rapporto, “Trust Survey – 2024 Results: Building Trust in a Complex Policy Environment” (IlSole24Ore, 5 settembre) nota come il 44% degli intervistati nei 30 paesi coinvolti nella ricerca (per la prima volta c’è anche l’Italia) dichiari di avere poca o nessuna fiducia nelle istituzioni pubbliche, superando coloro che invece sostengono di averne abbastanza, il 39%. Negli Usa va ancora peggio: i “fiduciosi” sono appena il 23%.

Le istituzioni che riscuotono più fiducia sono le forze dell’ordine (62,9%) e le Corti di giustizia (54,1%), in coda ci sono i partiti (23,4%), le amministrazioni internazionali, ma anche quelle regionali e locali stanno appena sopra il 40%, i governi e i parlamenti nazionali appena sotto. I dati, naturalmente, andranno letti con grande attenzione ai dettagli, alle differenze tra paese e paese, alle contingenze storiche e politiche. Resta comunque il dato di fondo: il “patto di fiducia” che sta alla base delle democrazie rappresentative, ispira il rapporto tra governanti e governati e fa da base alla delega di rappresentanza si va sempre più incrinando. E’ la crisi della democrazia liberale e del “patto sociale” che la ispira (libertà & benessere diffuso). E sono necessarie rapide, efficaci risposte, anche per evitare che abbiano la meglio, in una competizione sempre più aspra e spregiudicata, i sistemi autoritari, le “demokrature”, le “democrazie illiberali” che caratterizzano la maggior parte dei paesi nel mondo.

La questione investe in pieno l’Europa, oltre che gli Usa (il voto dei primi di novembre per la Casa Bianca chiarirà bene quanto profonda sia la crisi di fiducia politica e istituzionale e quali risposte sul tema potranno venirci da una grande e solida democrazia, punto di riferimento internazionale). E ha proprio ragione chi, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parla di “Europa incompiuta” che “può crollare”, di limiti da superare, riforme da fare (per l’Italia, anche quelle necessarie ad abbattere un gigantesco debito pubblico, pericoloso per la stabilità e lo sviluppo del Paese) e fantasmi cui non cedere: “Nella pubblica opinione si riaffacciano spinte che immaginano, senza motivo, un futuro frutto di nostalgie di un passato che ci ha riservato spesso tragedia”. L’ancoraggio è la Costituzione. Lo sguardo è verso i giovani, sollecitati a “combattere contro fantasmi che sperano nell’oblio per poter riemergere con vesti nuove”.

Più Europa, dice in sostanza Mattarella. E un’Europa migliore, capace cioè di riforme, investimenti comuni, scelte lungimiranti. Anche per difendere e rilanciare il patrimonio di Stati e istituzioni comunitarie che hanno saputo, come in nessun altro posto al mondo, tenere insieme democrazia, mercato e welfare, libertà e innovazione, crescita economica e inclusione, intraprendenza individuale e giustizia sociale. Un equilibrio complesso, sottoposto oggi a stravolgenti fibrillazioni dalla rapidità e radicalità delle crisi ambientali e delle trasformazioni tecnologiche (la diffusione crescente di fake news è un veleno sempre più allarmante). E che ha bisogno, per essere rafforzato e rinnovato, di una decisa ricostruzione di fiducia.

Il rapporto sulla competitività presentato ieri da Mario Draghi chiarisce i termini della questione, sollecita “cambi radicali”, ammonisce che “se la Ue non può più fornire pace, equità, libertà, prosperità non ha motivo di esistere”. E indica la necessità di massicci investimenti, “pari a due volte il Piano Marshall” su sicurezza, energia, difesa, innovazione (a cominciare dall’Intelligenza Artificiale), ambiente, formazione, con scelte politiche essenziali per reggere la competizione con Usa e Cina.

La nuova Commissione Ue, guidata da Ursula von der Leyen, adesso, con il Rapporto Draghi e con quello presentato a luglio da Enrico Letta sulla costruzione di un vero ed efficiente Mercato Unico, ha i cardini della sua agenda politica. Su cui ritessere la tela della fiducia e dunque dello sviluppo sostenibile.

Una sintesi da ascoltare è anche quella contenuta nelle pagine di “Un patto per il futuro – Dalla sopravvivenza alla convivenza” di Giovanni Maria Flick, pubblicato dal Sole24Ore. Ex ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte Costituzionale, Flick insiste, con lungimirante acume, sulle scelte da fare, sia a Bruxelles che a Roma, per evitare di cadere nella trappola del “presentismo” (agevolato dalle tentazioni semplificatorie dei social media) e avviare ambiziose riforme. Anche per lui la Costituzione è punto essenziale di riferimento. E la centralità della persona è una linea guida. Anche per cercare di governare le innovazioni tecnologiche.

C’è, infatti, un rischio: la conquista del potere da parte di oligarchie tecnologiche estranee a valori e metodi delle democrazie liberali, manipolatorie, sostanzialmente autoritarie (“il ragionamento robotico altro non è se non il riflesso di chi gestisce il robot”, ne scrive l’algoritmo di funzionamento). E dunque scelte e riforme devono essere fatte, senza negare importanza e aspetti positivi delle nuove tecnologie, Intelligenza Artificiale compresa, nel contesto dei valori democratici, dell’efficacia e della responsabilità delle istituzioni pubbliche e delle responsabilità degli attori economici e sociali. Una questione di fiducia, appunto. E di rinnovamento di una buona democrazia.

(foto Getty Images)

pordenonelegge… L’officina dello sport

Si inaugura oggi al Teatro Verdi di Pordenone la XXV edizione di pordenonelegge, promossa dalla Fondazione Pordenonelegge.it. Dal 18 al 22 settembre oltre 600 autrici e autori italiani e internazionali saranno protagonisti di più di 300 eventi su tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Tra gli ospiti di quest’anno anche il Premio Pulitzer Richard Ford, il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, Enrico Brizzi con l’atteso sequel di “Jack frusciante è uscito dal gruppo”, Gianrico Carofiglio, Chiara Valerio, Donatella Di Pietrantonio, Maurizio Maggiani.

In questa edizione avrà un ruolo centrale il tema dello sport, che vedrà il campione di tennis Adriano Panatta in dialogo con il produttore e regista Domenico Procacci e il giornalista Stefano Semeraro, e che prevederà un percorso speciale a cura di Massimo Passeri e Antonio Bacci. Sono attesi, fra gli altri, Arrigo Sacchi, Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli, Riccardo Pittis e Marino Bartoletti.

All’interno di questo palinsesto, venerdì 20 settembre alle 21 presso la sede di Confindustria Alto Adriatico, si parlerà del nostro ultimo progetto editoriale, “L’officina dello sport”, in libreria da giugno con Marsilio Arte. Un incontro a cura di Fondazione Pirelli con Antonio Calabrò e Luigi Garlando, scrittore e giornalista de La Gazzetta dello Sport: insieme si confronteranno sullo sport inteso come partecipazione, coinvolgimento, comunità e impegno civile.

Un appuntamento da non perdere, per riflettere sulle tante declinazioni e manifestazioni del mondo sportivo, “dietro le quinte”, e oltre la performance.

Si inaugura oggi al Teatro Verdi di Pordenone la XXV edizione di pordenonelegge, promossa dalla Fondazione Pordenonelegge.it. Dal 18 al 22 settembre oltre 600 autrici e autori italiani e internazionali saranno protagonisti di più di 300 eventi su tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Tra gli ospiti di quest’anno anche il Premio Pulitzer Richard Ford, il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, Enrico Brizzi con l’atteso sequel di “Jack frusciante è uscito dal gruppo”, Gianrico Carofiglio, Chiara Valerio, Donatella Di Pietrantonio, Maurizio Maggiani.

In questa edizione avrà un ruolo centrale il tema dello sport, che vedrà il campione di tennis Adriano Panatta in dialogo con il produttore e regista Domenico Procacci e il giornalista Stefano Semeraro, e che prevederà un percorso speciale a cura di Massimo Passeri e Antonio Bacci. Sono attesi, fra gli altri, Arrigo Sacchi, Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli, Riccardo Pittis e Marino Bartoletti.

All’interno di questo palinsesto, venerdì 20 settembre alle 21 presso la sede di Confindustria Alto Adriatico, si parlerà del nostro ultimo progetto editoriale, “L’officina dello sport”, in libreria da giugno con Marsilio Arte. Un incontro a cura di Fondazione Pirelli con Antonio Calabrò e Luigi Garlando, scrittore e giornalista de La Gazzetta dello Sport: insieme si confronteranno sullo sport inteso come partecipazione, coinvolgimento, comunità e impegno civile.

Un appuntamento da non perdere, per riflettere sulle tante declinazioni e manifestazioni del mondo sportivo, “dietro le quinte”, e oltre la performance.

Premio Campiello 2024: conosciamo gli autori e i libri finalisti

Presto scopriremo il vincitore del Premio Campiello 2024, anche quest’anno sostenuto da Pirelli, da sempre in prima linea nel supporto alle iniziative di promozione della lettura. La Cerimonia di Premiazione si terrà sabato 21 settembre, presso il Teatro La Fenice di Venezia e verrà trasmessa in diretta su RAI5.

Come da tradizione anche quest’anno i cinque scrittori finalisti ci racconteranno i loro libri attraverso video interviste che verranno pubblicate sul nostro sito ogni giorno, nella settimana prima della finale. Un appuntamento per conoscere meglio i protagonisti della sessantaduesima edizione del Premio, in attesa di scoprire il libro preferito dalla Giuria dei trecento lettori.

Ecco il programma completo dei video:

Lunedì 16 settembre 2024: Michele Mari – Locus desperatus (Einaudi)

Martedì 17 settembre 2024: Federica Manzon – Alma (Feltrinelli)

Mercoledì 18 settembre 2024: Antonio Franchini – Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio)

Giovedì 19 settembre 2024: Vanni Santoni – Dilaga ovunque (Laterza)

Venerdì 20 settembre 2024: Emanuele Trevi – La casa del mago (Ponte alle Grazie)

Buona visione e buona lettura

Presto scopriremo il vincitore del Premio Campiello 2024, anche quest’anno sostenuto da Pirelli, da sempre in prima linea nel supporto alle iniziative di promozione della lettura. La Cerimonia di Premiazione si terrà sabato 21 settembre, presso il Teatro La Fenice di Venezia e verrà trasmessa in diretta su RAI5.

Come da tradizione anche quest’anno i cinque scrittori finalisti ci racconteranno i loro libri attraverso video interviste che verranno pubblicate sul nostro sito ogni giorno, nella settimana prima della finale. Un appuntamento per conoscere meglio i protagonisti della sessantaduesima edizione del Premio, in attesa di scoprire il libro preferito dalla Giuria dei trecento lettori.

Ecco il programma completo dei video:

Lunedì 16 settembre 2024: Michele Mari – Locus desperatus (Einaudi)

Martedì 17 settembre 2024: Federica Manzon – Alma (Feltrinelli)

Mercoledì 18 settembre 2024: Antonio Franchini – Il fuoco che ti porti dentro (Marsilio)

Giovedì 19 settembre 2024: Vanni Santoni – Dilaga ovunque (Laterza)

Venerdì 20 settembre 2024: Emanuele Trevi – La casa del mago (Ponte alle Grazie)

Buona visione e buona lettura

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Non solo profitti per fare più profitti

La molteplicità degli obiettivi di un’impresa conduce ad una maggiore competitività ed efficienza

 

Profitto e purpose, cioè non solo conti a posto ma qualcosa di più, che vada oltre. Il tema degli obiettivi che un’impresa si deve porre continua ad essere di primo piano. Ne va dell’immagine aziendale ma anche dell’organizzazione della produzione, della vivibilità di fabbriche e di uffici e, in fin dei conti, della stessa efficienza e competitività della produzione Conciliare profitti e altri traguardi non è però cosa facile. E’ da qui che nasce l’interesse di “Per una torta più grande” ultima fatica letteraria di Alex Edmans, professore di Scienza delle finanze alla London Business School, ma soprattutto fine conoscitore dei percorsi che un’impresa può compiere verso un suo ruolo per il bene comune.

Alla domanda se le imprese debbano puntare al profitto oppure perseguire uno scopo, Edmans risponde spiegando che le due cose non si escludono a vicenda e che, anzi, le imprese orientate ad uno scopo altro dal profitto hanno sistematicamente, a lungo termine, prestazioni economiche migliori. Lavorare in questa direzione non è però facile.
Nel libro Edmans indica quindi a chi ha responsabilità aziendali una via percorribile per perseguire concretamente lo scopo dell’azienda e superare gli ostacoli che frenano molti di loro; e si rivolge anche agli investitori mettendoli in condizione di riconoscere quali sono le aziende che non fanno semplicemente greenwashing ma sono realmente guidate da uno scopo. Oltre a tutto questo, l’autore tocca anche il ruolo dei cittadini – in veste di lavoratori, clienti e azionisti – nel ridefinire l’impresa più attenta ai diversi ruoli che può avere.

Prende così forma quella che viene definitiva Pieconomics, una particolare interpretazione dell’economia nella quale i profitti delle imprese non crescono sottraendo valore ai suoi dipendenti, ai clienti, ai fornitori, all’ambiente, alla comunità o ai governi ma aumentandolo. In altre parole, “accrescere la torta” – cioè i benefici, di qualsiasi genere, generati per la società da un’impresa – fa crescere i profitti per gli investitori molto più degli sforzi per assicurare loro una fetta più grande. E’ questo il messaggio di Edmans che, per renderlo più forte, usa anche esempi concreti (come quello di Merck & Co) ai quali aggiunge un’analisi attenta di una serie corposa di dati e di studi rigorosi.

Quanto elaborato da Alex Edmans non è, come sempre, da prendere “a scatola chiusa”, ma suscita spunti nuovi sui quali ragionare. E capire meglio il contesto in cui le imprese possono muoversi.

Per una torta più grande

Alex Edmans

Franco Angeli, 2024

 

La molteplicità degli obiettivi di un’impresa conduce ad una maggiore competitività ed efficienza

 

Profitto e purpose, cioè non solo conti a posto ma qualcosa di più, che vada oltre. Il tema degli obiettivi che un’impresa si deve porre continua ad essere di primo piano. Ne va dell’immagine aziendale ma anche dell’organizzazione della produzione, della vivibilità di fabbriche e di uffici e, in fin dei conti, della stessa efficienza e competitività della produzione Conciliare profitti e altri traguardi non è però cosa facile. E’ da qui che nasce l’interesse di “Per una torta più grande” ultima fatica letteraria di Alex Edmans, professore di Scienza delle finanze alla London Business School, ma soprattutto fine conoscitore dei percorsi che un’impresa può compiere verso un suo ruolo per il bene comune.

Alla domanda se le imprese debbano puntare al profitto oppure perseguire uno scopo, Edmans risponde spiegando che le due cose non si escludono a vicenda e che, anzi, le imprese orientate ad uno scopo altro dal profitto hanno sistematicamente, a lungo termine, prestazioni economiche migliori. Lavorare in questa direzione non è però facile.
Nel libro Edmans indica quindi a chi ha responsabilità aziendali una via percorribile per perseguire concretamente lo scopo dell’azienda e superare gli ostacoli che frenano molti di loro; e si rivolge anche agli investitori mettendoli in condizione di riconoscere quali sono le aziende che non fanno semplicemente greenwashing ma sono realmente guidate da uno scopo. Oltre a tutto questo, l’autore tocca anche il ruolo dei cittadini – in veste di lavoratori, clienti e azionisti – nel ridefinire l’impresa più attenta ai diversi ruoli che può avere.

Prende così forma quella che viene definitiva Pieconomics, una particolare interpretazione dell’economia nella quale i profitti delle imprese non crescono sottraendo valore ai suoi dipendenti, ai clienti, ai fornitori, all’ambiente, alla comunità o ai governi ma aumentandolo. In altre parole, “accrescere la torta” – cioè i benefici, di qualsiasi genere, generati per la società da un’impresa – fa crescere i profitti per gli investitori molto più degli sforzi per assicurare loro una fetta più grande. E’ questo il messaggio di Edmans che, per renderlo più forte, usa anche esempi concreti (come quello di Merck & Co) ai quali aggiunge un’analisi attenta di una serie corposa di dati e di studi rigorosi.

Quanto elaborato da Alex Edmans non è, come sempre, da prendere “a scatola chiusa”, ma suscita spunti nuovi sui quali ragionare. E capire meglio il contesto in cui le imprese possono muoversi.

Per una torta più grande

Alex Edmans

Franco Angeli, 2024

 

L’essenziale in economia

Un intervento del Governatore della Banca d’Italia fornisce gli elementi utili per capire meglio il contesto in cui società e imprese si muovono

L’essenziale anche in economia. E nelle imprese. La valutazione, quindi, di cosa sia veramente irrinunciabile anche nelle scelte economiche e di produzione, nei mercati, nei rapporti di lavoro, nelle organizzazioni della produzione e nelle comunità. Il tema, vario e complesso, è stato affrontato recentemente dal Governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, in un suo intervento nel corso dell’edizione 2024 del Meeting di Rimini.

Panetta coglie l’occasione per effettuare un ragionamento sull’essenzialità in economia e nelle imprese, ponendo una particolare attenzione al contesto e cioè all’Europa, prima, e all’Italia, poi. Il Governatore, prima di tutto, riassume le vicende storiche che hanno portato alla creazione dell’Europa unita e in particolare all’aspirazione di mantenere la pace nel Continente: condizione essenziale ancora oggi. Viene quindi ricordato come l’Europa abbia portato una serie ormai fondamentale di vantaggi non solo dal punto di vista economico in senso stretto, ma anche sociale e umano in senso lato.

“Il progetto europeo – sottolinea però Panetta – si trova ora di fronte a sfide sia interne sia esterne che ne mettono alla prova la solidità e la coesione”. I cambiamenti in corso nell’economia e nel contesto internazionale (guerre e commerci), comportano un riesame delle condizioni di coesione dell’Europa e un ritorno ai principi fondanti della stessa.

Panetta indica una strada da percorrere, quella del rafforzamento dell’Europa e dei suoi capisaldi. Un cammino lungo il quale la coesione e la crescita sono obiettivi da perseguire con forza e decisione. Tenendo conto di alcuni passaggi che sono, secondo il Governatore, rilevanti.

Ci si sofferma così su temi come la demografia e il lavoro, la produttività e la tecnologia. Sono questi alcuni dei “territori” nei quali l’Europa giocherà il suo futuro e per i quali il tema dell’essenzialità torna con forza.

Ma il Governatore non si limita a questo chiedendosi quale sia l’essenziale per l’Europa e per l’Italia. Il messaggio che viene fornito si basa, quindi, sulla prudenza e sulla saggezza nell’amministrazione dei conti pubblici così come sulla necessità di aumentare la produttività e quindi la crescita. L’irrinunciabilità dell’equilibrio pare essere il fulcro sul quale fare perno per dare un futuro all’Europa.

L’intervento del Governatore di Banca d’Italia fornisce in poche pagine una sintesi utile a chi fa impresa, ma anche a chi voglia guardare con più consapevolezza a quanto sta accadendo oggi nell’economia e nella società.

45a edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli

Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?

Intervento di Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia

Rimini, 21 agosto 2024

Un intervento del Governatore della Banca d’Italia fornisce gli elementi utili per capire meglio il contesto in cui società e imprese si muovono

L’essenziale anche in economia. E nelle imprese. La valutazione, quindi, di cosa sia veramente irrinunciabile anche nelle scelte economiche e di produzione, nei mercati, nei rapporti di lavoro, nelle organizzazioni della produzione e nelle comunità. Il tema, vario e complesso, è stato affrontato recentemente dal Governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, in un suo intervento nel corso dell’edizione 2024 del Meeting di Rimini.

Panetta coglie l’occasione per effettuare un ragionamento sull’essenzialità in economia e nelle imprese, ponendo una particolare attenzione al contesto e cioè all’Europa, prima, e all’Italia, poi. Il Governatore, prima di tutto, riassume le vicende storiche che hanno portato alla creazione dell’Europa unita e in particolare all’aspirazione di mantenere la pace nel Continente: condizione essenziale ancora oggi. Viene quindi ricordato come l’Europa abbia portato una serie ormai fondamentale di vantaggi non solo dal punto di vista economico in senso stretto, ma anche sociale e umano in senso lato.

“Il progetto europeo – sottolinea però Panetta – si trova ora di fronte a sfide sia interne sia esterne che ne mettono alla prova la solidità e la coesione”. I cambiamenti in corso nell’economia e nel contesto internazionale (guerre e commerci), comportano un riesame delle condizioni di coesione dell’Europa e un ritorno ai principi fondanti della stessa.

Panetta indica una strada da percorrere, quella del rafforzamento dell’Europa e dei suoi capisaldi. Un cammino lungo il quale la coesione e la crescita sono obiettivi da perseguire con forza e decisione. Tenendo conto di alcuni passaggi che sono, secondo il Governatore, rilevanti.

Ci si sofferma così su temi come la demografia e il lavoro, la produttività e la tecnologia. Sono questi alcuni dei “territori” nei quali l’Europa giocherà il suo futuro e per i quali il tema dell’essenzialità torna con forza.

Ma il Governatore non si limita a questo chiedendosi quale sia l’essenziale per l’Europa e per l’Italia. Il messaggio che viene fornito si basa, quindi, sulla prudenza e sulla saggezza nell’amministrazione dei conti pubblici così come sulla necessità di aumentare la produttività e quindi la crescita. L’irrinunciabilità dell’equilibrio pare essere il fulcro sul quale fare perno per dare un futuro all’Europa.

L’intervento del Governatore di Banca d’Italia fornisce in poche pagine una sintesi utile a chi fa impresa, ma anche a chi voglia guardare con più consapevolezza a quanto sta accadendo oggi nell’economia e nella società.

45a edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli

Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?

Intervento di Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia

Rimini, 21 agosto 2024

Fare cultura rilancia il made in Italy e le imprese sono attori sociali essenziali per creatività e innovazione

“La cultura è il volano per il made in Italy”, si sostiene al Forum del Soft Power a Venezia, durante i lavori del Soft Power Club, l’associazione presieduta da Francesco Rutelli. E si approfondiscono le relazioni tra sviluppo economico sostenibile, manifattura di qualità e dialoghi culturali. Sempre a Venezia, in occasione della Mostra del Cinema, Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, insiste sul fatto che “cinema e cultura incrementano il Pil e fanno girare l’economia” (IlSole24Ore, 27 agosto) e ricorda anche lui l’importanza del “dialogo” tra mondi culturali diversi, varie discipline artistiche e ambienti economici.

Sempre a Venezia, il nuovo presidente della Fondazione Cini, Gianfelice Rocca, uno dei maggiori imprenditori italiani di rilievo internazionale, parla del nuovo corso dell’istituzione (grazie anche alla direzione scientifica di Daniele Franco, ex ministro dell’Economia ed ex direttore generale della Banca d’Italia) come di una “lanterna” che rischiari ambienti diversi e come luogo di dialoghi internazionali che permettano di superare i limiti delle contrapposizioni tra le “due culture” umanistica e scientifica e costruiscano ponti tra l’Occidente, la Cina, l’India e il complesso Global South.

Cultura ed economia si intrecciano. La geopolitica, per trovare vie d’uscita di ampio respiro da conflitti drammatici e aspri contrasti in corso, ha bisogno di nuove mappe della conoscenza. I rapporti tra mercati diversi e molto competitivi hanno bisogno di regole che stimolino un vero e proprio fair trade piuttosto che aggressivi atteggiamenti da free trade. Ma anche le evoluzioni tecnologiche della digital economy , gli sviluppi sconvolgenti dell’AI (l’Intelligenza Artificiale) e il potere crescente delle Big Tech insofferenti a regole e vincoli, anche quelli antitrust, pongono alla politica e alle società civili sfide culturali inedite e quanto mai complesse, per fare convivere la necessaria libertà per la ricerca e l’innovazione con la responsabilità delle conseguenze di scelte, cambiamenti, radicali trasformazioni di consumi, costumi, relazioni, poteri.

Tutti temi culturali, appunto. Di saperi in metamorfosi. Che oltre che giacimenti di saperi, hanno bisogno soprattutto di un lavorìo critico sul “senso” dei saperi stessi. Come sostiene anche Carlo Ossola, appena nominato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella alla presidenza dell’Enciclopedia Treccani: “Il fondamento delle Enciclopedie non era tanto nell’estensione dell’aggregazione, nel convogliamento della datità, quanto nel tracciare il circolo di ciò che poteva essere incorporato dagli occhi, dalla memoria, dalla lettura, dalla memoria, dalla singola esistenza”. Mentre oggi, purtroppo, “si ‘scorporano’ sempre più saperi trasferendoli in un altrove letteralmente inafferrabile” (IlSole24Ore, 1 settembre). Occorre invece “riprendere quella lezione critica: il centro dell’uomo è l’uomo. la sua dignità, la sua esistenza che, a differenza delle cose e delle memorie digitali, è unica e breve”.

Eccola, la ricerca di senso. E la sfida culturale ed etica per i governi, le istituzioni del sapere e, naturalmente, le imprese.

Sono temi complessi, che non sopportano scorciatoie demagogiche, approssimazioni retoriche, superficialità da propaganda e inclinazione ai “fattoidi” e alle fake news di cui i social media sono sempre più affollati. Se ne parlerà nei prossimi giorni a Milano, al Forum Cultura 2024 indetto dal Comune e con la partecipazione di amministratori, personalità delle strutture culturali pubbliche e private e delle imprese, anche per discutere di collaborazioni sulle “infrastrutture della cultura” (Corriere della Sera, 2 settembre). E si continuerà a discuterne pure in tutte quelle occasioni d’incontro, tra festival letterari e premi (Mantova, Pordenonelegge, il Campiello) in cui parlare di libri significherà confrontarsi non solo sui temi culturali, ma anche sulle nuove mappe dell’economia e dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

E’ una riflessione che, proprio in questa chiave, trova crescenti sensibilità e attenzioni nel mondo economico, tra le imprese del “made in Italy” più internazionali e competitive. Con la radicata consapevolezza che il loro ruolo e la loro responsabilità da attori sociali e culturali va ben oltre le tradizionali manifestazioni del mecenatismo (pur comunque necessario, in carenza di fondi pubblici a sostegno di cultura e arte) per investire in pieno le relazioni tra intraprendenza competitiva e creatività.

La cultura d’impresa, infatti, va considerata come Cultura con la C maiuscola. Sollecita il superamento del tradizionale schema di un’endiadi, “impresa e cultura” come dialogo – pur importante – tra dimensioni differenti, tra il fare e il rappresentare, tra il produrre e il raccontare, tra la meccanica e la filosofia o la poesia. Per insistere, invece, su un nuovo percorso semantico, su una radicale modifica dell’andamento della frase, abituandosi a dire “impresa è cultura”. Nello schema di quel soft power di cui abbiamo parlato all’inizio, tra il Forum di Rutelli e i progetti della Fondazione Cini.

Cultura sono, infatti, la scienza e la tecnologia, i brevetti, la messa a punto di nuovi materiali, l’evoluzione delle relazioni industriali (quei contratti di lavoro che investono fattori culturali e sociali fondamentali come i rapporti di potere e le funzioni di controllo, le dialettiche personali, i salari e il welfare aziendale, i servizi ecc.). Cultura sono i linguaggi del marketing e della comunicazione, che modificano comportamenti e aspettative. Cultura i processi di governance secondo cui si articolano i rapporti tra l’impresa, gli azionisti, i manager, i dipendenti e tutto il vasto mondo degli stakeholder. Cultura sono i bilanci, strumenti di progettazione e di resa dei conti. E cultura gli scambi su mercati aperti e ben regolati. Cultura, ancora, le scelte di sostegno mecenatistico di un’impresa ai processi creativi e artistici di chi raffigura e costruisce l’immaginario personale e sociale generale.

La cultura d’impresa, insomma, è un racconto corale e polifonico, un gioco d’orchestra. In elaborazione continua.

Le imprese, nel corso del tempo, si sono radicalmente trasformate, archiviando culture e metodologie della stagione taylorista della produzione in serie e delle “economie di scala”. Data driven e digitali, conoscono altre culture organizzative e di governance e altri tempi e metodi di lavoro e di calcolo della produttività e dell’efficienza. Sentono fortemente il senso di responsabilità delle relazioni positive sia con le proprie persone sia con l’insieme degli stakeholders. Ed è proprio questa trasformazione a sollecitare un nuovo racconto, una diversa e più pertinente rappresentazione dell’impresa stessa. Le imprese, insomma, devono imparare ad aprirsi e a essere trasparenti. A caratterizzarsi, nelle neofabbriche ad alta tecnologia, come “mani che pensano”. A vivere, insomma, una nuova stagione produttiva con evidenti connotazioni culturali. Per legare in modo sempre più efficace il “saper fare” al “fare sapere”.

L’innovazione, così, si caratterizza come un percorso a tutto tondo, soprattutto adesso che si entra nel vivo delle nuove sfide. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot. I simulatori high tech. Le nanotecnologie.  E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo, ai molteplici aspetti dell’economia e della vita. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio oggi vivendo e scrivendo. E che chiedono anche alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali. Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. E scienza e conoscenza sono sollecitate a una nuova dimensione della responsabilità.

(foto Getty Images)

“La cultura è il volano per il made in Italy”, si sostiene al Forum del Soft Power a Venezia, durante i lavori del Soft Power Club, l’associazione presieduta da Francesco Rutelli. E si approfondiscono le relazioni tra sviluppo economico sostenibile, manifattura di qualità e dialoghi culturali. Sempre a Venezia, in occasione della Mostra del Cinema, Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale, insiste sul fatto che “cinema e cultura incrementano il Pil e fanno girare l’economia” (IlSole24Ore, 27 agosto) e ricorda anche lui l’importanza del “dialogo” tra mondi culturali diversi, varie discipline artistiche e ambienti economici.

Sempre a Venezia, il nuovo presidente della Fondazione Cini, Gianfelice Rocca, uno dei maggiori imprenditori italiani di rilievo internazionale, parla del nuovo corso dell’istituzione (grazie anche alla direzione scientifica di Daniele Franco, ex ministro dell’Economia ed ex direttore generale della Banca d’Italia) come di una “lanterna” che rischiari ambienti diversi e come luogo di dialoghi internazionali che permettano di superare i limiti delle contrapposizioni tra le “due culture” umanistica e scientifica e costruiscano ponti tra l’Occidente, la Cina, l’India e il complesso Global South.

Cultura ed economia si intrecciano. La geopolitica, per trovare vie d’uscita di ampio respiro da conflitti drammatici e aspri contrasti in corso, ha bisogno di nuove mappe della conoscenza. I rapporti tra mercati diversi e molto competitivi hanno bisogno di regole che stimolino un vero e proprio fair trade piuttosto che aggressivi atteggiamenti da free trade. Ma anche le evoluzioni tecnologiche della digital economy , gli sviluppi sconvolgenti dell’AI (l’Intelligenza Artificiale) e il potere crescente delle Big Tech insofferenti a regole e vincoli, anche quelli antitrust, pongono alla politica e alle società civili sfide culturali inedite e quanto mai complesse, per fare convivere la necessaria libertà per la ricerca e l’innovazione con la responsabilità delle conseguenze di scelte, cambiamenti, radicali trasformazioni di consumi, costumi, relazioni, poteri.

Tutti temi culturali, appunto. Di saperi in metamorfosi. Che oltre che giacimenti di saperi, hanno bisogno soprattutto di un lavorìo critico sul “senso” dei saperi stessi. Come sostiene anche Carlo Ossola, appena nominato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella alla presidenza dell’Enciclopedia Treccani: “Il fondamento delle Enciclopedie non era tanto nell’estensione dell’aggregazione, nel convogliamento della datità, quanto nel tracciare il circolo di ciò che poteva essere incorporato dagli occhi, dalla memoria, dalla lettura, dalla memoria, dalla singola esistenza”. Mentre oggi, purtroppo, “si ‘scorporano’ sempre più saperi trasferendoli in un altrove letteralmente inafferrabile” (IlSole24Ore, 1 settembre). Occorre invece “riprendere quella lezione critica: il centro dell’uomo è l’uomo. la sua dignità, la sua esistenza che, a differenza delle cose e delle memorie digitali, è unica e breve”.

Eccola, la ricerca di senso. E la sfida culturale ed etica per i governi, le istituzioni del sapere e, naturalmente, le imprese.

Sono temi complessi, che non sopportano scorciatoie demagogiche, approssimazioni retoriche, superficialità da propaganda e inclinazione ai “fattoidi” e alle fake news di cui i social media sono sempre più affollati. Se ne parlerà nei prossimi giorni a Milano, al Forum Cultura 2024 indetto dal Comune e con la partecipazione di amministratori, personalità delle strutture culturali pubbliche e private e delle imprese, anche per discutere di collaborazioni sulle “infrastrutture della cultura” (Corriere della Sera, 2 settembre). E si continuerà a discuterne pure in tutte quelle occasioni d’incontro, tra festival letterari e premi (Mantova, Pordenonelegge, il Campiello) in cui parlare di libri significherà confrontarsi non solo sui temi culturali, ma anche sulle nuove mappe dell’economia e dello sviluppo sostenibile, ambientale e sociale.

E’ una riflessione che, proprio in questa chiave, trova crescenti sensibilità e attenzioni nel mondo economico, tra le imprese del “made in Italy” più internazionali e competitive. Con la radicata consapevolezza che il loro ruolo e la loro responsabilità da attori sociali e culturali va ben oltre le tradizionali manifestazioni del mecenatismo (pur comunque necessario, in carenza di fondi pubblici a sostegno di cultura e arte) per investire in pieno le relazioni tra intraprendenza competitiva e creatività.

La cultura d’impresa, infatti, va considerata come Cultura con la C maiuscola. Sollecita il superamento del tradizionale schema di un’endiadi, “impresa e cultura” come dialogo – pur importante – tra dimensioni differenti, tra il fare e il rappresentare, tra il produrre e il raccontare, tra la meccanica e la filosofia o la poesia. Per insistere, invece, su un nuovo percorso semantico, su una radicale modifica dell’andamento della frase, abituandosi a dire “impresa è cultura”. Nello schema di quel soft power di cui abbiamo parlato all’inizio, tra il Forum di Rutelli e i progetti della Fondazione Cini.

Cultura sono, infatti, la scienza e la tecnologia, i brevetti, la messa a punto di nuovi materiali, l’evoluzione delle relazioni industriali (quei contratti di lavoro che investono fattori culturali e sociali fondamentali come i rapporti di potere e le funzioni di controllo, le dialettiche personali, i salari e il welfare aziendale, i servizi ecc.). Cultura sono i linguaggi del marketing e della comunicazione, che modificano comportamenti e aspettative. Cultura i processi di governance secondo cui si articolano i rapporti tra l’impresa, gli azionisti, i manager, i dipendenti e tutto il vasto mondo degli stakeholder. Cultura sono i bilanci, strumenti di progettazione e di resa dei conti. E cultura gli scambi su mercati aperti e ben regolati. Cultura, ancora, le scelte di sostegno mecenatistico di un’impresa ai processi creativi e artistici di chi raffigura e costruisce l’immaginario personale e sociale generale.

La cultura d’impresa, insomma, è un racconto corale e polifonico, un gioco d’orchestra. In elaborazione continua.

Le imprese, nel corso del tempo, si sono radicalmente trasformate, archiviando culture e metodologie della stagione taylorista della produzione in serie e delle “economie di scala”. Data driven e digitali, conoscono altre culture organizzative e di governance e altri tempi e metodi di lavoro e di calcolo della produttività e dell’efficienza. Sentono fortemente il senso di responsabilità delle relazioni positive sia con le proprie persone sia con l’insieme degli stakeholders. Ed è proprio questa trasformazione a sollecitare un nuovo racconto, una diversa e più pertinente rappresentazione dell’impresa stessa. Le imprese, insomma, devono imparare ad aprirsi e a essere trasparenti. A caratterizzarsi, nelle neofabbriche ad alta tecnologia, come “mani che pensano”. A vivere, insomma, una nuova stagione produttiva con evidenti connotazioni culturali. Per legare in modo sempre più efficace il “saper fare” al “fare sapere”.

L’innovazione, così, si caratterizza come un percorso a tutto tondo, soprattutto adesso che si entra nel vivo delle nuove sfide. L’auto elettrica e la mobilità da smart city. Le fabbriche digitali. I robot. I simulatori high tech. Le nanotecnologie.  E l’Intelligenza Artificiale applicata alla ricerca, alla produzione, al consumo, ai molteplici aspetti dell’economia e della vita. Tutti i capitoli di una storia che si sta proprio oggi vivendo e scrivendo. E che chiedono anche alla cultura d’impresa un profondo impegno di analisi e di proposte sui nuovi equilibri economici e sociali. Mercato, welfare, democrazia stessi sono in tensione. E scienza e conoscenza sono sollecitate a una nuova dimensione della responsabilità.

(foto Getty Images)

Sport ed esercizi di stile: Fondazione Pirelli ad
Archivi Aperti 2024

Anche quest’anno parteciperemo ad Archivi Aperti, la manifestazione diffusa a cura di Rete Fotografia, spazio di confronto e aggiornamento tra realtà unite per promuovere e diffondere la cultura fotografica. La X edizione, in programma dall’11 al 20 ottobre 2024, affronterà il tema ‘Fotografia ed editoria’: una riflessione sulla diffusione della cultura fotografica, sull’importanza delle biblioteche specialistiche e sull’edizione della fotografia nelle sue molteplici forme. Dai cataloghi fotografici alle riviste professionali, ai volumi didattici, agli house-organ aziendali, fino al tema attuale delle edizioni digitali.

Esercizi di stile: la fotografia sportiva e il mondo editoriale, dagli house-organ Pirelli a “L’officina dello sport” sarà l’occasione per approfondire la relazione tra fotografia ed editoria attraverso le immagini dell’Archivio Storico Pirelli, commissionate o acquisite per illustrare i periodici aziendali come la “Rivista Pirelli”, “Fatti e Notizie”, e “Vado e Torno”, e oggi scelte per documentare i tanti mondi sportivi indagati nell’ultimo volume a cura della Fondazione Pirelli, “L’officina dello sport”. I visitatori saranno accompagnati attraverso gli spazi della nuova mostra della Fondazione, e guidati nella ricostruzione del percorso di valorizzazione di questi fondi fotografici, nati per gli house-organ e oggi pubblicati all’interno del volume edito da Marsilio Arte, in libreria dal mese di giugno. Il libro interpreta il mondo dello sport come competizione, conoscenza, competenza, comunità, indagandone il «dietro le quinte»: i cantieri, i laboratori, il backstage delle competizioni; la messa in scena e il racconto dello sport; lo sport nell’impresa al centro delle iniziative di welfare aziendale, tra passato e presente. Le fotografie dell’Archivio Pirelli illustrano dunque testi inediti come il racconto dello scrittore Joe Lansdale sulle arti marziali, il saggio sulle Olimpiadi dell’antica Grecia della storica Eva Cantarella, l’approfondimento sulle voci, i suoni, gli inni dello sport firmato da Giuseppe Di Piazza. E naturalmente, corredano le schede tematiche sugli ambiti sportivi che hanno visto protagonista Pirelli nel corso della sua storia. Un patrimonio iconografico che nasce in ambito editoriale e lì ritorna, a testimoniare uno stretto legame, quello che unisce Pirelli allo sport, che continua nel tempo.

 Le visite guidate sono programmate nella giornata di venerdì 18 ottobre 2024, su 2 turni (17 e 18.30).

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, iscrivendosi tramite il tool dedicato.

Vi aspettiamo!

Anche quest’anno parteciperemo ad Archivi Aperti, la manifestazione diffusa a cura di Rete Fotografia, spazio di confronto e aggiornamento tra realtà unite per promuovere e diffondere la cultura fotografica. La X edizione, in programma dall’11 al 20 ottobre 2024, affronterà il tema ‘Fotografia ed editoria’: una riflessione sulla diffusione della cultura fotografica, sull’importanza delle biblioteche specialistiche e sull’edizione della fotografia nelle sue molteplici forme. Dai cataloghi fotografici alle riviste professionali, ai volumi didattici, agli house-organ aziendali, fino al tema attuale delle edizioni digitali.

Esercizi di stile: la fotografia sportiva e il mondo editoriale, dagli house-organ Pirelli a “L’officina dello sport” sarà l’occasione per approfondire la relazione tra fotografia ed editoria attraverso le immagini dell’Archivio Storico Pirelli, commissionate o acquisite per illustrare i periodici aziendali come la “Rivista Pirelli”, “Fatti e Notizie”, e “Vado e Torno”, e oggi scelte per documentare i tanti mondi sportivi indagati nell’ultimo volume a cura della Fondazione Pirelli, “L’officina dello sport”. I visitatori saranno accompagnati attraverso gli spazi della nuova mostra della Fondazione, e guidati nella ricostruzione del percorso di valorizzazione di questi fondi fotografici, nati per gli house-organ e oggi pubblicati all’interno del volume edito da Marsilio Arte, in libreria dal mese di giugno. Il libro interpreta il mondo dello sport come competizione, conoscenza, competenza, comunità, indagandone il «dietro le quinte»: i cantieri, i laboratori, il backstage delle competizioni; la messa in scena e il racconto dello sport; lo sport nell’impresa al centro delle iniziative di welfare aziendale, tra passato e presente. Le fotografie dell’Archivio Pirelli illustrano dunque testi inediti come il racconto dello scrittore Joe Lansdale sulle arti marziali, il saggio sulle Olimpiadi dell’antica Grecia della storica Eva Cantarella, l’approfondimento sulle voci, i suoni, gli inni dello sport firmato da Giuseppe Di Piazza. E naturalmente, corredano le schede tematiche sugli ambiti sportivi che hanno visto protagonista Pirelli nel corso della sua storia. Un patrimonio iconografico che nasce in ambito editoriale e lì ritorna, a testimoniare uno stretto legame, quello che unisce Pirelli allo sport, che continua nel tempo.

 Le visite guidate sono programmate nella giornata di venerdì 18 ottobre 2024, su 2 turni (17 e 18.30).

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, iscrivendosi tramite il tool dedicato.

Vi aspettiamo!

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Fondazione Pirelli per IBBY International

Fondazione Pirelli sostiene la 39^ edizione del Congresso Internazionale di IBBY, International Board on Books for Young People, organizzazione internazionale no-profit fondata nel 1953 dalla scrittrice Jella Lepman, con lo scopo di aiutare bambini e adolescenti ad avere una migliore qualità di vita, impegnandosi a garantire e difendere il loro diritto ad accedere ai libri e alla lettura, in particolare nelle aree disagiate e remote.

I valori di IBBY sono in linea con l’impegno di Pirelli e Fondazione Pirelli nel promuovere la lettura tra le giovani generazioni, obiettivo che in questi anni ha dato luogo a numerose iniziative, tra cui eventi per le scuole in compagnia di scrittori e scrittrici, laboratori didattici, reading nelle biblioteche aziendali e la creazione del Premio Campiello Junior, dedicato alle opere di narrativa e poesia rivolte ai ragazzi e ragazze tra i 7 e i 14 anni.

L’edizione 2024 del congresso si terrà nella città di Trieste, dal 30 agosto al 1° settembre. In questa occasione verrà inoltre inaugurata la mostra promossa da IBBY Italia “Fateci cominciare dai bambini. Libri come ponti”, dedicata a Jella Lepman e ospitata in co-organizzazione con il Comune di Trieste nella sua sede espositiva di Sala Umberto Veruda. Venti illustratori e illustratrici, dieci italiani e dieci dal resto del mondo, raccontano la vita di questa donna straordinaria, che alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha visto nei libri un “ponte di relazione”, per mettere insieme popolazioni diverse e aiutare i bambini a immaginare un futuro migliore da costruire insieme.

Per conoscere il programma completo del convegno clicca qui.

Fondazione Pirelli sostiene la 39^ edizione del Congresso Internazionale di IBBY, International Board on Books for Young People, organizzazione internazionale no-profit fondata nel 1953 dalla scrittrice Jella Lepman, con lo scopo di aiutare bambini e adolescenti ad avere una migliore qualità di vita, impegnandosi a garantire e difendere il loro diritto ad accedere ai libri e alla lettura, in particolare nelle aree disagiate e remote.

I valori di IBBY sono in linea con l’impegno di Pirelli e Fondazione Pirelli nel promuovere la lettura tra le giovani generazioni, obiettivo che in questi anni ha dato luogo a numerose iniziative, tra cui eventi per le scuole in compagnia di scrittori e scrittrici, laboratori didattici, reading nelle biblioteche aziendali e la creazione del Premio Campiello Junior, dedicato alle opere di narrativa e poesia rivolte ai ragazzi e ragazze tra i 7 e i 14 anni.

L’edizione 2024 del congresso si terrà nella città di Trieste, dal 30 agosto al 1° settembre. In questa occasione verrà inoltre inaugurata la mostra promossa da IBBY Italia “Fateci cominciare dai bambini. Libri come ponti”, dedicata a Jella Lepman e ospitata in co-organizzazione con il Comune di Trieste nella sua sede espositiva di Sala Umberto Veruda. Venti illustratori e illustratrici, dieci italiani e dieci dal resto del mondo, raccontano la vita di questa donna straordinaria, che alla fine della Seconda Guerra Mondiale ha visto nei libri un “ponte di relazione”, per mettere insieme popolazioni diverse e aiutare i bambini a immaginare un futuro migliore da costruire insieme.

Per conoscere il programma completo del convegno clicca qui.

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