Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli.

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione, visite guidate e l'accessibilità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o compilare il form qui sotto anticipando nel campo note i dettagli nella richiesta.

Il patto per la ripresa fondato sul lavoro e le responsabilità di imprese e sindacati 

La strada per uno sviluppo equilibrato e sostenibile, nelle condizioni e nel tempo, passa da originali sintesi tra costruzione di ricchezza e coesione sociale, tra produttività e solidarietà. Sta qui il valore politico e programmatico di quel “patto per la ripresa” annunciato dal premier Mario Draghi all’Assemblea di Confindustria, prendendo spunto dal discorso pronunciato dal presidente dell’associazione degli imprenditori Carlo Bonomi. Servono relazioni industriali positive, costruite sul dialogo e non sulle contrapposizioni ideologiche e pregiudiziali. Intese sui temi del lavoro e dei redditi. Accordi che favoriscano gli investimenti, l’innovazione, la competitività, l’inclusione di giovani e donne nei processi produttivi ma anche la valorizzazione di conoscenze e competenze dei lavoratori più anziani, che non sono certo da “rottamare”.

L’invito di Draghi, rivolto non solo a industriali e sindacati ma anche ai responsabili dei partiti, è molto chiaro: la ripresa economica in corso, pur se impetuosa (il 6% di crescita del Pil quest’anno, il 4% nel 2022), è molto fragile. In gran parte  è un “rimbalzo”, un recupero delle perdite drammatiche nella lunga stagione del contagio da Covid19. E dunque va consolidata, con investimenti, innovazioni, creazione di lavoro stabile.

Le imprese italiane più dinamiche, le manifatture presenti sui mercati internazionali, allenate nella gara competitiva, già da tempo investono, puntano sulla qualità, crescono. Ma deve crescere tutto il Paese, dai servizi alla pubblica amministrazione, recuperando produttività, altrimenti, dopo il “rimbalzo”, torneremmo alla palude dell’economia stagnante. E non potremmo ripagare il grande debito pubblico accumulato anche per fare fronte all’emergenza sanitaria ed economica.

I fondi del Pnrr (in gran parte prestiti, da restituire) sono una straordinaria dotazione, a disposizione per modernizzare e sviluppare finalmente il Paese, permettere gli investimenti su ambiente e trasformazione digitale, creare lavoro di qualità. Ma vanno spesi presto e bene, accompagnati da riforme essenziali (la pubblica amministrazione, la giustizia, il mercato del lavoro, la formazione, etc.).

Ecco perché servono relazioni industriali positive, con la partecipazione responsabile degli attori sociali, le associazione delle imprese e i sindacati: per un confronto, aperto e dialettico, che abbia ben chiaro il valore dello sviluppo e non si estenui in contrapposizioni di parte. Troppo importante la sfida dello sviluppo sostenibile, troppo delicata la sorte dei nostri figli e nipoti, in termini di sicurezza ambientale e di opportunità di vita migliore, per sprecare questa occasione.

Il pensiero va ai momenti cruciali della nostra storia repubblicana, quando le forze sociali, appunto, ben stimolate dalle istituzioni e della politica, hanno saputo individuare e seguire l’orizzonte del bene comune.     

In tempi incerti, infatti, vale la pena tornare ai valori fondamentali della politica e dell’economia. E rileggere innanzitutto l’articolo 1 della nostra Costituzione, “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, con quel “lavoro” individuato non tanto come merce da scambiare con salario ma come valore di fondo, di identità personale, di cittadinanza, di libertà e realizzazione personale e sociale. Il lavoro in un contesto di diritti e doveri, per fare da leva di sviluppo.

Nel difficile dopoguerra, con l’Italia distrutta, il patto tra la Confindustria di Angelo Costa e la Cgil di Giuseppe Di Vittorio, per ricostruire “prima le fabbriche, poi le case”, aveva individuato, con tempestività e chiarezza, le priorità dell’impegno comune. E nel corso del tempo, di fronte a momenti cruciali di crisi, le forze sociali hanno sempre saputo trovare un’intesa generosa e responsabile, facendosi carico dell’interesse generale. La battaglia contro il terrorismo e la risposta alla crisi economica degli anni Settanta, con l’accordo tra la Confindustria guidata da Gianni Agnelli e i sindacati legati dalla leadership di Luciano Lama, segretario della Cgil. E la “concertazione” impostata da Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell’Economia e poi presidente del Consiglio, per uscire dalla drammatica crisi economica, politica e istituzionale dei primi anni Novanta e incamminarsi sulla strada dell’euro e dell’integrazione europea. 

Sono stati passaggi fondamentali della nostra storia. In cui l’Italia ha saputo “fare bene l’Italia”, rivelandosi nazione lungimirante e generosa, intraprendente e inclusiva, capace di definire e perseguire un buon destino comune.

Oggi siamo di fronte a un nuovo capitolo da scrivere, per superare la lunga stagione della stagnazione, andare oltre la crisi pandemica, vivere da protagonisti l’epoca dell’economia della conoscenza e della sostenibilità.

Il lavoro torna ad avere centralità. Non i lavoretti precari, né i sussidi infiniti. Ma una prospettiva di qualità, che faccia i conti con le evoluzioni delle tecnologie digitali e dei mercati globali. E dunque un incrocio tra formazione, qualificazione, innovazione produttiva, flessibilità, creatività (“quota 100” per le pensioni o il fallimentare reddito di cittadinanza non fanno parte di questo orizzonte). E, naturalmente, sicurezza sul posto di lavoro, un punto fondamentale, proprio mentre aumentano gli incidenti e le morti sul lavoro, inaccettabili.

La sfida riguarda imprese e scuola, mercato per lavoro (per superare il paradosso per cui abbiamo milioni di disoccupati e sotto-occupati, ma le imprese lamentano a ragione di non trovare persone da assumere). E ammortizzatori sociali, per accompagnare il passaggio da un lavoro all’altro.

Il governo Draghi, nell’indicare il “patto per la ripresa”, ha ben chiaro questo orizzonte, prepara gli strumenti per affrontarlo. Le imprese (l’assemblea di Confindustria ne è conferma) sono pronte a fare la loro parte. I sindacati mostrano una responsabile inclinazione a discutere. La crescita può fare un passo avanti.  

La strada per uno sviluppo equilibrato e sostenibile, nelle condizioni e nel tempo, passa da originali sintesi tra costruzione di ricchezza e coesione sociale, tra produttività e solidarietà. Sta qui il valore politico e programmatico di quel “patto per la ripresa” annunciato dal premier Mario Draghi all’Assemblea di Confindustria, prendendo spunto dal discorso pronunciato dal presidente dell’associazione degli imprenditori Carlo Bonomi. Servono relazioni industriali positive, costruite sul dialogo e non sulle contrapposizioni ideologiche e pregiudiziali. Intese sui temi del lavoro e dei redditi. Accordi che favoriscano gli investimenti, l’innovazione, la competitività, l’inclusione di giovani e donne nei processi produttivi ma anche la valorizzazione di conoscenze e competenze dei lavoratori più anziani, che non sono certo da “rottamare”.

L’invito di Draghi, rivolto non solo a industriali e sindacati ma anche ai responsabili dei partiti, è molto chiaro: la ripresa economica in corso, pur se impetuosa (il 6% di crescita del Pil quest’anno, il 4% nel 2022), è molto fragile. In gran parte  è un “rimbalzo”, un recupero delle perdite drammatiche nella lunga stagione del contagio da Covid19. E dunque va consolidata, con investimenti, innovazioni, creazione di lavoro stabile.

Le imprese italiane più dinamiche, le manifatture presenti sui mercati internazionali, allenate nella gara competitiva, già da tempo investono, puntano sulla qualità, crescono. Ma deve crescere tutto il Paese, dai servizi alla pubblica amministrazione, recuperando produttività, altrimenti, dopo il “rimbalzo”, torneremmo alla palude dell’economia stagnante. E non potremmo ripagare il grande debito pubblico accumulato anche per fare fronte all’emergenza sanitaria ed economica.

I fondi del Pnrr (in gran parte prestiti, da restituire) sono una straordinaria dotazione, a disposizione per modernizzare e sviluppare finalmente il Paese, permettere gli investimenti su ambiente e trasformazione digitale, creare lavoro di qualità. Ma vanno spesi presto e bene, accompagnati da riforme essenziali (la pubblica amministrazione, la giustizia, il mercato del lavoro, la formazione, etc.).

Ecco perché servono relazioni industriali positive, con la partecipazione responsabile degli attori sociali, le associazione delle imprese e i sindacati: per un confronto, aperto e dialettico, che abbia ben chiaro il valore dello sviluppo e non si estenui in contrapposizioni di parte. Troppo importante la sfida dello sviluppo sostenibile, troppo delicata la sorte dei nostri figli e nipoti, in termini di sicurezza ambientale e di opportunità di vita migliore, per sprecare questa occasione.

Il pensiero va ai momenti cruciali della nostra storia repubblicana, quando le forze sociali, appunto, ben stimolate dalle istituzioni e della politica, hanno saputo individuare e seguire l’orizzonte del bene comune.     

In tempi incerti, infatti, vale la pena tornare ai valori fondamentali della politica e dell’economia. E rileggere innanzitutto l’articolo 1 della nostra Costituzione, “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, con quel “lavoro” individuato non tanto come merce da scambiare con salario ma come valore di fondo, di identità personale, di cittadinanza, di libertà e realizzazione personale e sociale. Il lavoro in un contesto di diritti e doveri, per fare da leva di sviluppo.

Nel difficile dopoguerra, con l’Italia distrutta, il patto tra la Confindustria di Angelo Costa e la Cgil di Giuseppe Di Vittorio, per ricostruire “prima le fabbriche, poi le case”, aveva individuato, con tempestività e chiarezza, le priorità dell’impegno comune. E nel corso del tempo, di fronte a momenti cruciali di crisi, le forze sociali hanno sempre saputo trovare un’intesa generosa e responsabile, facendosi carico dell’interesse generale. La battaglia contro il terrorismo e la risposta alla crisi economica degli anni Settanta, con l’accordo tra la Confindustria guidata da Gianni Agnelli e i sindacati legati dalla leadership di Luciano Lama, segretario della Cgil. E la “concertazione” impostata da Carlo Azeglio Ciampi, ministro dell’Economia e poi presidente del Consiglio, per uscire dalla drammatica crisi economica, politica e istituzionale dei primi anni Novanta e incamminarsi sulla strada dell’euro e dell’integrazione europea. 

Sono stati passaggi fondamentali della nostra storia. In cui l’Italia ha saputo “fare bene l’Italia”, rivelandosi nazione lungimirante e generosa, intraprendente e inclusiva, capace di definire e perseguire un buon destino comune.

Oggi siamo di fronte a un nuovo capitolo da scrivere, per superare la lunga stagione della stagnazione, andare oltre la crisi pandemica, vivere da protagonisti l’epoca dell’economia della conoscenza e della sostenibilità.

Il lavoro torna ad avere centralità. Non i lavoretti precari, né i sussidi infiniti. Ma una prospettiva di qualità, che faccia i conti con le evoluzioni delle tecnologie digitali e dei mercati globali. E dunque un incrocio tra formazione, qualificazione, innovazione produttiva, flessibilità, creatività (“quota 100” per le pensioni o il fallimentare reddito di cittadinanza non fanno parte di questo orizzonte). E, naturalmente, sicurezza sul posto di lavoro, un punto fondamentale, proprio mentre aumentano gli incidenti e le morti sul lavoro, inaccettabili.

La sfida riguarda imprese e scuola, mercato per lavoro (per superare il paradosso per cui abbiamo milioni di disoccupati e sotto-occupati, ma le imprese lamentano a ragione di non trovare persone da assumere). E ammortizzatori sociali, per accompagnare il passaggio da un lavoro all’altro.

Il governo Draghi, nell’indicare il “patto per la ripresa”, ha ben chiaro questo orizzonte, prepara gli strumenti per affrontarlo. Le imprese (l’assemblea di Confindustria ne è conferma) sono pronte a fare la loro parte. I sindacati mostrano una responsabile inclinazione a discutere. La crescita può fare un passo avanti.  

Cultura del cambiamento organizzativo

Un libro appena pubblicato propone un possibile percorso

Cultura organizzativa che si fa motore d’impresa e che pone l’essere umano al primo posto. Benessere globale prima del semplice profitto. Si tratta di assunti che trovano sempre più spazio all’interno delle organizzazioni della produzione, ma che devono essere compresi a fondo prima di essere applicati nella realtà. A questo può servire leggere “Comportamento Organizzativo: cultura organizzativa” di Jesus Reyes che è una sorta di “manuale” di buone pratiche organizzative capaci di mettere al centro l’uomo.
Il libro ruota attorno alla possibilità che il cambiamento che avviene nelle organizzazioni aziendali possa creare le condizioni per le quali la componente umana, cioè la “parte elementare” del movimento interno dell’azienda, venga trascurata. In altre parole, il capitale umano e cioè quella parte dell’organizzazione che muove l’intera squadra organizzativa, può ritrovarsi in secondo piano. E’, cioè, la sottovalutazione dell’importanza della gestione del talento umano, quanto può accadere nelle aziende travolte dal cambiamento.
Reyes quindi conduce il lettore attraverso passaggi successivi che portano ad una serie di cambiamenti nella cultura aziendale e nel comportamento organizzativo. La nuova “gestione del talento umano”, viene spiegato, deve avvenire attraverso la generazione di abitudini e valori nei comportamenti e atteggiamenti proattivi delle persone. Solo così possono cambiare – in meglio -, i ruoli e le funzioni assunte all’interno delle relazioni interpersonali. Traguardo certamente non facile da raggiungere, ma sicuramente l’unico possibile in una fase di grandi cambiamenti nei sistemi economici e sociali e quindi anche nelle modalità di progettazione e realizzazione di organizzazioni della produzione che devono conciliare efficienza ed efficacia con umanità dei processi.
Per cambiare, per essere il primo, per avere una nuova immagine organizzativa, racconta Reyes, è solo necessario rompere i paradigmi attraverso l’incorporazione di nuovi modelli di studio e di preparazione dei valori.

Comportamento Organizzativo: cultura organizzativa
Jesus Reyes
Edizioni Sapienza, 2021

Un libro appena pubblicato propone un possibile percorso

Cultura organizzativa che si fa motore d’impresa e che pone l’essere umano al primo posto. Benessere globale prima del semplice profitto. Si tratta di assunti che trovano sempre più spazio all’interno delle organizzazioni della produzione, ma che devono essere compresi a fondo prima di essere applicati nella realtà. A questo può servire leggere “Comportamento Organizzativo: cultura organizzativa” di Jesus Reyes che è una sorta di “manuale” di buone pratiche organizzative capaci di mettere al centro l’uomo.
Il libro ruota attorno alla possibilità che il cambiamento che avviene nelle organizzazioni aziendali possa creare le condizioni per le quali la componente umana, cioè la “parte elementare” del movimento interno dell’azienda, venga trascurata. In altre parole, il capitale umano e cioè quella parte dell’organizzazione che muove l’intera squadra organizzativa, può ritrovarsi in secondo piano. E’, cioè, la sottovalutazione dell’importanza della gestione del talento umano, quanto può accadere nelle aziende travolte dal cambiamento.
Reyes quindi conduce il lettore attraverso passaggi successivi che portano ad una serie di cambiamenti nella cultura aziendale e nel comportamento organizzativo. La nuova “gestione del talento umano”, viene spiegato, deve avvenire attraverso la generazione di abitudini e valori nei comportamenti e atteggiamenti proattivi delle persone. Solo così possono cambiare – in meglio -, i ruoli e le funzioni assunte all’interno delle relazioni interpersonali. Traguardo certamente non facile da raggiungere, ma sicuramente l’unico possibile in una fase di grandi cambiamenti nei sistemi economici e sociali e quindi anche nelle modalità di progettazione e realizzazione di organizzazioni della produzione che devono conciliare efficienza ed efficacia con umanità dei processi.
Per cambiare, per essere il primo, per avere una nuova immagine organizzativa, racconta Reyes, è solo necessario rompere i paradigmi attraverso l’incorporazione di nuovi modelli di studio e di preparazione dei valori.

Comportamento Organizzativo: cultura organizzativa
Jesus Reyes
Edizioni Sapienza, 2021

Persone o cose?

Il tema della visione delle risorse umane e del loro ruolo nelle organizzazioni

Risorse fatte pari, quasi, ad altre materie prime del ciclo produttivo, oppure donne e uomini impegnati per raggiungere un obiettivo comune. Il tema dell’essere umano all’interno delle organizzazioni (anche della produzione), è questo pressoché da sempre. Ed è un tema fortemente dibattuto anche oggi, nel momento in cui quelle che comunemente vengono indicate come “risorse umane” devono fare i conti con i processi di riorganizzazione del lavoro collegati alla digitalizzazione.

Gestire risorse umane, dunque, come passaggio cruciale di ogni organizzazione produttiva, ma anche elemento che caratterizza ogni cultura del produrre.

E’ attorno alla “dicotomia fuorviante” tra risorse e persone che ragiona l’intervento di Giovanni Masino contenuto in Humans, resources, or what else? Ebook of the research program “The organization workshop (raccolta di ricerche sul tema curata da Massimo Neri).

Masino parte da una constatazione: “La questione della cosiddetta ‘gestione delle risorse umane’ e, più in generale, dello studio del rapporto tra uomo e organizzazione, trova la sua declinazione in letteratura nell’utilizzo – non casuale – dei termini alternativi ‘risorse’ e ‘persone’: questi termini riflettono diverse premesse concettuali e, in modo indiretto, suggeriscono non solo diversi modi di studiare e interpretare i fenomeni organizzativi, ma anche di progettarli, trasformarli, gestirli”. Materie prime, quindi, oppure la parte vivente dell’impresa?

Masino prosegue quindi ragionando sull’importanza “dell’intenzionalità umana” come elemento caratterizzante le “risorse umane” e quindi sull’importanza degli obiettivi che vengono dati alle organizzazioni e quindi alle persone. E’ a questo punto che, secondo Masino, entrano in gioco i traguardi che si pongono i manager all’interno delle imprese ma anche il metodo con il quale in queste si lavora. “Si tratta – scrive Masino -, di cambiare il modo di pensare a come definire gli obiettivi”. Condivisione e partecipazione, dunque, appaiono essere sempre di più gli elementi di una cultura d’impresa moderna e coinvolgente.

Risorse o persone? Una dicotomia fuorviante

Giovanni Masino, Università di Ferrara

in Humans, resources, or what else? Ebook of the research program “The organization workshop, Massimo Neri (a cura di), Università di Modena e Reggio Emilia, 2021

Il tema della visione delle risorse umane e del loro ruolo nelle organizzazioni

Risorse fatte pari, quasi, ad altre materie prime del ciclo produttivo, oppure donne e uomini impegnati per raggiungere un obiettivo comune. Il tema dell’essere umano all’interno delle organizzazioni (anche della produzione), è questo pressoché da sempre. Ed è un tema fortemente dibattuto anche oggi, nel momento in cui quelle che comunemente vengono indicate come “risorse umane” devono fare i conti con i processi di riorganizzazione del lavoro collegati alla digitalizzazione.

Gestire risorse umane, dunque, come passaggio cruciale di ogni organizzazione produttiva, ma anche elemento che caratterizza ogni cultura del produrre.

E’ attorno alla “dicotomia fuorviante” tra risorse e persone che ragiona l’intervento di Giovanni Masino contenuto in Humans, resources, or what else? Ebook of the research program “The organization workshop (raccolta di ricerche sul tema curata da Massimo Neri).

Masino parte da una constatazione: “La questione della cosiddetta ‘gestione delle risorse umane’ e, più in generale, dello studio del rapporto tra uomo e organizzazione, trova la sua declinazione in letteratura nell’utilizzo – non casuale – dei termini alternativi ‘risorse’ e ‘persone’: questi termini riflettono diverse premesse concettuali e, in modo indiretto, suggeriscono non solo diversi modi di studiare e interpretare i fenomeni organizzativi, ma anche di progettarli, trasformarli, gestirli”. Materie prime, quindi, oppure la parte vivente dell’impresa?

Masino prosegue quindi ragionando sull’importanza “dell’intenzionalità umana” come elemento caratterizzante le “risorse umane” e quindi sull’importanza degli obiettivi che vengono dati alle organizzazioni e quindi alle persone. E’ a questo punto che, secondo Masino, entrano in gioco i traguardi che si pongono i manager all’interno delle imprese ma anche il metodo con il quale in queste si lavora. “Si tratta – scrive Masino -, di cambiare il modo di pensare a come definire gli obiettivi”. Condivisione e partecipazione, dunque, appaiono essere sempre di più gli elementi di una cultura d’impresa moderna e coinvolgente.

Risorse o persone? Una dicotomia fuorviante

Giovanni Masino, Università di Ferrara

in Humans, resources, or what else? Ebook of the research program “The organization workshop, Massimo Neri (a cura di), Università di Modena e Reggio Emilia, 2021

Salvatore Accardo, una lunga amicizia con Pirelli

Era il 1971 quando il Maestro Accardo, appena trentenne e già considerato uno dei maggiori violinisti al mondo, è chiamato da Pirelli a prendere parte al VI Festival Musicale organizzato presso il Centro Culturale Pirelli. Il 24 novembre nel grande Auditorium del Pirellone in piazza Duca d’Aosta a Milano, primo Headquarters dell’azienda, il Maestro insieme al pianista Lodovico Lessona, esegue un programma che comprende musiche di Petrassi, Webern, Ravel, Mozart e Beethoven. Una panoramica completa del violismo, dall’epoca classica all’epoca contemporanea.

Il rapporto tra Pirelli e il maestro Salvatore Accardo, che nel 1996 fonda l’Orchestra da Camera Italiana composta da allievi ed ex allievi dell’Accademia Walter Stauffer di Cremona, si rinnova in tempi più recenti. Siamo nel 2012 quando il maestro e i musicisti dell’Orchestra sono ospitati nell’Auditorium di Pirelli – questa volta però quello del nuovo Headquarters dell’azienda progettato da Vittorio Gregotti a Milano Bicocca – per studiare e provare insieme un nuovo programma musicale da proporre nella stagione concertistica dello stesso anno. A partecipare alle prove generali anche i dipendenti dell’azienda e i propri familiari.

Da quel momento Pirelli, da sempre impegnata a diffondere la cultura anche nei luoghi di lavoro, ha rinnovato anno per anno il legame con il Maestro, sostentendo l’orchestra, mettendo a disposizione gli spazi aziendali per le prove e facendo dialogare i musicisti con i figli dei dipendenti, all’interno delle attività di welfare aziendale.

Nel 2017 il Maestro e la sua Orchestra sono stati coinvolti in un nuovo progetto musicale che ha portato alla realizzazione un’opera inedita in grado di dar voce alla fabbrica contemporanea, luminosa, sostenibile e “bella”, quella del Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese. Dai suoni e dai ritmi della produzione è nato così “Il canto della Fabbrica”, brano commissionato dalla Fondazione Pirelli al compositore e violista Francesco Fiore e appositamente pensato per essere eseguito dal violino di Salvatore Accardo.

La prima assoluta di questa composizione musicale è stata presentata nell’ambito del Festival MITO SettembreMusica proprio all’interno dello stabilimento di Settimo Torinese, la fabbrica che ha ispirato “Il canto”, di fronte a oltre mille persone, tra le quali numerosi dipendenti Pirelli.

Era il 1971 quando il Maestro Accardo, appena trentenne e già considerato uno dei maggiori violinisti al mondo, è chiamato da Pirelli a prendere parte al VI Festival Musicale organizzato presso il Centro Culturale Pirelli. Il 24 novembre nel grande Auditorium del Pirellone in piazza Duca d’Aosta a Milano, primo Headquarters dell’azienda, il Maestro insieme al pianista Lodovico Lessona, esegue un programma che comprende musiche di Petrassi, Webern, Ravel, Mozart e Beethoven. Una panoramica completa del violismo, dall’epoca classica all’epoca contemporanea.

Il rapporto tra Pirelli e il maestro Salvatore Accardo, che nel 1996 fonda l’Orchestra da Camera Italiana composta da allievi ed ex allievi dell’Accademia Walter Stauffer di Cremona, si rinnova in tempi più recenti. Siamo nel 2012 quando il maestro e i musicisti dell’Orchestra sono ospitati nell’Auditorium di Pirelli – questa volta però quello del nuovo Headquarters dell’azienda progettato da Vittorio Gregotti a Milano Bicocca – per studiare e provare insieme un nuovo programma musicale da proporre nella stagione concertistica dello stesso anno. A partecipare alle prove generali anche i dipendenti dell’azienda e i propri familiari.

Da quel momento Pirelli, da sempre impegnata a diffondere la cultura anche nei luoghi di lavoro, ha rinnovato anno per anno il legame con il Maestro, sostentendo l’orchestra, mettendo a disposizione gli spazi aziendali per le prove e facendo dialogare i musicisti con i figli dei dipendenti, all’interno delle attività di welfare aziendale.

Nel 2017 il Maestro e la sua Orchestra sono stati coinvolti in un nuovo progetto musicale che ha portato alla realizzazione un’opera inedita in grado di dar voce alla fabbrica contemporanea, luminosa, sostenibile e “bella”, quella del Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese. Dai suoni e dai ritmi della produzione è nato così “Il canto della Fabbrica”, brano commissionato dalla Fondazione Pirelli al compositore e violista Francesco Fiore e appositamente pensato per essere eseguito dal violino di Salvatore Accardo.

La prima assoluta di questa composizione musicale è stata presentata nell’ambito del Festival MITO SettembreMusica proprio all’interno dello stabilimento di Settimo Torinese, la fabbrica che ha ispirato “Il canto”, di fronte a oltre mille persone, tra le quali numerosi dipendenti Pirelli.

Buone relazioni umane e buona economia circolare

Una tesi discussa all’Università di Padova chiarisce i collegamenti tra due aspetti determinanti della gestione d’impresa

 

Economia circolare come frontiera più avanzata di quell’economia più attenta alle sue ricadute ambientali e sociali. Economia che impronta di se anche la gestione d’impresa, non solo nei suoi profili produttivi, ma anche per quanto riguarda quelli umani.

E’ attorno a questi temi che ruota la tesi di Giorgia Masconale discussa recentemente nell’ambito del corso di laurea in Economia presso il Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” dell’Università di Padova. “L’implementazione dell’economia circolare nelle aziende: la gestione sostenibile delle risorse umane” – questo il titolo della ricerca -, muove dal fatto che “l’economia circolare ha un impatto strategico anche nella funzione aziendale della gestione delle risorse umane, che acquista un importante ruolo per lo sviluppo sostenibile e per il raggiungimento di un vantaggio competitivo”. Masconale, quindi, inizia il suo ragionamento indagando le “radici dell’economia circolare” per quindi passare rapidamente ad approfondire i modelli e le strutture aziendali che devono adattarsi ai principi di un’economia diversa da prima e – in qualche modo -, più pervasiva rispetto a quella tradizionale. Vengono quindi approfonditi aspetti come il recupero e il riciclo, l’estensione della vita utile del prodotto, il concetto di prodotto come servizio. Inquadrati questi aspetti della gestione d’impresa, l’autrice approfondisce quindi le relazioni tra gestione delle risorse umane ed economia circolare.

La sostenibilità ambientale è agevolata da una cultura in ottica innovativa, da una leadership reattiva, da una comunicazione trasparente e da una struttura flessibile; ogni funzione della realtà organizzativa può comunque contribuire concretamente al raggiungimento degli obiettivi sostenibili preposti.

Scrive Giorgia Masconale nelle sue conclusioni: “La funzione HR ricopre un ruolo astuto in quanto responsabile dello snodo in cui l’organizzazione incontra le persone, e queste successivamente il tessuto sociale. In aggiunta, la funzione della gestione delle risorse umane, gestendo processi e comportamenti, presidia il campo del cambiamento e dello sviluppo e la diffusione di una nuova cultura della responsabilità”. E poi ancora: “Funzioni tradizionali acquistano nuova vitalità reinterpretate in chiave di sviluppo sostenibile e diventano i fattori discriminanti nella trasformazione delle organizzazioni in responsible organization: organismi adeguati al mondo che cambia, in grado di assicurare la propria durevolezza e con essa nuove occasioni di competitività”.

La tesi di Giorgia Masconale ha valore in quanto onesta e sintetica esposizione della relazioni tra due temi complessi e importanti della cultura e della gestione d’impresa.

“L’implementazione dell’economia circolare nelle aziende: la gestione sostenibile delle risorse umane”

Giorgia Masconale

Una tesi discussa all’Università di Padova chiarisce i collegamenti tra due aspetti determinanti della gestione d’impresa

 

Economia circolare come frontiera più avanzata di quell’economia più attenta alle sue ricadute ambientali e sociali. Economia che impronta di se anche la gestione d’impresa, non solo nei suoi profili produttivi, ma anche per quanto riguarda quelli umani.

E’ attorno a questi temi che ruota la tesi di Giorgia Masconale discussa recentemente nell’ambito del corso di laurea in Economia presso il Dipartimento di Scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” dell’Università di Padova. “L’implementazione dell’economia circolare nelle aziende: la gestione sostenibile delle risorse umane” – questo il titolo della ricerca -, muove dal fatto che “l’economia circolare ha un impatto strategico anche nella funzione aziendale della gestione delle risorse umane, che acquista un importante ruolo per lo sviluppo sostenibile e per il raggiungimento di un vantaggio competitivo”. Masconale, quindi, inizia il suo ragionamento indagando le “radici dell’economia circolare” per quindi passare rapidamente ad approfondire i modelli e le strutture aziendali che devono adattarsi ai principi di un’economia diversa da prima e – in qualche modo -, più pervasiva rispetto a quella tradizionale. Vengono quindi approfonditi aspetti come il recupero e il riciclo, l’estensione della vita utile del prodotto, il concetto di prodotto come servizio. Inquadrati questi aspetti della gestione d’impresa, l’autrice approfondisce quindi le relazioni tra gestione delle risorse umane ed economia circolare.

La sostenibilità ambientale è agevolata da una cultura in ottica innovativa, da una leadership reattiva, da una comunicazione trasparente e da una struttura flessibile; ogni funzione della realtà organizzativa può comunque contribuire concretamente al raggiungimento degli obiettivi sostenibili preposti.

Scrive Giorgia Masconale nelle sue conclusioni: “La funzione HR ricopre un ruolo astuto in quanto responsabile dello snodo in cui l’organizzazione incontra le persone, e queste successivamente il tessuto sociale. In aggiunta, la funzione della gestione delle risorse umane, gestendo processi e comportamenti, presidia il campo del cambiamento e dello sviluppo e la diffusione di una nuova cultura della responsabilità”. E poi ancora: “Funzioni tradizionali acquistano nuova vitalità reinterpretate in chiave di sviluppo sostenibile e diventano i fattori discriminanti nella trasformazione delle organizzazioni in responsible organization: organismi adeguati al mondo che cambia, in grado di assicurare la propria durevolezza e con essa nuove occasioni di competitività”.

La tesi di Giorgia Masconale ha valore in quanto onesta e sintetica esposizione della relazioni tra due temi complessi e importanti della cultura e della gestione d’impresa.

“L’implementazione dell’economia circolare nelle aziende: la gestione sostenibile delle risorse umane”

Giorgia Masconale

Cultura della materia

Attraverso la storia dei materiali si dipana anche la storia dell’uomo e del suo fare impresa

Fare. Progettare. Inventare. Costruire. Progredire. Lo sviluppo delle società umane è passato anche da queste fasi. E continua a farlo. Pensiero, dunque, ma anche capacità di dare forma e materialità agli oggetti che servono, agli strumenti per vivere, per muoversi, per comunicare. Fabbriche e manifatture. Materiali, quindi, come elementi fondamentali dello sviluppo. Ieri come oggi. Elementi fondanti anche di una cultura d’impresa che nel tempo si è formata ed evoluta. Con la stessa evoluzione dei materiali. E’ quanto si apprende leggendo “Il segreto delle cose. Storie di uomini e materiali” di Silvano Fuso, libro appena pubblicato che racconta attraverso le storie di alcuni dei più importanti materiali che hanno attraversato la storia.

Il libro prende le mosse da una constatazione: la disponibilità di nuovi materiali ha da sempre influito sullo sviluppo delle società umane. Non a caso le età preistoriche sono identificate con il nome dei materiali che via via venivano utilizzati: pietra, rame, bronzo e ferro. Anche oggi i materiali accompagnano il progresso sociale ed economico: nuove leghe metalliche, materie plastiche, semiconduttori, nuovi materiali ceramici, magnetici, elettrici, ottici, fino ai cosiddetti smart materials e ai nanomateriali. Non esiste ambito di attività che non dipenda da essi: edilizia, tecnologia, logistica, medicina, comunicazioni, ma anche arte, architettura, design.

Sulla base di queste considerazioni, Fuso ha scritto 14 capitoli  dedicati ad altrettanti materiali ed ai loro usi – dai più poveri e semplici ai più complessi -, sintetizzando in modo intelligente quella che adesso va sotto il nome di “scienza dei materiali” ma che altro non è che un viaggio nella storia della manifattura. Che è anche storia dell’uomo.

Il segreto delle cose. Storie di uomini e materiali

Silvano Fuso

Carocci editore, 2021

Attraverso la storia dei materiali si dipana anche la storia dell’uomo e del suo fare impresa

Fare. Progettare. Inventare. Costruire. Progredire. Lo sviluppo delle società umane è passato anche da queste fasi. E continua a farlo. Pensiero, dunque, ma anche capacità di dare forma e materialità agli oggetti che servono, agli strumenti per vivere, per muoversi, per comunicare. Fabbriche e manifatture. Materiali, quindi, come elementi fondamentali dello sviluppo. Ieri come oggi. Elementi fondanti anche di una cultura d’impresa che nel tempo si è formata ed evoluta. Con la stessa evoluzione dei materiali. E’ quanto si apprende leggendo “Il segreto delle cose. Storie di uomini e materiali” di Silvano Fuso, libro appena pubblicato che racconta attraverso le storie di alcuni dei più importanti materiali che hanno attraversato la storia.

Il libro prende le mosse da una constatazione: la disponibilità di nuovi materiali ha da sempre influito sullo sviluppo delle società umane. Non a caso le età preistoriche sono identificate con il nome dei materiali che via via venivano utilizzati: pietra, rame, bronzo e ferro. Anche oggi i materiali accompagnano il progresso sociale ed economico: nuove leghe metalliche, materie plastiche, semiconduttori, nuovi materiali ceramici, magnetici, elettrici, ottici, fino ai cosiddetti smart materials e ai nanomateriali. Non esiste ambito di attività che non dipenda da essi: edilizia, tecnologia, logistica, medicina, comunicazioni, ma anche arte, architettura, design.

Sulla base di queste considerazioni, Fuso ha scritto 14 capitoli  dedicati ad altrettanti materiali ed ai loro usi – dai più poveri e semplici ai più complessi -, sintetizzando in modo intelligente quella che adesso va sotto il nome di “scienza dei materiali” ma che altro non è che un viaggio nella storia della manifattura. Che è anche storia dell’uomo.

Il segreto delle cose. Storie di uomini e materiali

Silvano Fuso

Carocci editore, 2021

La velocità di Milano è riflessiva: la metropoli “green” e “blue” al centro delle nuove relazioni per lo sviluppo

Milano veloce, Milano frenetica, Milano corre troppo, Milano non si ferma. Sono stereotipi, luoghi comuni. Contengono, è vero, una parte di verità. Ma hanno il limite di ridurre una realtà complessa a uno schema banale. E così, tra le caratteristiche della città, bisogna insistere sull’abitudine a studiare, riflettere, cercare di capire bene il senso delle cose da fare. E, poi, naturalmente, a farle. Con determinazione. Efficienza. Una certa efficacia. Ecco, adesso sì, con velocità. Naturalmente sempre memori della lezione di Alessandro Manzoni, don Lisander: “Adelante, Pedro, con juicio”, come suggeriva al cocchiere il Gran Cancelliere Antonio Ferrer, in una pagina ben nota de “I promessi sposi”. E probabilmente non è un caso che lo slogan pubblicitario di maggior successo della milanesissima Pirelli sia “la potenza è nulla senza controllo”. Un altro modo per dire “juicio”.
La pandemia da Covid19 ha rimescolato tendenze e abitudini. Ha radicalmente cambiato strategie economiche e sociali, evidenziato fragilità, imposto nuovi parametri nelle relazioni tra lavoro, salute, convivenza civile. Servono dunque nuove mappe, del pensiero, della civiltà dei consumi e dell’impegno produttivo. Per creare lavoro. E favorire, così, una crescita migliore.
La velocità nella sfida tecnologica al tempo e allo spazio, il “presentismo” del “tutto e subito” non possono alimentare l’ossessione digitale dell’essere sempre “in tempo reale”: un’ossessione che, per essere sinceri, caratterizza comunque una parte dei milanesi. Occorre però sapere anche fermarsi, pensare, cercare di capire. E costruire così, responsabilmente, la ripartenza. O, per usare una parola cara alle più recenti elaborazioni di Assolombarda, “la rigenerazione”.
La cultura del fare, che connota profondamente Milano, non prescinde mai dalle conoscenze diffuse, dalla solidità delle relazioni tra imprese, università (in crescita per qualità e autorevolezza, sulla platea internazionale) e mondi culturali (le case editrici, i teatri, i luoghi delle arti).
In poche parole: la velocità di Milano è riflessiva.

Su cosa va riflettendo, velocemente, Milano? Se ne è discusso durante un lungo pomeriggio di discussioni su “Amare Milano”, organizzato a metà settembre all’ombra della magnolia nel cortile del Palazzo delle Stelline dal Centro Studi Grande Milano presieduto da Daniela Mainini e dedicato alla memoria di Carlo Tognoli, che della città è stato sindaco tra i migliori e più amati. E si è colta in pieno una delle caratteristiche di fondo della metropoli: avere una visione e tradurla in concreto, pensare largo e mettere i piedi per terra. L’ambizione del progetto e il pragmatismo riformista delle realizzazioni. Riformista la politica e l’amministrazione. E riformista l’impresa. Con la buona abitudine, radicata nel tempo, di costruire una robusta rete di relazioni tra pubblico e privato.
Milano, oggi, è dunque un intreccio di anime, tensioni, visioni diverse. Spesso contrastanti. Da ricondurre in un disegno di crescita che deve sapere come le diversità siano ricchezza ma anche quanto le eccessive disparità di reddito, relazioni e possibilità possano essere un handicap pesantissimo per lo sviluppo che si vuole, generalmente, sostenibile dal punto di vista sia ambientale che sociale. D’altronde, è questa la vocazione di fondo di Milano: essere contemporaneamente competitiva e inclusiva, profittevole e solidale.

La campagna elettorale per eleggere il sindaco e il consiglio comunale è oramai alle ultime battute (Beppe Sala, primo cittadino uscente, è indicato da tutti i sondaggi come favorito per la rielezione). Ma chi conosce Milano sa che negli anni Palazzo Marino, sede del Comune, ha sviluppato comunque una solida cultura della continuità, anche nell’alternarsi di sindaci di orientamento politico diverso. E vale dunque la pena indicare, tra le altre, una tendenza di fondo su cui la metropoli, comunque, si muove.

La tendenza riguarda il ruolo di Milano come snodo di un sistema di relazioni economiche che coinvolge tutta la piattaforma produttiva che va dal Nord Ovest di Torino e Genova al Nord Est della medie imprese internazionalizzate e dei distretti in accelerazione produttiva, con un ampliamento verso la dinamica Emilia e Romagna dell’industria hi tech e delle conoscenze correlate alle macchine utensili, alla robotica, all’automotive della Motor Valley. Un’economia diffusa lungo gli assi autostradali A1-A4 e profondamente integrata con l’Europa. Forte di manifatture, finanza, servizi, università, cultura, nel reticolo di metropoli, città medie e territori socialmente dinamici. Un unicum in Europa, molto glocal, sintesi intelligente di globale e locale. Una dimensione di geo-economia in cui i flussi (di idee, persone, progetti, lavori, merci, scambi) sono fortemente connotanti dell’identità dei luoghi. Milano, per cultura e indole, opportunità e progettualità, è centrale. Una “terra di mezzo”, come testimonia il suo stesso nome.
Una struttura come “Milano & Partners”, forte della collaborazione tra strutture pubbliche (il Comune, innanzitutto), attori sociali e imprese private, per attrarre risorse finanziarie e intellettuali, può avere un grande ruolo da svolgere: aperto, dialogante, progettuale, innovativo.
Torniamo così alla sintesi necessaria tra riflessione e velocità, progetto ed esecuzione. Con la riscoperta di un motto latino per la città produttiva: “Festìna lente”, affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza.

La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto ed è stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale al massimo del suo splendore mercantile. Piace molto al sindaco Beppe Sala e all’arcivescovo Mario Delpini, critico con la frenesia dell’arricchimento rapace che amplia gli squilibri sociali (“aumentano le disuguaglianze, c’è una parte di Milano che corre troppo e fa fin troppi profitti”). Ma anche alle imprese, quelle industriali soprattutto e quelle dei servizi legati all’economia reale, che hanno chiaro il bisogno di una nuova stagione di sostenibilità ambientale e sociale, fondata sugli investimenti (in gran parte internazionale), lavoro, qualità della vita.
L’orizzonte, così, è abbastanza chiaro: quello dell’economia circolare e civile ovvero della sostenibilità come cardine della competitività.
Nella metropoli riflessiva e veloce, ricca di intraprendenza e cultura politecnica, riformista e attenta allo sviluppo ben radicato nella responsabilità sociale, si intravvedono due colori di fondo: il green e il blue. Simbolo, il primo, dell’ambiente e dei suoi valori ecologici e sociali e il secondo dell’innovazione, con le tecnologie digitali ben gestite, a “misura della persona umana”. Due colori intrecciati. Milano, con le radici nella consapevolezza storica e lo sguardo verso il futuro, può esserne buona interprete. “Festìna lente”, appunto.

Milano veloce, Milano frenetica, Milano corre troppo, Milano non si ferma. Sono stereotipi, luoghi comuni. Contengono, è vero, una parte di verità. Ma hanno il limite di ridurre una realtà complessa a uno schema banale. E così, tra le caratteristiche della città, bisogna insistere sull’abitudine a studiare, riflettere, cercare di capire bene il senso delle cose da fare. E, poi, naturalmente, a farle. Con determinazione. Efficienza. Una certa efficacia. Ecco, adesso sì, con velocità. Naturalmente sempre memori della lezione di Alessandro Manzoni, don Lisander: “Adelante, Pedro, con juicio”, come suggeriva al cocchiere il Gran Cancelliere Antonio Ferrer, in una pagina ben nota de “I promessi sposi”. E probabilmente non è un caso che lo slogan pubblicitario di maggior successo della milanesissima Pirelli sia “la potenza è nulla senza controllo”. Un altro modo per dire “juicio”.
La pandemia da Covid19 ha rimescolato tendenze e abitudini. Ha radicalmente cambiato strategie economiche e sociali, evidenziato fragilità, imposto nuovi parametri nelle relazioni tra lavoro, salute, convivenza civile. Servono dunque nuove mappe, del pensiero, della civiltà dei consumi e dell’impegno produttivo. Per creare lavoro. E favorire, così, una crescita migliore.
La velocità nella sfida tecnologica al tempo e allo spazio, il “presentismo” del “tutto e subito” non possono alimentare l’ossessione digitale dell’essere sempre “in tempo reale”: un’ossessione che, per essere sinceri, caratterizza comunque una parte dei milanesi. Occorre però sapere anche fermarsi, pensare, cercare di capire. E costruire così, responsabilmente, la ripartenza. O, per usare una parola cara alle più recenti elaborazioni di Assolombarda, “la rigenerazione”.
La cultura del fare, che connota profondamente Milano, non prescinde mai dalle conoscenze diffuse, dalla solidità delle relazioni tra imprese, università (in crescita per qualità e autorevolezza, sulla platea internazionale) e mondi culturali (le case editrici, i teatri, i luoghi delle arti).
In poche parole: la velocità di Milano è riflessiva.

Su cosa va riflettendo, velocemente, Milano? Se ne è discusso durante un lungo pomeriggio di discussioni su “Amare Milano”, organizzato a metà settembre all’ombra della magnolia nel cortile del Palazzo delle Stelline dal Centro Studi Grande Milano presieduto da Daniela Mainini e dedicato alla memoria di Carlo Tognoli, che della città è stato sindaco tra i migliori e più amati. E si è colta in pieno una delle caratteristiche di fondo della metropoli: avere una visione e tradurla in concreto, pensare largo e mettere i piedi per terra. L’ambizione del progetto e il pragmatismo riformista delle realizzazioni. Riformista la politica e l’amministrazione. E riformista l’impresa. Con la buona abitudine, radicata nel tempo, di costruire una robusta rete di relazioni tra pubblico e privato.
Milano, oggi, è dunque un intreccio di anime, tensioni, visioni diverse. Spesso contrastanti. Da ricondurre in un disegno di crescita che deve sapere come le diversità siano ricchezza ma anche quanto le eccessive disparità di reddito, relazioni e possibilità possano essere un handicap pesantissimo per lo sviluppo che si vuole, generalmente, sostenibile dal punto di vista sia ambientale che sociale. D’altronde, è questa la vocazione di fondo di Milano: essere contemporaneamente competitiva e inclusiva, profittevole e solidale.

La campagna elettorale per eleggere il sindaco e il consiglio comunale è oramai alle ultime battute (Beppe Sala, primo cittadino uscente, è indicato da tutti i sondaggi come favorito per la rielezione). Ma chi conosce Milano sa che negli anni Palazzo Marino, sede del Comune, ha sviluppato comunque una solida cultura della continuità, anche nell’alternarsi di sindaci di orientamento politico diverso. E vale dunque la pena indicare, tra le altre, una tendenza di fondo su cui la metropoli, comunque, si muove.

La tendenza riguarda il ruolo di Milano come snodo di un sistema di relazioni economiche che coinvolge tutta la piattaforma produttiva che va dal Nord Ovest di Torino e Genova al Nord Est della medie imprese internazionalizzate e dei distretti in accelerazione produttiva, con un ampliamento verso la dinamica Emilia e Romagna dell’industria hi tech e delle conoscenze correlate alle macchine utensili, alla robotica, all’automotive della Motor Valley. Un’economia diffusa lungo gli assi autostradali A1-A4 e profondamente integrata con l’Europa. Forte di manifatture, finanza, servizi, università, cultura, nel reticolo di metropoli, città medie e territori socialmente dinamici. Un unicum in Europa, molto glocal, sintesi intelligente di globale e locale. Una dimensione di geo-economia in cui i flussi (di idee, persone, progetti, lavori, merci, scambi) sono fortemente connotanti dell’identità dei luoghi. Milano, per cultura e indole, opportunità e progettualità, è centrale. Una “terra di mezzo”, come testimonia il suo stesso nome.
Una struttura come “Milano & Partners”, forte della collaborazione tra strutture pubbliche (il Comune, innanzitutto), attori sociali e imprese private, per attrarre risorse finanziarie e intellettuali, può avere un grande ruolo da svolgere: aperto, dialogante, progettuale, innovativo.
Torniamo così alla sintesi necessaria tra riflessione e velocità, progetto ed esecuzione. Con la riscoperta di un motto latino per la città produttiva: “Festìna lente”, affrettati lentamente, muoviti con sveltezza ma anche con prudenza.

La frase è attribuita dallo storico Svetonio all’imperatore Augusto ed è stata il motto di Aldo Manuzio, tipografo ed editore, nella Venezia rinascimentale al massimo del suo splendore mercantile. Piace molto al sindaco Beppe Sala e all’arcivescovo Mario Delpini, critico con la frenesia dell’arricchimento rapace che amplia gli squilibri sociali (“aumentano le disuguaglianze, c’è una parte di Milano che corre troppo e fa fin troppi profitti”). Ma anche alle imprese, quelle industriali soprattutto e quelle dei servizi legati all’economia reale, che hanno chiaro il bisogno di una nuova stagione di sostenibilità ambientale e sociale, fondata sugli investimenti (in gran parte internazionale), lavoro, qualità della vita.
L’orizzonte, così, è abbastanza chiaro: quello dell’economia circolare e civile ovvero della sostenibilità come cardine della competitività.
Nella metropoli riflessiva e veloce, ricca di intraprendenza e cultura politecnica, riformista e attenta allo sviluppo ben radicato nella responsabilità sociale, si intravvedono due colori di fondo: il green e il blue. Simbolo, il primo, dell’ambiente e dei suoi valori ecologici e sociali e il secondo dell’innovazione, con le tecnologie digitali ben gestite, a “misura della persona umana”. Due colori intrecciati. Milano, con le radici nella consapevolezza storica e lo sguardo verso il futuro, può esserne buona interprete. “Festìna lente”, appunto.

Pirelli, da fondazione al via programma didattico digitale su impresa del futuro

Fondazione Pirelli, parte il programma didattico per le scuole sulla cultura d’impresa

Economia Dantesca

La lettura di Dante Alighieri condotta da Ignazio Visco, arricchisce la cultura d’impresa di tutti

I classici e l’economia. Anzi di più: le imprese e i classici. Non due mondi separati e reciprocamente avulsi, ma, invece, due aspetti del vivere sociale strettamente correlati. A dimostrazione di quanto sia labile ogni confine posto a dividere in compartimenti rigidi l’attività dell’uomo. Condizione, questa, che spesso sfugge alle letture più rapide e artificiali. E che invece è stata colta pienamente dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in “Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi”, intervento tenuto in occasione del “Festival Dante2021” di Ravenna.

Dante, quindi, e l’economia, la produzione, lo scambio, la finanza, lo sfruttamento, il fare impresa. Una lettura inconsueta del genio dantesco, quella fatta da Visco, che parte dalla constatazione di quanto l’Alighieri abbia vissuto immerso nel suo tempo. Un modo di leggere i classici, quello adottato dal Governatore, che non eccede i limiti della cautela (mai leggere la storia solo con gli occhiali dell’oggi), ma che prende le mosse proprio dalla vita di Dante e dal suo impegno civile.

Visco sulla base della Commedia e del Convivio (ma anche di altri testi), percorre alcuni dei grandi temi dell’economia (di ieri e oggi), come la finanza, il profitto, la produzione, lo sfruttamento, lo squilibrio, l’economia e l’etica. Dante, quindi, come  anticipatore di molti temi che ancora oggi occupano l’economia e la politica. “La forza innovativa dell’analisi di Dante – scrive per esempio Visco -,  (…) sta nel rilevare la natura globale dell’instabilità, da lui direttamente osservata e magistralmente descritta nei versi della Commedia, e la necessità quindi di un mutamento istituzionale adatto a farvi fronte. Ai giorni nostri la crisi finanziaria del primo decennio di questo secolo, quella dei debiti sovrani nell’area dell’euro del secondo decennio, quella che deriva dalla pandemia di Covid-19 che stiamo ancora affrontando hanno una caratteristica comune: la necessità di una risposta sovranazionale”.

Dante – aggiunge poi Visco -, “ci ricorda che «la necessità de l’umana civilitade … a uno fine è ordinata, cioè a vita felice; a la quale nullo per sé è sufficiente a venire senza l’aiutorio d’alcuni, con ciò sia cosa che l’uomo abbisogna di molte cose, a le quali uno solo satisfare non può. E però dice lo filosofo che l’uomo è compagnevole animale» (Convivio, IV, 1). Come raggiungere la felicità non è ovvio, ma le imperfezioni e i limiti che derivano dalla cupidigia rischiano di compromettere, diremmo oggi, l’efficiente allocazione delle risorse e la stabilità dell’equilibrio monetario, con effetti ingiusti anche sul piano dell’equità distributiva. Vi è quindi necessità di un intervento esterno, riequilibratore e stabilizzatore, con uno sguardo esteso oltre i confini nazionali”.

Attenzione all’efficienza, verrebbe da dire oggi, ma anche all’uomo nella sua interezza, così come all’ambiente.

La lettura che Ignazio Visco fa di Dante Alighieri è certamente diversa da tutte le altre. Ed è una buona lettura anche per chi voglia accrescere quella attenta cultura d’impresa che si nutre di calcolo e logica, ma anche di conoscenza raffinata dalla storia e dell’agire umani che vanno ben al di là dei bilanci e della digitalizzazione dell’oggi.

Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi

Intervento di Ignazio Visco Governatore della Banca d’Italia

Festival Dante2021, Ravenna, 11 settembre 2021

La lettura di Dante Alighieri condotta da Ignazio Visco, arricchisce la cultura d’impresa di tutti

I classici e l’economia. Anzi di più: le imprese e i classici. Non due mondi separati e reciprocamente avulsi, ma, invece, due aspetti del vivere sociale strettamente correlati. A dimostrazione di quanto sia labile ogni confine posto a dividere in compartimenti rigidi l’attività dell’uomo. Condizione, questa, che spesso sfugge alle letture più rapide e artificiali. E che invece è stata colta pienamente dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in “Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi”, intervento tenuto in occasione del “Festival Dante2021” di Ravenna.

Dante, quindi, e l’economia, la produzione, lo scambio, la finanza, lo sfruttamento, il fare impresa. Una lettura inconsueta del genio dantesco, quella fatta da Visco, che parte dalla constatazione di quanto l’Alighieri abbia vissuto immerso nel suo tempo. Un modo di leggere i classici, quello adottato dal Governatore, che non eccede i limiti della cautela (mai leggere la storia solo con gli occhiali dell’oggi), ma che prende le mosse proprio dalla vita di Dante e dal suo impegno civile.

Visco sulla base della Commedia e del Convivio (ma anche di altri testi), percorre alcuni dei grandi temi dell’economia (di ieri e oggi), come la finanza, il profitto, la produzione, lo sfruttamento, lo squilibrio, l’economia e l’etica. Dante, quindi, come  anticipatore di molti temi che ancora oggi occupano l’economia e la politica. “La forza innovativa dell’analisi di Dante – scrive per esempio Visco -,  (…) sta nel rilevare la natura globale dell’instabilità, da lui direttamente osservata e magistralmente descritta nei versi della Commedia, e la necessità quindi di un mutamento istituzionale adatto a farvi fronte. Ai giorni nostri la crisi finanziaria del primo decennio di questo secolo, quella dei debiti sovrani nell’area dell’euro del secondo decennio, quella che deriva dalla pandemia di Covid-19 che stiamo ancora affrontando hanno una caratteristica comune: la necessità di una risposta sovranazionale”.

Dante – aggiunge poi Visco -, “ci ricorda che «la necessità de l’umana civilitade … a uno fine è ordinata, cioè a vita felice; a la quale nullo per sé è sufficiente a venire senza l’aiutorio d’alcuni, con ciò sia cosa che l’uomo abbisogna di molte cose, a le quali uno solo satisfare non può. E però dice lo filosofo che l’uomo è compagnevole animale» (Convivio, IV, 1). Come raggiungere la felicità non è ovvio, ma le imperfezioni e i limiti che derivano dalla cupidigia rischiano di compromettere, diremmo oggi, l’efficiente allocazione delle risorse e la stabilità dell’equilibrio monetario, con effetti ingiusti anche sul piano dell’equità distributiva. Vi è quindi necessità di un intervento esterno, riequilibratore e stabilizzatore, con uno sguardo esteso oltre i confini nazionali”.

Attenzione all’efficienza, verrebbe da dire oggi, ma anche all’uomo nella sua interezza, così come all’ambiente.

La lettura che Ignazio Visco fa di Dante Alighieri è certamente diversa da tutte le altre. Ed è una buona lettura anche per chi voglia accrescere quella attenta cultura d’impresa che si nutre di calcolo e logica, ma anche di conoscenza raffinata dalla storia e dell’agire umani che vanno ben al di là dei bilanci e della digitalizzazione dell’oggi.

Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi

Intervento di Ignazio Visco Governatore della Banca d’Italia

Festival Dante2021, Ravenna, 11 settembre 2021

CIAO, COME POSSO AIUTARTI?