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Racconti d’impresa

Razionalizzati e organizzati i diversi modi di narrare l’evoluzione delle aziende

Raccontare l’impresa per raccontare la cultura del produrre che la caratterizza. E così farla conoscere meglio, e naturalmente far crescere il mercato dei suoi prodotti. Percorso solo in apparenza facile e che, tra l’altro, non può essere mai uguale: a dirigere il cammino, infatti, è la natura stessa di ogni azienda della quale si racconta la vita. Per questo è azzeccatissimo il titolo dato alla ricerca condotta da Antonella Garofano, Angelo Riviezzo e Maria Rosaria Napolitano attorno ai modi di raccontare le imprese: “Una storia, tanti modi di raccontarla. Una nuova proposta di definizione dell’heritage marketing mix”.

L’obiettivo del lavoro è – come viene spiegato al suo inizio – quello di “proporre una precisa categorizzazione dei molteplici strumenti utilizzabili, nell’ambito di una strategia di heritage marketing, per gestire in termini manageriali la narrazione della storia dell’impresa e dei suoi prodotti e/o marchi”.

Per esplorare il tema, gli autori hanno realizzato una ricerca su venti imprese ultracentenarie italiane che si sono distinte per le attività di valorizzazione del proprio patrimonio storico. All’attenzione degli studiosi i casi Albergian, Amarelli, Ascione, Birra Peroni, Confetti Pelino, E. Marinella, Fabbri, Filippo Catarzi, Fondazione Banco di Napoli, Fratelli Branca Distillerie, Gruppo Guzzini, Gruppo Piaggio, Lanificio Fratelli Piacenza, Martini & Rossi, Montegrappa, Pirelli, Poli Distillerie, Società Reale Mutua di Assicurazioni, Strega Alberti, Tela Umbra. Per ogni azienda è stato seguito un approccio qualitativo di tipo narrativo, ogni caso è stato quindi costruito integrando fonti orali (interviste), testuali (materiale aziendale) e visive (visite e osservazione diretta).

Dall’esame delle diverse modalità di raccontarsi, l’indagine arriva quindi ad individuare quattro categorie di strumenti: la narrazione attraverso parole, immagini e suoni, quella basata su prodotti e brand, la narrazione attraverso i luoghi e, infine, quella basata su celebrazioni e relazioni. E’ dall’uso di questi strumenti, spiegano gli autori della ricerca, che nasce un “racconto d’impresa” ogni volta diverso.

La ricerca di Garofano, Riviezzo e Napolitano ha il grande pregio di sistematizzare in uno spazio limitato una materia complessa, in mutamento e con declinazioni non univoche: è quanto occorre per comprendere potenzialità e limiti di una delle frontiere più avanzate della cultura d’impresa.

Una storia, tanti modi di raccontarla. Una nuova proposta di definizione dell’heritage marketing mix

Antonella Garofano, Angelo Riviezzo, Maria Rosaria Napolitano

Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Supplementi, 10, 2020

Razionalizzati e organizzati i diversi modi di narrare l’evoluzione delle aziende

Raccontare l’impresa per raccontare la cultura del produrre che la caratterizza. E così farla conoscere meglio, e naturalmente far crescere il mercato dei suoi prodotti. Percorso solo in apparenza facile e che, tra l’altro, non può essere mai uguale: a dirigere il cammino, infatti, è la natura stessa di ogni azienda della quale si racconta la vita. Per questo è azzeccatissimo il titolo dato alla ricerca condotta da Antonella Garofano, Angelo Riviezzo e Maria Rosaria Napolitano attorno ai modi di raccontare le imprese: “Una storia, tanti modi di raccontarla. Una nuova proposta di definizione dell’heritage marketing mix”.

L’obiettivo del lavoro è – come viene spiegato al suo inizio – quello di “proporre una precisa categorizzazione dei molteplici strumenti utilizzabili, nell’ambito di una strategia di heritage marketing, per gestire in termini manageriali la narrazione della storia dell’impresa e dei suoi prodotti e/o marchi”.

Per esplorare il tema, gli autori hanno realizzato una ricerca su venti imprese ultracentenarie italiane che si sono distinte per le attività di valorizzazione del proprio patrimonio storico. All’attenzione degli studiosi i casi Albergian, Amarelli, Ascione, Birra Peroni, Confetti Pelino, E. Marinella, Fabbri, Filippo Catarzi, Fondazione Banco di Napoli, Fratelli Branca Distillerie, Gruppo Guzzini, Gruppo Piaggio, Lanificio Fratelli Piacenza, Martini & Rossi, Montegrappa, Pirelli, Poli Distillerie, Società Reale Mutua di Assicurazioni, Strega Alberti, Tela Umbra. Per ogni azienda è stato seguito un approccio qualitativo di tipo narrativo, ogni caso è stato quindi costruito integrando fonti orali (interviste), testuali (materiale aziendale) e visive (visite e osservazione diretta).

Dall’esame delle diverse modalità di raccontarsi, l’indagine arriva quindi ad individuare quattro categorie di strumenti: la narrazione attraverso parole, immagini e suoni, quella basata su prodotti e brand, la narrazione attraverso i luoghi e, infine, quella basata su celebrazioni e relazioni. E’ dall’uso di questi strumenti, spiegano gli autori della ricerca, che nasce un “racconto d’impresa” ogni volta diverso.

La ricerca di Garofano, Riviezzo e Napolitano ha il grande pregio di sistematizzare in uno spazio limitato una materia complessa, in mutamento e con declinazioni non univoche: è quanto occorre per comprendere potenzialità e limiti di una delle frontiere più avanzate della cultura d’impresa.

Una storia, tanti modi di raccontarla. Una nuova proposta di definizione dell’heritage marketing mix

Antonella Garofano, Angelo Riviezzo, Maria Rosaria Napolitano

Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage, Supplementi, 10, 2020

Le buone ragioni del “noi” per uscire da pandemia e recessione: investimenti contro il disagio sociale

Dalla pandemia si esce imparando a dire “noi”, suggerisce un sapiente uomo di teatro, Claudio Longhi, da poco nominato direttore del “Piccolo” di Milano. Una scelta civile, un’indicazione di comunità, prima ancora che un programma culturale, facendo sicuramente buona memoria di una lezione fondamentale di Paolo Grassi, che del “Piccolo” era stato fondatore: “Il teatro è il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa… dove ascolta una parola da accettare o da respingere”. Il teatro come luogo del “noi”, appunto, fondamentale proprio in questa durissima stagione di crisi, nell’incrocio tra pandemia da Covid19 e recessione, dolore per la salute ferita e depressione da isolamento. Dire “noi” sulla scena pubblica, anche se le sale teatrali sono chiuse, come tutti gli altri luoghi della cultura in pubblico.

Questa parola straordinaria, “noi”, ha anche il suono di un violino. Quello di Salvatore Accardo, che ha regalato una masterclass al Conservatorio di Cremona, facendo lezione ai giovani musicisti sulle dieci Sonate per violino e pianoforte di Ludwig van Beethoven e trasmettendo tutto in streaming sul sito Facebook e sul canale Youtube del Conservatorio stesso, visto che in pubblico non può entrare ad ascoltare. Fare musica come gesto comunitario, anche in questo caso. Fare musica “per non stare dalla parte del flagello” del virus e della solitudine, ricordando la bella citazione da “La peste” di Albert Camus.

“Noi”, come aprire una libreria e uno spazio sociali in periferia, come succede a Milano. “Noi”, come fare bene il proprio lavoro di medici e di infermieri, anche se in condizioni nuovamente drammatiche e , stavolta, con il coro negativo degli “odiatori” sui social media, che, negazionisti irresponsabili del virus, attribuiscono agli operatori sanitari complotti e misfatti. “Noi”, come investire le risorse delle fondazioni come la Cariplo di Milano e la Compagnia di San Paolo di Torino per dare sostegno ai gruppi del volontariato e delle organizzazioni non profit del Terzo Settore, che aiutano i soggetti più fragili, gli anziani, le donne sole, i giovani devastati dal disagio sociale. “Noi”, come fare scuola e, tra l’altro, dare risposte ai 300mila studenti che sono senza computer né Internet e dunque tagliati fuori da qualunque insegnamento a distanza.

“Un Paese serio deve fare del contrasto alla povertà educativa minorile uno dei suoi compiti prioritari. E’ da lì che nasce lo sviluppo. Noi abbiamo messo in campo un vasto programma nazionale di interventi che ha raggiunto quasi mezzo milione di ragazzi”, racconta Francesco Profumo, presidente dell’Acri (l’associazione delle ex Casse di risparmio e adesso delle fondazioni di origine bancaria, “agenti di sviluppo radicati nel territorio”) e, appunto, della Compagnia di San Paolo (l’intervista è su “Avvenire”, 31 ottobre).

Nell’Italia inquieta, lacerata, impaurita, accanto alle piazze incendiate da proteste strumentalizzate da gruppi estremisti e clan criminali, nel Paese percorso dalle tensioni di un disagio sociale crescente, si muovono associazioni e gruppi che, al di là degli interessi personali e di categoria, guardano con preoccupazione ai valori della tenuta sociale , organizzano iniziative e fanno scelte per la ripresa. C’è la protesta, che ha radici in una disperazione diffusa: “Nella notte milanese, si presenta questa verità minima, ai margini prossimi di una chiusra di tutto, di un lockdown morale e fisico. Viviamo il tempo del focolaio e ci incendiamo” (Giuseppe Genna su “L’Espresso”, 1 novembre). E c’è la proposta, come l’accordo tra governo, Confindustria e sindacati per spostare al 31 marzo il blocco dei licenziamenti e allungare il periodo della cassa integrazione per imprese e lavoratori in difficoltà, in attesa di decidere bene come riformare gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro e va formato e riqualificato per trovarne un altro e come definire i progetti di investimento per i fondi del Recovery Fund della Ue: interventi d’emergenza e investimenti di lungo sviluppo. Scelte urgenti per salvaguardare un indispensabile bene comune, la coesione sociale. E strategie responsabili di lungo periodo.

Ancora una volta è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a farsi carico della responsabilità di indicare al governo e alle forze politiche l’importanza di lavorare per l’unità della nazione, evitando “le troppe divisioni”: “Basta con i personalismi. La salute è un bene comune”, ha detto l’1 novembre, durante una visita al cimitero di Castagnato, in provincia di Brescia, davanti al monumento per le vittime del Covid. Mattarella conosce bene quest’Italia, contemporaneamente livida e generosa. Non ne sottovaluta il disagio né le fonti di un distorto rancore. Ma sa, e ripete, che il clima da “tutti contro tutti” non consente alcuna soluzione alla crisi. Serve buon governo, con una visione comune di lungo periodo, senza risse pretestuose né tentazioni solitarie nei palazzi del potere. E’ proprio il Quirinale, oggi, il miglior interprete delle buone ragioni del “noi”

Dalla pandemia si esce imparando a dire “noi”, suggerisce un sapiente uomo di teatro, Claudio Longhi, da poco nominato direttore del “Piccolo” di Milano. Una scelta civile, un’indicazione di comunità, prima ancora che un programma culturale, facendo sicuramente buona memoria di una lezione fondamentale di Paolo Grassi, che del “Piccolo” era stato fondatore: “Il teatro è il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa… dove ascolta una parola da accettare o da respingere”. Il teatro come luogo del “noi”, appunto, fondamentale proprio in questa durissima stagione di crisi, nell’incrocio tra pandemia da Covid19 e recessione, dolore per la salute ferita e depressione da isolamento. Dire “noi” sulla scena pubblica, anche se le sale teatrali sono chiuse, come tutti gli altri luoghi della cultura in pubblico.

Questa parola straordinaria, “noi”, ha anche il suono di un violino. Quello di Salvatore Accardo, che ha regalato una masterclass al Conservatorio di Cremona, facendo lezione ai giovani musicisti sulle dieci Sonate per violino e pianoforte di Ludwig van Beethoven e trasmettendo tutto in streaming sul sito Facebook e sul canale Youtube del Conservatorio stesso, visto che in pubblico non può entrare ad ascoltare. Fare musica come gesto comunitario, anche in questo caso. Fare musica “per non stare dalla parte del flagello” del virus e della solitudine, ricordando la bella citazione da “La peste” di Albert Camus.

“Noi”, come aprire una libreria e uno spazio sociali in periferia, come succede a Milano. “Noi”, come fare bene il proprio lavoro di medici e di infermieri, anche se in condizioni nuovamente drammatiche e , stavolta, con il coro negativo degli “odiatori” sui social media, che, negazionisti irresponsabili del virus, attribuiscono agli operatori sanitari complotti e misfatti. “Noi”, come investire le risorse delle fondazioni come la Cariplo di Milano e la Compagnia di San Paolo di Torino per dare sostegno ai gruppi del volontariato e delle organizzazioni non profit del Terzo Settore, che aiutano i soggetti più fragili, gli anziani, le donne sole, i giovani devastati dal disagio sociale. “Noi”, come fare scuola e, tra l’altro, dare risposte ai 300mila studenti che sono senza computer né Internet e dunque tagliati fuori da qualunque insegnamento a distanza.

“Un Paese serio deve fare del contrasto alla povertà educativa minorile uno dei suoi compiti prioritari. E’ da lì che nasce lo sviluppo. Noi abbiamo messo in campo un vasto programma nazionale di interventi che ha raggiunto quasi mezzo milione di ragazzi”, racconta Francesco Profumo, presidente dell’Acri (l’associazione delle ex Casse di risparmio e adesso delle fondazioni di origine bancaria, “agenti di sviluppo radicati nel territorio”) e, appunto, della Compagnia di San Paolo (l’intervista è su “Avvenire”, 31 ottobre).

Nell’Italia inquieta, lacerata, impaurita, accanto alle piazze incendiate da proteste strumentalizzate da gruppi estremisti e clan criminali, nel Paese percorso dalle tensioni di un disagio sociale crescente, si muovono associazioni e gruppi che, al di là degli interessi personali e di categoria, guardano con preoccupazione ai valori della tenuta sociale , organizzano iniziative e fanno scelte per la ripresa. C’è la protesta, che ha radici in una disperazione diffusa: “Nella notte milanese, si presenta questa verità minima, ai margini prossimi di una chiusra di tutto, di un lockdown morale e fisico. Viviamo il tempo del focolaio e ci incendiamo” (Giuseppe Genna su “L’Espresso”, 1 novembre). E c’è la proposta, come l’accordo tra governo, Confindustria e sindacati per spostare al 31 marzo il blocco dei licenziamenti e allungare il periodo della cassa integrazione per imprese e lavoratori in difficoltà, in attesa di decidere bene come riformare gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro e va formato e riqualificato per trovarne un altro e come definire i progetti di investimento per i fondi del Recovery Fund della Ue: interventi d’emergenza e investimenti di lungo sviluppo. Scelte urgenti per salvaguardare un indispensabile bene comune, la coesione sociale. E strategie responsabili di lungo periodo.

Ancora una volta è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a farsi carico della responsabilità di indicare al governo e alle forze politiche l’importanza di lavorare per l’unità della nazione, evitando “le troppe divisioni”: “Basta con i personalismi. La salute è un bene comune”, ha detto l’1 novembre, durante una visita al cimitero di Castagnato, in provincia di Brescia, davanti al monumento per le vittime del Covid. Mattarella conosce bene quest’Italia, contemporaneamente livida e generosa. Non ne sottovaluta il disagio né le fonti di un distorto rancore. Ma sa, e ripete, che il clima da “tutti contro tutti” non consente alcuna soluzione alla crisi. Serve buon governo, con una visione comune di lungo periodo, senza risse pretestuose né tentazioni solitarie nei palazzi del potere. E’ proprio il Quirinale, oggi, il miglior interprete delle buone ragioni del “noi”

Quale innovazione? E dove?

Un articolo, apparso su Impresa sociale, analizza apparato teorico e casi pratici dei nuovi approcci a politiche innovative capaci di rispondere alle nuove sfide dell’oggi

Imprese e attori sociali devono confrontarsi sempre di più con una situazione non solo complessa ma anche in continuo cambiamento. Adesso è certamente la pandemia da Covid-19 la “causa” più importante della complessità; ma già prima altre spinte verso la complicazione della situazioni avevano fatto la loro parte. Occorrono politiche nuove e impegni rinnovati da parte di tutti. Sfida nella sfida, dunque, che Mario Calderini e Francesco Gerli (entrambi del Politecnico di Milano), colgono con un loro contributo apparso in uno degli ultimi numeri di Impresa sociale.

“Innovazione, sfide sociali e protagonismo dell’imprenditoria ad impatto. Un ripensamento degli ecosistemi d’innovazione per una nuova generazione di politiche” è un articolo di ricerca complesso, che affronta un tema ancora in mutamento e che deve essere letto con attenzione.

La considerazione di partenza di Calderini e Gerli è che “la pandemia globale del virus Covid-19 e la crisi, dalla forte caratterizzazione sistemica, che essa ha generato costituiscono una delle grandi sfide sociali ed ambientali con cui anche le politiche dell’innovazione e della tecnologia sono chiamate a confrontarsi”. Anzi di più, perché per i due autori spiegano subito che la necessità di affrontare quelle che si chiamano “grandi sfide” appare “ancor di più un imperativo urgente nel contesto contemporaneo post-pandemico”.

Calderini e Gerli, ragionano quindi sulla base della più recente letteratura partendo dal considerare i fallimenti, le “grand-challenges” (le grandi sfide, appunto) e una sfida aggiuntiva: la direzione territoriale per l’innovazione. Per rispondere adeguatamente al cambiamento, una delle prospettive di lavoro è proprio la radicalizzazione dell’innovazione sul territorio. Vengono quindi esaminati alcuni approcci teorici rivolti alla comprensione di quella che viene definita come “imprenditorialità orientata all’impatto” (positivo) e quindi si passa ad esaminare quali possano essere le caratteristiche di un “ecosistema d’innovazione” in grado di generare un impatto di questo genere su un determinato territorio.

L’indagine di Calderini e Gerli, quindi, si conclude con due casi studio: il Mind (Milano Innovation District) e il Torino Social Impact.

Leggere quanto scritto dai due ricercatori del Politecnico milanese non è cosa facile, ma può essere cosa utile nel momento in cui si voglia passare da uno sguardo sui fatti ad una loro comprensione più profonda.

Innovazione, sfide sociali e protagonismo dell’imprenditoria ad impatto. Un ripensamento degli ecosistemi d’innovazione per una nuova generazione di politiche

Mario Calderini, Francesco Gerli (Politecnico di Milano)

Impresa sociale, 3, 2020, pagg. 10-19

Un articolo, apparso su Impresa sociale, analizza apparato teorico e casi pratici dei nuovi approcci a politiche innovative capaci di rispondere alle nuove sfide dell’oggi

Imprese e attori sociali devono confrontarsi sempre di più con una situazione non solo complessa ma anche in continuo cambiamento. Adesso è certamente la pandemia da Covid-19 la “causa” più importante della complessità; ma già prima altre spinte verso la complicazione della situazioni avevano fatto la loro parte. Occorrono politiche nuove e impegni rinnovati da parte di tutti. Sfida nella sfida, dunque, che Mario Calderini e Francesco Gerli (entrambi del Politecnico di Milano), colgono con un loro contributo apparso in uno degli ultimi numeri di Impresa sociale.

“Innovazione, sfide sociali e protagonismo dell’imprenditoria ad impatto. Un ripensamento degli ecosistemi d’innovazione per una nuova generazione di politiche” è un articolo di ricerca complesso, che affronta un tema ancora in mutamento e che deve essere letto con attenzione.

La considerazione di partenza di Calderini e Gerli è che “la pandemia globale del virus Covid-19 e la crisi, dalla forte caratterizzazione sistemica, che essa ha generato costituiscono una delle grandi sfide sociali ed ambientali con cui anche le politiche dell’innovazione e della tecnologia sono chiamate a confrontarsi”. Anzi di più, perché per i due autori spiegano subito che la necessità di affrontare quelle che si chiamano “grandi sfide” appare “ancor di più un imperativo urgente nel contesto contemporaneo post-pandemico”.

Calderini e Gerli, ragionano quindi sulla base della più recente letteratura partendo dal considerare i fallimenti, le “grand-challenges” (le grandi sfide, appunto) e una sfida aggiuntiva: la direzione territoriale per l’innovazione. Per rispondere adeguatamente al cambiamento, una delle prospettive di lavoro è proprio la radicalizzazione dell’innovazione sul territorio. Vengono quindi esaminati alcuni approcci teorici rivolti alla comprensione di quella che viene definita come “imprenditorialità orientata all’impatto” (positivo) e quindi si passa ad esaminare quali possano essere le caratteristiche di un “ecosistema d’innovazione” in grado di generare un impatto di questo genere su un determinato territorio.

L’indagine di Calderini e Gerli, quindi, si conclude con due casi studio: il Mind (Milano Innovation District) e il Torino Social Impact.

Leggere quanto scritto dai due ricercatori del Politecnico milanese non è cosa facile, ma può essere cosa utile nel momento in cui si voglia passare da uno sguardo sui fatti ad una loro comprensione più profonda.

Innovazione, sfide sociali e protagonismo dell’imprenditoria ad impatto. Un ripensamento degli ecosistemi d’innovazione per una nuova generazione di politiche

Mario Calderini, Francesco Gerli (Politecnico di Milano)

Impresa sociale, 3, 2020, pagg. 10-19

Cosa mettere al centro dell’impresa

Condensato in un libro il percorso che conduce alla valorizzazione della persona come fine ultimo della produzione

La persona al centro di tutto. Affermazione che può apparire scontata, ma che, invece, necessita sempre di una sorta di sottolineatura: può essere ancora facile, infatti, mettere da parte l’essere umano per privilegiare altro nell’ambito della gestione d’impresa. Anche se il senso della responsabilità sociale d’impresa pervade sempre di più i consigli di amministrazione e gli atteggiamenti delle organizzazioni della produzione.

Leggere “Human-centered branding”. CSR, internal branding e dinamiche slow” scritto da Roberto Grandicelli è un buon modo per sistematizzare le informazioni sul tema delle relazioni tra uomo e organizzazione della produzione dal punto di vista della comunicazione, della pubblicità, del marketing e del branding nelle loro diverse declinazioni. Il testo traccia infatti il profilo di una nuova strategia di branding per la quale l’uomo viene posto al centro di tutte le dinamiche aziendali. E non solo, perché l’autore ripercorre la strada fin qui percorsa (dalla marca al branding), analizzandone l’evoluzione con un’attenzione agli aspetti umani del tema e ponendo una forte attenzione alla CSR (Corporate Social Responsibility), fino all’illustrazione della filosofia “human-centered branding”.

Uomo al centro, dunque, attraverso un metodo di lavoro e gestione dell’impresa che pone l’individuo come riferimento rispetto alle logiche di mercato e vede il profitto come effetto collaterale alla generazione di valore. L’azienda, spiega bene l’autore, viene così vista come un luogo dove ogni persona vede realizzate le proprie ambizioni, colte le giuste gratificazioni, attraverso la generazione di valore e nel pieno rispetto della comunità. Non una realtà buonista quella descritta da Grandicelli, ma qualcosa che persegue comunque il profitto e l’efficienza subordinandoli però ad obiettivi più vasti e complessi.

Accanto alla teoria, Grandicelli pone anche una serie di casi studio come quelli relativi al CoVA (Centro Olio Val D’Agri) realizzato da Eni, al MUMAC (Museo della Macchina per Caffè) di Cimbali e all’esperienza delle Imprenditrici Ribelli realizzata dalla Accademia d’Impresa DRIIN.

Il libro di Grandicelli conduce per mano chi legge lungo un percorso che non si è concluso e che non deve essere preso per scontato. Da leggere.

 

“Human-centered branding”. CSR, internal branding e dinamiche slow

Roberto Grandicelli

Franco Angeli, 2020

Condensato in un libro il percorso che conduce alla valorizzazione della persona come fine ultimo della produzione

La persona al centro di tutto. Affermazione che può apparire scontata, ma che, invece, necessita sempre di una sorta di sottolineatura: può essere ancora facile, infatti, mettere da parte l’essere umano per privilegiare altro nell’ambito della gestione d’impresa. Anche se il senso della responsabilità sociale d’impresa pervade sempre di più i consigli di amministrazione e gli atteggiamenti delle organizzazioni della produzione.

Leggere “Human-centered branding”. CSR, internal branding e dinamiche slow” scritto da Roberto Grandicelli è un buon modo per sistematizzare le informazioni sul tema delle relazioni tra uomo e organizzazione della produzione dal punto di vista della comunicazione, della pubblicità, del marketing e del branding nelle loro diverse declinazioni. Il testo traccia infatti il profilo di una nuova strategia di branding per la quale l’uomo viene posto al centro di tutte le dinamiche aziendali. E non solo, perché l’autore ripercorre la strada fin qui percorsa (dalla marca al branding), analizzandone l’evoluzione con un’attenzione agli aspetti umani del tema e ponendo una forte attenzione alla CSR (Corporate Social Responsibility), fino all’illustrazione della filosofia “human-centered branding”.

Uomo al centro, dunque, attraverso un metodo di lavoro e gestione dell’impresa che pone l’individuo come riferimento rispetto alle logiche di mercato e vede il profitto come effetto collaterale alla generazione di valore. L’azienda, spiega bene l’autore, viene così vista come un luogo dove ogni persona vede realizzate le proprie ambizioni, colte le giuste gratificazioni, attraverso la generazione di valore e nel pieno rispetto della comunità. Non una realtà buonista quella descritta da Grandicelli, ma qualcosa che persegue comunque il profitto e l’efficienza subordinandoli però ad obiettivi più vasti e complessi.

Accanto alla teoria, Grandicelli pone anche una serie di casi studio come quelli relativi al CoVA (Centro Olio Val D’Agri) realizzato da Eni, al MUMAC (Museo della Macchina per Caffè) di Cimbali e all’esperienza delle Imprenditrici Ribelli realizzata dalla Accademia d’Impresa DRIIN.

Il libro di Grandicelli conduce per mano chi legge lungo un percorso che non si è concluso e che non deve essere preso per scontato. Da leggere.

 

“Human-centered branding”. CSR, internal branding e dinamiche slow

Roberto Grandicelli

Franco Angeli, 2020

Cresce il disagio sociale. E si risparmia, per paura d’un incerto futuro.
E la politica deve saper fare scelte efficaci per ricostruire la fiducia

Andiamo verso l’inverno del nostro scontento. Impauriti per la pandemia di nuovo in rapidissima diffusione. Preoccupati per l’economia in difficoltà, i redditi in caduta, il lavoro che diventa precario. Stanchi per le promesse di interventi contro la crisi poco e male mantenute. Allarmati, per le tensioni sociali e le proteste che montano in varie città del paese e vengono aizzate e strumentalizzate dall’estrema desta e dalla camorra. E, dunque, sfiduciati. Viviamo giorni grigi, sempre più consapevoli della nostra fragilità personale e sociale. E non sappiamo bene quanto sarà lungo, questo nostro viaggio al termine della notte, aspettando che prima o poi arrivi il vaccino contro il coronavirus… partano gli investimenti del Recovery Plan dell’Unione Europea… il governo faccia finalmente scelte efficaci per fronteggiare l’emergenza e sostenere, nel medio periodo, la ripresa. Oggi ci sentiamo “come d’autunno sugli alberi le foglie”, deboli, caduche. Quando arriverà domani? Intanto, in crisi di fiducia, non consumiamo, non investiamo, risparmiamo.

C’è un numero che rivela, con straordinaria chiarezza, questo stato d’animo di disagio e di sfiducia diffusa: 1.682. Per l’esattezza, 1.682 miliardi. A tanto (secondo dati dell’Abi, l’Associazione delle banche e di Bankitalia) ammontano i soldi che gli italiani tengono sui conti correnti, fermi lì, improduttivi, con un rendimento bassissimo, vicino allo zero. Ad agosto, erano 1.671. Alla fine del 2018 erano 1.476, ben 200 miliardi in meno. “Fiducia ai minimi, il tasso di risparmio vola a livelli record”, titola Il Sole24Ore (22 ottobre).

Il fenomeno dell’incremento del tasso di risparmio non riguarda, naturalmente, solo l’Italia, ma un po’ tutti i paesi occidentali colpiti dal Covid19. Il tasso medio dell’Eurozona è del 24,6%, raddoppiato in sei mesi. In Germania è del 21,1%, in Spagna del 31,3%, in Gran Bretagna del 28,1% triplicato rispetto al 9,1% dei tre mesi precedenti.

In Italia, il tasso di risparmio è del 19,6%, sotto la media Ue. Ma questo non vuol dire che abbiamo meno sfiducia ma, sostengono i dati di Bankitalia, che ci eravamo già impoveriti, negli ultimi vent’anni, più degli altri grandi paesi europei, con conseguenze sulla caduta del potere d’acquisto e della propensione al risparmio. Particolarmente grave, se si considera l’antica e solida attitudine delle famiglie italiane a risparmiare.

Per fare una sintesi essenziale: siamo di fronte alla convergenza di fenomeni tutti negativi: la caduta dei redditi e del potere d’acquisto (in media, in Italia, non abbiamo recuperato il Pil perso durante la Grande Crisi finanziaria del 2008) adesso aggravata dalla pandemia; il crollo dei consumi; il ristagno degli investimenti (la maggior parte delle imprese li aveva rallentati o bloccati, già al tempo del precedente governo 5Stelle-Lega, per l’incertezza del quadro politico ed economico e per le sconsiderate scelte politiche di fermane le agevolazioni fiscali per l’innovazione di Industria 4.0). Non si guadagna, non si spende, non si investe. E si rischia un circolo vizioso che aggrava la recessione in corso. Conferma Donato Masciandaro, uno dei più autorevoli economisti finanziari italiani (Il Sole24Ore, 24 ottobre): “Il sistema è caduto – o sta cadendo – in una trappola della liquidità. E’ un meccanismo perverso. In uno scenario macroeconomico stagnante, il meccanismo di trasmissione della liquidità si rompe, perché l’incertezza non crea un temporaneo eccesso di prudenza, ma uno strutturale surplus di paura: le famiglie non spendono, le imprese non investono, le banche non prestano. E la situazione macroeconomica peggiora ulteriormente”.

Come reagire? Con tutti quei provvedimenti in grado di ricostruire un clima di fiducia, indispensabile in una così grande e diffusa condizione di crisi. Serve che il governo si mostri all’altezza di tempi, rivelando finalmente consapevolezza, senso di responsabilità, competenza, con decisioni coerenti, tempestive ed efficaci. Misure per l’emergenza, in grado di rassicurare famiglie e imprese, garantendo redditi e possibilità di vita a chi, soprattutto in alcuni settori dei servizi, ha perso il lavoro (turismo, cultura, ristorazione, tempo libero, etc.). E scelte lungimiranti per fare ripartire l’economia nel lungo periodo. Ricorrere finalmente al Mes, per esempio, in modo da dire all’opinione pubblica che quei 35 miliardi di debito a bassissimo tasso di interesse saranno usati tutti per rafforzare la sanità (prenderli sul mercato ad altro titolo alimenta il pensiero che si vogliano usare per l’assistenzialismo corrente, che crea consenso effimero ma brucia risorse). E poi preparare progetti chiari per gli oltre 200 miliardi del Recovery Fund, per green economy e digital economy, sostenibilità e innovazione, pensando alle nuove generazioni.

Vivremo ancora mesi difficili, dolorosi, di solitudine nelle pur parziali chiusure, di paura, di tensioni sociali e di crescente incertezza. Il pericolo è che la sfiducia si aggravi e “lo scoramento” da cui ci ha messo in guardia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella provochi nuove fratture, politiche e sociali. Siamo, insomma, in una vera e proprio “ora critica”, sul crinale che ci separa dall’aggravarsi della malattia o dalla guarigione. E mai come adesso la salvezza è nelle mani di una comunità che deve ritrovare spirito civico e deve poter contare su una guida democratica responsabile. Non ci si possono permettere atti che non siano di buon governo né comportamenti che non siano civili.

Andiamo verso l’inverno del nostro scontento. Impauriti per la pandemia di nuovo in rapidissima diffusione. Preoccupati per l’economia in difficoltà, i redditi in caduta, il lavoro che diventa precario. Stanchi per le promesse di interventi contro la crisi poco e male mantenute. Allarmati, per le tensioni sociali e le proteste che montano in varie città del paese e vengono aizzate e strumentalizzate dall’estrema desta e dalla camorra. E, dunque, sfiduciati. Viviamo giorni grigi, sempre più consapevoli della nostra fragilità personale e sociale. E non sappiamo bene quanto sarà lungo, questo nostro viaggio al termine della notte, aspettando che prima o poi arrivi il vaccino contro il coronavirus… partano gli investimenti del Recovery Plan dell’Unione Europea… il governo faccia finalmente scelte efficaci per fronteggiare l’emergenza e sostenere, nel medio periodo, la ripresa. Oggi ci sentiamo “come d’autunno sugli alberi le foglie”, deboli, caduche. Quando arriverà domani? Intanto, in crisi di fiducia, non consumiamo, non investiamo, risparmiamo.

C’è un numero che rivela, con straordinaria chiarezza, questo stato d’animo di disagio e di sfiducia diffusa: 1.682. Per l’esattezza, 1.682 miliardi. A tanto (secondo dati dell’Abi, l’Associazione delle banche e di Bankitalia) ammontano i soldi che gli italiani tengono sui conti correnti, fermi lì, improduttivi, con un rendimento bassissimo, vicino allo zero. Ad agosto, erano 1.671. Alla fine del 2018 erano 1.476, ben 200 miliardi in meno. “Fiducia ai minimi, il tasso di risparmio vola a livelli record”, titola Il Sole24Ore (22 ottobre).

Il fenomeno dell’incremento del tasso di risparmio non riguarda, naturalmente, solo l’Italia, ma un po’ tutti i paesi occidentali colpiti dal Covid19. Il tasso medio dell’Eurozona è del 24,6%, raddoppiato in sei mesi. In Germania è del 21,1%, in Spagna del 31,3%, in Gran Bretagna del 28,1% triplicato rispetto al 9,1% dei tre mesi precedenti.

In Italia, il tasso di risparmio è del 19,6%, sotto la media Ue. Ma questo non vuol dire che abbiamo meno sfiducia ma, sostengono i dati di Bankitalia, che ci eravamo già impoveriti, negli ultimi vent’anni, più degli altri grandi paesi europei, con conseguenze sulla caduta del potere d’acquisto e della propensione al risparmio. Particolarmente grave, se si considera l’antica e solida attitudine delle famiglie italiane a risparmiare.

Per fare una sintesi essenziale: siamo di fronte alla convergenza di fenomeni tutti negativi: la caduta dei redditi e del potere d’acquisto (in media, in Italia, non abbiamo recuperato il Pil perso durante la Grande Crisi finanziaria del 2008) adesso aggravata dalla pandemia; il crollo dei consumi; il ristagno degli investimenti (la maggior parte delle imprese li aveva rallentati o bloccati, già al tempo del precedente governo 5Stelle-Lega, per l’incertezza del quadro politico ed economico e per le sconsiderate scelte politiche di fermane le agevolazioni fiscali per l’innovazione di Industria 4.0). Non si guadagna, non si spende, non si investe. E si rischia un circolo vizioso che aggrava la recessione in corso. Conferma Donato Masciandaro, uno dei più autorevoli economisti finanziari italiani (Il Sole24Ore, 24 ottobre): “Il sistema è caduto – o sta cadendo – in una trappola della liquidità. E’ un meccanismo perverso. In uno scenario macroeconomico stagnante, il meccanismo di trasmissione della liquidità si rompe, perché l’incertezza non crea un temporaneo eccesso di prudenza, ma uno strutturale surplus di paura: le famiglie non spendono, le imprese non investono, le banche non prestano. E la situazione macroeconomica peggiora ulteriormente”.

Come reagire? Con tutti quei provvedimenti in grado di ricostruire un clima di fiducia, indispensabile in una così grande e diffusa condizione di crisi. Serve che il governo si mostri all’altezza di tempi, rivelando finalmente consapevolezza, senso di responsabilità, competenza, con decisioni coerenti, tempestive ed efficaci. Misure per l’emergenza, in grado di rassicurare famiglie e imprese, garantendo redditi e possibilità di vita a chi, soprattutto in alcuni settori dei servizi, ha perso il lavoro (turismo, cultura, ristorazione, tempo libero, etc.). E scelte lungimiranti per fare ripartire l’economia nel lungo periodo. Ricorrere finalmente al Mes, per esempio, in modo da dire all’opinione pubblica che quei 35 miliardi di debito a bassissimo tasso di interesse saranno usati tutti per rafforzare la sanità (prenderli sul mercato ad altro titolo alimenta il pensiero che si vogliano usare per l’assistenzialismo corrente, che crea consenso effimero ma brucia risorse). E poi preparare progetti chiari per gli oltre 200 miliardi del Recovery Fund, per green economy e digital economy, sostenibilità e innovazione, pensando alle nuove generazioni.

Vivremo ancora mesi difficili, dolorosi, di solitudine nelle pur parziali chiusure, di paura, di tensioni sociali e di crescente incertezza. Il pericolo è che la sfiducia si aggravi e “lo scoramento” da cui ci ha messo in guardia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella provochi nuove fratture, politiche e sociali. Siamo, insomma, in una vera e proprio “ora critica”, sul crinale che ci separa dall’aggravarsi della malattia o dalla guarigione. E mai come adesso la salvezza è nelle mani di una comunità che deve ritrovare spirito civico e deve poter contare su una guida democratica responsabile. Non ci si possono permettere atti che non siano di buon governo né comportamenti che non siano civili.

Ragazzi, si parla di sostenibilità con Fondazione Pirelli a Time4child

Dal 9 al 13 novembre Fondazione Pirelli partecipa a TIME4CHILD Digital, evento che si propone di fornire alle generazioni più giovani nuove conoscenze per prendere decisioni consapevoli e crescere nel mondo di domani.

In particolare Fondazione Pirelli sarà presente per parlare a bambini e ragazzi di sostenibilità all’interno del palinsesto della manifestazione con appuntamenti online in diretta e approfondimenti tematici messi a disposizione in uno stand virtuale.  Gomma naturale, mobilità urbana e fabbrica bella sono alcuni dei temi legati alla strategia sostenibile di Pirelli al centro di percorsi didattici pensati per ragazzi dagli 11 ai 18 anni. Inoltre Stefano Porro, Future Mobility Manager di Pirelli, racconterà ai ragazzi le novità messe in campo dall’azienda nell’ambito della mobilità sostenibile e i progetti promossi in collaborazione con i rappresentanti di istituzioni e aziende dell’area Bicocca a Milano per proporre nuove idee e soluzioni e incidere così concretamente sullo sviluppo delle nostre città.

Visitando lo stand virtuale di Fondazione Pirelli sarà inoltre possibile accedere a risorse video, articoli, link per conoscere più da vicino le attività di Fondazione Pirelli e la gestione responsabile del Gruppo delineata sugli obiettivi di sviluppo sostenibile individuati dal Global Compact delle Nazioni Unite.

Di seguito il programma dettagliato delle attività:

Per andare veloci ci vuole tempo
Dall’albero della gomma al pneumatico sostenibile  
Lunedì 9 e giovedì 12 novembre ore 10,30
Percorso didattico 11-14 anni
Lasciamoci guidare attraverso immagini, video e documenti storici in un viaggio virtuale nelle piantagioni indonesiane e thailandesi di gomma, dove i farmers estraggono il lattice. Potremo così scoprire le caratteristiche di questa pianta, la ricchezza dell’ambiente in cui cresce e seguirla nei laboratori di ricerca e sviluppo di Pirelli dove è mescolata con altri ingredienti, studiata e testata, per fare infine il suo ingresso in fabbrica.
Durata 50 minuti

Un’impresa sempre più sostenibile
Prodotti e processi sostenibili nelle fabbriche digitali di Pirelli  
Martedì 10 e venerdì 13 novembre ore 10,30
Percorso didattico 14-18 anni
Pirelli è attenta ai temi dell’ambiente e dei diritti umani e segue una precisa strategia di sostenibilità ispirata agli obiettivi individuati dalle Nazioni Unite. Entriamo virtualmente in azienda per seguire l’intero ciclo di vita del prodotto: dallo studio di nuovi materiali a processi innovativi, dal miglioramento delle performance ambientali degli pneumatici al supporto all’economia circolare e al lancio di nuovi prodotti per la sicurezza dei guidatori, senza dimenticare quelli per i veicoli elettrici.
Durata 50 minuti

Smart cities e mobilità sostenibile
Incontro online con Stefano Porro, Future Mobility Manager Pirelli 
Mercoledì 11 novembre ore 11.00
Dai 14 anni
Le smart cities sono caratterizzate dall’integrazione tra saperi, strutture e mezzi tecnologicamente avanzati, finalizzati a una crescita sostenibile e al miglioramento della qualità della vita delle persone. A raccontare la mobilità di queste città sarà Stefano Porro, future mobility manager di Pirelli. Grazie all’esempio di questa azienda, da tempo impegnata nella realizzazione di progetti connessi alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile come il cyber tyre e Pirelli CYCL-e around, vedremo quali sono i cambiamenti in atto e scopriremo come la digitalizzazione, l’elettrificazione della micro mobilità e la mobilità in share potrebbero essere una risposta alle nuove necessità.
Durata 50 minuti

Per partecipare a questa iniziativa sarà reso a breve disponibile un link sul sito ufficiale di Time4child

Per maggiori informazioni scrivere anche a scuole@fondazionepirelli.org

Dal 9 al 13 novembre Fondazione Pirelli partecipa a TIME4CHILD Digital, evento che si propone di fornire alle generazioni più giovani nuove conoscenze per prendere decisioni consapevoli e crescere nel mondo di domani.

In particolare Fondazione Pirelli sarà presente per parlare a bambini e ragazzi di sostenibilità all’interno del palinsesto della manifestazione con appuntamenti online in diretta e approfondimenti tematici messi a disposizione in uno stand virtuale.  Gomma naturale, mobilità urbana e fabbrica bella sono alcuni dei temi legati alla strategia sostenibile di Pirelli al centro di percorsi didattici pensati per ragazzi dagli 11 ai 18 anni. Inoltre Stefano Porro, Future Mobility Manager di Pirelli, racconterà ai ragazzi le novità messe in campo dall’azienda nell’ambito della mobilità sostenibile e i progetti promossi in collaborazione con i rappresentanti di istituzioni e aziende dell’area Bicocca a Milano per proporre nuove idee e soluzioni e incidere così concretamente sullo sviluppo delle nostre città.

Visitando lo stand virtuale di Fondazione Pirelli sarà inoltre possibile accedere a risorse video, articoli, link per conoscere più da vicino le attività di Fondazione Pirelli e la gestione responsabile del Gruppo delineata sugli obiettivi di sviluppo sostenibile individuati dal Global Compact delle Nazioni Unite.

Di seguito il programma dettagliato delle attività:

Per andare veloci ci vuole tempo
Dall’albero della gomma al pneumatico sostenibile  
Lunedì 9 e giovedì 12 novembre ore 10,30
Percorso didattico 11-14 anni
Lasciamoci guidare attraverso immagini, video e documenti storici in un viaggio virtuale nelle piantagioni indonesiane e thailandesi di gomma, dove i farmers estraggono il lattice. Potremo così scoprire le caratteristiche di questa pianta, la ricchezza dell’ambiente in cui cresce e seguirla nei laboratori di ricerca e sviluppo di Pirelli dove è mescolata con altri ingredienti, studiata e testata, per fare infine il suo ingresso in fabbrica.
Durata 50 minuti

Un’impresa sempre più sostenibile
Prodotti e processi sostenibili nelle fabbriche digitali di Pirelli  
Martedì 10 e venerdì 13 novembre ore 10,30
Percorso didattico 14-18 anni
Pirelli è attenta ai temi dell’ambiente e dei diritti umani e segue una precisa strategia di sostenibilità ispirata agli obiettivi individuati dalle Nazioni Unite. Entriamo virtualmente in azienda per seguire l’intero ciclo di vita del prodotto: dallo studio di nuovi materiali a processi innovativi, dal miglioramento delle performance ambientali degli pneumatici al supporto all’economia circolare e al lancio di nuovi prodotti per la sicurezza dei guidatori, senza dimenticare quelli per i veicoli elettrici.
Durata 50 minuti

Smart cities e mobilità sostenibile
Incontro online con Stefano Porro, Future Mobility Manager Pirelli 
Mercoledì 11 novembre ore 11.00
Dai 14 anni
Le smart cities sono caratterizzate dall’integrazione tra saperi, strutture e mezzi tecnologicamente avanzati, finalizzati a una crescita sostenibile e al miglioramento della qualità della vita delle persone. A raccontare la mobilità di queste città sarà Stefano Porro, future mobility manager di Pirelli. Grazie all’esempio di questa azienda, da tempo impegnata nella realizzazione di progetti connessi alla sicurezza stradale e alla mobilità sostenibile come il cyber tyre e Pirelli CYCL-e around, vedremo quali sono i cambiamenti in atto e scopriremo come la digitalizzazione, l’elettrificazione della micro mobilità e la mobilità in share potrebbero essere una risposta alle nuove necessità.
Durata 50 minuti

Per partecipare a questa iniziativa sarà reso a breve disponibile un link sul sito ufficiale di Time4child

Per maggiori informazioni scrivere anche a scuole@fondazionepirelli.org

Pirelli: Fondazione avvia nuovo programma didattico digitale per scuole

Fondazione Pirelli avvia il nuovo programma didattico digitale per le scuole

Pirelli: Fondazione avvia nuovo programma didattico digitale per scuole

Industria 4.0 per tutti?

Una tesi discussa a Ca’ Foscari, fornisce una istantanea interessante della situazione dell’industria italiana di fronte alle innovazioni

Industria 4.0. Con tutto quello che ne consegue. Traguardo da raggiungere, per tutti. Consapevoli delle differenze di partenza, ma anche delle potenzialità che possono essere messe in campo. Per comprendere meglio quali siano le difficoltà da superare, oltre che, appunto, le leve sulle quali fare forza, può essere utile leggere la ricerca di Gregorio Toffon, discussa recentemente nell’ambito dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Corso di Laurea magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo.

“Impresa 4.0 Opportunità e sfide del futuro” è una sintesi chiara del quadro della situazione dell’industria italiana nei confronti delle tecnologie 4.0. L’indagine prende prima in considerazione la “quattro rivoluzioni industriali” che hanno attraversato la storia per porre attenzione poi alle caratteristiche di Industria 4.0: nove “pilastri”, una parte alla quale fa seguito un approfondimento di aspetti particolari come le cosiddette soft skills, ma anche la produttività e il significato delle nuove imprese innovative.  Tutto, infine, viene ricondotto alla realtà del nostro Paese attraverso 8 casi d’azienda tra io quali spiccano quelli di ABB, Beretta, ROLD e SACMI.

Scrive l’autore nelle conclusioni che “quello a cui sono chiamati gli imprenditori moderni è un adattamento rapido e repentino alle condizioni mutevoli di mercato e per fare ciò hanno bisogno di effettuare investimenti costanti nella propria attività sia dal punto di vista di immobilizzazioni che dal punto di vista della formazione personale di tutti i membri dell’organizzazione”. Il problema vero, sottolinea tuttavia Toffon, non sono solo gli investimenti necessari ma anche e soprattutto il fatto che la situazione italiana e le politiche inerenti Industria 4.0 siano ancora lontane dall’obiettivo. Una questione che ha a che fare con gli investimenti ma anche con una cultura d’impresa che deve crescere e svilupparsi.

Un problema complesso, quello di Industria 4.0, che la ricerca di Toffon aiuta a comprendere meglio.

Impresa 4.0 Opportunità e sfide del futuro

Gregorio Toffon

Tesi, Università Ca’ Foscari Venezia, Corso di Laurea magistrale in amministrazione, finanza e controllo, 2020

Una tesi discussa a Ca’ Foscari, fornisce una istantanea interessante della situazione dell’industria italiana di fronte alle innovazioni

Industria 4.0. Con tutto quello che ne consegue. Traguardo da raggiungere, per tutti. Consapevoli delle differenze di partenza, ma anche delle potenzialità che possono essere messe in campo. Per comprendere meglio quali siano le difficoltà da superare, oltre che, appunto, le leve sulle quali fare forza, può essere utile leggere la ricerca di Gregorio Toffon, discussa recentemente nell’ambito dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Corso di Laurea magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo.

“Impresa 4.0 Opportunità e sfide del futuro” è una sintesi chiara del quadro della situazione dell’industria italiana nei confronti delle tecnologie 4.0. L’indagine prende prima in considerazione la “quattro rivoluzioni industriali” che hanno attraversato la storia per porre attenzione poi alle caratteristiche di Industria 4.0: nove “pilastri”, una parte alla quale fa seguito un approfondimento di aspetti particolari come le cosiddette soft skills, ma anche la produttività e il significato delle nuove imprese innovative.  Tutto, infine, viene ricondotto alla realtà del nostro Paese attraverso 8 casi d’azienda tra io quali spiccano quelli di ABB, Beretta, ROLD e SACMI.

Scrive l’autore nelle conclusioni che “quello a cui sono chiamati gli imprenditori moderni è un adattamento rapido e repentino alle condizioni mutevoli di mercato e per fare ciò hanno bisogno di effettuare investimenti costanti nella propria attività sia dal punto di vista di immobilizzazioni che dal punto di vista della formazione personale di tutti i membri dell’organizzazione”. Il problema vero, sottolinea tuttavia Toffon, non sono solo gli investimenti necessari ma anche e soprattutto il fatto che la situazione italiana e le politiche inerenti Industria 4.0 siano ancora lontane dall’obiettivo. Una questione che ha a che fare con gli investimenti ma anche con una cultura d’impresa che deve crescere e svilupparsi.

Un problema complesso, quello di Industria 4.0, che la ricerca di Toffon aiuta a comprendere meglio.

Impresa 4.0 Opportunità e sfide del futuro

Gregorio Toffon

Tesi, Università Ca’ Foscari Venezia, Corso di Laurea magistrale in amministrazione, finanza e controllo, 2020

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