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La cultura del mettersi in discussione

Raccolti in un libro ragionamenti e strumenti per consentire il rinnovamento d’impresa

Le imprese devono continuamente rinnovarsi per rimanere competitive. Assunto questo scontato solo in apparenza. La capacità di rinnovamento – e quindi quella di mettersi sempre in discussione -, è cosa ancora oggi più rara di quanto si possa immaginare. Condizione che vale per tutte le imprese, il sapersi rinnovare e forse una qualità determinante per le piccole e medie realtà. Per questo è utile leggere “Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili” scritto da Andrea Arrigo Panato che in poco meno di duecento pagine ha messo a frutto la sua esperienza di consulente con un’attenzione particolare alla gestione straordinaria  e al risanamento d’impresa.

Il libro quindi è dedicato in particolare alle PMI, soprattutto a quelle che hanno la percezione di trovarsi a un punto di svolta, ma in generale a tutte le realtà aziendali che – viene spiegato nella presentazione -, sentono il bisogno di tornare a pensare come startup per ridisegnare l’impresa e il settore in cui operano. Ma non solo. Il testo infatti può essere utile anche a quelle organizzazioni della produzione che vogliono valorizzare la propria storia e tradizione, e a volte anche la storia e tradizione della famiglia proprietaria.

Il messaggio che Panato intende lanciare è che per crescere, le PMI devono vincere la tentazione di rimandare eternamente alcune scelte e imparare ad affrontare i sempre più frequenti momenti di discontinuità strategica (acquisizioni, cessioni, passaggio a un nuovo modello di business) e/o familiare (passaggio generazionale).

Il libro si articola quindi in nove passaggi. Dopo aver esaminato lo scenario nel quale agiscono le imprese, Panato passa a chiedersi quali possano essere le caratteristiche che possono far “vincere” l’impresa sul mercato per arrivare quindi al cuore della questione: la sfida culturale per rinnovare l’impresa. È da questo passaggio che derivano tutti gli altri: la necessità di prendere decisioni, la discontinuità strategica, la sfida innovativa e quella dimensionale, quella del passaggio generazionale. Il libro quindi arriva ad indicare le “dieci caratteristiche dell’impresa dinamica” e quindi gli strumenti che è possibile utilizzare per ridisegnare l’impresa stessa.

Il libro è arricchito da una serie di interviste a personaggi del sistema delle imprese italiane oltre che della ricerca, coinvolti su specifici temi organizzativi e dell’innovazione (Marco Cantamessa, Ignazio Rocco di Torrepadula, Paolo Gubitta, Alfonso Fuggetta, Corrado d’Elia, Renato Cifarelli, Alberto Baban, Luca Foresti, Francesco Venier, Alessandro Donadio, Filippo Berto, Stefano Mainetti, Alberto Staccione, Claudio Berretti, Ivan Ortenzi, Marco Berini).

Scritto  con un linguaggio comprensibile e scorrevole, il libro si fa leggere ed è utile leggerlo.

Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili

Andrea Arrigo Panato

Egea, 2019

Raccolti in un libro ragionamenti e strumenti per consentire il rinnovamento d’impresa

Le imprese devono continuamente rinnovarsi per rimanere competitive. Assunto questo scontato solo in apparenza. La capacità di rinnovamento – e quindi quella di mettersi sempre in discussione -, è cosa ancora oggi più rara di quanto si possa immaginare. Condizione che vale per tutte le imprese, il sapersi rinnovare e forse una qualità determinante per le piccole e medie realtà. Per questo è utile leggere “Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili” scritto da Andrea Arrigo Panato che in poco meno di duecento pagine ha messo a frutto la sua esperienza di consulente con un’attenzione particolare alla gestione straordinaria  e al risanamento d’impresa.

Il libro quindi è dedicato in particolare alle PMI, soprattutto a quelle che hanno la percezione di trovarsi a un punto di svolta, ma in generale a tutte le realtà aziendali che – viene spiegato nella presentazione -, sentono il bisogno di tornare a pensare come startup per ridisegnare l’impresa e il settore in cui operano. Ma non solo. Il testo infatti può essere utile anche a quelle organizzazioni della produzione che vogliono valorizzare la propria storia e tradizione, e a volte anche la storia e tradizione della famiglia proprietaria.

Il messaggio che Panato intende lanciare è che per crescere, le PMI devono vincere la tentazione di rimandare eternamente alcune scelte e imparare ad affrontare i sempre più frequenti momenti di discontinuità strategica (acquisizioni, cessioni, passaggio a un nuovo modello di business) e/o familiare (passaggio generazionale).

Il libro si articola quindi in nove passaggi. Dopo aver esaminato lo scenario nel quale agiscono le imprese, Panato passa a chiedersi quali possano essere le caratteristiche che possono far “vincere” l’impresa sul mercato per arrivare quindi al cuore della questione: la sfida culturale per rinnovare l’impresa. È da questo passaggio che derivano tutti gli altri: la necessità di prendere decisioni, la discontinuità strategica, la sfida innovativa e quella dimensionale, quella del passaggio generazionale. Il libro quindi arriva ad indicare le “dieci caratteristiche dell’impresa dinamica” e quindi gli strumenti che è possibile utilizzare per ridisegnare l’impresa stessa.

Il libro è arricchito da una serie di interviste a personaggi del sistema delle imprese italiane oltre che della ricerca, coinvolti su specifici temi organizzativi e dell’innovazione (Marco Cantamessa, Ignazio Rocco di Torrepadula, Paolo Gubitta, Alfonso Fuggetta, Corrado d’Elia, Renato Cifarelli, Alberto Baban, Luca Foresti, Francesco Venier, Alessandro Donadio, Filippo Berto, Stefano Mainetti, Alberto Staccione, Claudio Berretti, Ivan Ortenzi, Marco Berini).

Scritto  con un linguaggio comprensibile e scorrevole, il libro si fa leggere ed è utile leggerlo.

Restartup. Le scelte imprenditoriali non più rimandabili

Andrea Arrigo Panato

Egea, 2019

Contrattazione integrativa e cultura d’impresa

Una ricerca di Istat e Centro Tarantelli mette a fuoco risvolti empirici di uno strumento contrattuale importante

La buona impresa è fatta anche di buoni ambienti e buoni rapporti umani. Regole chiare e condivise costituiscono l’ossatura in grado di sostenere una crescita corretta dell’organizzazione della produzione. È in questo ambito che la contrattazione integrativa decentrata può fare molto. Ed è per questo che può essere utile leggere “La contrattazione integrativa aziendale sviluppa la produttività oppure si limita a distribuirne i benefici? Evidenze empiriche sulle imprese italiane”, indagine scritta a più mani da Laura Bisio (Istat), Stefania Cardinaleschi (Istat) e Riccardo Leoni (Università di Bergamo e Centro Interuniversitario di Ricerca ‘Ezio Tarantelli’).

La ricerca è condensata in un paper che analizza il ruolo della contrattazione integrativa decentrata rispetto alla produttività aziendale e che ha l’obiettivo di verificare se la contrattazione aziendale in Italia contribuisca a sviluppare la produttività oppure si limiti a ripartirne i guadagni là dove si realizzano. Per raggiungere questo traguardo di studio, gli autori utilizzano quindi due modelli: il primo riguarda la probabilità di introdurre un contratto integrativo, il secondo stima l’impatto di questo sulla produttività dell’impresa.

L’indagine ha una corposa parte di analisi statistica dalla quale emergono alcune prime conclusioni. La probabilità della presenza di una contrattazione aziendale è, per esempio, influenzata dal rapporto tra capitale sociale su debiti totali, ma anche da alcune variabili relative alla sindacalizzazione dei lavoratori. Dalle stime emerge anche che le imprese a gestione famigliare hanno una minore propensione, rispetto a quelle a gestione manageriale, sia a stipulare contratti integrativi, sia a dare spazio ai rappresentanti dei lavoratori sul versante delle pratiche organizzativo-manageriali concordabili.

L’approfondimento anche dal punto di vista analitico e statistico della contrattazione integrativa aziendale, aiuta a completare l’immagine di uno strumento importante di politica industriale, che diventa anche elemento nuovo per una cultura d’impresa più vicina a chi nelle fabbriche e negli uffici ogni giorno lavora. La ricerca di Bisio, Cardinaleschi e Leoni consente di saperne di più su un tema importante.

La contrattazione integrativa aziendale sviluppa la produttività oppure si limita a distribuirne i benefici? Evidenze empiriche sulle imprese italiane

Laura Bisio (Istat) Stefania Cardinaleschi (Istat) Riccardo Leoni (Università di Bergamo e Centro Interuniversitario di Ricerca ‘Ezio Tarantelli’)

Paper Istat, 2019

Clicca qui per scaricare il PDF

Una ricerca di Istat e Centro Tarantelli mette a fuoco risvolti empirici di uno strumento contrattuale importante

La buona impresa è fatta anche di buoni ambienti e buoni rapporti umani. Regole chiare e condivise costituiscono l’ossatura in grado di sostenere una crescita corretta dell’organizzazione della produzione. È in questo ambito che la contrattazione integrativa decentrata può fare molto. Ed è per questo che può essere utile leggere “La contrattazione integrativa aziendale sviluppa la produttività oppure si limita a distribuirne i benefici? Evidenze empiriche sulle imprese italiane”, indagine scritta a più mani da Laura Bisio (Istat), Stefania Cardinaleschi (Istat) e Riccardo Leoni (Università di Bergamo e Centro Interuniversitario di Ricerca ‘Ezio Tarantelli’).

La ricerca è condensata in un paper che analizza il ruolo della contrattazione integrativa decentrata rispetto alla produttività aziendale e che ha l’obiettivo di verificare se la contrattazione aziendale in Italia contribuisca a sviluppare la produttività oppure si limiti a ripartirne i guadagni là dove si realizzano. Per raggiungere questo traguardo di studio, gli autori utilizzano quindi due modelli: il primo riguarda la probabilità di introdurre un contratto integrativo, il secondo stima l’impatto di questo sulla produttività dell’impresa.

L’indagine ha una corposa parte di analisi statistica dalla quale emergono alcune prime conclusioni. La probabilità della presenza di una contrattazione aziendale è, per esempio, influenzata dal rapporto tra capitale sociale su debiti totali, ma anche da alcune variabili relative alla sindacalizzazione dei lavoratori. Dalle stime emerge anche che le imprese a gestione famigliare hanno una minore propensione, rispetto a quelle a gestione manageriale, sia a stipulare contratti integrativi, sia a dare spazio ai rappresentanti dei lavoratori sul versante delle pratiche organizzativo-manageriali concordabili.

L’approfondimento anche dal punto di vista analitico e statistico della contrattazione integrativa aziendale, aiuta a completare l’immagine di uno strumento importante di politica industriale, che diventa anche elemento nuovo per una cultura d’impresa più vicina a chi nelle fabbriche e negli uffici ogni giorno lavora. La ricerca di Bisio, Cardinaleschi e Leoni consente di saperne di più su un tema importante.

La contrattazione integrativa aziendale sviluppa la produttività oppure si limita a distribuirne i benefici? Evidenze empiriche sulle imprese italiane

Laura Bisio (Istat) Stefania Cardinaleschi (Istat) Riccardo Leoni (Università di Bergamo e Centro Interuniversitario di Ricerca ‘Ezio Tarantelli’)

Paper Istat, 2019

Clicca qui per scaricare il PDF

Pirelli, da sempre “la parola al gommista”

Pirelli ha recentemente inaugurato a Noranco, nel distretto di Lugano in Canton Ticino, il primo centro della propria rete di rivenditori Driver in Svizzera. Progettato seguendo i canoni identificativi che sono propri della rete, con un concept architettonico innovativo che tiene conto sia della funzionalità pratica sia della bellezza estetica, il punto vendita Driver di Noranco è strutturato su spazi che compongono un mix di showroom, technology gallery, area lounge, spazi di vendita e assistenza e i servizi di accoglienza e intrattenimento dedicati al cliente rendono davvero esclusiva l’esperienza dal gommista. L’operazione Driver in Svizzera è solo l’ultimo capitolo di una storia ormai lunghissima che lega Pirelli alla rete dei propri rivenditori, nella certezza che il ruolo della “P lunga” come azienda innovativa e all’avanguardia nel campo industriale vada rafforzato anche consolidando un rapporto di fiducia e fidelizzazione nei confronti delle proprie strutture di vendita.

In questo obiettivo nacquero già nel corso degli anni Cinquanta del Novecento alcune campagne pubblicitarie, firmate dai più importanti artisti dell’epoca, in grado di fornire ai rivenditori soluzioni innovative per promuovere prodotti di punta come il Cinturato o il pneumatico N+R a carcassa in Rayon e Nylon. Campagne poi proseguite negli anni Settanta con i filmati pubblicitari di Carosello con il gommista nel ruolo di protagonista: “La parola al gommista” e “Ti cerco, ti filmo, ti premio” furono le serie televisive più note tra il 1972 e il 1974.
Sul fronte editoriale, già nel settembre del 1958 era uscito il primo numero di “Pi vendere”, periodico prodotto dalla Pirelli con lo scopo di supportare i gommisti italiani. All’interno della rivista, oltre a illustrare i nuovi prodotti fornendo utili consigli per la vendita, venivano proposte attività legate alla promozione come la partecipazione Pirelli ai saloni, oppure suggerimenti legati all’assistenza tecnica. In questo senso, è stata emblematica l’operazione che, nel 1959, vide Pirelli aprire una serie di punti vendita nelle aree Autogrill lungo la nascente Autostrada del Sole.

Un discorso a sé merita la varia produzione di gadget e oggetti promozionali come mezzo più immediato per stabilire un contatto diretto tra venditore e acquirente. “Fate ricordare il vostro nome” era il suggerimento per il gommista a dotarsi dei pupazzetti — regalo per i clienti — di Babbut Mammut e Figliut, dei portachiavi a forma di Cinturato, delle carte da gioco personalizzate, di utili componenti per l’automobile: “La nostra pubblicità è la vostra pubblicità perchè è stata fatta per voi, tenendo presenti i vostri interessi. È un servizio messo in atto per aiutarvi a vendere”. Oggi come allora.

Pirelli ha recentemente inaugurato a Noranco, nel distretto di Lugano in Canton Ticino, il primo centro della propria rete di rivenditori Driver in Svizzera. Progettato seguendo i canoni identificativi che sono propri della rete, con un concept architettonico innovativo che tiene conto sia della funzionalità pratica sia della bellezza estetica, il punto vendita Driver di Noranco è strutturato su spazi che compongono un mix di showroom, technology gallery, area lounge, spazi di vendita e assistenza e i servizi di accoglienza e intrattenimento dedicati al cliente rendono davvero esclusiva l’esperienza dal gommista. L’operazione Driver in Svizzera è solo l’ultimo capitolo di una storia ormai lunghissima che lega Pirelli alla rete dei propri rivenditori, nella certezza che il ruolo della “P lunga” come azienda innovativa e all’avanguardia nel campo industriale vada rafforzato anche consolidando un rapporto di fiducia e fidelizzazione nei confronti delle proprie strutture di vendita.

In questo obiettivo nacquero già nel corso degli anni Cinquanta del Novecento alcune campagne pubblicitarie, firmate dai più importanti artisti dell’epoca, in grado di fornire ai rivenditori soluzioni innovative per promuovere prodotti di punta come il Cinturato o il pneumatico N+R a carcassa in Rayon e Nylon. Campagne poi proseguite negli anni Settanta con i filmati pubblicitari di Carosello con il gommista nel ruolo di protagonista: “La parola al gommista” e “Ti cerco, ti filmo, ti premio” furono le serie televisive più note tra il 1972 e il 1974.
Sul fronte editoriale, già nel settembre del 1958 era uscito il primo numero di “Pi vendere”, periodico prodotto dalla Pirelli con lo scopo di supportare i gommisti italiani. All’interno della rivista, oltre a illustrare i nuovi prodotti fornendo utili consigli per la vendita, venivano proposte attività legate alla promozione come la partecipazione Pirelli ai saloni, oppure suggerimenti legati all’assistenza tecnica. In questo senso, è stata emblematica l’operazione che, nel 1959, vide Pirelli aprire una serie di punti vendita nelle aree Autogrill lungo la nascente Autostrada del Sole.

Un discorso a sé merita la varia produzione di gadget e oggetti promozionali come mezzo più immediato per stabilire un contatto diretto tra venditore e acquirente. “Fate ricordare il vostro nome” era il suggerimento per il gommista a dotarsi dei pupazzetti — regalo per i clienti — di Babbut Mammut e Figliut, dei portachiavi a forma di Cinturato, delle carte da gioco personalizzate, di utili componenti per l’automobile: “La nostra pubblicità è la vostra pubblicità perchè è stata fatta per voi, tenendo presenti i vostri interessi. È un servizio messo in atto per aiutarvi a vendere”. Oggi come allora.

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Museimpresa cresce e punta a quota 100

Schiavi o dominatori?

In un libro di Remo Bodei il racconto di una storia in apparenza lontana dall’oggi, eppure così importante per la quotidianità di tutti

 

Schiavi delle macchine e delle nuove tecnologie? Oppure dominatori di queste, donne e uomini in grado di esercitare la propria libertà di scelta e pensiero per dare vita ad uno sviluppo armonioso per tutti? Non si tratta di questioni ristrette a chi specula sui grandi temi del vivere d’oggi, ma, anzi, si tratta di temi che – bene o male –, tutti dovrebbero avere a mente. Anche chi, fra l’altro, proprio con le macchine e le nuove tecnologie ha più a che fare.  Per questo fa bene a tutti leggere “Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale”, libro appena pubblicato da Remo Bodei (oggi professore emerito dell’Università di Pisa e prima per lungo tempo insegnante nella Scuola Normale Superiore e nella University of California a Los Angeles).

Apparentemente il titolo del libro sembra lontano dalla quotidianità dell’oggi. Dominio e sottomissione sono i due termini di un rapporto di potere fortemente asimmetrico che innerva la storia dell’umanità e che nella civiltà occidentale ha conosciuto numerose metamorfosi. È una vicenda lunga millenni, quindi, quella che raccontano questi due vocaboli e della quale il libro offre una magistrale ricostruzione, mettendo a fuoco alcuni momenti esemplari e sempre soffermandosi sulle teorie filosofiche che hanno plasmato i nostri modi di pensare, sentire, agire, e sulle implicazioni antropologiche, politiche e culturali connesse ai cambiamenti. Storia, dunque. Storia che – come accade quando il suo racconto è attento ed efficace –, ha però molto da dire per la comprensione della quotidianità dell’oggi. Anche e soprattutto dal punto di vista produttivo ed economico.

Bodei parte infatti dal racconto della tradizione antica della schiavitù che trova in Aristotele la sua più potente legittimazione, per arrivare lungo i secoli all’evoluzione delle macchine chiamate a sottrarre il lavoro umano prima agli sforzi fisici più pesanti e poi a quelli mentali più impegnativi. Qualcosa che continua oggi con i robot e gli apparecchi dotati di Intelligenza Artificiale o, detto altrimenti, con il trasferimento extracorporeo di facoltà umane come l’intelligenza e la volontà, e il loro insediamento in dispositivi autonomi.

Quanto il tema sia importante, lo si capisce fin da subito. Nelle prime pagine l’autore pone una domanda: “Se, parafrasando il Vangelo di Giovanni, il logos (il Verbum o la Parola) non si è fatto carne ma macchina, e se lo spirito soffia ormai anche sul non vivente, quali saranno le decisive trasformazioni cui andremo incontro?”. Il libro di Bodei affronta un argomento denso di implicazioni e di fascinazioni, ma anche di tranelli ed equivoci, e lo fa con una scrittura attenta ed efficace. Le quasi quattrocento pagine scorrono via seppur dense. Bellissima la citazione di Seneca che riassume tutto, posta proprio alla fine della lettura: “Quante cose sono avvenute inaspettate e, viceversa, quante, che erano aspettate, non sono avvenute!”.

Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale

Remo Bodei

il Mulino, 2019

In un libro di Remo Bodei il racconto di una storia in apparenza lontana dall’oggi, eppure così importante per la quotidianità di tutti

 

Schiavi delle macchine e delle nuove tecnologie? Oppure dominatori di queste, donne e uomini in grado di esercitare la propria libertà di scelta e pensiero per dare vita ad uno sviluppo armonioso per tutti? Non si tratta di questioni ristrette a chi specula sui grandi temi del vivere d’oggi, ma, anzi, si tratta di temi che – bene o male –, tutti dovrebbero avere a mente. Anche chi, fra l’altro, proprio con le macchine e le nuove tecnologie ha più a che fare.  Per questo fa bene a tutti leggere “Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale”, libro appena pubblicato da Remo Bodei (oggi professore emerito dell’Università di Pisa e prima per lungo tempo insegnante nella Scuola Normale Superiore e nella University of California a Los Angeles).

Apparentemente il titolo del libro sembra lontano dalla quotidianità dell’oggi. Dominio e sottomissione sono i due termini di un rapporto di potere fortemente asimmetrico che innerva la storia dell’umanità e che nella civiltà occidentale ha conosciuto numerose metamorfosi. È una vicenda lunga millenni, quindi, quella che raccontano questi due vocaboli e della quale il libro offre una magistrale ricostruzione, mettendo a fuoco alcuni momenti esemplari e sempre soffermandosi sulle teorie filosofiche che hanno plasmato i nostri modi di pensare, sentire, agire, e sulle implicazioni antropologiche, politiche e culturali connesse ai cambiamenti. Storia, dunque. Storia che – come accade quando il suo racconto è attento ed efficace –, ha però molto da dire per la comprensione della quotidianità dell’oggi. Anche e soprattutto dal punto di vista produttivo ed economico.

Bodei parte infatti dal racconto della tradizione antica della schiavitù che trova in Aristotele la sua più potente legittimazione, per arrivare lungo i secoli all’evoluzione delle macchine chiamate a sottrarre il lavoro umano prima agli sforzi fisici più pesanti e poi a quelli mentali più impegnativi. Qualcosa che continua oggi con i robot e gli apparecchi dotati di Intelligenza Artificiale o, detto altrimenti, con il trasferimento extracorporeo di facoltà umane come l’intelligenza e la volontà, e il loro insediamento in dispositivi autonomi.

Quanto il tema sia importante, lo si capisce fin da subito. Nelle prime pagine l’autore pone una domanda: “Se, parafrasando il Vangelo di Giovanni, il logos (il Verbum o la Parola) non si è fatto carne ma macchina, e se lo spirito soffia ormai anche sul non vivente, quali saranno le decisive trasformazioni cui andremo incontro?”. Il libro di Bodei affronta un argomento denso di implicazioni e di fascinazioni, ma anche di tranelli ed equivoci, e lo fa con una scrittura attenta ed efficace. Le quasi quattrocento pagine scorrono via seppur dense. Bellissima la citazione di Seneca che riassume tutto, posta proprio alla fine della lettura: “Quante cose sono avvenute inaspettate e, viceversa, quante, che erano aspettate, non sono avvenute!”.

Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale

Remo Bodei

il Mulino, 2019

Italia leader di sostenibilità ambientale e sociale e l’esempio di scelte virtuose delle sue imprese

L’Italia è leader, in Europa, per la sostenibilità ambientale. E molte delle sue imprese, tra manifattura e servizi, sono in prima fila, a livello internazionale, per comportamenti virtuosi sull’ambiente, il rispetto delle persone, l’inclusione e la solidarietà sociale.
Ecco i dati: l’Italia emette meno gas serra rispetto a Francia, Germania e alla media Ue (203,4 tonnellate di CO2 equivalente per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 257,2 tonnellate), consuma meno materie prime (286,8 tonnellate per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 446,5), consuma meno energia (87,4 secondo un calcolo di 10 alla terza joule, l’unità di misura dell’energia, del lavoro e del calore, per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 203,5) e ricicla e recupera rifiuti più di tutti (83,4% del totale rifiuti, su una media Ue del 53%). Economia circolare virtuosa, potremmo dire, leggendo bene i dati del Centro Studi Confindustria.
Viviamo tempi di crescente sensibilità per le questioni dello sviluppo sostenibile, come testimonia l’impegno delle giovani generazioni, citando adesso il milione di ragazzi in 180 piazza, in Italia, venerdì scorso, raccogliendo l’appello di Greta Thunberg per un “Friday for Future”. E il mondo dell’economia mostra un’attiva consapevolezza di quanto la sostenibilità possa essere una straordinaria leva per migliorare la competitività generale di un paese e delle sue imprese.
Un dato per tutti, secondo le indagini della Fondazione Symbola nel suo “Rapporto GreenItaly”: il 30,7% delle industrie manifatturiere (con punte del 42% per le chimiche e del 38,6% per le imprese della gomma e della plastica) ha investito in prodotti e tecnologie eco-sostenibili, nel quinquennio 2014-2018. E Sodalitas (sostenuta da Assolombarda e da una serie di aziende e fondazioni, se ne fa buona interprete, con convegni, ricerche, analisi e aderendo alla CEO’s Call to Action lanciata da CSR Europe per sollecitare ai responsabili delle imprese il compito di “rafforzare il dialogo e l’interazione con la politica, la società civile e le controparti commerciali e industriali per unire le forze e accelerare la crescita inclusiva, affrontare il cambiamento climatico e creare prosperità sostenibile”.
Se dai dati generali passiamo alle storie aziendali (Pirelli, Barilla, Enel, UniCredit, le più brillanti aziende della moda, etc.) troviamo buoni esempi di impegno che possono fare da indicazioni positive per quel vero e proprio “cambio di paradigma” su cui fondare una riqualificazione e una nuova legittimazione del sistema economico.
Pirelli è stata riconosciuta, anche quest’anno, parte del Global Compact Lead dell’Onu, l’insieme delle società più attive per Corporate Sustainability, implementando i dieci principi sulla sostenibilità ambientale e sociale, i Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. Ed è leader globale di sostenibilità dell’Indice Dow Jones nel settore Automobiles & components, con impegni diffusi anche tra i suoi fornitori.
“Un’alleanza tra produttori di cibo per la sostenibilità del Pianeta”, propone Guido Barilla, presidente del gruppo omonimo, una delle maggiori imprese alimentari europee (Il Sole24Ore, 26 settembre), ricordando che “le aziende non possono più limitarsi al controllo del prodotto” e insistendo sulla “sostenibilità in agricoltura e negli allevamenti, nella logistica e nel packaging, sino ad arrivare ai mercati”.
Anche le grandi banche, UniCredit e Intesa, parlano molto di sostenibilità, dedicando ricerche e discussioni in board specializzati. UniCredit, in particolare, ha annunciato la costituzione di un Sustainable Finance Advisory Team, una scelta che consentirà alla banca di coniugare la propria competenza nel campo della sostenibilità con quella relativa ai mercati dei capitali, per approfondire il dialogo con i clienti su argomenti ambientali, sociali e di governance (Esg, appunto) e facilitarne l’accesso al mercato europeo dei finanziamenti green.
La Banca d’Italia incoraggia la tendenza: “Investimenti sostenibili contro i cambiamenti climatici”, chiede il Governatore Ignazio Visco, rinnovando il proprio portafoglio di titoli azionari (8miliardi di euro) con attenzione particolare verso le imprese che seguono i criteri Onu Esg.
E l’abbigliamento? “Concreta e sostenibile la moda dell’era green”, titola la Repubblica nelle cronache della Fashion Week di Parigi. E sarà per opportunismo, sarà per sensibilità ai tempi che cambiano, il messaggio delle grandi firme internazionali è chiaro: ci si vestirà secondo criteri ecologicamente corretti.
Nel mondo economico, insomma, continua ad avere eco la scelta del Business Roundtable (le quasi duecento grandi imprese della Corporate Usa) di passare dai criteri dello shareholders value a quelli dello stakeholders value, con attenzione principale per l’ambiente, le persone, i diritti di dipendenti, consumatori, fornitori, una vera e propria innovazione nei criteri guida del grande capitalismo, una indicazione di radicale riforma di scelte e comportamenti (ne abbiamo parlato nei blog precedenti). E anche in Europa ci si muove: dalle società energetiche Edf, Acciona, Iberdrola ai gruppi retail Unilever e Ikea, una serie di grandi aziende hanno deciso di coordinare sforzi e strategie per supportare il passaggio a un’economia a zero emissioni. È nato così a metà settembre il Corporate Leaders Group Europe (CLG Europe), una partnership infrasettoriale con grandi ambizioni, lanciata a Bruxelles dall’Istituto per la Leadership in Sostenibilità dell’Università di Cambridge. I membri della partnership avevano già iniziato a lavorare sull’emergenza climatica in passato (pubblicando, nella prima parte dell’anno, un documento in cinque punti sulle priorità in tema clima da affrontare congiuntamente alle istituzioni). Il lancio formale dell’istituzione incrementerà ora la sua rilevanza nel territorio, rafforzando la capacita’ delle aziende parte dell’organizzazione di influenzare la politica europea a favore del clima.
La Ue, con la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, mostra già adesso una attenta disponibilità ad avviare politiche ambientali e, più generalmente sostenibili, pensando a un nuovo e ambizioso piano di investimenti. La Germania annuncia circa 100 miliardi di investimenti green in dieci anni. In Italia il governo Conte parla di un green new deal, pur essendo alle prese con grandi ristrettezze di bilancio, per poter varare nuove spese pubbliche d’investimento. C’è comunque un mondo che si muove. E le imprese, in questa grande trasformazione di valori, aspettative, comportamenti, non possono non continuare ad avere una funzione di stimolo, di esempio, di traino anche verso la politica e le istituzioni pubbliche.

L’Italia è leader, in Europa, per la sostenibilità ambientale. E molte delle sue imprese, tra manifattura e servizi, sono in prima fila, a livello internazionale, per comportamenti virtuosi sull’ambiente, il rispetto delle persone, l’inclusione e la solidarietà sociale.
Ecco i dati: l’Italia emette meno gas serra rispetto a Francia, Germania e alla media Ue (203,4 tonnellate di CO2 equivalente per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 257,2 tonnellate), consuma meno materie prime (286,8 tonnellate per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 446,5), consuma meno energia (87,4 secondo un calcolo di 10 alla terza joule, l’unità di misura dell’energia, del lavoro e del calore, per miliardo di euro di valore aggiunto, media Ue 203,5) e ricicla e recupera rifiuti più di tutti (83,4% del totale rifiuti, su una media Ue del 53%). Economia circolare virtuosa, potremmo dire, leggendo bene i dati del Centro Studi Confindustria.
Viviamo tempi di crescente sensibilità per le questioni dello sviluppo sostenibile, come testimonia l’impegno delle giovani generazioni, citando adesso il milione di ragazzi in 180 piazza, in Italia, venerdì scorso, raccogliendo l’appello di Greta Thunberg per un “Friday for Future”. E il mondo dell’economia mostra un’attiva consapevolezza di quanto la sostenibilità possa essere una straordinaria leva per migliorare la competitività generale di un paese e delle sue imprese.
Un dato per tutti, secondo le indagini della Fondazione Symbola nel suo “Rapporto GreenItaly”: il 30,7% delle industrie manifatturiere (con punte del 42% per le chimiche e del 38,6% per le imprese della gomma e della plastica) ha investito in prodotti e tecnologie eco-sostenibili, nel quinquennio 2014-2018. E Sodalitas (sostenuta da Assolombarda e da una serie di aziende e fondazioni, se ne fa buona interprete, con convegni, ricerche, analisi e aderendo alla CEO’s Call to Action lanciata da CSR Europe per sollecitare ai responsabili delle imprese il compito di “rafforzare il dialogo e l’interazione con la politica, la società civile e le controparti commerciali e industriali per unire le forze e accelerare la crescita inclusiva, affrontare il cambiamento climatico e creare prosperità sostenibile”.
Se dai dati generali passiamo alle storie aziendali (Pirelli, Barilla, Enel, UniCredit, le più brillanti aziende della moda, etc.) troviamo buoni esempi di impegno che possono fare da indicazioni positive per quel vero e proprio “cambio di paradigma” su cui fondare una riqualificazione e una nuova legittimazione del sistema economico.
Pirelli è stata riconosciuta, anche quest’anno, parte del Global Compact Lead dell’Onu, l’insieme delle società più attive per Corporate Sustainability, implementando i dieci principi sulla sostenibilità ambientale e sociale, i Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite. Ed è leader globale di sostenibilità dell’Indice Dow Jones nel settore Automobiles & components, con impegni diffusi anche tra i suoi fornitori.
“Un’alleanza tra produttori di cibo per la sostenibilità del Pianeta”, propone Guido Barilla, presidente del gruppo omonimo, una delle maggiori imprese alimentari europee (Il Sole24Ore, 26 settembre), ricordando che “le aziende non possono più limitarsi al controllo del prodotto” e insistendo sulla “sostenibilità in agricoltura e negli allevamenti, nella logistica e nel packaging, sino ad arrivare ai mercati”.
Anche le grandi banche, UniCredit e Intesa, parlano molto di sostenibilità, dedicando ricerche e discussioni in board specializzati. UniCredit, in particolare, ha annunciato la costituzione di un Sustainable Finance Advisory Team, una scelta che consentirà alla banca di coniugare la propria competenza nel campo della sostenibilità con quella relativa ai mercati dei capitali, per approfondire il dialogo con i clienti su argomenti ambientali, sociali e di governance (Esg, appunto) e facilitarne l’accesso al mercato europeo dei finanziamenti green.
La Banca d’Italia incoraggia la tendenza: “Investimenti sostenibili contro i cambiamenti climatici”, chiede il Governatore Ignazio Visco, rinnovando il proprio portafoglio di titoli azionari (8miliardi di euro) con attenzione particolare verso le imprese che seguono i criteri Onu Esg.
E l’abbigliamento? “Concreta e sostenibile la moda dell’era green”, titola la Repubblica nelle cronache della Fashion Week di Parigi. E sarà per opportunismo, sarà per sensibilità ai tempi che cambiano, il messaggio delle grandi firme internazionali è chiaro: ci si vestirà secondo criteri ecologicamente corretti.
Nel mondo economico, insomma, continua ad avere eco la scelta del Business Roundtable (le quasi duecento grandi imprese della Corporate Usa) di passare dai criteri dello shareholders value a quelli dello stakeholders value, con attenzione principale per l’ambiente, le persone, i diritti di dipendenti, consumatori, fornitori, una vera e propria innovazione nei criteri guida del grande capitalismo, una indicazione di radicale riforma di scelte e comportamenti (ne abbiamo parlato nei blog precedenti). E anche in Europa ci si muove: dalle società energetiche Edf, Acciona, Iberdrola ai gruppi retail Unilever e Ikea, una serie di grandi aziende hanno deciso di coordinare sforzi e strategie per supportare il passaggio a un’economia a zero emissioni. È nato così a metà settembre il Corporate Leaders Group Europe (CLG Europe), una partnership infrasettoriale con grandi ambizioni, lanciata a Bruxelles dall’Istituto per la Leadership in Sostenibilità dell’Università di Cambridge. I membri della partnership avevano già iniziato a lavorare sull’emergenza climatica in passato (pubblicando, nella prima parte dell’anno, un documento in cinque punti sulle priorità in tema clima da affrontare congiuntamente alle istituzioni). Il lancio formale dell’istituzione incrementerà ora la sua rilevanza nel territorio, rafforzando la capacita’ delle aziende parte dell’organizzazione di influenzare la politica europea a favore del clima.
La Ue, con la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, mostra già adesso una attenta disponibilità ad avviare politiche ambientali e, più generalmente sostenibili, pensando a un nuovo e ambizioso piano di investimenti. La Germania annuncia circa 100 miliardi di investimenti green in dieci anni. In Italia il governo Conte parla di un green new deal, pur essendo alle prese con grandi ristrettezze di bilancio, per poter varare nuove spese pubbliche d’investimento. C’è comunque un mondo che si muove. E le imprese, in questa grande trasformazione di valori, aspettative, comportamenti, non possono non continuare ad avere una funzione di stimolo, di esempio, di traino anche verso la politica e le istituzioni pubbliche.

Cultura, lavoro e migrazioni

Una indagine pubblicata da Banca d’Italia mette in relazione l’andamento dei flussi di persone con l’evoluzione delle condizioni sociali ed economiche del Paese

 

L’economia e la produzione, la crescita delle imprese, i successi di queste, sono tutte circostanze nelle quali – spesso –, un ruolo importante ha avuto la migrazione di grandi quantità di persone. Capire i grandi movimenti migratori, i loro motivi, le loro dinamiche, è cosa da fare non solo per la comprensione dei traguardi raggiunti, ma pure per la migliore consapevolezza di quella cultura d’impresa tutta italiana che tanta parte ha nei successi (e nei fallimenti) di ciò che comunemente viene indicato come made in Italy.

Serve allora leggere  “Migrazioni, demografia e lavoro in un paese diviso” scritto a quattro mani da Asher Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna (rispettivamente dell’Università di Bologna e di Padova) e pubblicato da Banca d’Italia e presentato al XVIII World Economic History Congress, nella Sessione Demography and Economic Change from Modern Era to Date: An International Comparative Perspective.

I due autori partono dalla considerazione che oggi in Spagna, Portogallo, Italia, Malta e Grecia, l’incidenza degli stranieri sulla popolazione è del tutto comparabile a quella dei più tradizionali paesi europei di immigrazione. Solo quarant’anni fa però le dimensioni della presenza straniera erano decisamente modeste. Invertendo una tendenza secolare, spiegano quindi Colombo e Dalla Zuanna, a partire dagli anni Settanta il saldo migratorio con i paesi stranieri è diventato positivo. Ma dopo il boom migratorio dell’inizio del XXI secolo, nei successivi anni di crisi si è osservato un improvviso e deciso calo.

La ricerca ha quindi l’obiettivo da un lato di descrivere settant’anni di migrazioni italiane (dagli anni Cinquanta a oggi), distinguendo in modo sistematico Centro-Nord da Mezzogiorno e connettendole con la storia migratoria degli anni precedenti; dall’altro, di identificare le peculiarità persistenti e strutturali che hanno modellato la presenza straniera in Italia, costruendo un modello assai diverso da quello dell’Europa Centrale e Settentrionale. Ne emerge la vicenda di flussi migratori indicati tecnicamente con un andamento stop and go interpretato alla luce di fattori di attrazione determinati da cambiamenti strutturali avvenuti nella demografia e nel mercato del lavoro, ma anche dalla stessa particolare cultura presente nella società italiana.

Scrivo i due autori nelle loro conclusioni: “Gli attori sono cambiati, ma il copione è molto simile. All’Unità fino agli anni Settanta del Novecento sono stati gli italiani a partire verso altre regioni d’Italia o verso l’estero, mentre nei tre decenni successivi la carenza di italiani disposti a fare lavori manuali a basso costo è stata compensata, per lo più, dall’arrivo di stranieri. Le cose si sono modificate – parzialmente – nel corso dell’ultimo decennio, perché per la prima volta si osservano partenze consistenti dall’Italia anche di giovani con elevato titolo di studio. Ciò che avverrà nel prossimo futuro dipende strettamente dalla capacità del nostro paese di creare nuovi posti di lavoro, sia ad alta che a bassa qualificazione”.

Migrazioni, demografia e lavoro in un paese diviso

Asher Colombo, Gianpiero Dalla Zuanna

Banca d’Italia, Quaderni di Storia Economica, n. 45, settembre 2019

Clicca qui per scaricare il PDF

Una indagine pubblicata da Banca d’Italia mette in relazione l’andamento dei flussi di persone con l’evoluzione delle condizioni sociali ed economiche del Paese

 

L’economia e la produzione, la crescita delle imprese, i successi di queste, sono tutte circostanze nelle quali – spesso –, un ruolo importante ha avuto la migrazione di grandi quantità di persone. Capire i grandi movimenti migratori, i loro motivi, le loro dinamiche, è cosa da fare non solo per la comprensione dei traguardi raggiunti, ma pure per la migliore consapevolezza di quella cultura d’impresa tutta italiana che tanta parte ha nei successi (e nei fallimenti) di ciò che comunemente viene indicato come made in Italy.

Serve allora leggere  “Migrazioni, demografia e lavoro in un paese diviso” scritto a quattro mani da Asher Colombo e Gianpiero Dalla Zuanna (rispettivamente dell’Università di Bologna e di Padova) e pubblicato da Banca d’Italia e presentato al XVIII World Economic History Congress, nella Sessione Demography and Economic Change from Modern Era to Date: An International Comparative Perspective.

I due autori partono dalla considerazione che oggi in Spagna, Portogallo, Italia, Malta e Grecia, l’incidenza degli stranieri sulla popolazione è del tutto comparabile a quella dei più tradizionali paesi europei di immigrazione. Solo quarant’anni fa però le dimensioni della presenza straniera erano decisamente modeste. Invertendo una tendenza secolare, spiegano quindi Colombo e Dalla Zuanna, a partire dagli anni Settanta il saldo migratorio con i paesi stranieri è diventato positivo. Ma dopo il boom migratorio dell’inizio del XXI secolo, nei successivi anni di crisi si è osservato un improvviso e deciso calo.

La ricerca ha quindi l’obiettivo da un lato di descrivere settant’anni di migrazioni italiane (dagli anni Cinquanta a oggi), distinguendo in modo sistematico Centro-Nord da Mezzogiorno e connettendole con la storia migratoria degli anni precedenti; dall’altro, di identificare le peculiarità persistenti e strutturali che hanno modellato la presenza straniera in Italia, costruendo un modello assai diverso da quello dell’Europa Centrale e Settentrionale. Ne emerge la vicenda di flussi migratori indicati tecnicamente con un andamento stop and go interpretato alla luce di fattori di attrazione determinati da cambiamenti strutturali avvenuti nella demografia e nel mercato del lavoro, ma anche dalla stessa particolare cultura presente nella società italiana.

Scrivo i due autori nelle loro conclusioni: “Gli attori sono cambiati, ma il copione è molto simile. All’Unità fino agli anni Settanta del Novecento sono stati gli italiani a partire verso altre regioni d’Italia o verso l’estero, mentre nei tre decenni successivi la carenza di italiani disposti a fare lavori manuali a basso costo è stata compensata, per lo più, dall’arrivo di stranieri. Le cose si sono modificate – parzialmente – nel corso dell’ultimo decennio, perché per la prima volta si osservano partenze consistenti dall’Italia anche di giovani con elevato titolo di studio. Ciò che avverrà nel prossimo futuro dipende strettamente dalla capacità del nostro paese di creare nuovi posti di lavoro, sia ad alta che a bassa qualificazione”.

Migrazioni, demografia e lavoro in un paese diviso

Asher Colombo, Gianpiero Dalla Zuanna

Banca d’Italia, Quaderni di Storia Economica, n. 45, settembre 2019

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Le biblioteche Pirelli: un mondo di libri e conoscenza sul nuovo sito della Fondazione

Con un’intera sezione dedicata al mondo dei libri, anche le biblioteche Pirelli approdano sul nuovo sito della Fondazione. Uno spazio ricco di storie  e immagini per raccontare una tradizione che ebbe inizio già nel 1928, quando Pirelli istituì la sua prima biblioteca, e che continua ancora oggi nel segno della cultura e dell’innovazione industriale. Un’area di questa nuova sezione è dedicata alla Biblioteca Tecnico-Scientifica creata dall’azienda a beneficio di ricercatori, ingegneri e studiosi, che raccoglie negli spazi della Fondazione Pirelli oltre 16.000 volumi sull’estrazione, la lavorazione e la tecnologia della gomma dall’Ottocento a oggi, testi scientifici e rarissime copie di riviste tecniche, anche straniere. Alla Biblioteca Tecnico-Scientifica si affianca la Biblioteca della Fondazione Pirelli: circa 2.000 libri sulla storia dell’azienda, storia economica, comunicazione d’impresa, arte, design, sport.

I cataloghi delle biblioteche Tecnico-Scientifica e della Fondazione sono accessibili on line sulla piattaforma del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), e ora grazie al nuovo tool “Assistenza alla consultazione” gli utenti possono prenotare direttamente sul nostro sito un appuntamento per consultare i volumi in loco. Non mancano  le biblioteche aziendali, pensate come luoghi per migliorare la qualità della vita e del lavoro dei dipendenti: dalla biblioteca del Polo industriale Pirelli di Settimo Torinese, a quelle inaugurate nel 2016 nello stabilimento di Bollate e nell’Headquarters di Milano-Bicocca. Presenti nel circuito dei Sistemi Bibliotecari di Milano e dell’Area Metropolitana di Torino, le biblioteche Pirelli collaborano con altre istituzioni culturali a progetti e iniziative, per promuovere i libri e la lettura, soprattutto tra le nuove generazioni.

La pagina dedicata alle biblioteche ospita inoltre la sezione “Le biblioteche raccontano”, che raccoglie articoli, immagini e video degli eventi organizzati dal Gruppo e dalla Fondazione per promuovere la lettura. Grande novità è infine lo spazio riservato ai “consigli di lettura”, una rubrica, sempre a cura della Fondazione, con suggerimenti e recensioni di saggi di economia, storia aziendale, cultura d’impresa, ma anche romanzi e molto altro.

Con un’intera sezione dedicata al mondo dei libri, anche le biblioteche Pirelli approdano sul nuovo sito della Fondazione. Uno spazio ricco di storie  e immagini per raccontare una tradizione che ebbe inizio già nel 1928, quando Pirelli istituì la sua prima biblioteca, e che continua ancora oggi nel segno della cultura e dell’innovazione industriale. Un’area di questa nuova sezione è dedicata alla Biblioteca Tecnico-Scientifica creata dall’azienda a beneficio di ricercatori, ingegneri e studiosi, che raccoglie negli spazi della Fondazione Pirelli oltre 16.000 volumi sull’estrazione, la lavorazione e la tecnologia della gomma dall’Ottocento a oggi, testi scientifici e rarissime copie di riviste tecniche, anche straniere. Alla Biblioteca Tecnico-Scientifica si affianca la Biblioteca della Fondazione Pirelli: circa 2.000 libri sulla storia dell’azienda, storia economica, comunicazione d’impresa, arte, design, sport.

I cataloghi delle biblioteche Tecnico-Scientifica e della Fondazione sono accessibili on line sulla piattaforma del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), e ora grazie al nuovo tool “Assistenza alla consultazione” gli utenti possono prenotare direttamente sul nostro sito un appuntamento per consultare i volumi in loco. Non mancano  le biblioteche aziendali, pensate come luoghi per migliorare la qualità della vita e del lavoro dei dipendenti: dalla biblioteca del Polo industriale Pirelli di Settimo Torinese, a quelle inaugurate nel 2016 nello stabilimento di Bollate e nell’Headquarters di Milano-Bicocca. Presenti nel circuito dei Sistemi Bibliotecari di Milano e dell’Area Metropolitana di Torino, le biblioteche Pirelli collaborano con altre istituzioni culturali a progetti e iniziative, per promuovere i libri e la lettura, soprattutto tra le nuove generazioni.

La pagina dedicata alle biblioteche ospita inoltre la sezione “Le biblioteche raccontano”, che raccoglie articoli, immagini e video degli eventi organizzati dal Gruppo e dalla Fondazione per promuovere la lettura. Grande novità è infine lo spazio riservato ai “consigli di lettura”, una rubrica, sempre a cura della Fondazione, con suggerimenti e recensioni di saggi di economia, storia aziendale, cultura d’impresa, ma anche romanzi e molto altro.

Valorizzare la comunicazione visiva: il progetto di restauro delle campagne pubblicitarie Pirelli

La Pirelli ha contribuito a scrivere la storia della comunicazione visiva, in Italia ma non solo. Sin dagli inizi della sua storia l’azienda ha compreso l’importanza di una comunicazione pubblicitaria efficace, nel segno della sperimentazione, dell’innovazione, della qualità, coinvolgendo nella sua ideazione e realizzazione artisti, designer, fotografi e scrittori di fama internazionale. La ricca produzione pubblicitaria di Pirelli conservata nel nostro Archivio Storico è costituita da diversi materiali di comunicazione come bozzetti, layout, esecutivi e prove di stampa, stampati finali, che datano dai primi del Novecento agli anni Ottanta e che consentono di tracciare una storia dai molteplici aspetti: delle strategie aziendali, della committenza, della grafica pubblicitaria, ma anche delle tecniche di realizzazione e di stampa, prima dell’avvento del computer. Fino agli anni Sessanta i bozzetti delle diverse proposte pubblicitarie così come i layout finali erano realizzati da pittori e grafici su carta o cartoncino con tecniche pittoriche, utilizzando pastelli e matite colorate, acquerelli, tempere, carboncini, inchiostri, collage. A partire dagli anni Sessanta nella pubblicità si diffuse l’utilizzo della fotografia e delle parti testuali e, con l’avvento della fotocomposizione, cambiarono anche le tecniche di realizzazione. Layout ed esecutivi di stampa degli anni Settanta e Ottanta sono composti da un cartoncino sul quale le parti testuali e le immagini, dopo essere state stampate dal fotocompositore, venivano ritagliate e applicate con nastro adesivo o colla. Uno o più fogli di lucido sovrapposti al cartoncino aggiungevano altre parti di layout o indicazioni per la stampa.

La Fondazione Pirelli, impegnata nella conservazione e nella valorizzazione dell’Archivio Storico, ha da tempo avviato un’attività di restauro di questi materiali pubblicitari, a opera di professionisti specializzati nel restauro di opere d’arte su carta. Dal 2010 al 2013 si è svolto il primo progetto di recupero e restauro della serie di bozzetti pubblicitari datati tra il 1910 e il 1966: circa 200 disegni per pubblicità e per l’illustrazione della Rivista Pirelli. Tra gli interventi principali eseguiti su questi materiali: la pulitura, il consolidamento dei margini, il fissaggio dei sollevamenti della carta, il fissaggio delle cadute di colore, la saldatura di strappi. Dal 2016 è in corso il progetto di restauro degli esecutivi di stampa degli anni Settanta-Ottanta del Novecento: migliaia di materiali  costituiti da diverse parti — cartoncini, carte, lucidi, fotografie — assemblate, come si è detto, utilizzando colla e nastri adesivi. Gli interventi riguardano quindi, oltre alla pulitura e al consolidamento, anche la rimozione, dove possibile, delle sostanze e dei materiali dannosi come colla e scotch e la loro sostituzione con materiali adatti alla conservazione permanente.

In un’ottica di divulgazione e valorizzazione di questo importante patrimonio storico-artistico, i materiali restaurati sono stati anche digitalizzati e analizzati all’interno di due progetti editoriali curati dalla Fondazione e pubblicati da Corraini Edizioni: “La Musa tra le ruote” (2015), dedicato alla pubblicità Pirelli dagli inizi agli anni Sessanta e “La Pubblicità con la P maiuscola” (2017), dedicato alla pubblicità Pirelli dagli anni Settanta ai primi anni Duemila. Dal restauro alla pubblicazione, per raccontare quasi 150 anni di comunicazione visiva.

La Pirelli ha contribuito a scrivere la storia della comunicazione visiva, in Italia ma non solo. Sin dagli inizi della sua storia l’azienda ha compreso l’importanza di una comunicazione pubblicitaria efficace, nel segno della sperimentazione, dell’innovazione, della qualità, coinvolgendo nella sua ideazione e realizzazione artisti, designer, fotografi e scrittori di fama internazionale. La ricca produzione pubblicitaria di Pirelli conservata nel nostro Archivio Storico è costituita da diversi materiali di comunicazione come bozzetti, layout, esecutivi e prove di stampa, stampati finali, che datano dai primi del Novecento agli anni Ottanta e che consentono di tracciare una storia dai molteplici aspetti: delle strategie aziendali, della committenza, della grafica pubblicitaria, ma anche delle tecniche di realizzazione e di stampa, prima dell’avvento del computer. Fino agli anni Sessanta i bozzetti delle diverse proposte pubblicitarie così come i layout finali erano realizzati da pittori e grafici su carta o cartoncino con tecniche pittoriche, utilizzando pastelli e matite colorate, acquerelli, tempere, carboncini, inchiostri, collage. A partire dagli anni Sessanta nella pubblicità si diffuse l’utilizzo della fotografia e delle parti testuali e, con l’avvento della fotocomposizione, cambiarono anche le tecniche di realizzazione. Layout ed esecutivi di stampa degli anni Settanta e Ottanta sono composti da un cartoncino sul quale le parti testuali e le immagini, dopo essere state stampate dal fotocompositore, venivano ritagliate e applicate con nastro adesivo o colla. Uno o più fogli di lucido sovrapposti al cartoncino aggiungevano altre parti di layout o indicazioni per la stampa.

La Fondazione Pirelli, impegnata nella conservazione e nella valorizzazione dell’Archivio Storico, ha da tempo avviato un’attività di restauro di questi materiali pubblicitari, a opera di professionisti specializzati nel restauro di opere d’arte su carta. Dal 2010 al 2013 si è svolto il primo progetto di recupero e restauro della serie di bozzetti pubblicitari datati tra il 1910 e il 1966: circa 200 disegni per pubblicità e per l’illustrazione della Rivista Pirelli. Tra gli interventi principali eseguiti su questi materiali: la pulitura, il consolidamento dei margini, il fissaggio dei sollevamenti della carta, il fissaggio delle cadute di colore, la saldatura di strappi. Dal 2016 è in corso il progetto di restauro degli esecutivi di stampa degli anni Settanta-Ottanta del Novecento: migliaia di materiali  costituiti da diverse parti — cartoncini, carte, lucidi, fotografie — assemblate, come si è detto, utilizzando colla e nastri adesivi. Gli interventi riguardano quindi, oltre alla pulitura e al consolidamento, anche la rimozione, dove possibile, delle sostanze e dei materiali dannosi come colla e scotch e la loro sostituzione con materiali adatti alla conservazione permanente.

In un’ottica di divulgazione e valorizzazione di questo importante patrimonio storico-artistico, i materiali restaurati sono stati anche digitalizzati e analizzati all’interno di due progetti editoriali curati dalla Fondazione e pubblicati da Corraini Edizioni: “La Musa tra le ruote” (2015), dedicato alla pubblicità Pirelli dagli inizi agli anni Sessanta e “La Pubblicità con la P maiuscola” (2017), dedicato alla pubblicità Pirelli dagli anni Settanta ai primi anni Duemila. Dal restauro alla pubblicazione, per raccontare quasi 150 anni di comunicazione visiva.

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Facciamo squadra con i libri. Un’iniziativa di Fondazione Pirelli per le scuole

Giocare una partita con gli amici, portare a termine un progetto con i compagni, dare vita a una nuova idea collaborando e aprendo i nostri orizzonti grazie alle conoscenze trasmesse dai libri. Fare squadra con gli altri e imparare leggendo sono aspetti importanti della vita di tutti, aiutano a crescere valorizzando punti di forza e differenze per essere vincenti insieme.

“Fare squadra” è il tema scelto da Fondazione Pirelli per l’iniziativa #ioleggoperché 2019, ideata dall’AIE (Associazione Italiana Editori) per promuovere il libro e la passione per la lettura. Ne parleremo con gli studenti tra i 10 e i 14 anni insieme a Luigi Garlando, giornalista sportivo e autore di libri per ragazzi, durante l’incontro che si terrà nella mattinata di lunedì 21 ottobre presso l’Auditorium dell’Headquarters Pirelli di Milano Bicocca. L’evento vedrà la partecipazione straordinaria di Javier Zanetti, Vicepresidente di FC Internazionale Milano, Regina Baresi, Capitano dell’Inter femminile e di Mario Isola, Motorsport Racing Manager Pirelli. Interverranno inoltre Marco Tronchetti Provera, Vice Presidente esecutivo e CEO di Pirelli, Laura Galimberti, Assessore Educazione e Istruzione, Comune di Milano, Ricardo Franco Levi Presidente dell’Associazione Italiana Editori, Antonio Calabrò Direttore della Fondazione Pirelli.

Questo incontro in collaborazione con FC Internazionale Milano sarà anche l’occasione per raccontare il progetto ideato dalla Fondazione Pirelli che vuole promuovere una collaborazione attiva tra imprese private, istituzioni pubbliche e scuole, mostrando come sia possibile fare crescere il territorio mettendo in sinergia le varie realtà che vi operano.

Per maggiori informazioni sull’evento è possibile scrivere a scuole@fondazionepirelli.org

Giocare una partita con gli amici, portare a termine un progetto con i compagni, dare vita a una nuova idea collaborando e aprendo i nostri orizzonti grazie alle conoscenze trasmesse dai libri. Fare squadra con gli altri e imparare leggendo sono aspetti importanti della vita di tutti, aiutano a crescere valorizzando punti di forza e differenze per essere vincenti insieme.

“Fare squadra” è il tema scelto da Fondazione Pirelli per l’iniziativa #ioleggoperché 2019, ideata dall’AIE (Associazione Italiana Editori) per promuovere il libro e la passione per la lettura. Ne parleremo con gli studenti tra i 10 e i 14 anni insieme a Luigi Garlando, giornalista sportivo e autore di libri per ragazzi, durante l’incontro che si terrà nella mattinata di lunedì 21 ottobre presso l’Auditorium dell’Headquarters Pirelli di Milano Bicocca. L’evento vedrà la partecipazione straordinaria di Javier Zanetti, Vicepresidente di FC Internazionale Milano, Regina Baresi, Capitano dell’Inter femminile e di Mario Isola, Motorsport Racing Manager Pirelli. Interverranno inoltre Marco Tronchetti Provera, Vice Presidente esecutivo e CEO di Pirelli, Laura Galimberti, Assessore Educazione e Istruzione, Comune di Milano, Ricardo Franco Levi Presidente dell’Associazione Italiana Editori, Antonio Calabrò Direttore della Fondazione Pirelli.

Questo incontro in collaborazione con FC Internazionale Milano sarà anche l’occasione per raccontare il progetto ideato dalla Fondazione Pirelli che vuole promuovere una collaborazione attiva tra imprese private, istituzioni pubbliche e scuole, mostrando come sia possibile fare crescere il territorio mettendo in sinergia le varie realtà che vi operano.

Per maggiori informazioni sull’evento è possibile scrivere a scuole@fondazionepirelli.org

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