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Le biblioteche Pirelli si raccontano

Pirelli, in un continuo dialogo con la città e le sue istituzioni culturali, dopo l’apertura delle nuove biblioteche aziendali di Bicocca e Bollate ha avviato una collaborazione con il Comune di Milano, con lo scopo di integrare la biblioteca di Bicocca nel circuito delle biblioteche milanesi.

Abbiamo voluto dare voce ai protagonisti di questo progetto, che ci raccontano di come a Milano, città che ha saputo fare della sintesi tra cultura e scienza una cifra del proprio carattere, riescano a nascere nuovi scenari di sperimentazione tra enti culturali pubblici e aziende presenti sul territorio.

Dalle parole dei lettori delle nostre biblioteche emerge anche un racconto su cosa significhi avere uno spazio per i libri nel luogo di lavoro e come trovare tempo per i libri cambi la quotidianità della vita in azienda, innovando anche le modalità di lavoro e di percezione degli spazi.

Attraverso i video qui presentati vi raccontiamo come vive una biblioteca in azienda, spazio di cultura e innovazione, ma anche di creatività e felicità.

Pirelli, in un continuo dialogo con la città e le sue istituzioni culturali, dopo l’apertura delle nuove biblioteche aziendali di Bicocca e Bollate ha avviato una collaborazione con il Comune di Milano, con lo scopo di integrare la biblioteca di Bicocca nel circuito delle biblioteche milanesi.

Abbiamo voluto dare voce ai protagonisti di questo progetto, che ci raccontano di come a Milano, città che ha saputo fare della sintesi tra cultura e scienza una cifra del proprio carattere, riescano a nascere nuovi scenari di sperimentazione tra enti culturali pubblici e aziende presenti sul territorio.

Dalle parole dei lettori delle nostre biblioteche emerge anche un racconto su cosa significhi avere uno spazio per i libri nel luogo di lavoro e come trovare tempo per i libri cambi la quotidianità della vita in azienda, innovando anche le modalità di lavoro e di percezione degli spazi.

Attraverso i video qui presentati vi raccontiamo come vive una biblioteca in azienda, spazio di cultura e innovazione, ma anche di creatività e felicità.

Multimedia

Video

Leader e futuro d’impresa

Una nota ad una giornata celebrativa fornisce una guida utile per sintetizzare i grandi cambiamenti di fronte alle imprese

 

Imprenditori e manager di fronte ai grandi cambiamenti. Passaggio obbligato per gli uomini che governano ogni organizzazione della produzione. Al cospetto del mondo che cambia – ed alla rapidità del mutamento -, occorrono guide sicure e chiare. Paolo Boccardelli (Professore Ordinario di Management e Strategie d’Impresa LUISS Guido Carli e Direttore LUISS Business School), ha provato a fornirne una con la sua “Introduzione” alla giornata per i 20 anni di attività della Fondazione Fondirigenti G. Taliercio.

Si tratta di una rapida descrizione dei megatrends che possono influenzare il management d’impresa e quindi il tipo di formazione che i manager  devono acquisire. Il dato di partenza è la constatazione che “i cambiamenti demografici e climatici, la globalizzazione, la crescita della classe media, l’evoluzione della forza lavoro e la digitalizzazione sono i principali motori di cambiamento demografico e socio‐economico”. Questi megatrends, spiega l’autore, “stanno trasformando e trasformeranno sempre di più il mondo nell’arco dei prossimi anni. In un ambiente di lavoro caratterizzato da complessità, volatilità e ambiguità, i leader devono raggiungere i loro obiettivi navigando tra le diverse sfide”. Boccardelli quindi prende in considerazione una per una le grandi tendenze che stanno condizionando il futuro per arrivare poi ad affermare che “per affrontare le molteplici sfide del nuovo mondo, è essenziale identificare una guida in grado di supportare le persone nella ricerca di soluzioni e di accompagnare le aziende nel raggiungimento degli obiettivi. Pertanto, in un contesto così dinamico in cui emergono nuovi modelli di business, nuove competenze, nuove strutture organizzative, i leader devono pensare in modo strategico. Il ruolo del leader è sempre stato indispensabile, ma ora ha bisogno di un’evoluzione; il 68% dei dirigenti di tutto il mondo ritiene che la propria organizzazione necessiti di una nuova leadership per poter competere”. Ma quale leader? Per Boccardelli i tratti essenziali sono la capacità di mettere in discussione i paradigmi tradizionali, un alto grado di inclusione, la capacità di stimolare l’innovazione, la collaborazione e la creazione di valore. Per caratterizzare ancora meglio questa figura, Boccardelli arriva quindi ad elencare dieci caratteristiche corrispondenti ad altrettanti comportamenti reali.

Guida – non unica ma certamente utile -, la nota di Boccardelli si conclude con una serie di testimonianze di dirigenti d’impresa che sintetizzano la personale visione della situazione del management odierno fornendone anche una valutazione.

Leader for a new world

Paolo Boccardelli

Intervento introduttivo alla giornata per i 20 anni di attività della Fondazione Fondirigenti G. Taliercio, Roma, novembre 2018.

Una nota ad una giornata celebrativa fornisce una guida utile per sintetizzare i grandi cambiamenti di fronte alle imprese

 

Imprenditori e manager di fronte ai grandi cambiamenti. Passaggio obbligato per gli uomini che governano ogni organizzazione della produzione. Al cospetto del mondo che cambia – ed alla rapidità del mutamento -, occorrono guide sicure e chiare. Paolo Boccardelli (Professore Ordinario di Management e Strategie d’Impresa LUISS Guido Carli e Direttore LUISS Business School), ha provato a fornirne una con la sua “Introduzione” alla giornata per i 20 anni di attività della Fondazione Fondirigenti G. Taliercio.

Si tratta di una rapida descrizione dei megatrends che possono influenzare il management d’impresa e quindi il tipo di formazione che i manager  devono acquisire. Il dato di partenza è la constatazione che “i cambiamenti demografici e climatici, la globalizzazione, la crescita della classe media, l’evoluzione della forza lavoro e la digitalizzazione sono i principali motori di cambiamento demografico e socio‐economico”. Questi megatrends, spiega l’autore, “stanno trasformando e trasformeranno sempre di più il mondo nell’arco dei prossimi anni. In un ambiente di lavoro caratterizzato da complessità, volatilità e ambiguità, i leader devono raggiungere i loro obiettivi navigando tra le diverse sfide”. Boccardelli quindi prende in considerazione una per una le grandi tendenze che stanno condizionando il futuro per arrivare poi ad affermare che “per affrontare le molteplici sfide del nuovo mondo, è essenziale identificare una guida in grado di supportare le persone nella ricerca di soluzioni e di accompagnare le aziende nel raggiungimento degli obiettivi. Pertanto, in un contesto così dinamico in cui emergono nuovi modelli di business, nuove competenze, nuove strutture organizzative, i leader devono pensare in modo strategico. Il ruolo del leader è sempre stato indispensabile, ma ora ha bisogno di un’evoluzione; il 68% dei dirigenti di tutto il mondo ritiene che la propria organizzazione necessiti di una nuova leadership per poter competere”. Ma quale leader? Per Boccardelli i tratti essenziali sono la capacità di mettere in discussione i paradigmi tradizionali, un alto grado di inclusione, la capacità di stimolare l’innovazione, la collaborazione e la creazione di valore. Per caratterizzare ancora meglio questa figura, Boccardelli arriva quindi ad elencare dieci caratteristiche corrispondenti ad altrettanti comportamenti reali.

Guida – non unica ma certamente utile -, la nota di Boccardelli si conclude con una serie di testimonianze di dirigenti d’impresa che sintetizzano la personale visione della situazione del management odierno fornendone anche una valutazione.

Leader for a new world

Paolo Boccardelli

Intervento introduttivo alla giornata per i 20 anni di attività della Fondazione Fondirigenti G. Taliercio, Roma, novembre 2018.

L’Italia nella morsa d’una doppia crisi, economica e demografica. Serve ricostruire fiducia nella crescita

L’Italia cresce poco, meno degli altri paesi Ue, lo 0,2% appena in questo 2019 cominciato sotto il segno della recessione (le stime sono della Commissione Ue) o, al massimo, lo 0,6% secondo le valutazioni della Banca d’Italia. Certo molto meno dell’1% previsto dal governo e propagandato dal presidente del Consiglio Conte che, ancora di recente, ha parlato di un “anno bellissimo”, almeno dal punto di vista economico.

L’Italia cresce poco pure dal punto di vista demografico: 60 milioni 391mila abitanti al 1° gennaio 2019, 93mila in meno dell’anno precedente, una diminuzione che va avanti da quattro anni. Nascono meno bambini da madri italiane, 358mila nel 2018, 8mila in meno dell’anno precedente e diminuiscono anche quelli da cittadine straniere, 91mila, mille in meno che nel 2017. Aumentano gli anziani sopra i 65 anni, 13,8 milioni, il 22,8% della popolazione (560mila in più rispetto al 2015) e partono, verso l’estero, 160mila persone nel 2018 (soprattutto giovani, con buon titolo di studio e doti di vivace intraprendenza, per trovare altrove migliori condizioni di lavoro e di vita), il 3,1% in più che nel 2017, mentre dall’estero sono arrivate 349mila persone, l’1,7% in più dell’anno precedente. In percentuale, dunque, sono più quelli che se ne vanno di quelli che arrivano, un segnale preoccupante di minore attrattività del nostro Paese.

C’è naturalmente un legame tra bassa crescita economica e crisi demografica. Un paese che invecchia e non offre prospettive soddisfacenti alle nuove generazioni è un paese destinato ad andare avanti sulla strada del declino. Un paese che investe poco sull’innovazione, la ricerca, l’ambiente, la qualità degli studi e del lavoro non attrae intelligenze e competenze dal resto del mondo e fa andare via i suoi figli migliori, con scarse possibilità di ritorno.

Al di là dei ragionamenti congiunturali e dei motivi attuali della recessione (lo spread sempre alto che rende difficile il credito alle famiglie e alle imprese, la caduta dei consumi pubblici e privati, gli effetti delle turbolenze economiche internazionali che l’Italia subisce più e peggio degli altri paesi Ue, per vecchi vizi mai sanati come il peso crescente del debito pubblico e la bassa produttività e per riforme sull’innovazione, la concorrenza e la valorizzazione di competenze e meriti mai portate davvero a termine), la crisi da bassa o zero crescita e decrescente natalità indica una tendenza di fondo: una mancanza generale di fiducia. Senza fiducia non si investe, né sulle imprese né sul futuro personale.

Ecco il punto: l’Italia avrebbe uno straordinario bisogno di ricominciare a nutrire fiducia in se stessa e nel proprio futuro. Come ha già fatto in altre stagioni della sua storia: la Ricostruzione dopo i disastri del fascismo e della guerra, la modernizzazione che porta al boom economico pur se con grandi costi sociali e personali (l’emigrazione di milioni di persone da Sud e da Est verso il Nord delle fabbriche), la ripresa dei dinamici e benestanti anni Ottanta dopo la cupezza degli “anni di piombo” dei durissimi conflitti sociali, del terrorismo e dell’inflazione a due cifre, il rilancio di economia e società verso l’Europa dopo il terribile 1992-93 di Tangentopoli, dello stragismo mafioso e dell’attacco speculativo contro la lira.

Si è sempre rialzata, l’Italia. Ha scommesso sulle sue forze e le intelligenze migliori, ha mostrato di saper avere fiducia in se stessa.

Fiducia e crescita sono parole utili ancora oggi. Non rancore, cattiveria, paura, chiusura, decrescita, sentimenti negativi che purtroppo ispirano molte delle affermazioni e delle scelte del governo giallo-verde. “L’Italia si dimostri affidabile”, ha detto sabato, a “La Stampa”, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, chiedendo di “ristabilire la fiducia nei confronti dell’Italia, la fiducia dei cittadini e degli investitori, italiani e stranieri”. Fiducia, appunto, cercando di fare dimenticare altre sue dichiarazioni, in cui accusava “i pessimisti” sull’andamento dell’economia italiana addirittura di “sabotaggio”. Sarebbe utile lo ascoltassero proprio i suoi colleghi di governo, tagliando corto con le polemiche contro l’Europa e, adesso, contro la Francia, ma anche contro le autorità indipendenti e competenti come la Banca d’Italia (che i vicepremier Salvini e Di Maio chiedono di “azzerare”, con un’inaudita violenza di linguaggio, che la Banca d’Italia respinge come “parole fuori luogo” e che Enrico Letta, studioso autorevole ed ex presidente del Consiglio condanna così: “Una lapidazione pubblica per comprarsi l’arbitro e cancellare la democrazia”) e contro l’informazione che sottopone a inchiesta e critica documentata, com’è suo compito, scelte assistenziali, ostacoli alle infrastrutture e chiusure nazionaliste che danneggiano l’economia. Dalle stanze del governo, insomma, arrivano slogan del “no” e del “contro”, seminando ostilità, paura e sfiducia.

Servirebbe invece fiducia, come il ministro Tria suggerisce. Fiducia da dare, alle forze migliori dell’Italia, alle sue imprese e ai suoi lavoratori, ai giovani che vogliono studiare, a tutti coloro che preferiscono rischiare e innovare piuttosto che accontentarsi d’una pensione anticipata o d’un sussidio senza vere opportunità di lavoro. Fiducia per investire. E andare a conquistare nuovi spazi nel mondo, con la forza dell’export di qualità. Fiducia, per ricominciare a intravvedere un orizzonte positivo, in vista del quale fare famiglia, fare figli, crescere. Fiducia e sviluppo, appunto. Altro che l’infelicità della decrescita, economica, demografica, morale.

L’Italia cresce poco, meno degli altri paesi Ue, lo 0,2% appena in questo 2019 cominciato sotto il segno della recessione (le stime sono della Commissione Ue) o, al massimo, lo 0,6% secondo le valutazioni della Banca d’Italia. Certo molto meno dell’1% previsto dal governo e propagandato dal presidente del Consiglio Conte che, ancora di recente, ha parlato di un “anno bellissimo”, almeno dal punto di vista economico.

L’Italia cresce poco pure dal punto di vista demografico: 60 milioni 391mila abitanti al 1° gennaio 2019, 93mila in meno dell’anno precedente, una diminuzione che va avanti da quattro anni. Nascono meno bambini da madri italiane, 358mila nel 2018, 8mila in meno dell’anno precedente e diminuiscono anche quelli da cittadine straniere, 91mila, mille in meno che nel 2017. Aumentano gli anziani sopra i 65 anni, 13,8 milioni, il 22,8% della popolazione (560mila in più rispetto al 2015) e partono, verso l’estero, 160mila persone nel 2018 (soprattutto giovani, con buon titolo di studio e doti di vivace intraprendenza, per trovare altrove migliori condizioni di lavoro e di vita), il 3,1% in più che nel 2017, mentre dall’estero sono arrivate 349mila persone, l’1,7% in più dell’anno precedente. In percentuale, dunque, sono più quelli che se ne vanno di quelli che arrivano, un segnale preoccupante di minore attrattività del nostro Paese.

C’è naturalmente un legame tra bassa crescita economica e crisi demografica. Un paese che invecchia e non offre prospettive soddisfacenti alle nuove generazioni è un paese destinato ad andare avanti sulla strada del declino. Un paese che investe poco sull’innovazione, la ricerca, l’ambiente, la qualità degli studi e del lavoro non attrae intelligenze e competenze dal resto del mondo e fa andare via i suoi figli migliori, con scarse possibilità di ritorno.

Al di là dei ragionamenti congiunturali e dei motivi attuali della recessione (lo spread sempre alto che rende difficile il credito alle famiglie e alle imprese, la caduta dei consumi pubblici e privati, gli effetti delle turbolenze economiche internazionali che l’Italia subisce più e peggio degli altri paesi Ue, per vecchi vizi mai sanati come il peso crescente del debito pubblico e la bassa produttività e per riforme sull’innovazione, la concorrenza e la valorizzazione di competenze e meriti mai portate davvero a termine), la crisi da bassa o zero crescita e decrescente natalità indica una tendenza di fondo: una mancanza generale di fiducia. Senza fiducia non si investe, né sulle imprese né sul futuro personale.

Ecco il punto: l’Italia avrebbe uno straordinario bisogno di ricominciare a nutrire fiducia in se stessa e nel proprio futuro. Come ha già fatto in altre stagioni della sua storia: la Ricostruzione dopo i disastri del fascismo e della guerra, la modernizzazione che porta al boom economico pur se con grandi costi sociali e personali (l’emigrazione di milioni di persone da Sud e da Est verso il Nord delle fabbriche), la ripresa dei dinamici e benestanti anni Ottanta dopo la cupezza degli “anni di piombo” dei durissimi conflitti sociali, del terrorismo e dell’inflazione a due cifre, il rilancio di economia e società verso l’Europa dopo il terribile 1992-93 di Tangentopoli, dello stragismo mafioso e dell’attacco speculativo contro la lira.

Si è sempre rialzata, l’Italia. Ha scommesso sulle sue forze e le intelligenze migliori, ha mostrato di saper avere fiducia in se stessa.

Fiducia e crescita sono parole utili ancora oggi. Non rancore, cattiveria, paura, chiusura, decrescita, sentimenti negativi che purtroppo ispirano molte delle affermazioni e delle scelte del governo giallo-verde. “L’Italia si dimostri affidabile”, ha detto sabato, a “La Stampa”, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, chiedendo di “ristabilire la fiducia nei confronti dell’Italia, la fiducia dei cittadini e degli investitori, italiani e stranieri”. Fiducia, appunto, cercando di fare dimenticare altre sue dichiarazioni, in cui accusava “i pessimisti” sull’andamento dell’economia italiana addirittura di “sabotaggio”. Sarebbe utile lo ascoltassero proprio i suoi colleghi di governo, tagliando corto con le polemiche contro l’Europa e, adesso, contro la Francia, ma anche contro le autorità indipendenti e competenti come la Banca d’Italia (che i vicepremier Salvini e Di Maio chiedono di “azzerare”, con un’inaudita violenza di linguaggio, che la Banca d’Italia respinge come “parole fuori luogo” e che Enrico Letta, studioso autorevole ed ex presidente del Consiglio condanna così: “Una lapidazione pubblica per comprarsi l’arbitro e cancellare la democrazia”) e contro l’informazione che sottopone a inchiesta e critica documentata, com’è suo compito, scelte assistenziali, ostacoli alle infrastrutture e chiusure nazionaliste che danneggiano l’economia. Dalle stanze del governo, insomma, arrivano slogan del “no” e del “contro”, seminando ostilità, paura e sfiducia.

Servirebbe invece fiducia, come il ministro Tria suggerisce. Fiducia da dare, alle forze migliori dell’Italia, alle sue imprese e ai suoi lavoratori, ai giovani che vogliono studiare, a tutti coloro che preferiscono rischiare e innovare piuttosto che accontentarsi d’una pensione anticipata o d’un sussidio senza vere opportunità di lavoro. Fiducia per investire. E andare a conquistare nuovi spazi nel mondo, con la forza dell’export di qualità. Fiducia, per ricominciare a intravvedere un orizzonte positivo, in vista del quale fare famiglia, fare figli, crescere. Fiducia e sviluppo, appunto. Altro che l’infelicità della decrescita, economica, demografica, morale.

L’Italia altrove

Immagine e sostanza  del Paese altrove nei racconti raccolti da il Mulino

 

L’Italia fuori dall’Italia. Un Paese altrove rispetto al proprio territorio di origine, ma ugualmente forte, bello e interessante, forse un po’ nostalgico ma certamente vivo e con la voglia di fare. Un’Italia che vale la pena comprendere al di là delle finzioni, anche da parte di chi è rimasto, scegliendo (volontariamente o meno) di continuare a vivere, lavorare e produrre qui. Leggere “Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove” serve proprio per questo: comprendere meglio il Paese che non è qui ma che è sempre Italia. Lettura “obbligatoria” dopo quella dedicata al “Viaggio in Italia” de il Mulino 2017, il “Viaggio tra gli italiani all’estero” pubblicato sempre dalla stessa rivista è complemento indispensabile per chi – anche gli uomini d’impresa così come quelli delle istituzioni -, voglia davvero capire dove va questo Paese.

Questo racconto di un Paese altrove ha le stesse caratteristiche della pubblicazione precedente: composto a più mani, scarno di numeri, fitto di idee e di considerazioni, densamente popolato di un’umanità variegata e forte. La raccolta di saggi parla principalmente di coloro che, in ragione della loro età, dovrebbero costituire l’architrave del Paese in cui sono nati. Quanti sono? Da dove vengono e dove vanno? Che cosa li ha spinti a lasciare l’Italia? Come vedono la loro esperienza di vita? Suddivisi per area geografica – dai principali Paesi che oggi accolgono l’emigrazione italiana in Europa alle aree meno scontate dell’Est europeo, al continente americano, all’Oceania, all’Africa, al Giappone – quaranta italiani che hanno scelto di vivere all’estero si raccontano in altrettante storie autobiografiche. Qualcuno torna. Ma per quasi tutti la vita prende una strada che li allontana progressivamente. Testimonianze importanti, alle quali fanno da cornice alcuni approfondimenti che inquadrano le caratteristiche qualitative e quantitative dell’emigrazione italiana contemporanea e tre contributi dedicati rispettivamente alle forme di rappresentazione dell’emigrazione durante la grande epopea migratoria del secolo scorso, all’autonarrazione all’epoca dei social network, alla rappresentazione cinematografica.

Il libro, che si apre con una bella presentazione di Bruno Simili, si chiude con un breve intervento di Piero Bassetti che, prendendo spunto dal movimento delle genti del quale anche l’emigrazione fa parte, fa notare come all’interno del processo di globalizzazione, il movimento acquista una luce nuova (per chi vuole coglierla).

“Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove” è una bella lettura, da fare con calma e magari da ripetere dopo qualche tempo perché fornisce una serie di istantanee importanti degli italiani in tutto il mondo.

Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove

AA.VV.

il Mulino, 2018 (il Mulino n. 6/2018)

Immagine e sostanza  del Paese altrove nei racconti raccolti da il Mulino

 

L’Italia fuori dall’Italia. Un Paese altrove rispetto al proprio territorio di origine, ma ugualmente forte, bello e interessante, forse un po’ nostalgico ma certamente vivo e con la voglia di fare. Un’Italia che vale la pena comprendere al di là delle finzioni, anche da parte di chi è rimasto, scegliendo (volontariamente o meno) di continuare a vivere, lavorare e produrre qui. Leggere “Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove” serve proprio per questo: comprendere meglio il Paese che non è qui ma che è sempre Italia. Lettura “obbligatoria” dopo quella dedicata al “Viaggio in Italia” de il Mulino 2017, il “Viaggio tra gli italiani all’estero” pubblicato sempre dalla stessa rivista è complemento indispensabile per chi – anche gli uomini d’impresa così come quelli delle istituzioni -, voglia davvero capire dove va questo Paese.

Questo racconto di un Paese altrove ha le stesse caratteristiche della pubblicazione precedente: composto a più mani, scarno di numeri, fitto di idee e di considerazioni, densamente popolato di un’umanità variegata e forte. La raccolta di saggi parla principalmente di coloro che, in ragione della loro età, dovrebbero costituire l’architrave del Paese in cui sono nati. Quanti sono? Da dove vengono e dove vanno? Che cosa li ha spinti a lasciare l’Italia? Come vedono la loro esperienza di vita? Suddivisi per area geografica – dai principali Paesi che oggi accolgono l’emigrazione italiana in Europa alle aree meno scontate dell’Est europeo, al continente americano, all’Oceania, all’Africa, al Giappone – quaranta italiani che hanno scelto di vivere all’estero si raccontano in altrettante storie autobiografiche. Qualcuno torna. Ma per quasi tutti la vita prende una strada che li allontana progressivamente. Testimonianze importanti, alle quali fanno da cornice alcuni approfondimenti che inquadrano le caratteristiche qualitative e quantitative dell’emigrazione italiana contemporanea e tre contributi dedicati rispettivamente alle forme di rappresentazione dell’emigrazione durante la grande epopea migratoria del secolo scorso, all’autonarrazione all’epoca dei social network, alla rappresentazione cinematografica.

Il libro, che si apre con una bella presentazione di Bruno Simili, si chiude con un breve intervento di Piero Bassetti che, prendendo spunto dal movimento delle genti del quale anche l’emigrazione fa parte, fa notare come all’interno del processo di globalizzazione, il movimento acquista una luce nuova (per chi vuole coglierla).

“Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove” è una bella lettura, da fare con calma e magari da ripetere dopo qualche tempo perché fornisce una serie di istantanee importanti degli italiani in tutto il mondo.

Viaggio tra gli italiani all’estero. Racconto di un paese altrove

AA.VV.

il Mulino, 2018 (il Mulino n. 6/2018)

Online l’house organ Fatti e Notizie: un viaggio nella nostra storia

Da oggi, la sezione dell’archivio online sul sito della Fondazione Pirelli si arricchisce di una nuova importante serie di documenti  a disposizione del pubblico: si tratta della raccolta completa  -sfogliabile- dell’house organ Fatti e Notizie, pubblicato da Pirelli a partire dal 1950 e ancora oggi in distribuzione.

“Questo foglio si propone di risolvere il problema di un’informazione periodica a tutti i dipendenti circa i fatti e le notizie relative alla nostra organizzazione, seguendo il criterio di una rigorosa schematicità”: così il periodico destinato ai dipendenti del Gruppo in Italia annuncia la propria nascita sul n° 1 del febbraio 1950. In pieno periodo di ricostruzione dopo i disastri della guerra (i bombardamenti di via Ponte Seveso nel 1943 e di Bicocca nel 1944, la distruzione dello stabilimento di Tivoli, l’occupazione nazista, le deportazioni di massa), l’azienda ha comprensibilmente voglia di ritrovare una propria identità forte e coesa, tale da offrire ai lavoratori una speranza di pace e benessere duraturo. Fatti e Notizie viene gratuitamente spedito a casa a tutti i dipendenti: “L’onere che comporta questo foglio sarà ripagato se riuscirà a contribuire ad assolvere il compito di approfondire sempre più i legami fra tutti coloro che operano per l’efficienza dell’Azienda”.

Nei suoi primi anni di vita l’house organ raccoglie notizie pratiche, come quelle sull’assistenza sanitaria per i dipendenti, sulle attività del Centro Culturale e del Centro Sportivo, sulle novità della Biblioteca, sulle borse di studio per gli studenti e le iniziative per gli anziani. E poi i reportage dedicati di volta in volta alle diverse realtà aziendali, i fatti rilevanti nella vita del Gruppo, i nuovi prodotti posti in commercio. Insomma, una serie di mondi piccoli che – riuniti assieme – cominciano a costruire un unico grande mondo: un Gruppo che va diventando giorno dopo giorno un universo integrato e globale. Nei suoi quasi settant’anni di vita, Fatti e Notizie è leggibile come uno spaccato sempre più ampio di un’intera società che cambia riflettendosi nelle vicende aziendali: ed è la stessa filosofia alla base della rivistaPirelli pubblicata dal 1948 al 1972 anch’essa consultabile online sul sito della Fondazione Pirelli.

Con il passare del tempo, le pagine di Fatti e Notizie si fanno patinate e a colori. Cambia il formato, anche seguendo i gusti dell’epoca. Aumenta la foliazione, perchè sempre più grande e complessa è quella Pirelli di cui si racconta la vita. E cambiano i contenuti: dopo lo slancio ottimista degli anni Cinquanta e Sessanta, il giornale non si nasconderà ai grandi temi conflittuali degli anni Settanta – lavoro, emigrazione, questione femminile, ambiente – promuovendo inchieste di portata ampia e scevra di pregiudizi, per poi imboccare la via maestra dell’informazione istituzionale globale negli anni Ottanta e Novanta, con uno sguardo attento alle conquiste dell’informatica in tema di organizzazione del lavoro.

La “digitalizzazione” degli anni Duemila è ormai alle porte. Oggi Fatti e Notizie continua a essere prodotto nella consueta versione cartacea a disposizione di tutti i dipendenti ed è disponibile anche in versione quotidiana -pubblicata sulla intranet aziendale- con le ultime notizie dal mondo Pirelli.

Intere generazioni di “pirelliani” hanno potuto riconoscersi nelle foto degli atleti impegnati sul campo sportivo della Pro Patria a Bicocca, o nei sorrisi dei bambini ospitati nella colonia estiva di Pietraligure, o nelle tute degli operai premiati dalla “Cassetta delle Idee” per le loro invenzioni che rendevano più efficiente e sicura la macchina. Fatti e Notizie è stato, lo è ancora, uno strumento di aggregazione attraverso la condivisione di tematiche comuni tra i lavoratori. Sfogliarlo, sarà come fare un lungo viaggio a risalire l’Italia del Novecento. Un viaggio che, ieri come oggi, vede tutti noi idealmente a fianco di questa “P Lunga” che tanto fa parte della nostra vita.

Da oggi, la sezione dell’archivio online sul sito della Fondazione Pirelli si arricchisce di una nuova importante serie di documenti  a disposizione del pubblico: si tratta della raccolta completa  -sfogliabile- dell’house organ Fatti e Notizie, pubblicato da Pirelli a partire dal 1950 e ancora oggi in distribuzione.

“Questo foglio si propone di risolvere il problema di un’informazione periodica a tutti i dipendenti circa i fatti e le notizie relative alla nostra organizzazione, seguendo il criterio di una rigorosa schematicità”: così il periodico destinato ai dipendenti del Gruppo in Italia annuncia la propria nascita sul n° 1 del febbraio 1950. In pieno periodo di ricostruzione dopo i disastri della guerra (i bombardamenti di via Ponte Seveso nel 1943 e di Bicocca nel 1944, la distruzione dello stabilimento di Tivoli, l’occupazione nazista, le deportazioni di massa), l’azienda ha comprensibilmente voglia di ritrovare una propria identità forte e coesa, tale da offrire ai lavoratori una speranza di pace e benessere duraturo. Fatti e Notizie viene gratuitamente spedito a casa a tutti i dipendenti: “L’onere che comporta questo foglio sarà ripagato se riuscirà a contribuire ad assolvere il compito di approfondire sempre più i legami fra tutti coloro che operano per l’efficienza dell’Azienda”.

Nei suoi primi anni di vita l’house organ raccoglie notizie pratiche, come quelle sull’assistenza sanitaria per i dipendenti, sulle attività del Centro Culturale e del Centro Sportivo, sulle novità della Biblioteca, sulle borse di studio per gli studenti e le iniziative per gli anziani. E poi i reportage dedicati di volta in volta alle diverse realtà aziendali, i fatti rilevanti nella vita del Gruppo, i nuovi prodotti posti in commercio. Insomma, una serie di mondi piccoli che – riuniti assieme – cominciano a costruire un unico grande mondo: un Gruppo che va diventando giorno dopo giorno un universo integrato e globale. Nei suoi quasi settant’anni di vita, Fatti e Notizie è leggibile come uno spaccato sempre più ampio di un’intera società che cambia riflettendosi nelle vicende aziendali: ed è la stessa filosofia alla base della rivistaPirelli pubblicata dal 1948 al 1972 anch’essa consultabile online sul sito della Fondazione Pirelli.

Con il passare del tempo, le pagine di Fatti e Notizie si fanno patinate e a colori. Cambia il formato, anche seguendo i gusti dell’epoca. Aumenta la foliazione, perchè sempre più grande e complessa è quella Pirelli di cui si racconta la vita. E cambiano i contenuti: dopo lo slancio ottimista degli anni Cinquanta e Sessanta, il giornale non si nasconderà ai grandi temi conflittuali degli anni Settanta – lavoro, emigrazione, questione femminile, ambiente – promuovendo inchieste di portata ampia e scevra di pregiudizi, per poi imboccare la via maestra dell’informazione istituzionale globale negli anni Ottanta e Novanta, con uno sguardo attento alle conquiste dell’informatica in tema di organizzazione del lavoro.

La “digitalizzazione” degli anni Duemila è ormai alle porte. Oggi Fatti e Notizie continua a essere prodotto nella consueta versione cartacea a disposizione di tutti i dipendenti ed è disponibile anche in versione quotidiana -pubblicata sulla intranet aziendale- con le ultime notizie dal mondo Pirelli.

Intere generazioni di “pirelliani” hanno potuto riconoscersi nelle foto degli atleti impegnati sul campo sportivo della Pro Patria a Bicocca, o nei sorrisi dei bambini ospitati nella colonia estiva di Pietraligure, o nelle tute degli operai premiati dalla “Cassetta delle Idee” per le loro invenzioni che rendevano più efficiente e sicura la macchina. Fatti e Notizie è stato, lo è ancora, uno strumento di aggregazione attraverso la condivisione di tematiche comuni tra i lavoratori. Sfogliarlo, sarà come fare un lungo viaggio a risalire l’Italia del Novecento. Un viaggio che, ieri come oggi, vede tutti noi idealmente a fianco di questa “P Lunga” che tanto fa parte della nostra vita.

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Le scuole a lezione di Innovazione in Fondazione Pirelli

InsideEdu è il progetto di videointerviste che dà voce ai bambini e ai ragazzi che partecipano alle attività didattiche del programma Fondazione Pirelli Educational. L’obiettivo della telecamera segue gli studenti durante lo svolgimento dei percorsi educativi: mentre visitano la Fondazione Pirelli e si confrontano con documenti originali come brevetti e bozzetti pubblicitari, intenti ad assistere e a partecipare a interventi di esperti o ancora nel momento in cui sono chiamati a mettere in pratica quello che hanno imparato realizzando una campagna pubblicitaria o programmando e mettendo in funzione un robot. Le loro impressioni e le loro opinioni sono state raccolte attraverso interviste realizzate proprio durante i percorsi presso la Fondazione Pirelli.

Il primo tema affrontato in questa serie di appuntamenti è il tema dell’Innovazione, negli ultimi anni sempre più centrale sia nel mondo dell’impresa sia in campo scolastico ed educativo.

Il modello di sviluppo tecnologico di Pirelli può costituire un interessante esempio per i giovani studenti che sempre di più si confronteranno con le nuove tecnologie e con la capacità innovativa delle aziende. La storia di Pirelli è infatti il risultato di quasi 150 anni di storia, di ricerca e produzione. Con oltre 6100 brevetti depositati dal 1872 a oggi l’azienda – nei suoi laboratori di Ricerca e Sviluppo – continua a sperimentare per realizzare prodotti sempre più innovativi e performanti, ma anche sempre più attenti alla sostenibilità e alla sicurezza. La Fondazione Pirelli conserva nel suo Archivio Storico le testimonianze di schede e disegni tecnici, progetti, studi e ricerche sui materiali di questo continuo sforzo dell’azienda per essere all’avanguardia.

Grazie anche alla presenza durante il percorso “Occhi meccanici, robot e musica per la fabbrica digitale” di ingegneri Pirelli specializzati nei nuovi processi di produzione di pneumatici, gli studenti possono scoprire le funzioni e le potenzialità del sistema robotico automatizzato Next Mirs e del Controllo Automatico Visivo (CVA) che permette di riconoscere in maniera robotizzata eventuali difetti del pneumatico, per poi costruire un piccolo robot, sperimentandone la programmazione. I ragazzi delle scuole medie e superiori inoltre possono vedere dal vivo le varie fasi di realizzazione dei pneumatici Pirelli e visitare, con la mediazione dello staff del Dipartimento Educativo di Fondazione Pirelli, il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, lo stabilimento Next-Mirs di Milano-Bicocca e il Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese. Attraverso questi percorsi formativi gli studenti si avvicinano quindi al mondo del lavoro e cominciano a confrontarsi con le nuove professionalità richieste dai cambiamenti prodotti dall’introduzione dei processi digitali.

Ma che cosa si aspettano i ragazzi dall’innovazione e dallo sviluppo tecnologico? Gli studenti intervistati si prefigurano “città fatte di robot” e “macchine capaci di svolgere dei compiti che permettano di facilitare la vita e di vivere nuove esperienze senza bisogno dell’intervento umano”. Importante è quindi trasmettere loro che anche l’utilizzo delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale richiede comunque una mediazione umana, e sottolineare l’importanza di sviluppare competenze che permettano di lavorare con le macchine intelligenti. Perché anche la scuola sia preparata a un futuro sempre più digitale e connesso.

InsideEdu è il progetto di videointerviste che dà voce ai bambini e ai ragazzi che partecipano alle attività didattiche del programma Fondazione Pirelli Educational. L’obiettivo della telecamera segue gli studenti durante lo svolgimento dei percorsi educativi: mentre visitano la Fondazione Pirelli e si confrontano con documenti originali come brevetti e bozzetti pubblicitari, intenti ad assistere e a partecipare a interventi di esperti o ancora nel momento in cui sono chiamati a mettere in pratica quello che hanno imparato realizzando una campagna pubblicitaria o programmando e mettendo in funzione un robot. Le loro impressioni e le loro opinioni sono state raccolte attraverso interviste realizzate proprio durante i percorsi presso la Fondazione Pirelli.

Il primo tema affrontato in questa serie di appuntamenti è il tema dell’Innovazione, negli ultimi anni sempre più centrale sia nel mondo dell’impresa sia in campo scolastico ed educativo.

Il modello di sviluppo tecnologico di Pirelli può costituire un interessante esempio per i giovani studenti che sempre di più si confronteranno con le nuove tecnologie e con la capacità innovativa delle aziende. La storia di Pirelli è infatti il risultato di quasi 150 anni di storia, di ricerca e produzione. Con oltre 6100 brevetti depositati dal 1872 a oggi l’azienda – nei suoi laboratori di Ricerca e Sviluppo – continua a sperimentare per realizzare prodotti sempre più innovativi e performanti, ma anche sempre più attenti alla sostenibilità e alla sicurezza. La Fondazione Pirelli conserva nel suo Archivio Storico le testimonianze di schede e disegni tecnici, progetti, studi e ricerche sui materiali di questo continuo sforzo dell’azienda per essere all’avanguardia.

Grazie anche alla presenza durante il percorso “Occhi meccanici, robot e musica per la fabbrica digitale” di ingegneri Pirelli specializzati nei nuovi processi di produzione di pneumatici, gli studenti possono scoprire le funzioni e le potenzialità del sistema robotico automatizzato Next Mirs e del Controllo Automatico Visivo (CVA) che permette di riconoscere in maniera robotizzata eventuali difetti del pneumatico, per poi costruire un piccolo robot, sperimentandone la programmazione. I ragazzi delle scuole medie e superiori inoltre possono vedere dal vivo le varie fasi di realizzazione dei pneumatici Pirelli e visitare, con la mediazione dello staff del Dipartimento Educativo di Fondazione Pirelli, il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, lo stabilimento Next-Mirs di Milano-Bicocca e il Polo Industriale Pirelli di Settimo Torinese. Attraverso questi percorsi formativi gli studenti si avvicinano quindi al mondo del lavoro e cominciano a confrontarsi con le nuove professionalità richieste dai cambiamenti prodotti dall’introduzione dei processi digitali.

Ma che cosa si aspettano i ragazzi dall’innovazione e dallo sviluppo tecnologico? Gli studenti intervistati si prefigurano “città fatte di robot” e “macchine capaci di svolgere dei compiti che permettano di facilitare la vita e di vivere nuove esperienze senza bisogno dell’intervento umano”. Importante è quindi trasmettere loro che anche l’utilizzo delle nuove tecnologie e dell’intelligenza artificiale richiede comunque una mediazione umana, e sottolineare l’importanza di sviluppare competenze che permettano di lavorare con le macchine intelligenti. Perché anche la scuola sia preparata a un futuro sempre più digitale e connesso.

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Cambiamenti di scenario e di contenuto

Una lettura attenta dei mutamenti in atto in Italia e nel mondo chiarisce cosa e come si muove

 

La consapevolezza della collocazione della propria attività continua ad essere uno degli elementi migliori per la creazione e gestione di una buona impresa. Vale ancora, a decenni di distanza, l’indicazione di Luigi Einaudi, conoscere per deliberare, e quindi ben gestire, sapientemente condurre, prudentemente prevedere in un mondo complesso ogni giorno di più e sempre più vario. Conoscenza dunque come strumento di cultura d’impresa saggia e importante.

Da qui anche l’importanza di leggere con attenzione “Il mondo cambia pelle?” e cioè il XXIII Rapporto sull’economia globale e l’Italia che il centro Einaudi di Torino ha appena dato alle stampe. Coordinato da Mario Deaglio (professore emerito di Economia internazionale presso l’Università di Torino) il libro – frutto dei contributi anche di Chiara Agostini, Giorgio Arfaras, Francesco Beraldi, Gabriele Guggiola, Paolo Migliavacca, Giuseppe Russo e Giorgio Vernoni -, continua la serie di volumi che ogni anno cercano di mettere a fuoco la collocazione del nostro Paese nell’ambito dei movimenti del resto del mondo che, per quest’edizione, viene identificato come un’entità “in corso di mutazione, soprattutto l’Occidente al quale apparteniamo”.

L’analisi viene quindi condotta sulla base di alcuni grandi punti di riferimento: la frattura che corre lungo l’Atlantico, tra un’Europa sotto scadenza elettorale e l’America di Donald Trump che sfida il commercio internazionale; la difficile equazione tra lavoro e capitale a dieci anni dal crack Lehman Brothers; Mosca al bivio tra Washington e un’Asia sempre più cinese. E’ in questo ambito che intanto l’Italia si ritrova alla ricerca di una via tra la fine delle ideologie e nuovi paradigmi di sostenibilità non solo ambientale, ma anche politica, finanziaria e sociale.

Il libro quindi inizia da una analisi della crescita (indebolita), per passare poi ad un approfondimento dei collegamenti fra lavoro e capitale (che necessitano entrambi di una non facile ridefinizione). Viene quindi messa a fuoco l’attuale situazione geopolitica per arrivare quindi all’approfondimento della situazione italiana. Le conclusioni approfondiscono quindi il concetto di sostenibilità aggiornandolo alla luce degli ultimi sviluppi che portano a quella che viene indicata come “economia circolare”.

Leggere il Rapporto non è sempre cosa facile, ma è certamente cosa utile, proprio per la costruzione di quella consapevolezza di cui si diceva all’inizio.

Il mondo cambia pelle? XXIII Rapporto sull’economia globale e l’Italia

Deaglio Mario (a cura di)

Guerini e Associati, 2019

Una lettura attenta dei mutamenti in atto in Italia e nel mondo chiarisce cosa e come si muove

 

La consapevolezza della collocazione della propria attività continua ad essere uno degli elementi migliori per la creazione e gestione di una buona impresa. Vale ancora, a decenni di distanza, l’indicazione di Luigi Einaudi, conoscere per deliberare, e quindi ben gestire, sapientemente condurre, prudentemente prevedere in un mondo complesso ogni giorno di più e sempre più vario. Conoscenza dunque come strumento di cultura d’impresa saggia e importante.

Da qui anche l’importanza di leggere con attenzione “Il mondo cambia pelle?” e cioè il XXIII Rapporto sull’economia globale e l’Italia che il centro Einaudi di Torino ha appena dato alle stampe. Coordinato da Mario Deaglio (professore emerito di Economia internazionale presso l’Università di Torino) il libro – frutto dei contributi anche di Chiara Agostini, Giorgio Arfaras, Francesco Beraldi, Gabriele Guggiola, Paolo Migliavacca, Giuseppe Russo e Giorgio Vernoni -, continua la serie di volumi che ogni anno cercano di mettere a fuoco la collocazione del nostro Paese nell’ambito dei movimenti del resto del mondo che, per quest’edizione, viene identificato come un’entità “in corso di mutazione, soprattutto l’Occidente al quale apparteniamo”.

L’analisi viene quindi condotta sulla base di alcuni grandi punti di riferimento: la frattura che corre lungo l’Atlantico, tra un’Europa sotto scadenza elettorale e l’America di Donald Trump che sfida il commercio internazionale; la difficile equazione tra lavoro e capitale a dieci anni dal crack Lehman Brothers; Mosca al bivio tra Washington e un’Asia sempre più cinese. E’ in questo ambito che intanto l’Italia si ritrova alla ricerca di una via tra la fine delle ideologie e nuovi paradigmi di sostenibilità non solo ambientale, ma anche politica, finanziaria e sociale.

Il libro quindi inizia da una analisi della crescita (indebolita), per passare poi ad un approfondimento dei collegamenti fra lavoro e capitale (che necessitano entrambi di una non facile ridefinizione). Viene quindi messa a fuoco l’attuale situazione geopolitica per arrivare quindi all’approfondimento della situazione italiana. Le conclusioni approfondiscono quindi il concetto di sostenibilità aggiornandolo alla luce degli ultimi sviluppi che portano a quella che viene indicata come “economia circolare”.

Leggere il Rapporto non è sempre cosa facile, ma è certamente cosa utile, proprio per la costruzione di quella consapevolezza di cui si diceva all’inizio.

Il mondo cambia pelle? XXIII Rapporto sull’economia globale e l’Italia

Deaglio Mario (a cura di)

Guerini e Associati, 2019

Per l’economia italiana l’Europa vale più di un miliardo di export al giorno

Un miliardo al giorno, per ogni giorno di lavoro. E’ il valore delle merci che escono quotidianamente dai cancelli delle fabbriche italiane per raggiungere i mercati europei. 250 miliardi all’anno, più o meno. Oltre metà di tutto l’export del nostro paese. Un miliardo al giorno, o poco più, di prodotti meccanici e meccatronici, farmaceutici, chimici e plastici, innanzitutto, ma anche dell’arredamento, dell’abbigliamento e dell’agro-alimentare, che prendono la strada della Germania e della Francia, innanzitutto e poi degli altri paesi della Ue. Una straordinaria ricchezza, molto maggiore del costo dei beni che importiamo, al netto dell’energia. Il 16% del nostro Pil. Il motore di un’economia di cui le imprese migliori, più aperte e innovative, sono le protagoniste principali. Proprio quelle imprese che il governo giallo-verde si ostina a ostacolare, non ascoltare, mettere in difficoltà con leggi inefficienti e scarsi investimenti per le infrastrutture.

Un miliardo al giorno. E’ un dato impressionante, di cui purtroppo gran parte dell’opinione pubblica non è ben consapevole. Perché, se ce ne fosse veramente coscienza, sarebbe evidente il rischio di povertà che fa correre a tutti noi ogni scelta politica e di governo che pretende di opporre l’Italia alla Ue, gioca ad alzare muri e barriere tra noi e gli altri, insiste nel considerare Germania e Francia avversari e antagonisti piuttosto che partner di una competizione e, contemporaneamente, di una collaborazione per fare pesare sempre di più l’Europa sul palcoscenico di una difficile situazione degli scambi globali.

Il calcolo l’ha fatto, con intelligenza, Andrea Montanino, responsabile del Centro Studi di Confindustria (La Stampa, 22 gennaio). Mette in luce, con grande evidenza, l’interdipendenza delle principali economie europee (il successo e la forza dell’industria dell’auto tedesca, Bmw, Audi e Mercedes, dipende molto dalla straordinaria componentistica italiana, uno dei più sofisticati e innovativi settori della nostra manifattura). E sottolinea quanto sia necessario, per la crescita comune, rafforzare i mercati Ue, piuttosto che indebolirli con anacronistici protezionismi. Indispensabile, semmai, fare passi avanti anche su tre mercati su cui l’integrazione europea è carente: quello dell’energia, quello digitale e quello dei capitali. Più Europa, insomma, invece che meno Europa.

Una conferma arriva pure dalle tensioni che stanno accompagnando la sciagurata scelta politica della Brexit: imprese che chiudono e si preparano a trasferire altrove i loro impianti (Nissan, per gli stabilimenti dell’auto, è solo l’ultimo esempio), servizi legati alla manifattura che scelgono di andare a Parigi, a Francoforte, ad Amsterdam o a Milano, preoccupazioni crescenti che riguardano le forniture di beni alimentari e di medicinali, sino a fare temere ripercussioni per l’ordine pubblico. L’economia del Regno Unito si rimpicciolirà dell’8% nei 15 anni successivi alla Brexit, calcola la Banca d’Inghilterra, mentre la sterlina perderà sino a un quarto del suo valore. Con tutte le conseguenze sul lavoro, i redditi, i servizi sociali, il benessere diffuso. Paese più povero e fragile, appunto.

Man mano che ci si avvicina al voto di maggio per il rinnovo del Parlamento europeo, sono proprio questi i temi che vengono in primo piano e che dovrebbero essere occasioni di confronto all’interno delle opinioni pubbliche dei vari paesi, al di là della propaganda nazionalista e populista. Dati economici, questioni legate allo sviluppo sociale e civile, valori.

Nell’Europa da riformare e rafforzare, oltre le strettoie burocratiche e le ideologiche ortodossie dell’austerità formale, vale la pena cominciare a usare analisi dense di competenze, riflessioni critiche responsabili (ben informate, dunque, e non affollate da fake news e scadente propaganda supportata da chi, a Mosca e a Washington, vede i valori e gli interessi dell’Europa come ostacoli da abbattere), memoria e attenzione per il “grande futuro” d’una maggiore e migliore integrazione e non il “piccolo futuro” delle paure , delle chiusure e dei nazionalismi gretti.

Ricchezza, benessere e valori, appunto. Rivendicando quel che di buono è stato finora costruito, riformando istituzioni e strumenti dei mercati, migliorando istituzioni e organismi Ue. L’obiettivo: Europa, nonostante tutto.

Un’indicazione di cui temere gran conto viene da uno dei maggiori filosofi europei contemporanei, Bernard-Henri Lévy, che alla fine di gennaio ha annunciato proprio da Milano, dal Teatro Parenti, una tournée europea in venti tappe, dal 5 marzo al 20 maggio (ultima tappa a Parigi), per parlare di Europa, animare dibattiti, raccogliere consensi contro il populismo e i nazionalismi e suscitare nuove speranze in chi crede in un’Europa migliore (“La Stampa” e “La Lettura” del “Corriere della Sera” hanno già dato ampio spazio all’iniziativa, che ha raccolto subito alcune decine di firme di sostegno di parecchi dei migliori protagonisti della cultura europea).

Sostiene Henri Lévy: “Vado in giro a spiegare perché l’Europa è una bella idea, perché è l’ultima utopia possibile per i nostri giovani e l’unica soluzione per i nostri Paesi. Un’Europa minacciata dall’esterno, dagli attacchi di Trump e Putin, e dall’interno da chi non crede nei suoi valori, il libero pensiero, l’umanesimo, la democrazia rappresentativa. E minacciata soprattutto dalla nostra pigrizia”. Insiste il filosofo: “Per cinquant’anni abbiamo pensato che l’Europa si sarebbe fatta da sola, ma non è così. In Francia, ma anche in Italia, troppa gente è persuasa di avere già perso la partita. Pensano che Marine Le Pen sia una fascista ma prima o poi vincerà lo stesso. Ma non è così”.

C’è, nelle parole di Henri Lévy, un monito sulla necessità di impegnarsi, a non dare per acquisiti né la democrazia liberale né i diritti, a lavorare con idee e iniziative per un’operazione complessa ma indispensabile di difesa dell’Europa e contemporaneamente di riforma e rilancio. La questione riguarda molto da vicino proprio l’Italia, in un momento difficile di recessione e di crescente fragilità dell’economia e del tessuto sociale. E vale la pena ragionare su quali strumenti europei usare meglio per vivere e crescere. Lavoro e libertà, benessere attuale, progetti di futuro. Orizzonte europeo, appunto.

Un miliardo al giorno, per ogni giorno di lavoro. E’ il valore delle merci che escono quotidianamente dai cancelli delle fabbriche italiane per raggiungere i mercati europei. 250 miliardi all’anno, più o meno. Oltre metà di tutto l’export del nostro paese. Un miliardo al giorno, o poco più, di prodotti meccanici e meccatronici, farmaceutici, chimici e plastici, innanzitutto, ma anche dell’arredamento, dell’abbigliamento e dell’agro-alimentare, che prendono la strada della Germania e della Francia, innanzitutto e poi degli altri paesi della Ue. Una straordinaria ricchezza, molto maggiore del costo dei beni che importiamo, al netto dell’energia. Il 16% del nostro Pil. Il motore di un’economia di cui le imprese migliori, più aperte e innovative, sono le protagoniste principali. Proprio quelle imprese che il governo giallo-verde si ostina a ostacolare, non ascoltare, mettere in difficoltà con leggi inefficienti e scarsi investimenti per le infrastrutture.

Un miliardo al giorno. E’ un dato impressionante, di cui purtroppo gran parte dell’opinione pubblica non è ben consapevole. Perché, se ce ne fosse veramente coscienza, sarebbe evidente il rischio di povertà che fa correre a tutti noi ogni scelta politica e di governo che pretende di opporre l’Italia alla Ue, gioca ad alzare muri e barriere tra noi e gli altri, insiste nel considerare Germania e Francia avversari e antagonisti piuttosto che partner di una competizione e, contemporaneamente, di una collaborazione per fare pesare sempre di più l’Europa sul palcoscenico di una difficile situazione degli scambi globali.

Il calcolo l’ha fatto, con intelligenza, Andrea Montanino, responsabile del Centro Studi di Confindustria (La Stampa, 22 gennaio). Mette in luce, con grande evidenza, l’interdipendenza delle principali economie europee (il successo e la forza dell’industria dell’auto tedesca, Bmw, Audi e Mercedes, dipende molto dalla straordinaria componentistica italiana, uno dei più sofisticati e innovativi settori della nostra manifattura). E sottolinea quanto sia necessario, per la crescita comune, rafforzare i mercati Ue, piuttosto che indebolirli con anacronistici protezionismi. Indispensabile, semmai, fare passi avanti anche su tre mercati su cui l’integrazione europea è carente: quello dell’energia, quello digitale e quello dei capitali. Più Europa, insomma, invece che meno Europa.

Una conferma arriva pure dalle tensioni che stanno accompagnando la sciagurata scelta politica della Brexit: imprese che chiudono e si preparano a trasferire altrove i loro impianti (Nissan, per gli stabilimenti dell’auto, è solo l’ultimo esempio), servizi legati alla manifattura che scelgono di andare a Parigi, a Francoforte, ad Amsterdam o a Milano, preoccupazioni crescenti che riguardano le forniture di beni alimentari e di medicinali, sino a fare temere ripercussioni per l’ordine pubblico. L’economia del Regno Unito si rimpicciolirà dell’8% nei 15 anni successivi alla Brexit, calcola la Banca d’Inghilterra, mentre la sterlina perderà sino a un quarto del suo valore. Con tutte le conseguenze sul lavoro, i redditi, i servizi sociali, il benessere diffuso. Paese più povero e fragile, appunto.

Man mano che ci si avvicina al voto di maggio per il rinnovo del Parlamento europeo, sono proprio questi i temi che vengono in primo piano e che dovrebbero essere occasioni di confronto all’interno delle opinioni pubbliche dei vari paesi, al di là della propaganda nazionalista e populista. Dati economici, questioni legate allo sviluppo sociale e civile, valori.

Nell’Europa da riformare e rafforzare, oltre le strettoie burocratiche e le ideologiche ortodossie dell’austerità formale, vale la pena cominciare a usare analisi dense di competenze, riflessioni critiche responsabili (ben informate, dunque, e non affollate da fake news e scadente propaganda supportata da chi, a Mosca e a Washington, vede i valori e gli interessi dell’Europa come ostacoli da abbattere), memoria e attenzione per il “grande futuro” d’una maggiore e migliore integrazione e non il “piccolo futuro” delle paure , delle chiusure e dei nazionalismi gretti.

Ricchezza, benessere e valori, appunto. Rivendicando quel che di buono è stato finora costruito, riformando istituzioni e strumenti dei mercati, migliorando istituzioni e organismi Ue. L’obiettivo: Europa, nonostante tutto.

Un’indicazione di cui temere gran conto viene da uno dei maggiori filosofi europei contemporanei, Bernard-Henri Lévy, che alla fine di gennaio ha annunciato proprio da Milano, dal Teatro Parenti, una tournée europea in venti tappe, dal 5 marzo al 20 maggio (ultima tappa a Parigi), per parlare di Europa, animare dibattiti, raccogliere consensi contro il populismo e i nazionalismi e suscitare nuove speranze in chi crede in un’Europa migliore (“La Stampa” e “La Lettura” del “Corriere della Sera” hanno già dato ampio spazio all’iniziativa, che ha raccolto subito alcune decine di firme di sostegno di parecchi dei migliori protagonisti della cultura europea).

Sostiene Henri Lévy: “Vado in giro a spiegare perché l’Europa è una bella idea, perché è l’ultima utopia possibile per i nostri giovani e l’unica soluzione per i nostri Paesi. Un’Europa minacciata dall’esterno, dagli attacchi di Trump e Putin, e dall’interno da chi non crede nei suoi valori, il libero pensiero, l’umanesimo, la democrazia rappresentativa. E minacciata soprattutto dalla nostra pigrizia”. Insiste il filosofo: “Per cinquant’anni abbiamo pensato che l’Europa si sarebbe fatta da sola, ma non è così. In Francia, ma anche in Italia, troppa gente è persuasa di avere già perso la partita. Pensano che Marine Le Pen sia una fascista ma prima o poi vincerà lo stesso. Ma non è così”.

C’è, nelle parole di Henri Lévy, un monito sulla necessità di impegnarsi, a non dare per acquisiti né la democrazia liberale né i diritti, a lavorare con idee e iniziative per un’operazione complessa ma indispensabile di difesa dell’Europa e contemporaneamente di riforma e rilancio. La questione riguarda molto da vicino proprio l’Italia, in un momento difficile di recessione e di crescente fragilità dell’economia e del tessuto sociale. E vale la pena ragionare su quali strumenti europei usare meglio per vivere e crescere. Lavoro e libertà, benessere attuale, progetti di futuro. Orizzonte europeo, appunto.

Benessere d’impresa

Il secondo Rapporto sul welfare aziendale di Censis-Eudaimon scatta la fotografia aggiornata sulla situazione e indica cosa ancora manca

Lavorare e stare bene in azienda. Obiettivo raggiungibile, anche se il percorso per arrivarci può essere impervio. Questione essenziale di cultura d’impresa. Capirne i passaggi è cruciale, conoscere esperienze singole anche, avere l’indicazione quantitativa dell’evoluzione della situazione è importante. Per approfondire tutto il secondo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale è una buona lettura.

La ricerca prendere in considerazione diversi aspetti che ruotano attorno all’occupazione e al welfare: la “quantità” di lavoro in quanto tale, gli “esempi” di lavoro, la “remunerazione” del lavoro, il “benessere” del lavoro. Emerge così che l’Italia continua a creare meno occupazione di altri Paesi, che i giovani occupati sono in venti anni percentualmente diminuiti e che la loro distribuzione è cambiata. Ma anche che il livello di remunerazione è diminuito e mutato nel confronto fra le diverse figure professionali, mentre la “quantità” di lavoro degli occupati si è accresciuta e fatta più complessa. Poi c’è il welfare. Se, dice la ricerca, il benessere dei lavoratori è diminuito dal punto di vista dei parametri classici del lavoro, la risposta del sistema della produzione è stata la creazione di un welfare d’impresa più ampio e variegato. Che pare stia dando risultati apprezzabili declinati anche in un ventaglio di valutazioni diversificate a seconda della tipologia di servizio offerta. Di ogni elemento, Censis fornisce un dato qualitativo e uno quantitativo. Ne emerge un’indicazione: nonostante tutto, un buon welfare aziendale in Italia esiste, e può ancora crescere. Ma occorrono risorse, certo, oltre che una continua cura di quella cultura d’impresa attenta alla persona oltre che al risultato numerico di bilancio che, d’altra parte, in Italia ha profonde radici.

Il secondo Rapporto Censis-Eudaimon è un buon strumento di conoscenza e quindi d’azione per accrescere la consapevolezza di quanto occorre oggi per migliorare le condizioni della produzione sotto tutti gli aspetti.

2° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale

Aa.VV.

Censis, 2019

Il secondo Rapporto sul welfare aziendale di Censis-Eudaimon scatta la fotografia aggiornata sulla situazione e indica cosa ancora manca

Lavorare e stare bene in azienda. Obiettivo raggiungibile, anche se il percorso per arrivarci può essere impervio. Questione essenziale di cultura d’impresa. Capirne i passaggi è cruciale, conoscere esperienze singole anche, avere l’indicazione quantitativa dell’evoluzione della situazione è importante. Per approfondire tutto il secondo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale è una buona lettura.

La ricerca prendere in considerazione diversi aspetti che ruotano attorno all’occupazione e al welfare: la “quantità” di lavoro in quanto tale, gli “esempi” di lavoro, la “remunerazione” del lavoro, il “benessere” del lavoro. Emerge così che l’Italia continua a creare meno occupazione di altri Paesi, che i giovani occupati sono in venti anni percentualmente diminuiti e che la loro distribuzione è cambiata. Ma anche che il livello di remunerazione è diminuito e mutato nel confronto fra le diverse figure professionali, mentre la “quantità” di lavoro degli occupati si è accresciuta e fatta più complessa. Poi c’è il welfare. Se, dice la ricerca, il benessere dei lavoratori è diminuito dal punto di vista dei parametri classici del lavoro, la risposta del sistema della produzione è stata la creazione di un welfare d’impresa più ampio e variegato. Che pare stia dando risultati apprezzabili declinati anche in un ventaglio di valutazioni diversificate a seconda della tipologia di servizio offerta. Di ogni elemento, Censis fornisce un dato qualitativo e uno quantitativo. Ne emerge un’indicazione: nonostante tutto, un buon welfare aziendale in Italia esiste, e può ancora crescere. Ma occorrono risorse, certo, oltre che una continua cura di quella cultura d’impresa attenta alla persona oltre che al risultato numerico di bilancio che, d’altra parte, in Italia ha profonde radici.

Il secondo Rapporto Censis-Eudaimon è un buon strumento di conoscenza e quindi d’azione per accrescere la consapevolezza di quanto occorre oggi per migliorare le condizioni della produzione sotto tutti gli aspetti.

2° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale

Aa.VV.

Censis, 2019

Fondazione Pirelli partecipa a MuseoCity 2019

Domenica 3 marzo Fondazione Pirelli partecipa con tour guidati e laboratori per bambini alla terza edizione di MuseoCity, iniziativa promossa dal Comune di Milano.

Pirelli, una storia di innovazione e passione: gomma, tecnologia, lavoro e ambiente”, è il titolo dei tour guidati che condurranno il visitatore, tra immagini e testimonianze, alla scoperta di quasi un secolo e mezzo di storia di processi, materie prime e prodotti sostenibili. Una storia di persone e di macchine, di ricerca, dove l’ingegno dell’uomo si incontra con la natura per trovare materiali innovativi e processi di produzione sempre più rispettosi per l’uomo e per l’ambiente. Dall’edificio dell’Headquarters Pirelli, progettato attorno alla storica Torre di raffreddamento del vecchio stabilimento di Bicocca, alla Fondazione Pirelli – dove si conservano preziose immagini e testimonianze della cultura sostenibile, ambientale e sociale dell’azienda – passando per la e la quattrocentesca Bicocca degli Arcimboldi, con le sue suggestioni leonardesche.

Ingresso: Headquarters Pirelli, via Bicocca degli Arcimboldi 3, Milano
Orari visite guidate (durata 1 ora e 30 circa):
mattino ore 10, 11, 12 pomeriggio ore 14, 15, 16, 17, 18
Prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti cliccando qui

Per i più piccoli dai 6 ai 10 anni invece due appuntamenti con il laboratorio con visita guidata “Acqua, aria, terra e fuoco… elementi naturali per un buon pneumatico”: dalla gomma raccolta da un albero all’energia prodotta dall’acqua e dall’aria, al fuoco che cuoce e dà la forma. I giovani visitatori, attraverso un percorso che partirà dalla torre di raffreddamento del vecchio stabilimento Pirelli, scopriranno come questi elementi naturali siano parte della creazione di un pneumatico. Seguendo questa incredibile ricetta sarà possibile, attraverso semplici esperimenti, capire come la natura sia importante nella realizzazione di prodotti innovativi e oggetti di gomma e come sia importante rispettarla.
Durante lo svolgimento delle attività laboratoriali i genitori potranno partecipare, su prenotazione, all’interno dell’Headquarters Pirelli, alla visita guidata “Pirelli, una storia di innovazione e passione: gomma, tecnologia, lavoro e ambiente” oppure visitare liberamente il percorso espositivo dedicato alla cultura sostenibile di Pirelli tra documenti storici e audiovisivi.

Ingresso: Headquarters Pirelli, via Bicocca degli Arcimboldi 3, Milano
Attività didattica (durata 1 ora e 15 circa)
Primo turno ore 11, secondo turno ore 16
Prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti scrivendo a visite@fondazionepirelli.org

Domenica 3 marzo Fondazione Pirelli partecipa con tour guidati e laboratori per bambini alla terza edizione di MuseoCity, iniziativa promossa dal Comune di Milano.

Pirelli, una storia di innovazione e passione: gomma, tecnologia, lavoro e ambiente”, è il titolo dei tour guidati che condurranno il visitatore, tra immagini e testimonianze, alla scoperta di quasi un secolo e mezzo di storia di processi, materie prime e prodotti sostenibili. Una storia di persone e di macchine, di ricerca, dove l’ingegno dell’uomo si incontra con la natura per trovare materiali innovativi e processi di produzione sempre più rispettosi per l’uomo e per l’ambiente. Dall’edificio dell’Headquarters Pirelli, progettato attorno alla storica Torre di raffreddamento del vecchio stabilimento di Bicocca, alla Fondazione Pirelli – dove si conservano preziose immagini e testimonianze della cultura sostenibile, ambientale e sociale dell’azienda – passando per la e la quattrocentesca Bicocca degli Arcimboldi, con le sue suggestioni leonardesche.

Ingresso: Headquarters Pirelli, via Bicocca degli Arcimboldi 3, Milano
Orari visite guidate (durata 1 ora e 30 circa):
mattino ore 10, 11, 12 pomeriggio ore 14, 15, 16, 17, 18
Prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti cliccando qui

Per i più piccoli dai 6 ai 10 anni invece due appuntamenti con il laboratorio con visita guidata “Acqua, aria, terra e fuoco… elementi naturali per un buon pneumatico”: dalla gomma raccolta da un albero all’energia prodotta dall’acqua e dall’aria, al fuoco che cuoce e dà la forma. I giovani visitatori, attraverso un percorso che partirà dalla torre di raffreddamento del vecchio stabilimento Pirelli, scopriranno come questi elementi naturali siano parte della creazione di un pneumatico. Seguendo questa incredibile ricetta sarà possibile, attraverso semplici esperimenti, capire come la natura sia importante nella realizzazione di prodotti innovativi e oggetti di gomma e come sia importante rispettarla.
Durante lo svolgimento delle attività laboratoriali i genitori potranno partecipare, su prenotazione, all’interno dell’Headquarters Pirelli, alla visita guidata “Pirelli, una storia di innovazione e passione: gomma, tecnologia, lavoro e ambiente” oppure visitare liberamente il percorso espositivo dedicato alla cultura sostenibile di Pirelli tra documenti storici e audiovisivi.

Ingresso: Headquarters Pirelli, via Bicocca degli Arcimboldi 3, Milano
Attività didattica (durata 1 ora e 15 circa)
Primo turno ore 11, secondo turno ore 16
Prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti scrivendo a visite@fondazionepirelli.org

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