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Pirelli in prima linea per “formare i lettori del domani”: così nasce Campiello Junior

Cultura d’impresa per progettare il futuro. Pirelli, un secolo e mezzo di storie e innovazioni

Da settembre al via le nuove attività didattiche gratuite per le scuole.

Mobilità sostenibile, ricerca sulle materie prime rinnovabili, innovazione e sviluppo tecnologico, creatività e nuovi strumenti di comunicazione, le fabbriche del futuro saranno le principali tematiche al centro dei nuovi percorsi.

Innovare è sempre stato un tratto distintivo della Pirelli e con i percorsi digitali di Fondazione Pirelli Educational 2021/2022 gli studenti  potranno scoprire le novità introdotte dall’azienda in campo tecnologico e industriale, in quello architettonico e della comunicazione visiva e nell’ambito della sostenibiltà ambientale e sociale. I materiali dell’Archivio Storico che testimoniano e raccontano queste storie di sviluppo e innovazione potranno costituire la fonte di riflessione e ispirazione per l’ideazione di nuovi progetti.

Attraverso la guida dello staff di Fondazione Pirelli gli studenti infatti potranno entrare virtualmente in archivio, imparando a fare ricerche approfondite e sviluppare contenuti che porteranno a elaborati diversi per ogni tipo di laboratorio.

In particolare, i bambini delle scuole primarie potranno viaggiare tra diversi luoghi ed epoche per scoprire le grandi invenzioni che hanno cambiato la nostra vista quotidiana e conoscere lo sviluppo della prima fabbrica della gomma in Italia realizzando poi in classe una mostra. Oppure conoscere la città di Milano attraverso i luoghi più “pirelliani” da inserire nella loro personale mappa.

Gli studenti delle scuole secondarie di I grado entreranno nel vivo della produzione di pneumatici per coglierne la complessità, e scopriranno le gare più avvincenti su mezzi gommati Pirelli. Potranno conoscere le trasformazioni urbanistiche di Milano nell’arco del Novecento e ideare mappe interattive o realizzare una storia a fumetti per raccontare tutti i segreti della gomma.

Infine, i ragazzi delle scuole secondarie di II grado saranno invitati a produrre podcast, ideare manifesti  lasciandosi ispirare dai grandi maestri della grafica come Bob Noorda, Lora Lamm e Bruno Munari oppure a sviluppare il progetto di un quartier generale aziendale  del futuro rispettando i criteri fondamentali di sostenibilità, a partire dal confronto con i progetti di architetti come Gio Ponti, Vittorio Gregotti e Renzo Piano. Lo studio delle innovazioni tecnologiche introdotte da Pirelli nell’arco di  centocinquant’anni  nella produzione di pneumatici sicuri e sostenibili permetterà inoltre agli studenti di sviluppare un approccio creativo e al tempo stesso scientifico verso la realtà che li circonda.

La modalità online, consolidata durante l’arco del passato anno scolastico, sarà arricchita grazie a nuovi virtual tour, podcast, video e attività creative che aiuteranno bambini e ragazzi ad approfondire i 150 anni di cultura d’impresa di Pirelli e costituiranno il punto di partenza per immaginare e progettare il nostro futuro. Sarà possibile inoltre proseguire in autonomia lo studio degli argomenti trattati grazie ai contenuti forniti.

Lunedì 20 settembre 2021 alle ore 17,30 si terrà un webinar per conoscere i nuovi percorsi a disposizione delle classi di tutta Italia.

Il webinar è aperto ai docenti e a tutte le persone interessate.

Per partecipare scrivere a scuole@fondazionepirelli.org indicando nome e cognome e, se insegnanti, principali materie d’interesse e istituto scolastico. Riceverete in seguito un link per partecipare attraverso la piattaforma Microsoft Teams.

Per rimanere sempre aggiornati sulle nostre attività vi invitiamo a iscrivervi alla mailing list di Fondazione Pirelli dalla homepage del sito.

Da settembre al via le nuove attività didattiche gratuite per le scuole.

Mobilità sostenibile, ricerca sulle materie prime rinnovabili, innovazione e sviluppo tecnologico, creatività e nuovi strumenti di comunicazione, le fabbriche del futuro saranno le principali tematiche al centro dei nuovi percorsi.

Innovare è sempre stato un tratto distintivo della Pirelli e con i percorsi digitali di Fondazione Pirelli Educational 2021/2022 gli studenti  potranno scoprire le novità introdotte dall’azienda in campo tecnologico e industriale, in quello architettonico e della comunicazione visiva e nell’ambito della sostenibiltà ambientale e sociale. I materiali dell’Archivio Storico che testimoniano e raccontano queste storie di sviluppo e innovazione potranno costituire la fonte di riflessione e ispirazione per l’ideazione di nuovi progetti.

Attraverso la guida dello staff di Fondazione Pirelli gli studenti infatti potranno entrare virtualmente in archivio, imparando a fare ricerche approfondite e sviluppare contenuti che porteranno a elaborati diversi per ogni tipo di laboratorio.

In particolare, i bambini delle scuole primarie potranno viaggiare tra diversi luoghi ed epoche per scoprire le grandi invenzioni che hanno cambiato la nostra vista quotidiana e conoscere lo sviluppo della prima fabbrica della gomma in Italia realizzando poi in classe una mostra. Oppure conoscere la città di Milano attraverso i luoghi più “pirelliani” da inserire nella loro personale mappa.

Gli studenti delle scuole secondarie di I grado entreranno nel vivo della produzione di pneumatici per coglierne la complessità, e scopriranno le gare più avvincenti su mezzi gommati Pirelli. Potranno conoscere le trasformazioni urbanistiche di Milano nell’arco del Novecento e ideare mappe interattive o realizzare una storia a fumetti per raccontare tutti i segreti della gomma.

Infine, i ragazzi delle scuole secondarie di II grado saranno invitati a produrre podcast, ideare manifesti  lasciandosi ispirare dai grandi maestri della grafica come Bob Noorda, Lora Lamm e Bruno Munari oppure a sviluppare il progetto di un quartier generale aziendale  del futuro rispettando i criteri fondamentali di sostenibilità, a partire dal confronto con i progetti di architetti come Gio Ponti, Vittorio Gregotti e Renzo Piano. Lo studio delle innovazioni tecnologiche introdotte da Pirelli nell’arco di  centocinquant’anni  nella produzione di pneumatici sicuri e sostenibili permetterà inoltre agli studenti di sviluppare un approccio creativo e al tempo stesso scientifico verso la realtà che li circonda.

La modalità online, consolidata durante l’arco del passato anno scolastico, sarà arricchita grazie a nuovi virtual tour, podcast, video e attività creative che aiuteranno bambini e ragazzi ad approfondire i 150 anni di cultura d’impresa di Pirelli e costituiranno il punto di partenza per immaginare e progettare il nostro futuro. Sarà possibile inoltre proseguire in autonomia lo studio degli argomenti trattati grazie ai contenuti forniti.

Lunedì 20 settembre 2021 alle ore 17,30 si terrà un webinar per conoscere i nuovi percorsi a disposizione delle classi di tutta Italia.

Il webinar è aperto ai docenti e a tutte le persone interessate.

Per partecipare scrivere a scuole@fondazionepirelli.org indicando nome e cognome e, se insegnanti, principali materie d’interesse e istituto scolastico. Riceverete in seguito un link per partecipare attraverso la piattaforma Microsoft Teams.

Per rimanere sempre aggiornati sulle nostre attività vi invitiamo a iscrivervi alla mailing list di Fondazione Pirelli dalla homepage del sito.

Scienza, teatro e umanesimo digitale: la cultura popolare è volano di sviluppo

La cultura come “volano di ripresa e sviluppo”. E come strumento per rendere efficaci le scelte sulla sostenibilità, in nome di un migliore avvenire delle nuove generazioni, promuovendo “educazione e sapere”. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, nel cuore dell’estate, ha aperto così il G20 Cultura, nella platea del Colosseo, cornice straordinaria per la discussione tra i ministri della Cultura dei più grandi paesi del mondo. E il motto del G20, People Planet Prosperity è stato declinato nell’affermazione dei valori della bellezza e dell’ambiente, dei diritti contro ogni discriminazione, delle relazioni positive tra memoria e futuro, custodia delle radici e stimolo per l’innovazione. Prosperity, appunto, nell’era del post Covid.

Nel documento finale, approvato all’unanimità, si afferma che “i settori culturali e creativi rappresentano di per sé importanti motori economici e sono una fonte significativa di posti di lavoro e reddito e generano importanti ricadute per l’economia in generale, essendo motori di innovazione e fonti di capacità creative”. Occorre dunque riconoscerne e valorizzarne “l’impatto sociale” per “sostenere la salute e il benessere, promuovere l’inclusione sociale, l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile, il capitale sociale locale” e per “amplificare il cambiamento comportamentale e la trasformazione verso pratiche di produzione e consumo più sostenibili”. L’Italia, a giudizio di Draghi e del ministro della Cultura Dario Franceschini, è un esemplare “laboratorio di idee”. Adesso, servono “scelte coraggiose” per tradurle in pratica, per difendere e fare crescere “il patrimonio monumentale e culturale” e farne una leva positiva per la crescita economica e sociale. Le indicazioni del Recovery Plan Next Generation Ue vanno proprio in questa direzione, a patto che la spesa pubblica e gli investimenti privati stimolati siano coerenti con i propositi politici, sia del G20 che dell’Europa.

C’è un aspetto particolare, che emerge sia dai discorsi di Draghi e Franceschini sia da altri interventi sulla cultura ascoltati e letti in queste settimane d’estate. L’idea di una cultura “per tutti”, accessibile a tutti, comprensibile per tutti. Una vera e propria cultura popolare.

Popolare perché aperta e dialogante, dunque tutt’altro che sciatta, volgare, banale. Popolare perché capace di mescolare “alto” e “basso”, la sinfonia e le canzoni, il grande cinema dei racconti e delle emozioni (Billy Wilder, Sergio Leone…) e la “commedia all’italiana” di Monicelli e Risi, i buoni premi letterari con le giurie dei lettori, come il Campiello, l’editoria di qualità e i giovani editori e scrittori più spregiudicati, la colomba della pace di Picasso e quella della street art di Banksy, “Ed è subito sera..” di Ungaretti e “La città vuota” di Mina, gli spettacoli e gli sceneggiati della Rai vero “servizio pubblico degli anni Cinquanta e Sessanta, l’interpretazione della modernità secondo i sociologhi e i filosofi della Scuola di Francoforte di Theodor W. Adorno e “il più mancino dei tiri” di Mariolino Corso, grande giocatore dell’Inter degli anni Sessanta, come amava ricordare Edmondo Berselli, straordinario, sofisticato e ironico analista di questi nostri tempi inquieti (“Il lettore si arrangi, il pubblico si documenti, faccia uno sforzo, si faccia una cultura…”, scriveva in uno dei suoi libri migliori, “Venerati maestri”, per polemizzare contro la faciloneria dei giudizi approssimativi e la volgarità dei luoghi comuni dilatate dalla cattiva Tv e dalla regressioni dei social media).

Cultura popolare come cultura di qualità: è proprio questa, d’altronde, una delle migliori eredità del Novecento, rileggendo le pagine (tanto per fare solo alcuni nomi), di Walter Benjamin ed Elias Canetti, Isaiah Berlin e Antonio Gramsci, Karl Popper e Thomas Mann, George Orwell e Virginia Woolf, Hannah Arendt e Simone Weil, Italo Calvino e Umberto Eco, ripercorrendo cioè, con buona memoria e fertile curiosità per la scoperta e la riscoperta, gli scaffali di una grande biblioteca ideale in cui, seguendo Jorge Luis Borges, si può arrivare all’Aleph di una intera civiltà, alla radice di saperi che si consolidano e si trasformano.

Cultura popolare come cultura della bellezza e della ricerca, cura per il “saper fare, e fare bene” secondo la migliore cultura d’impresa di cui proprio l’Italia è testimone eccellente, sintesi di conoscenze umanistiche e scientifiche, incroci di parole e di numeri, anche per arrivare così alla musica, rimemorando la lezione di Gustav Mahler: “Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco”, cioè la porta che si apre sull’innovazione.

Oggi proprio l’evoluzione delle tecnologie digitali e dell’Intelligenza artificiale pone inedite sfide culturali e civili e scopre nuove strade di crescita delle conoscenze ma anche dense di pericoli di inquinamento del “discorso pubblico” e di impoverimento dei patrimoni ideali e valoriali personali e pubblici (le fake news, le derive del luogo comune verso il “pensiero magico” e le scorciatoie autoritarie).

L’impegno è saper vivere le nuove dimensioni della conoscenza come opportunità di un “umanesimo digitale”, per usare una definizione cara a Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione a Oxford e ripresa, proprio al G20 della Cultura, da Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino: “E’ arrivato il tempo di introdurre quello che potremmo definire un umanesimo digitale, in cui archeologi, antropologi, architetti, storici, filosofi, neuroscienziati, psicologi lavorino fianco a fianco con chimici, fisici, esperti informatici, per arrivare alla definizione di una nuova semantica che ci permetta di capire ed elaborare la complessità della realtà”.

Sta qui la chiave per accelerare la dimensione sempre più “popolare” dei musei (anche dei musei d’impresa, come l’associazione Museimpresa sostiene da tempo), considerandoli luoghi della conoscenza e della divulgazione, tenendo insieme l’esperienza della frequentazione personale con quella della fruizione digitale, l’on line con l’on site, l’emozione della partecipazione diretta alla visione di un quadro di Caravaggio o di Pollock e l’approfondimento consentito dagli strumenti digitali.

L’orizzonte è sempre quello dell’incontro tra radici e innovazione, come ricorda appunto Greco: “A livello internazionale è oramai condivisa l’idea che i musei siano teatri della memoria dove le identità locali e globali vengono definite e dove diverse visioni del passato e del presente incontrano il futuro”.

Ecco un’altra parola chiave, quando si parla di cultura popolare: teatro. E cioè “il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa, il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere”. La definizione è di Paolo Grassi, fondatore nel 1947, insieme all’allora giovane regista Giorgio Strehler, del Piccolo Teatro di Milano, secondo il modello del “teatro d’arte per tutti” (come ha ricordato, di recente, Salvatore Carruba, attuale presidente del Piccolo, su “Il Sole24Ore”). Tra i fondatori, c’erano personalità della cultura. E dell’impresa (ricorrono, nell’atto di fondazione, i nomi di Piero e Giovanni Pirelli, Ferdinando Borletti, Giovanni Falck). E tutto avveniva nel contesto di una città desiderosa di ricostruirsi dopo i disastri della guerra e gli anni cupi del fascismo e capace di valorizzare proprio la cultura come leva di sviluppo, secondo la sensibilità civile di una borghesia colta e produttiva, aperta e attenta ai valori sociali.

Proprio l’esperienza del Piccolo Teatro, così come quella del Teatro Franco Parenti e di altri luoghi d’arte di Milano, testimonia come si possa fare grande cultura popolare coniugando la vocazione all’innovazione con l’impegno per la divulgazione, la sperimentazione di forme e linguaggi nuovi della rappresentazione con l’attenzione per la crescita della cultura diffusa.

Sono temi che ricorrono proprio adesso, in occasione delle iniziative, seguite dal nuovo direttore del Piccolo Claudio Longhi,  per ricordare il centenario della nascita di Strehler (ne sarà protagonista anche la Fondazione Pirelli, con un ciclo di rappresentazioni e di dibattiti sui temi del lavoro, delle trasformazioni sociali, della ricerca scientifica e del rapporto tra libertà e innovazione). E che ripropongono la questione di una cultura vissuta non tanto come una serie di “eventi” quanto soprattutto come un processo di crescita della conoscenza e della consapevolezza dei valori sociali e civili di una comunità e dell’essenzialità di un loro racconto, aperto, diffuso, partecipato. Popolare, appunto.

La cultura come “volano di ripresa e sviluppo”. E come strumento per rendere efficaci le scelte sulla sostenibilità, in nome di un migliore avvenire delle nuove generazioni, promuovendo “educazione e sapere”. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, nel cuore dell’estate, ha aperto così il G20 Cultura, nella platea del Colosseo, cornice straordinaria per la discussione tra i ministri della Cultura dei più grandi paesi del mondo. E il motto del G20, People Planet Prosperity è stato declinato nell’affermazione dei valori della bellezza e dell’ambiente, dei diritti contro ogni discriminazione, delle relazioni positive tra memoria e futuro, custodia delle radici e stimolo per l’innovazione. Prosperity, appunto, nell’era del post Covid.

Nel documento finale, approvato all’unanimità, si afferma che “i settori culturali e creativi rappresentano di per sé importanti motori economici e sono una fonte significativa di posti di lavoro e reddito e generano importanti ricadute per l’economia in generale, essendo motori di innovazione e fonti di capacità creative”. Occorre dunque riconoscerne e valorizzarne “l’impatto sociale” per “sostenere la salute e il benessere, promuovere l’inclusione sociale, l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile, il capitale sociale locale” e per “amplificare il cambiamento comportamentale e la trasformazione verso pratiche di produzione e consumo più sostenibili”. L’Italia, a giudizio di Draghi e del ministro della Cultura Dario Franceschini, è un esemplare “laboratorio di idee”. Adesso, servono “scelte coraggiose” per tradurle in pratica, per difendere e fare crescere “il patrimonio monumentale e culturale” e farne una leva positiva per la crescita economica e sociale. Le indicazioni del Recovery Plan Next Generation Ue vanno proprio in questa direzione, a patto che la spesa pubblica e gli investimenti privati stimolati siano coerenti con i propositi politici, sia del G20 che dell’Europa.

C’è un aspetto particolare, che emerge sia dai discorsi di Draghi e Franceschini sia da altri interventi sulla cultura ascoltati e letti in queste settimane d’estate. L’idea di una cultura “per tutti”, accessibile a tutti, comprensibile per tutti. Una vera e propria cultura popolare.

Popolare perché aperta e dialogante, dunque tutt’altro che sciatta, volgare, banale. Popolare perché capace di mescolare “alto” e “basso”, la sinfonia e le canzoni, il grande cinema dei racconti e delle emozioni (Billy Wilder, Sergio Leone…) e la “commedia all’italiana” di Monicelli e Risi, i buoni premi letterari con le giurie dei lettori, come il Campiello, l’editoria di qualità e i giovani editori e scrittori più spregiudicati, la colomba della pace di Picasso e quella della street art di Banksy, “Ed è subito sera..” di Ungaretti e “La città vuota” di Mina, gli spettacoli e gli sceneggiati della Rai vero “servizio pubblico degli anni Cinquanta e Sessanta, l’interpretazione della modernità secondo i sociologhi e i filosofi della Scuola di Francoforte di Theodor W. Adorno e “il più mancino dei tiri” di Mariolino Corso, grande giocatore dell’Inter degli anni Sessanta, come amava ricordare Edmondo Berselli, straordinario, sofisticato e ironico analista di questi nostri tempi inquieti (“Il lettore si arrangi, il pubblico si documenti, faccia uno sforzo, si faccia una cultura…”, scriveva in uno dei suoi libri migliori, “Venerati maestri”, per polemizzare contro la faciloneria dei giudizi approssimativi e la volgarità dei luoghi comuni dilatate dalla cattiva Tv e dalla regressioni dei social media).

Cultura popolare come cultura di qualità: è proprio questa, d’altronde, una delle migliori eredità del Novecento, rileggendo le pagine (tanto per fare solo alcuni nomi), di Walter Benjamin ed Elias Canetti, Isaiah Berlin e Antonio Gramsci, Karl Popper e Thomas Mann, George Orwell e Virginia Woolf, Hannah Arendt e Simone Weil, Italo Calvino e Umberto Eco, ripercorrendo cioè, con buona memoria e fertile curiosità per la scoperta e la riscoperta, gli scaffali di una grande biblioteca ideale in cui, seguendo Jorge Luis Borges, si può arrivare all’Aleph di una intera civiltà, alla radice di saperi che si consolidano e si trasformano.

Cultura popolare come cultura della bellezza e della ricerca, cura per il “saper fare, e fare bene” secondo la migliore cultura d’impresa di cui proprio l’Italia è testimone eccellente, sintesi di conoscenze umanistiche e scientifiche, incroci di parole e di numeri, anche per arrivare così alla musica, rimemorando la lezione di Gustav Mahler: “Tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco”, cioè la porta che si apre sull’innovazione.

Oggi proprio l’evoluzione delle tecnologie digitali e dell’Intelligenza artificiale pone inedite sfide culturali e civili e scopre nuove strade di crescita delle conoscenze ma anche dense di pericoli di inquinamento del “discorso pubblico” e di impoverimento dei patrimoni ideali e valoriali personali e pubblici (le fake news, le derive del luogo comune verso il “pensiero magico” e le scorciatoie autoritarie).

L’impegno è saper vivere le nuove dimensioni della conoscenza come opportunità di un “umanesimo digitale”, per usare una definizione cara a Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione a Oxford e ripresa, proprio al G20 della Cultura, da Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino: “E’ arrivato il tempo di introdurre quello che potremmo definire un umanesimo digitale, in cui archeologi, antropologi, architetti, storici, filosofi, neuroscienziati, psicologi lavorino fianco a fianco con chimici, fisici, esperti informatici, per arrivare alla definizione di una nuova semantica che ci permetta di capire ed elaborare la complessità della realtà”.

Sta qui la chiave per accelerare la dimensione sempre più “popolare” dei musei (anche dei musei d’impresa, come l’associazione Museimpresa sostiene da tempo), considerandoli luoghi della conoscenza e della divulgazione, tenendo insieme l’esperienza della frequentazione personale con quella della fruizione digitale, l’on line con l’on site, l’emozione della partecipazione diretta alla visione di un quadro di Caravaggio o di Pollock e l’approfondimento consentito dagli strumenti digitali.

L’orizzonte è sempre quello dell’incontro tra radici e innovazione, come ricorda appunto Greco: “A livello internazionale è oramai condivisa l’idea che i musei siano teatri della memoria dove le identità locali e globali vengono definite e dove diverse visioni del passato e del presente incontrano il futuro”.

Ecco un’altra parola chiave, quando si parla di cultura popolare: teatro. E cioè “il luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a se stessa, il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere”. La definizione è di Paolo Grassi, fondatore nel 1947, insieme all’allora giovane regista Giorgio Strehler, del Piccolo Teatro di Milano, secondo il modello del “teatro d’arte per tutti” (come ha ricordato, di recente, Salvatore Carruba, attuale presidente del Piccolo, su “Il Sole24Ore”). Tra i fondatori, c’erano personalità della cultura. E dell’impresa (ricorrono, nell’atto di fondazione, i nomi di Piero e Giovanni Pirelli, Ferdinando Borletti, Giovanni Falck). E tutto avveniva nel contesto di una città desiderosa di ricostruirsi dopo i disastri della guerra e gli anni cupi del fascismo e capace di valorizzare proprio la cultura come leva di sviluppo, secondo la sensibilità civile di una borghesia colta e produttiva, aperta e attenta ai valori sociali.

Proprio l’esperienza del Piccolo Teatro, così come quella del Teatro Franco Parenti e di altri luoghi d’arte di Milano, testimonia come si possa fare grande cultura popolare coniugando la vocazione all’innovazione con l’impegno per la divulgazione, la sperimentazione di forme e linguaggi nuovi della rappresentazione con l’attenzione per la crescita della cultura diffusa.

Sono temi che ricorrono proprio adesso, in occasione delle iniziative, seguite dal nuovo direttore del Piccolo Claudio Longhi,  per ricordare il centenario della nascita di Strehler (ne sarà protagonista anche la Fondazione Pirelli, con un ciclo di rappresentazioni e di dibattiti sui temi del lavoro, delle trasformazioni sociali, della ricerca scientifica e del rapporto tra libertà e innovazione). E che ripropongono la questione di una cultura vissuta non tanto come una serie di “eventi” quanto soprattutto come un processo di crescita della conoscenza e della consapevolezza dei valori sociali e civili di una comunità e dell’essenzialità di un loro racconto, aperto, diffuso, partecipato. Popolare, appunto.

“Impresa cultura”

Il 17° Rapporto Federculture scatta l’istantanea di un comparto che è espressione del miglior carattere nazionale

L’impresa come strumento culturale e la cultura come ambito nel quale il ruolo e il metodo d’impresa possono essere di aiuto per una migliore valorizzazione del patrimonio del territorio. “Impresa cultura”, quindi. Com’è il titolo del 17° Rapporto annuale di Federculture: “Impresa cultura. Progettare e ripartire”. Opera collettiva che, ormai da anni, ragiona intorno al variegato arcipelago delle politiche, dei consumi e delle imprese culturali, una sorta di bussola per orientarsi tramite analisi, dati e indicatori, una fotografia che restituisce, in filigrana, criticità e questioni aperte, ma anche straordinarie potenzialità di ciò che in Italia viene riassunto sotto il termine “cultura”.
Come quella del 2020, anche l’edizione 2021 del Rapporto non ha potuto che mettere al centro delle riflessioni e delle analisi proposte, la situazione che stanno vivendo le istituzioni della cultura che ancora si confrontano, al pari degli altri ambiti della vita economica e sociale del Paese, con gli effetti della pandemia di Covid-19, seppure con uno sguardo al futuro e alle sfide che le attendono. Il libro offre, quindi, un ampio quadro rappresentativo dei nuovi scenari culturali, sociali ed economici che il Covid ha determinato durante l’anno appena trascorso e attraverso saggi e approfondimenti, affronta gli aspetti legati all’attualità ed ai problemi emersi con forza in questi ultimi tempi. Per conoscere e approfondire ulteriormente l’analisi dello stato del settore, inoltre, Federculture ha realizzato un’indagine sul campo interrogando un ampio panel di enti e imprese culturali attraverso un questionario i cui risultati sono riportati nel volume e che aprono a utili riflessioni sulla reazione del settore alla crisi, sulla sua attuale situazione e sulle aspettative per la ripresa.
Ciò che più conta, tuttavia, è la riflessione sulle strategie che dovranno guidare la nuova, impegnativa stagione di ripartenza che si prospetta per il settore culturale e per tutto il Paese.
Uno dei messaggi importanti che emergono dal libro è che per la fase di ripresa che si apre sarà essenziale la capacità di valorizzare in maniera innovativa il nostro patrimonio culturale e tutta l’economia legata alla creatività e alla bellezza.
“Impresa cultura”, è quindi un buon strumento per comprendere meglio e di più uno degli aspetti più importanti della società e dell’economia italiane, quella cultura a tutto tondo che è la migliore espressione del carattere nazionale italiano.

Impresa cultura. Progettare e ripartire. 17° rapporto annuale Federculture 2021
AA.VV., Federculture, Cangemi Editore, 2021

Il 17° Rapporto Federculture scatta l’istantanea di un comparto che è espressione del miglior carattere nazionale

L’impresa come strumento culturale e la cultura come ambito nel quale il ruolo e il metodo d’impresa possono essere di aiuto per una migliore valorizzazione del patrimonio del territorio. “Impresa cultura”, quindi. Com’è il titolo del 17° Rapporto annuale di Federculture: “Impresa cultura. Progettare e ripartire”. Opera collettiva che, ormai da anni, ragiona intorno al variegato arcipelago delle politiche, dei consumi e delle imprese culturali, una sorta di bussola per orientarsi tramite analisi, dati e indicatori, una fotografia che restituisce, in filigrana, criticità e questioni aperte, ma anche straordinarie potenzialità di ciò che in Italia viene riassunto sotto il termine “cultura”.
Come quella del 2020, anche l’edizione 2021 del Rapporto non ha potuto che mettere al centro delle riflessioni e delle analisi proposte, la situazione che stanno vivendo le istituzioni della cultura che ancora si confrontano, al pari degli altri ambiti della vita economica e sociale del Paese, con gli effetti della pandemia di Covid-19, seppure con uno sguardo al futuro e alle sfide che le attendono. Il libro offre, quindi, un ampio quadro rappresentativo dei nuovi scenari culturali, sociali ed economici che il Covid ha determinato durante l’anno appena trascorso e attraverso saggi e approfondimenti, affronta gli aspetti legati all’attualità ed ai problemi emersi con forza in questi ultimi tempi. Per conoscere e approfondire ulteriormente l’analisi dello stato del settore, inoltre, Federculture ha realizzato un’indagine sul campo interrogando un ampio panel di enti e imprese culturali attraverso un questionario i cui risultati sono riportati nel volume e che aprono a utili riflessioni sulla reazione del settore alla crisi, sulla sua attuale situazione e sulle aspettative per la ripresa.
Ciò che più conta, tuttavia, è la riflessione sulle strategie che dovranno guidare la nuova, impegnativa stagione di ripartenza che si prospetta per il settore culturale e per tutto il Paese.
Uno dei messaggi importanti che emergono dal libro è che per la fase di ripresa che si apre sarà essenziale la capacità di valorizzare in maniera innovativa il nostro patrimonio culturale e tutta l’economia legata alla creatività e alla bellezza.
“Impresa cultura”, è quindi un buon strumento per comprendere meglio e di più uno degli aspetti più importanti della società e dell’economia italiane, quella cultura a tutto tondo che è la migliore espressione del carattere nazionale italiano.

Impresa cultura. Progettare e ripartire. 17° rapporto annuale Federculture 2021
AA.VV., Federculture, Cangemi Editore, 2021

Biblioteche oltre i libri

Un intervento apparso in “Percorsi di Secondo Welfare” ragiona sui tanti collegamenti tra luoghi diversi della cultura

 

Le biblioteche come punti focali di una rete della conoscenza che si fa welfare nel più pieno senso della parola. Elementi imprescindibili di un sistema di “benessere culturale” che diventa sociale e che davvero “fa rete” con altri punti del territorio: istituzioni sociali ed economiche, imprese e luoghi di aggregazione. Un sistema nel quale, la migliore cultura d’impresa (che non ha nel solo profitto economico il suo riferimento), può trovare nuove espressioni e applicazioni. Sono questi alcuni dei messaggi che l’intervento di Alessandro AgustoniMarco Cau – “Il ruolo delle biblioteche nello sviluppo del welfare socio-culturale” -, propone e che ruotano attorno al ruolo che le biblioteche, e i sistemi che le raccordano, possono rivestire nell’ambito delle politiche culturali e sociali dei territori.

Apparsa non recentemente in Percorsi di Secondo Welfare, l’analisi di Agustoni e Cau effettua un esame del significato delle biblioteche partendo dall’esperienza del nuovo sistema interbibliotecario CUBI. “Cambiamenti sociali e cambiamenti tecnologici investono l’identità delle biblioteche e sono temi di discussione e di ripensamento dei modelli operativi su scala internazionale e su scala locale”, spiegano i due autori che poi aggiungono: “Trasformazioni culturali, evoluzioni tecnologiche, tensioni sociali che possono paralizzare, indurre a desistere, spingere dismissioni di servizi, o, al contrario, rappresentare spinte al cambiamento e all’innovazione”. Sono queste trasformazioni che vengono analizzate nella ricerca e che portano ad una serie di considerazioni che toccano i numerosi ruoli, oltre i libri e la lettura, che le biblioteche possono ricoprire. Tra questi, il fatto che le biblioteche possano essere “spazi in trasformazione anche sul versante del lavoro. Da un lato (…) sono luoghi capaci di accogliere smart worker, di facilitare le forme di lavoro agile, di contribuire ad affrontare i bisogni di conciliazione vita-lavoro, sul versante degli spazi accessibili e dotati di strumentazioni adeguate al lavoro agile. Dall’altro, le esperienze di welfare aziendale in ambito pubblico vanno diffondendosi e consolidano modelli valutabili, dai quali attingere indicazioni e indirizzi applicativi”. Welfare d’impresa, dunque, che si unisce ad un welfare culturale e sociale per dare vita a forme nuove di attività in favore della società e dell’economia in generale.

Il lavoro di Agustoni e Cau ha il merito, oltre a quello della chiarezza e brevità, di mettere a fuoco la visione di territori culturali innovativi e importanti.

Il ruolo delle biblioteche nello sviluppo del welfare socio-culturale

Alessandro AgustoniMarco Cau

Percorsi di Secondo Welfare, 2019

Un intervento apparso in “Percorsi di Secondo Welfare” ragiona sui tanti collegamenti tra luoghi diversi della cultura

 

Le biblioteche come punti focali di una rete della conoscenza che si fa welfare nel più pieno senso della parola. Elementi imprescindibili di un sistema di “benessere culturale” che diventa sociale e che davvero “fa rete” con altri punti del territorio: istituzioni sociali ed economiche, imprese e luoghi di aggregazione. Un sistema nel quale, la migliore cultura d’impresa (che non ha nel solo profitto economico il suo riferimento), può trovare nuove espressioni e applicazioni. Sono questi alcuni dei messaggi che l’intervento di Alessandro AgustoniMarco Cau – “Il ruolo delle biblioteche nello sviluppo del welfare socio-culturale” -, propone e che ruotano attorno al ruolo che le biblioteche, e i sistemi che le raccordano, possono rivestire nell’ambito delle politiche culturali e sociali dei territori.

Apparsa non recentemente in Percorsi di Secondo Welfare, l’analisi di Agustoni e Cau effettua un esame del significato delle biblioteche partendo dall’esperienza del nuovo sistema interbibliotecario CUBI. “Cambiamenti sociali e cambiamenti tecnologici investono l’identità delle biblioteche e sono temi di discussione e di ripensamento dei modelli operativi su scala internazionale e su scala locale”, spiegano i due autori che poi aggiungono: “Trasformazioni culturali, evoluzioni tecnologiche, tensioni sociali che possono paralizzare, indurre a desistere, spingere dismissioni di servizi, o, al contrario, rappresentare spinte al cambiamento e all’innovazione”. Sono queste trasformazioni che vengono analizzate nella ricerca e che portano ad una serie di considerazioni che toccano i numerosi ruoli, oltre i libri e la lettura, che le biblioteche possono ricoprire. Tra questi, il fatto che le biblioteche possano essere “spazi in trasformazione anche sul versante del lavoro. Da un lato (…) sono luoghi capaci di accogliere smart worker, di facilitare le forme di lavoro agile, di contribuire ad affrontare i bisogni di conciliazione vita-lavoro, sul versante degli spazi accessibili e dotati di strumentazioni adeguate al lavoro agile. Dall’altro, le esperienze di welfare aziendale in ambito pubblico vanno diffondendosi e consolidano modelli valutabili, dai quali attingere indicazioni e indirizzi applicativi”. Welfare d’impresa, dunque, che si unisce ad un welfare culturale e sociale per dare vita a forme nuove di attività in favore della società e dell’economia in generale.

Il lavoro di Agustoni e Cau ha il merito, oltre a quello della chiarezza e brevità, di mettere a fuoco la visione di territori culturali innovativi e importanti.

Il ruolo delle biblioteche nello sviluppo del welfare socio-culturale

Alessandro AgustoniMarco Cau

Percorsi di Secondo Welfare, 2019

Conto alla rovescia verso la finale del Premio Campiello 2021
I cinque finalisti in dialogo con la Fondazione Pirelli

Inizia il conto alla rovescia per la cerimonia di premiazione del Premio Campiello 2021, anche quest’anno sostenuto da Pirelli. Per conoscere meglio i libri protagonisti di questa cinquantanovesima edizione, Fondazione Pirelli ha intervistato, con Antonio Calabrò, i cinque scrittori finalisti.

Le interviste, che verranno pubblicate online su questo sito a partire da oggi, accompagneranno tutti gli appassionati di lettura in un countdown verso la serata finale, che quest’anno si svolgerà per la prima volta presso l’Arsenale di Venezia. La cerimonia è prevista per sabato 4 settembre alle ore 20.30 e sarà trasmessa su Rai Cinque e Rai Play,  con una presentatrice d’eccezione, Andrea Delogu, conduttrice radio-televisiva e scrittrice italiana.

Ecco il programma completo delle interviste:

Lunedì 30 agosto 2021: Paolo Malaguti – Se l’acqua ride

Martedì 31 agosto 2021: Giulia Caminito – L’acqua del lago non è mai dolce

Mercoledì 1 settembre 2021: Paolo Nori – Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij 

Giovedì 2 settembre 2021: Andrea Bajani – Il libro delle case

Venerdì 3 settembre 2021: Carmen Pellegrino – La felicità degli altri

Avremo modo di ascoltare gli scrittori che ci racconteranno di avventure lungo i fiumi del Nord Italia, di madri e figlie e della rabbia di una generazione, di incontri con un libro capaci di segnare una vita, di case che promettono una felicità mai trovata, di frammenti di memoria che cercano di ricomporre un’esistenza.

Buona visione e buona lettura.

Fondazione Pirelli

Inizia il conto alla rovescia per la cerimonia di premiazione del Premio Campiello 2021, anche quest’anno sostenuto da Pirelli. Per conoscere meglio i libri protagonisti di questa cinquantanovesima edizione, Fondazione Pirelli ha intervistato, con Antonio Calabrò, i cinque scrittori finalisti.

Le interviste, che verranno pubblicate online su questo sito a partire da oggi, accompagneranno tutti gli appassionati di lettura in un countdown verso la serata finale, che quest’anno si svolgerà per la prima volta presso l’Arsenale di Venezia. La cerimonia è prevista per sabato 4 settembre alle ore 20.30 e sarà trasmessa su Rai Cinque e Rai Play,  con una presentatrice d’eccezione, Andrea Delogu, conduttrice radio-televisiva e scrittrice italiana.

Ecco il programma completo delle interviste:

Lunedì 30 agosto 2021: Paolo Malaguti – Se l’acqua ride

Martedì 31 agosto 2021: Giulia Caminito – L’acqua del lago non è mai dolce

Mercoledì 1 settembre 2021: Paolo Nori – Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij 

Giovedì 2 settembre 2021: Andrea Bajani – Il libro delle case

Venerdì 3 settembre 2021: Carmen Pellegrino – La felicità degli altri

Avremo modo di ascoltare gli scrittori che ci racconteranno di avventure lungo i fiumi del Nord Italia, di madri e figlie e della rabbia di una generazione, di incontri con un libro capaci di segnare una vita, di case che promettono una felicità mai trovata, di frammenti di memoria che cercano di ricomporre un’esistenza.

Buona visione e buona lettura.

Fondazione Pirelli

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Raffaello, alla Farnesina una strada di gomma Pirelli per proteggerlo

La Farnesina, sede di rappresentanza dell’Accademia Nazionale dei Lincei, è la villa suburbana realizzata nei primi anni del Cinquecento dall’architetto Baldassarre Peruzzi su commissione di Alessandro Chigi e passata poi nel 1579 alla famiglia Farnese. L’edificio è conosciuto per i suoi meravigliosi affreschi commissionati dal ricco banchiere di origine senese ad alcuni dei più grandi maestri del Rinascimento italiano: Raffaello, Sebastiano del Piombo, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma e lo stesso Peruzzi.

Verso la fine del 1953 alcuni frammenti del cornicione della Farnesina caddero, fortunatamente senza conseguenze per i passanti e i visitatori. In quegli anni fecero la loro comparse sulle pareti della villa anche crepe e piccoli distacchi di affreschi: la colpa venne attribuita al traffico intenso che scorreva sulle strade ai lati dell’edificio e in particolare a quella del Lungotevere. Com’è ricordato anche nella Rivista Pirelli del 1956, la ricerca per accertare le effettive cause dei fenomeni fu affidata alla S.A.G.A, Società Applicazioni Gomma Antivibranti – consociata di Pirelli, e ai laboratori fisici della casa madre, che avevano offerto la loro collaborazione come ringraziamento per l’ospitalità presso la Farnesina del Convegno Internazionale della gomma. Le prove per analizzare le vibrazioni prodotte dal traffico furono dirette dall’ingegner Boschi di Stefano, amministratore delegato della S.A.G.A. e dagli ingegneri Bassi e Prosdocimi. Un’immagine dell’epoca lo ritrae nella sala della Galatea di Raffaello mentre mette in funzione e analizza i dati dei macchinari utilizzati per le rilevazione. I rilevamenti portarono a concludere che le vibrazioni provenienti dalla strada verso il Tevere potevano seriamente minacciare l’integrità degli affreschi. Si decise così di intervenire costruendo una “strada galleggiante di gomma” completata nei primi anni Settanta. La strada del Lungotevere fu così sospesa su oltre 2000 blocchi elastici antivibranti realizzati grazie alla più avanzata tecnologia Pirelli.

La Farnesina, sede di rappresentanza dell’Accademia Nazionale dei Lincei, è la villa suburbana realizzata nei primi anni del Cinquecento dall’architetto Baldassarre Peruzzi su commissione di Alessandro Chigi e passata poi nel 1579 alla famiglia Farnese. L’edificio è conosciuto per i suoi meravigliosi affreschi commissionati dal ricco banchiere di origine senese ad alcuni dei più grandi maestri del Rinascimento italiano: Raffaello, Sebastiano del Piombo, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma e lo stesso Peruzzi.

Verso la fine del 1953 alcuni frammenti del cornicione della Farnesina caddero, fortunatamente senza conseguenze per i passanti e i visitatori. In quegli anni fecero la loro comparse sulle pareti della villa anche crepe e piccoli distacchi di affreschi: la colpa venne attribuita al traffico intenso che scorreva sulle strade ai lati dell’edificio e in particolare a quella del Lungotevere. Com’è ricordato anche nella Rivista Pirelli del 1956, la ricerca per accertare le effettive cause dei fenomeni fu affidata alla S.A.G.A, Società Applicazioni Gomma Antivibranti – consociata di Pirelli, e ai laboratori fisici della casa madre, che avevano offerto la loro collaborazione come ringraziamento per l’ospitalità presso la Farnesina del Convegno Internazionale della gomma. Le prove per analizzare le vibrazioni prodotte dal traffico furono dirette dall’ingegner Boschi di Stefano, amministratore delegato della S.A.G.A. e dagli ingegneri Bassi e Prosdocimi. Un’immagine dell’epoca lo ritrae nella sala della Galatea di Raffaello mentre mette in funzione e analizza i dati dei macchinari utilizzati per le rilevazione. I rilevamenti portarono a concludere che le vibrazioni provenienti dalla strada verso il Tevere potevano seriamente minacciare l’integrità degli affreschi. Si decise così di intervenire costruendo una “strada galleggiante di gomma” completata nei primi anni Settanta. La strada del Lungotevere fu così sospesa su oltre 2000 blocchi elastici antivibranti realizzati grazie alla più avanzata tecnologia Pirelli.

Le officine dove a dettare i tempi erano i ritmi e metriche del ‘900

Le campagne pubblicitarie Pirelli “dell’Italia in movimento” da oggi online

Inserzioni, bozzetti, audiovisivi, esecutivi di stampa sono solo alcuni dei materiali relativi alla pubblicità dei prodotti Pirelli, pubblicati nella sezione del sito dedicata all‘Archivio Storico, che oggi si arricchisce con la serie degli stampati di medio e grande formato relativi ai pneumatici auto. Tra questi, anche le prove di stampa della campagna pubblicitaria realizzata dal grafico e architetto Franco Grignani tra il 1955 e il 1956.

Infatti in un momento storico in cui la motorizzazione cresce in maniera esponenziale, Pirelli scommette non solo sulla produzione di pneumatici sempre più specializzati ma anche sulla loro promozione chiamando a raccolta artisti e intellettuali in grado di sviluppare una strategia comunicativa che oggi definiremmo “crossmediale”. Stampa, affissioni, cinema, pubblicità diretta, cultura: la Direzione Propaganda si attiva a trecentosessanta gradi per raccontare i nuovi modelli di pneumatici lanciati sul mercato per le diverse tipologie di veicoli, di stagioni o di condizioni stradali. Così, alla produzione grafica di Ezio Bonini e Pavel Michael Engelmann, si affianca anche quella di Franco Grignani, con una serie di sette inserzioni sul tema dei lunghi e faticosi viaggi, resi più agevoli e spensierati dall’uso di pneumatici Pirelli marca “Stelvio”.

Giocando su tre concetti chiave (flessibilità, durata e tenuta di strada), Grignani riattualizza e rielabora la tecnica del collage, restituendo l’idea di «qualcosa che ha della decalcomania e del restauro, e ricorda i lacerti delle antiche pareti dipinte», come scrive Leonardo Sinisgalli nel 1956 in “Pubblicità in Italia”. Rotazioni, torsioni, scissioni, deformazioni futuristiche muovono le sue immagini creando nuovi spazi visivi e si fondono in un diverso modo di fare arte, in un modo diverso di vedere, in un modo diverso di pensare. Comunicare visivamente per Grignani non è infatti il “far vedere” ma il “vedere di più”.

Grignani guarda all’arte come a uno strumento per entrare dentro le cose, capirle meglio: «La mia indagine è sempre consistita nel vedere l’interno delle cose e il perché delle cose». Esattamente come per Luigi Emanueli, figura chiave del Dipartimento Ricerca e Sviluppo di Pirelli, la ricerca scientifica e tecnologica è lo strumento per innovare ed entrare nel merito delle cose: «Adess ghe capissaremm on quaicoss: andemm a guardagh denter», era il suo motto. A dimostrazione che in Pirelli arte e scienza, cultura e innovazione parlano lo stesso linguaggio.

Inserzioni, bozzetti, audiovisivi, esecutivi di stampa sono solo alcuni dei materiali relativi alla pubblicità dei prodotti Pirelli, pubblicati nella sezione del sito dedicata all‘Archivio Storico, che oggi si arricchisce con la serie degli stampati di medio e grande formato relativi ai pneumatici auto. Tra questi, anche le prove di stampa della campagna pubblicitaria realizzata dal grafico e architetto Franco Grignani tra il 1955 e il 1956.

Infatti in un momento storico in cui la motorizzazione cresce in maniera esponenziale, Pirelli scommette non solo sulla produzione di pneumatici sempre più specializzati ma anche sulla loro promozione chiamando a raccolta artisti e intellettuali in grado di sviluppare una strategia comunicativa che oggi definiremmo “crossmediale”. Stampa, affissioni, cinema, pubblicità diretta, cultura: la Direzione Propaganda si attiva a trecentosessanta gradi per raccontare i nuovi modelli di pneumatici lanciati sul mercato per le diverse tipologie di veicoli, di stagioni o di condizioni stradali. Così, alla produzione grafica di Ezio Bonini e Pavel Michael Engelmann, si affianca anche quella di Franco Grignani, con una serie di sette inserzioni sul tema dei lunghi e faticosi viaggi, resi più agevoli e spensierati dall’uso di pneumatici Pirelli marca “Stelvio”.

Giocando su tre concetti chiave (flessibilità, durata e tenuta di strada), Grignani riattualizza e rielabora la tecnica del collage, restituendo l’idea di «qualcosa che ha della decalcomania e del restauro, e ricorda i lacerti delle antiche pareti dipinte», come scrive Leonardo Sinisgalli nel 1956 in “Pubblicità in Italia”. Rotazioni, torsioni, scissioni, deformazioni futuristiche muovono le sue immagini creando nuovi spazi visivi e si fondono in un diverso modo di fare arte, in un modo diverso di vedere, in un modo diverso di pensare. Comunicare visivamente per Grignani non è infatti il “far vedere” ma il “vedere di più”.

Grignani guarda all’arte come a uno strumento per entrare dentro le cose, capirle meglio: «La mia indagine è sempre consistita nel vedere l’interno delle cose e il perché delle cose». Esattamente come per Luigi Emanueli, figura chiave del Dipartimento Ricerca e Sviluppo di Pirelli, la ricerca scientifica e tecnologica è lo strumento per innovare ed entrare nel merito delle cose: «Adess ghe capissaremm on quaicoss: andemm a guardagh denter», era il suo motto. A dimostrazione che in Pirelli arte e scienza, cultura e innovazione parlano lo stesso linguaggio.

A villa Farnesina anche Leonardo Da Vinci usa gomme per cancellare Pirelli

Il 16 giugno è stata inaugurata a Villa Farnesina a Roma una mostra dedicata al trittico dell’ingegno italiano, che si inserisce nella serie di iniziative promosse dall’Accademia dei Lincei per i centenari di Leonardo (2019), Raffaello (2020) e Dante (2021). La mostra approfondisce attraverso una rassegna di cartoline, opere, oggetti, riviste e giornali il gusto e l’estetica che nel primo dopoguerra hanno caratterizzato le celebrazioni dei centenari di Leonardo (1919), Raffaello (1920) e Dante (1921). Negli anni immediatamente a ridosso della prima guerra mondiale, in un’ Italia che cercava di ricostruire una propria identità nazionale, i tre maestri furono indicati come fonte d’ispirazione per i giovani artisti. Divennero inoltre modelli per guardare al futuro con spirito di innovazione e cambiamento, coinvolgendo ogni ambito del fare umano e arrivando a tutta la popolazione attraverso cartoline, oggetti, mobili, architetture, copertine di riviste e giornali.
In particolare, nella prima sezione di mostra dedicata a Leonardo, accanto ai richiami alle grandi ‘invenzioni’ delle quali il genio vinciano era ritenuto precursore – come gli aerei, i protagonisti nel corso degli anni Venti dell’Aeropittura – accanto ai monumenti equestri, ripresi dagli artisti per illustrare le scene della Grande Guerra e agli studi anatomici, è esposta anche una pubblicità Pirelli che ha per protagonista proprio il sommo artista-inventore.

Leonardo, perfetta sintesi tra arte e industria, diventa “testimonial d’eccezione” che Pirelli sceglie nel 1920 per pubblicizzare le sue gomme per cancellare: un suo ritratto a sanguigna, fissato con le puntine a un supporto, lo mostra mentre mette in bella vista “La miglior gomma per disegno”, come recita lo slogan. Proprio come un moderno influencer, Leonardo da Vinci ci consiglia l’acquisto delle gomme per cancellare Pirelli. Gomme che, come si ricava dai cataloghi di quegli anni conservati presso la Fondazione Pirelli, erano tutte marchiate con la Plunga e la stella, disponibili in una decina di forme diverse e nel tipo bimescola inchiosto/matita.

La mostra “Il Trittico del Centenario: Leonardo 1919 Raffaello 1920 Dante 1921”, a cura di Roberto Antonelli, Virginia Lapenta, Guicciardo Sassoli de’Bianchi Strozzi sarà aperta fino al 13 gennaio 2022.

Il 16 giugno è stata inaugurata a Villa Farnesina a Roma una mostra dedicata al trittico dell’ingegno italiano, che si inserisce nella serie di iniziative promosse dall’Accademia dei Lincei per i centenari di Leonardo (2019), Raffaello (2020) e Dante (2021). La mostra approfondisce attraverso una rassegna di cartoline, opere, oggetti, riviste e giornali il gusto e l’estetica che nel primo dopoguerra hanno caratterizzato le celebrazioni dei centenari di Leonardo (1919), Raffaello (1920) e Dante (1921). Negli anni immediatamente a ridosso della prima guerra mondiale, in un’ Italia che cercava di ricostruire una propria identità nazionale, i tre maestri furono indicati come fonte d’ispirazione per i giovani artisti. Divennero inoltre modelli per guardare al futuro con spirito di innovazione e cambiamento, coinvolgendo ogni ambito del fare umano e arrivando a tutta la popolazione attraverso cartoline, oggetti, mobili, architetture, copertine di riviste e giornali.
In particolare, nella prima sezione di mostra dedicata a Leonardo, accanto ai richiami alle grandi ‘invenzioni’ delle quali il genio vinciano era ritenuto precursore – come gli aerei, i protagonisti nel corso degli anni Venti dell’Aeropittura – accanto ai monumenti equestri, ripresi dagli artisti per illustrare le scene della Grande Guerra e agli studi anatomici, è esposta anche una pubblicità Pirelli che ha per protagonista proprio il sommo artista-inventore.

Leonardo, perfetta sintesi tra arte e industria, diventa “testimonial d’eccezione” che Pirelli sceglie nel 1920 per pubblicizzare le sue gomme per cancellare: un suo ritratto a sanguigna, fissato con le puntine a un supporto, lo mostra mentre mette in bella vista “La miglior gomma per disegno”, come recita lo slogan. Proprio come un moderno influencer, Leonardo da Vinci ci consiglia l’acquisto delle gomme per cancellare Pirelli. Gomme che, come si ricava dai cataloghi di quegli anni conservati presso la Fondazione Pirelli, erano tutte marchiate con la Plunga e la stella, disponibili in una decina di forme diverse e nel tipo bimescola inchiosto/matita.

La mostra “Il Trittico del Centenario: Leonardo 1919 Raffaello 1920 Dante 1921”, a cura di Roberto Antonelli, Virginia Lapenta, Guicciardo Sassoli de’Bianchi Strozzi sarà aperta fino al 13 gennaio 2022.

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