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Ricordando Leonardo Sinisgalli

A quarant’anni dalla sua morte, Fondazione Pirelli, MMspa e la sua Centrale dell’Acqua, Fondazione Sinisgalli, Fondazione ISEC, ricordano il “poeta-ingegnere” Leonardo Sinisgalli con un ciclo di 3 incontri dal titolo “Un furore matematico: la lezione di Leonardo Sinisgalli”. Ciascun evento è dedicato a un diverso aspetto della vita di questo “Leonardo del Novecento”.

Venerdì 29 gennaio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli e Milano” con Antonio Calabrò (Fondazione Pirelli, MuseImpresa) e Giuseppe Lupo (Università Cattolica, Milano).

I rapporti tra Milano e Sinisgalli iniziano quando arriva a Milano nel 1932 dopo la laurea. Si dedica alla poesia, alla pubblicistica ma soprattutto inizia il lungo sodalizio che lo legherà al mondo della grande industria e alla composita schiera di intellettuali raccolti attorno a Edoardo Persico. Nel 1937 è assunto dalla Società del Linoleum del Gruppo Pirelli, breve e decisiva a cui seguirà, dopo un anno, l’incarico a direttore dell’Ufficio tecnico di pubblicità di Milano dell’Olivetti. Alla Linoleum conosce Giuseppe Luraghi, che ritroverà, dopo la guerra, sempre in Pirelli e con il quale darà vita a due delle più importanti riviste aziendali italiane: “Pirelli. Rivista di infromazione e di tecnica” (1948) e “Civiltà delle Macchine” (1953).

Venerdì 5 febbraio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli e Civiltà delle Macchine” Con Gian Italo Bischi (Università di Urbino) e Giorgio Bigatti  (Università Bocconi, Milano)

Nel 1950 Sinisgalli dà alle stampe “Furor mathematicus”, che raccoglie gli scritti di matematica, di geometria, di architettura, di arte e artigianato, di tecnica e storia della scienza. È il prodromo di “Civiltà delle Macchine”, la rivista della Finmeccanica che inventò nel 1953 e diresse per cinque anni (32 numeri). La rivista era espressione di una cultura politecnica che ambiva a far dialogare scienza, letteratura e arti nel quadro di un umanesimo industriale che aveva avuto un lontano antecedente nel “Politecnico” di Carlo Cattaneo.

Venerdì 12 febbraio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli poeta” Con Clelia Martignoni (Università di Pavia) e Luca Stefanelli (Università di Pavia)

La “doppia personalità” di Sinisgalli ingegnere/poeta emerge sin dalle prime pubblicazioni degli anni 30: una contaminazione che diviene completa negli anni 50. Secondo Sinisgalli la poesia è un insieme di “numeri reali” e di “numeri immaginari”. Esiste sempre qualcosa di non comprensibile, di non immediatamente scientifico, c’è sempre spazio all’immaginazione, ma c’è anche molto che appartiene al reale. Fare poesia significa riflettere sull’esistenza e sulla capacità di riuscire a comprendere la scientificità della realtà, attraverso la passione poetica. Che è sempre una passione contenuta, un filtro molto oggettivo.

Potete seguire la diretta a questo link

A quarant’anni dalla sua morte, Fondazione Pirelli, MMspa e la sua Centrale dell’Acqua, Fondazione Sinisgalli, Fondazione ISEC, ricordano il “poeta-ingegnere” Leonardo Sinisgalli con un ciclo di 3 incontri dal titolo “Un furore matematico: la lezione di Leonardo Sinisgalli”. Ciascun evento è dedicato a un diverso aspetto della vita di questo “Leonardo del Novecento”.

Venerdì 29 gennaio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli e Milano” con Antonio Calabrò (Fondazione Pirelli, MuseImpresa) e Giuseppe Lupo (Università Cattolica, Milano).

I rapporti tra Milano e Sinisgalli iniziano quando arriva a Milano nel 1932 dopo la laurea. Si dedica alla poesia, alla pubblicistica ma soprattutto inizia il lungo sodalizio che lo legherà al mondo della grande industria e alla composita schiera di intellettuali raccolti attorno a Edoardo Persico. Nel 1937 è assunto dalla Società del Linoleum del Gruppo Pirelli, breve e decisiva a cui seguirà, dopo un anno, l’incarico a direttore dell’Ufficio tecnico di pubblicità di Milano dell’Olivetti. Alla Linoleum conosce Giuseppe Luraghi, che ritroverà, dopo la guerra, sempre in Pirelli e con il quale darà vita a due delle più importanti riviste aziendali italiane: “Pirelli. Rivista di infromazione e di tecnica” (1948) e “Civiltà delle Macchine” (1953).

Venerdì 5 febbraio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli e Civiltà delle Macchine” Con Gian Italo Bischi (Università di Urbino) e Giorgio Bigatti  (Università Bocconi, Milano)

Nel 1950 Sinisgalli dà alle stampe “Furor mathematicus”, che raccoglie gli scritti di matematica, di geometria, di architettura, di arte e artigianato, di tecnica e storia della scienza. È il prodromo di “Civiltà delle Macchine”, la rivista della Finmeccanica che inventò nel 1953 e diresse per cinque anni (32 numeri). La rivista era espressione di una cultura politecnica che ambiva a far dialogare scienza, letteratura e arti nel quadro di un umanesimo industriale che aveva avuto un lontano antecedente nel “Politecnico” di Carlo Cattaneo.

Venerdì 12 febbraio 2021, diretta sui canali on line della Centrale dell’Acqua di Milano a partire dalle 17. “Sinisgalli poeta” Con Clelia Martignoni (Università di Pavia) e Luca Stefanelli (Università di Pavia)

La “doppia personalità” di Sinisgalli ingegnere/poeta emerge sin dalle prime pubblicazioni degli anni 30: una contaminazione che diviene completa negli anni 50. Secondo Sinisgalli la poesia è un insieme di “numeri reali” e di “numeri immaginari”. Esiste sempre qualcosa di non comprensibile, di non immediatamente scientifico, c’è sempre spazio all’immaginazione, ma c’è anche molto che appartiene al reale. Fare poesia significa riflettere sull’esistenza e sulla capacità di riuscire a comprendere la scientificità della realtà, attraverso la passione poetica. Che è sempre una passione contenuta, un filtro molto oggettivo.

Potete seguire la diretta a questo link

Per affrontare bene i “ruggenti anni Venti” serve un buon governo del Recovery Plan

“The roaring 20s?” titola in copertina “The Economist”, con un editoriale e un’inchiesta su tutto ciò che nel mondo va “towards a new era of innovation”. Quel punto interrogativo dopo gli anni 20 “ruggenti” la dice lunga sui problemi, i limiti, le perplessità che assillano tutti nel bel mezzo di una pandemia da Covid19 che continua a mietere vittime e una recessione che investe ancora le economie mondiali, fatte poche eccezioni. Si sa che le crisi contengono sempre elementi di opportunità. E infatti “The Economist” ricorda che “pessimism about technological change is giving way to hope – much of it justified”.

Ma è altrettanto vero che il cambiamento tecnologico in corso, verso l’economia digitale e il ruolo determinante dell’Intelligenza Artificiale nei processi produttivi, nei servizi e in tante altre dimensioni della nostra vita (dalla salute alla scuola, dalla cultura alla ricerca) ha tante e tali conseguenze sociali, sul lavoro e sui redditi, da richiedere una strategia politica e di governo alta, per evitarne o comunque attenuarne vecchie e nuove diseguaglianze e valorizzare le opportunità. Una strategia di cui non s’intravvedono ancora tracce chiare. Soprattutto qui in Italia, anche in questi giorni confusi di crisi di governo e risposte poco convincenti sulla ripresa, promesse a parte.

La copertina di “The Economist” allude a un’altra stagione di dinamismo e di drammatiche condizioni sociali, gli anni Venti del Novecento, giusto un secolo fa (Paolo Di Paolo ha dedicato al paragone un libro sapido e inquietante, solidamente documentato e molto ben scritto: “Svegliarsi negli anni Venti”, Mondadori, raccontando “il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro”). Allora si usciva dalla Grande Guerra, con i devastanti effetti delle nuove tecnologie applicate al conflitto militare (le auto, gli aerei, la meccanica sofisticata per le armi, la chimica e la fisica per i gas velenosi e le bombe) ma anche con le speranze di radicali cambiamenti economici e sociali, nell’euforia della Belle Époque e poi delle rivoluzioni annunciate e avviate. Rapidamente, in assenza di politiche lungimiranti di riforma e di costruzione di migliori equilibri economici e sociali, si sarebbe precipitati nella Grande Crisi del 1929 dilagata da Wall Street al mondo, nei fascismi in larga parte dell’Europa, nello stalinismo sovietico, nell’angoscia di nuovi squilibri, sino al disastro della Seconda Guerra Mondiale (rileggere Keynes, per capire bene).

Oggi, siamo di fronte a squilibri diversi e altre drammatiche tensioni. E, per affrontare l’incrocio tra pandemia e recessione, sempre alla politica bisogna guardare, pretendendo risposte chiare ed efficaci. Gli Usa, scegliendo Joe Biden per la Casa Bianca e chiudendo l’infausta stagione di Donald Trump e del suo nazionalismo estremista, l’hanno fatto (rimangono aperte, naturalmente, tutte le fratture economiche e sociali da tentare di ricomporre). E pure la Ue, con il Recovery Plan Next Generation per green economy e digital economy , ambiente e innovazione cioè, e con le scelte espansive della Bce, ha dato una indicazione strategica fondamentale. Papa Francesco con i suoi appelli sulla “economia giusta”, i giovani attenti a combattere il climate change e lo stesso mondo dell’economia e della finanza attento agli stakeholders values (gli interessi delle persone e delle comunità, superando l’ossessione del privilegio assoluto del profitto a ogni costo) mostrano l’evoluzione positiva di un’opinione pubblica sensibile e responsabile. Come andare avanti, allora, perché “la nuova era dell’innovazione” non si riveli un’occasione di cambiamento sprecata?

Siamo entrati in una nuova stagione di espansione della spesa pubblica. I 1.900 miliardi di dollari annunciati dal presidente Biden come investimenti d’emergenza nell’economia Usa ne sono conferma. Così come i 750 miliardi del Recovery Plan della Ue, mentre la Cina continua a immettere denaro pubblico nell’economia, contribuendo in modo determinante alla crescita del Pil di quel paese già del 2,3% nel 2020 e  a un lungo e robusto rimbalzo atteso per il ’21. Ci si indebita, per il futuro. Una buona scelta. A patto di saper distinguere “debito buono” da “debito cattivo”, come incita a fare Mario Draghi, indicando come “buono” il debito per gli investimenti utili a stimolare la crescita dell’economia e il miglioramento strutturale della qualità della vita e del lavoro e come “cattivo” il debito per assistenzialismo, sussidi, spesa corrente improduttiva.

Sta proprio qui il nodo che il governo italiano si è dimostrato finora incapace di sciogliere, elaborando bene il Recovery Plan, per usare produttivamente gli oltre 200 miliardi messi a disposizione della Ue e le risorse “liberate” dalla possibilità di ampliare l’indebitamento con la copertura della Bce. Abbiamo visto ristori, bonus e sussidi, più o meno efficaci per fronteggiare l’emergenza del crollo del Pil e dei redditi. Ma, almeno sinora, non una politica di riforme e investimenti, con provvedimenti chiari, piani di dettaglio efficaci, scadenze da rispettare, riforme da attuare. E la preoccupazione per il futuro è quanto mai evidente, anche in un’opinione pubblica impaurita, smarrita, stanca, in crisi di fiducia.

Il governo promette adesso di scrivere, finalmente, un buon Recovery Plan, seguendo le indicazioni dell’Europa su investimenti, ambiente, innovazione, ricerca, formazione, riforme radicali della burocrazia e della giustizia. E di recuperare il tempo perso. Si starà a vedere. Tocca alle forze politiche più responsabili, alle forze sociali e all’opinione pubblica fare in modo che quest’occasione non venga sprecata e che la si smetta di perdere tempo.

“The roaring 20s?” titola in copertina “The Economist”, con un editoriale e un’inchiesta su tutto ciò che nel mondo va “towards a new era of innovation”. Quel punto interrogativo dopo gli anni 20 “ruggenti” la dice lunga sui problemi, i limiti, le perplessità che assillano tutti nel bel mezzo di una pandemia da Covid19 che continua a mietere vittime e una recessione che investe ancora le economie mondiali, fatte poche eccezioni. Si sa che le crisi contengono sempre elementi di opportunità. E infatti “The Economist” ricorda che “pessimism about technological change is giving way to hope – much of it justified”.

Ma è altrettanto vero che il cambiamento tecnologico in corso, verso l’economia digitale e il ruolo determinante dell’Intelligenza Artificiale nei processi produttivi, nei servizi e in tante altre dimensioni della nostra vita (dalla salute alla scuola, dalla cultura alla ricerca) ha tante e tali conseguenze sociali, sul lavoro e sui redditi, da richiedere una strategia politica e di governo alta, per evitarne o comunque attenuarne vecchie e nuove diseguaglianze e valorizzare le opportunità. Una strategia di cui non s’intravvedono ancora tracce chiare. Soprattutto qui in Italia, anche in questi giorni confusi di crisi di governo e risposte poco convincenti sulla ripresa, promesse a parte.

La copertina di “The Economist” allude a un’altra stagione di dinamismo e di drammatiche condizioni sociali, gli anni Venti del Novecento, giusto un secolo fa (Paolo Di Paolo ha dedicato al paragone un libro sapido e inquietante, solidamente documentato e molto ben scritto: “Svegliarsi negli anni Venti”, Mondadori, raccontando “il cambiamento, i sogni e le paure da un secolo all’altro”). Allora si usciva dalla Grande Guerra, con i devastanti effetti delle nuove tecnologie applicate al conflitto militare (le auto, gli aerei, la meccanica sofisticata per le armi, la chimica e la fisica per i gas velenosi e le bombe) ma anche con le speranze di radicali cambiamenti economici e sociali, nell’euforia della Belle Époque e poi delle rivoluzioni annunciate e avviate. Rapidamente, in assenza di politiche lungimiranti di riforma e di costruzione di migliori equilibri economici e sociali, si sarebbe precipitati nella Grande Crisi del 1929 dilagata da Wall Street al mondo, nei fascismi in larga parte dell’Europa, nello stalinismo sovietico, nell’angoscia di nuovi squilibri, sino al disastro della Seconda Guerra Mondiale (rileggere Keynes, per capire bene).

Oggi, siamo di fronte a squilibri diversi e altre drammatiche tensioni. E, per affrontare l’incrocio tra pandemia e recessione, sempre alla politica bisogna guardare, pretendendo risposte chiare ed efficaci. Gli Usa, scegliendo Joe Biden per la Casa Bianca e chiudendo l’infausta stagione di Donald Trump e del suo nazionalismo estremista, l’hanno fatto (rimangono aperte, naturalmente, tutte le fratture economiche e sociali da tentare di ricomporre). E pure la Ue, con il Recovery Plan Next Generation per green economy e digital economy , ambiente e innovazione cioè, e con le scelte espansive della Bce, ha dato una indicazione strategica fondamentale. Papa Francesco con i suoi appelli sulla “economia giusta”, i giovani attenti a combattere il climate change e lo stesso mondo dell’economia e della finanza attento agli stakeholders values (gli interessi delle persone e delle comunità, superando l’ossessione del privilegio assoluto del profitto a ogni costo) mostrano l’evoluzione positiva di un’opinione pubblica sensibile e responsabile. Come andare avanti, allora, perché “la nuova era dell’innovazione” non si riveli un’occasione di cambiamento sprecata?

Siamo entrati in una nuova stagione di espansione della spesa pubblica. I 1.900 miliardi di dollari annunciati dal presidente Biden come investimenti d’emergenza nell’economia Usa ne sono conferma. Così come i 750 miliardi del Recovery Plan della Ue, mentre la Cina continua a immettere denaro pubblico nell’economia, contribuendo in modo determinante alla crescita del Pil di quel paese già del 2,3% nel 2020 e  a un lungo e robusto rimbalzo atteso per il ’21. Ci si indebita, per il futuro. Una buona scelta. A patto di saper distinguere “debito buono” da “debito cattivo”, come incita a fare Mario Draghi, indicando come “buono” il debito per gli investimenti utili a stimolare la crescita dell’economia e il miglioramento strutturale della qualità della vita e del lavoro e come “cattivo” il debito per assistenzialismo, sussidi, spesa corrente improduttiva.

Sta proprio qui il nodo che il governo italiano si è dimostrato finora incapace di sciogliere, elaborando bene il Recovery Plan, per usare produttivamente gli oltre 200 miliardi messi a disposizione della Ue e le risorse “liberate” dalla possibilità di ampliare l’indebitamento con la copertura della Bce. Abbiamo visto ristori, bonus e sussidi, più o meno efficaci per fronteggiare l’emergenza del crollo del Pil e dei redditi. Ma, almeno sinora, non una politica di riforme e investimenti, con provvedimenti chiari, piani di dettaglio efficaci, scadenze da rispettare, riforme da attuare. E la preoccupazione per il futuro è quanto mai evidente, anche in un’opinione pubblica impaurita, smarrita, stanca, in crisi di fiducia.

Il governo promette adesso di scrivere, finalmente, un buon Recovery Plan, seguendo le indicazioni dell’Europa su investimenti, ambiente, innovazione, ricerca, formazione, riforme radicali della burocrazia e della giustizia. E di recuperare il tempo perso. Si starà a vedere. Tocca alle forze politiche più responsabili, alle forze sociali e all’opinione pubblica fare in modo che quest’occasione non venga sprecata e che la si smetta di perdere tempo.

“L’Europa siamo noi”
tra Cinema & Storia

In partenza il nuovo corso di formazione per docenti di Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC

Ritorna anche per questo anno Cinema & Storia, il corso gratuito di formazione e aggiornamento per gli insegnanti delle scuole secondarie, organizzato da Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC, giunto quest’anno alla sua nona edizione. Al centro del percorso, articolato in sei appuntamenti online, l’Europa, dalla sua nascita agli eventi dell’anno appena concluso che hanno costretto a rimodulare il nostro sguardo sui suoi confini e hanno posto alcuni interrogativi sul ruolo e sulle prerogative dell’Unione Europea.

L’Europa siamo noi. Politica, economia e società dalle origini alla globalizzazione” è il titolo del corso che si pone come obiettivo di fornire gli strumenti per comprendere meglio il contesto europeo in una pluralità di approcci diacronici: storia delle idee, storia politica ed economica, storia della cultura. Gli incontri saranno anche occasione per ragionare sulla cittadinanza in termini di diritti, doveri e appartenenze plurali e sovranazionali.

Alle prime cinque lezioni che si terranno il lunedì dalle ore 16 alle ore 18, a partire dal 22 febbraio 2021, si affiancheranno alcune proposte filmiche presentate e commentate dai referenti del cinema Beltrade di Milano. I film saranno resi disponibili per i corsisiti in modalità streaming.

Il percorso si concluderà con un sesto appuntamento, un laboratorio specificamente dedicato all’utilizzo delle fonti audiovisive per la didattica a cura dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino.

L’iscrizione al corso è gratuita ma obbligatoria, scrivendo a didattica@fondazioneisec.it entro venerdì 19 febbraio 2021. Gli incontri si terranno in diretta sulla piattaforma Microsoft Teams. Per ulteriori informazioni scrivere a scuole@fondazionepirelli.org.

Per il programma dettagliato del corso clicca qui.

In partenza il nuovo corso di formazione per docenti di Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC

Ritorna anche per questo anno Cinema & Storia, il corso gratuito di formazione e aggiornamento per gli insegnanti delle scuole secondarie, organizzato da Fondazione Pirelli e Fondazione ISEC, giunto quest’anno alla sua nona edizione. Al centro del percorso, articolato in sei appuntamenti online, l’Europa, dalla sua nascita agli eventi dell’anno appena concluso che hanno costretto a rimodulare il nostro sguardo sui suoi confini e hanno posto alcuni interrogativi sul ruolo e sulle prerogative dell’Unione Europea.

L’Europa siamo noi. Politica, economia e società dalle origini alla globalizzazione” è il titolo del corso che si pone come obiettivo di fornire gli strumenti per comprendere meglio il contesto europeo in una pluralità di approcci diacronici: storia delle idee, storia politica ed economica, storia della cultura. Gli incontri saranno anche occasione per ragionare sulla cittadinanza in termini di diritti, doveri e appartenenze plurali e sovranazionali.

Alle prime cinque lezioni che si terranno il lunedì dalle ore 16 alle ore 18, a partire dal 22 febbraio 2021, si affiancheranno alcune proposte filmiche presentate e commentate dai referenti del cinema Beltrade di Milano. I film saranno resi disponibili per i corsisiti in modalità streaming.

Il percorso si concluderà con un sesto appuntamento, un laboratorio specificamente dedicato all’utilizzo delle fonti audiovisive per la didattica a cura dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino.

L’iscrizione al corso è gratuita ma obbligatoria, scrivendo a didattica@fondazioneisec.it entro venerdì 19 febbraio 2021. Gli incontri si terranno in diretta sulla piattaforma Microsoft Teams. Per ulteriori informazioni scrivere a scuole@fondazionepirelli.org.

Per il programma dettagliato del corso clicca qui.

Etica per fare meglio impresa

Una tesi discussa nell’ambito del Politecnico di Torino, aiuta a fare ordine in un tema complesso e non sempre chiaro

Etica per gestire meglio l’impresa. E per fare di una semplice organizzazione della produzione, qualcosa di più ampio (e complesso). Cultura d’impresa che riesce a compiere un salto di livello. Senza dimenticare la necessità di avere conti in ordine ed efficienza produttiva. Il tema dell’etica d’impresa è complesso e deve essere affrontato con attenzione. Lo ha fatto Lorenzo Carucci con la sua tesi discussa nell’ambito del DIGEP (Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione) del Politecnico di Torino, che si spinge a proporre “un codice etico universale” pensato in modo specifico per le startup.
“La pratica della Business Ethics: codice etico per le startup”, ragiona partendo dalla constatazione che “ad oggi diventa di fondamentale importanza per le aziende di tutto il mondo uniformare e allineare gli obiettivi ‘etici’ e di crescita sostenibile delle organizzazioni a quelli delle nazioni in cui operano”. Anzi di più, per Carucci occorre arrivare “ad allineare strategie e operazioni ai principi universali in materia di diritti umani, lavoro, ambiente e lotta alla corruzione e ad intraprendere azioni che promuovano” questi traguardi nelle imprese.
Etica, quindi, come strumento di gestione d’impresa al pari dei consueti principi di management e a fianco della responsabilità sociale d’impresa vista come elemento ormai imprescindibile.
Dopo aver ripercorso storia e teoria dell’etica aziendale, la ricerca arriva a proporre quindi un codice etico universale per le nuove aziende cercando di allinearle a quanto indicato dalle Nazioni Unite, e con particolare attenzione alla collaborazione e all’innovazione. Carucci poi si spinge oltre, chiarendo che “l’etica aziendale riguarda anche la creazione di un ambiente di lavoro eticamente sano all’interno dell’organizzazione e la modellazione del comportamento etico attraverso la leadership”. Tutto senza dimenticare la necessità di introdurre principi etici anche nei comportamenti più strettamente legati alla finanza e all’amministrazione d’impresa.
L’indagine di Lorenzo Carucci ha il merito di condensare in poco spazio un tema contrastato e di non sempre facile comprensione.

La pratica della Business Ethics: codice etico per le startup
Lorenzo Carucci
Tesi, Politecnico di Torino DIGEP (Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione), Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale, 2020

Una tesi discussa nell’ambito del Politecnico di Torino, aiuta a fare ordine in un tema complesso e non sempre chiaro

Etica per gestire meglio l’impresa. E per fare di una semplice organizzazione della produzione, qualcosa di più ampio (e complesso). Cultura d’impresa che riesce a compiere un salto di livello. Senza dimenticare la necessità di avere conti in ordine ed efficienza produttiva. Il tema dell’etica d’impresa è complesso e deve essere affrontato con attenzione. Lo ha fatto Lorenzo Carucci con la sua tesi discussa nell’ambito del DIGEP (Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione) del Politecnico di Torino, che si spinge a proporre “un codice etico universale” pensato in modo specifico per le startup.
“La pratica della Business Ethics: codice etico per le startup”, ragiona partendo dalla constatazione che “ad oggi diventa di fondamentale importanza per le aziende di tutto il mondo uniformare e allineare gli obiettivi ‘etici’ e di crescita sostenibile delle organizzazioni a quelli delle nazioni in cui operano”. Anzi di più, per Carucci occorre arrivare “ad allineare strategie e operazioni ai principi universali in materia di diritti umani, lavoro, ambiente e lotta alla corruzione e ad intraprendere azioni che promuovano” questi traguardi nelle imprese.
Etica, quindi, come strumento di gestione d’impresa al pari dei consueti principi di management e a fianco della responsabilità sociale d’impresa vista come elemento ormai imprescindibile.
Dopo aver ripercorso storia e teoria dell’etica aziendale, la ricerca arriva a proporre quindi un codice etico universale per le nuove aziende cercando di allinearle a quanto indicato dalle Nazioni Unite, e con particolare attenzione alla collaborazione e all’innovazione. Carucci poi si spinge oltre, chiarendo che “l’etica aziendale riguarda anche la creazione di un ambiente di lavoro eticamente sano all’interno dell’organizzazione e la modellazione del comportamento etico attraverso la leadership”. Tutto senza dimenticare la necessità di introdurre principi etici anche nei comportamenti più strettamente legati alla finanza e all’amministrazione d’impresa.
L’indagine di Lorenzo Carucci ha il merito di condensare in poco spazio un tema contrastato e di non sempre facile comprensione.

La pratica della Business Ethics: codice etico per le startup
Lorenzo Carucci
Tesi, Politecnico di Torino DIGEP (Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione), Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale, 2020

Vita non scontata d’impresa

La storia della Engineering tra tecnologia, istituzioni e forti personalità

Apprendere della buona cultura d’impresa dalle storie di altri. Operazione non nuova da compiere, eppure sempre importante. Perché è più dalla pratica che dalla teoria, che è  possibile cogliere senso, motivazioni e passaggi di quell’approccio imprenditoriale e manageriale che fa di un’azienda qualcosa di molto di più di un’organizzazione fatta per produrre e far profitto. E’ il caso della storia della Engineering – Ingegneria Informatica Spa raccontata in un libro da Nicola Melideo.

“40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita”, è dunque la storia – ben scritta -, di una delle imprese dell’Ict più importanti degli ultimi decenni che ha un doppio significato: da un lato quello di una vicenda umana e lavorativa importante, dall’altro la possibilità di unire una storia d’impresa con quella di un comparto, l’informatica, che in 40 anni ha cambiato il mondo oltre che se stesso.

Engineering nasce nel 1980 come software house con l’obiettivo di raccogliere la sfida olivettiana di essere un’industria informatica con testa e cuore italiani ma gambe e braccia multinazionali. Un percorso che, come si è detto, inizia quando in Italia l’informatizzazione muove i primi timidi passi in un settore che si presenta subito complesso e altamente competitivo e che arriva fino ad oggi con la Engineering “giocatore globale” del settore con 65 sedi sparse per il mondo e oltre 12.000 dipendenti. Un’impresa che, tuttavia, è molto diversa da quella immaginata all’inizio.

Quanto si racconta nel libro, tuttavia, è una storia più complessa delle apparenze; si tratta cioè di una vicenda nella quale lo sviluppo dell’azienda si intreccia con quello del Paese, ma anche con le vite delle singole forti persone che nel tempo vi hanno lavorato. Storia fatta anche di divisioni oppure di sconfitte, ma sempre storia accompagnata da un “sentire d’impresa” che fa la differenza. E che ad un certo punto sembra quasi animare l’azienda di vita propria, oltre quella delle singole personalità che vi lavorano. La conclusione, odierna, della vita della Engineering, è certamente differente da quanto si poteva immaginare iniziando a leggere.

Il libro di Melideo non è la solita (per certi versi un po’ scontata) storia d’impresa, ma qualcosa di più complesso e quindi più utile da cogliere.

40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita

Nicola Melideo

Guerini Next, 2020

La storia della Engineering tra tecnologia, istituzioni e forti personalità

Apprendere della buona cultura d’impresa dalle storie di altri. Operazione non nuova da compiere, eppure sempre importante. Perché è più dalla pratica che dalla teoria, che è  possibile cogliere senso, motivazioni e passaggi di quell’approccio imprenditoriale e manageriale che fa di un’azienda qualcosa di molto di più di un’organizzazione fatta per produrre e far profitto. E’ il caso della storia della Engineering – Ingegneria Informatica Spa raccontata in un libro da Nicola Melideo.

“40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita”, è dunque la storia – ben scritta -, di una delle imprese dell’Ict più importanti degli ultimi decenni che ha un doppio significato: da un lato quello di una vicenda umana e lavorativa importante, dall’altro la possibilità di unire una storia d’impresa con quella di un comparto, l’informatica, che in 40 anni ha cambiato il mondo oltre che se stesso.

Engineering nasce nel 1980 come software house con l’obiettivo di raccogliere la sfida olivettiana di essere un’industria informatica con testa e cuore italiani ma gambe e braccia multinazionali. Un percorso che, come si è detto, inizia quando in Italia l’informatizzazione muove i primi timidi passi in un settore che si presenta subito complesso e altamente competitivo e che arriva fino ad oggi con la Engineering “giocatore globale” del settore con 65 sedi sparse per il mondo e oltre 12.000 dipendenti. Un’impresa che, tuttavia, è molto diversa da quella immaginata all’inizio.

Quanto si racconta nel libro, tuttavia, è una storia più complessa delle apparenze; si tratta cioè di una vicenda nella quale lo sviluppo dell’azienda si intreccia con quello del Paese, ma anche con le vite delle singole forti persone che nel tempo vi hanno lavorato. Storia fatta anche di divisioni oppure di sconfitte, ma sempre storia accompagnata da un “sentire d’impresa” che fa la differenza. E che ad un certo punto sembra quasi animare l’azienda di vita propria, oltre quella delle singole personalità che vi lavorano. La conclusione, odierna, della vita della Engineering, è certamente differente da quanto si poteva immaginare iniziando a leggere.

Il libro di Melideo non è la solita (per certi versi un po’ scontata) storia d’impresa, ma qualcosa di più complesso e quindi più utile da cogliere.

40 anni di Engineering. La storia di un’impresa italiana e delle persone che l’hanno costruita

Nicola Melideo

Guerini Next, 2020

Capitalismi possibili

Un libro di Branko Milanovic appena pubblicato anche in Italia, sintetizza la storia e il futuro dell’attuale forma  di organizzazione della produzione

Compredere il contesto per agire meglio e con maggiore efficacia. E’ uno dei compiti fondamentali dell’imprenditore avveduto e del buon manager. Indicazione certo non nuova. Ma che occorre sempre ribadire, sfruttando gli strumenti che, di volta in volta, possono essere utili. E’ il caso di “Capitalismo contro capitalismo”, libro scritto da Branko Milanovic da poco pubblicato in Italia.

Il libro si svolge lungo cinque capitoli e mette a confronto i due capitalismi oggi presenti nel mondo: quello “liberal-meritocratico” dell’occidente, e quello “politico” della Cina in particolare. Una sorta di dominazione mondiale da parte delle due forme di organizzazione della produzione, che l’autore attribuisce ad un solo motivo: il capitalismo funziona, produce prosperità e gratifica l’aspirazione umana all’autonomia. Milanovic però, indica subito quanto tutto questo abbia un costo spingendo “a perseguire il successo materiale come unico obiettivo”. Senza dire della mancanza di “garanzie di stabilità”.

E’ quindi lungo l’approfondimento delle caratteristiche dei due capitalismi che si snoda buona parte del libro di Milanovic che, tra l’altro, scrive facendosi forte della sua esperienza ventennale come capo economista del dipartimento di ricerca della Banca Mondiale.

Ma il libro di Milanovic non è solo questo. L’autore infatti cerca di rispondere ad una domanda cruciale: ora che il capitalismo è l’unico sistema che ci governa, quali sono le prospettive concrete che garantiscono all’umanità più equità e una crescita sostenibile per il pianeta?  Le risposte di Milanovic non sono scontate e partono dal ruolo comunque insostituibile delle scelte che il “sistema umano” sarà capace di compiere. Viene quindi delineata la possibilità di arrivare ad un “capitalismo popolare o egualitario.

Il libro di Milanovic ha il grandissimo pregio di essere stato scritto e tradotto con un linguaggio chiaro e limpido, anche se affronta temi complessi e importanti non solo per il sistema della produzione ma per chiunque voglia capire meglio il mondo nel quale vive e lavora.

Capitalismo contro capitalismo
Branko Milanovic
Laterza, 2020

Un libro di Branko Milanovic appena pubblicato anche in Italia, sintetizza la storia e il futuro dell’attuale forma  di organizzazione della produzione

Compredere il contesto per agire meglio e con maggiore efficacia. E’ uno dei compiti fondamentali dell’imprenditore avveduto e del buon manager. Indicazione certo non nuova. Ma che occorre sempre ribadire, sfruttando gli strumenti che, di volta in volta, possono essere utili. E’ il caso di “Capitalismo contro capitalismo”, libro scritto da Branko Milanovic da poco pubblicato in Italia.

Il libro si svolge lungo cinque capitoli e mette a confronto i due capitalismi oggi presenti nel mondo: quello “liberal-meritocratico” dell’occidente, e quello “politico” della Cina in particolare. Una sorta di dominazione mondiale da parte delle due forme di organizzazione della produzione, che l’autore attribuisce ad un solo motivo: il capitalismo funziona, produce prosperità e gratifica l’aspirazione umana all’autonomia. Milanovic però, indica subito quanto tutto questo abbia un costo spingendo “a perseguire il successo materiale come unico obiettivo”. Senza dire della mancanza di “garanzie di stabilità”.

E’ quindi lungo l’approfondimento delle caratteristiche dei due capitalismi che si snoda buona parte del libro di Milanovic che, tra l’altro, scrive facendosi forte della sua esperienza ventennale come capo economista del dipartimento di ricerca della Banca Mondiale.

Ma il libro di Milanovic non è solo questo. L’autore infatti cerca di rispondere ad una domanda cruciale: ora che il capitalismo è l’unico sistema che ci governa, quali sono le prospettive concrete che garantiscono all’umanità più equità e una crescita sostenibile per il pianeta?  Le risposte di Milanovic non sono scontate e partono dal ruolo comunque insostituibile delle scelte che il “sistema umano” sarà capace di compiere. Viene quindi delineata la possibilità di arrivare ad un “capitalismo popolare o egualitario.

Il libro di Milanovic ha il grandissimo pregio di essere stato scritto e tradotto con un linguaggio chiaro e limpido, anche se affronta temi complessi e importanti non solo per il sistema della produzione ma per chiunque voglia capire meglio il mondo nel quale vive e lavora.

Capitalismo contro capitalismo
Branko Milanovic
Laterza, 2020

Buona cultura ambientale d’impresa

Una tesi discussa all’Università di Padova, chiarisce le relazioni tra compatibilità ambientale dell’economia e finanza

 

Cultura d’impresa che si fa anche cultura ambientale. Produzioni “industriali” che sono anche attente all’ambiente, al loro impatto sulla natura e ai risvolti “oltre il profitto”. Sensibilità alla natura anche negli imprenditori e nei manager. Condizione non di oggi, ma che oggi certamente assume connotati sempre più forti. Ci si rende conto di quanto sta accadendo anche leggendo il lavoro di tesi discusso da Pietro Acerbi presso l’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”.

“Investimenti ESG: la svolta sostenibile del settore finanziario”, chiarisce il suo intento ad iniziare dallo stesso titolo: studiare le relazioni tra la parte finanziaria dell’economia e la sostenibilità ambientale attraverso gli investimenti.

Spiega l’autore: “I temi legati al cambiamento climatico e all’ecologia stanno assumendo una sempre maggiore importanza in tutti gli aspetti della nostra vita, modificando le nostre scelte e i nostri comportamenti. Ormai i legislatori e i grandi attori economici non posso più ignorare il devastante impatto che l’incertezza legata ai mutamenti climatici sta avendo sull’economia mondiale”. Fin qui sintesi di quanto è ormai davanti a tutti gli osservatori attenti. Acerbi però aggiunge quanto importante sia il ruolo del “mondo della finanza” visto come “catalizzatore” e guida dei capitali verso le realtà economiche più attente alla compatibilità con l’ambiente. L’obiettivo della ricerca di Acerbi, quindi, è quello di “indagare il nuovo e crescente legame che intercorre tra il settore finanziario e la sostenibilità ambientale”. Lo stesso poi precisa: “Il filo conduttore saranno le decisioni prese da diverse istituzioni nazionali ed internazionali per implementare la transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio e dunque più ‘verde’”.

La tesi prende così le mosse dall’analisi dell’Action Plan varato dall’Unione Europea, il primo vero passo in avanti nell’integrazione dei fattori ambientali in ambito finanziario. Successivamente la ricerca si occupa di come la Banca d’Italia stia modificando le sue scelte d’investimento in favore di criteri di selezione che tengano conto dei fattori ESG, ossia fattori ambientali, sociali e di governance. L’ultima parte del lavoro, cerca di osservare quella che potrà essere la risposta al cambiamento climatico da parte delle autorità monetarie, ossia delle banche centrali, attraverso gli strumenti di politica monetaria.

La sintesi condotta da Pietro Acerbi ha il pregio di riuscire a rendere con chiarezza un tema in continua evoluzione, nel quale spinte culturali si uniscono a motivazioni più strettamente economiche. Da leggere.

Investimenti ESG: la svolta sostenibile del settore finanziario

Acerbi Pietro

Tesi, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”, Corso di laurea in economia, 2020

Una tesi discussa all’Università di Padova, chiarisce le relazioni tra compatibilità ambientale dell’economia e finanza

 

Cultura d’impresa che si fa anche cultura ambientale. Produzioni “industriali” che sono anche attente all’ambiente, al loro impatto sulla natura e ai risvolti “oltre il profitto”. Sensibilità alla natura anche negli imprenditori e nei manager. Condizione non di oggi, ma che oggi certamente assume connotati sempre più forti. Ci si rende conto di quanto sta accadendo anche leggendo il lavoro di tesi discusso da Pietro Acerbi presso l’Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”.

“Investimenti ESG: la svolta sostenibile del settore finanziario”, chiarisce il suo intento ad iniziare dallo stesso titolo: studiare le relazioni tra la parte finanziaria dell’economia e la sostenibilità ambientale attraverso gli investimenti.

Spiega l’autore: “I temi legati al cambiamento climatico e all’ecologia stanno assumendo una sempre maggiore importanza in tutti gli aspetti della nostra vita, modificando le nostre scelte e i nostri comportamenti. Ormai i legislatori e i grandi attori economici non posso più ignorare il devastante impatto che l’incertezza legata ai mutamenti climatici sta avendo sull’economia mondiale”. Fin qui sintesi di quanto è ormai davanti a tutti gli osservatori attenti. Acerbi però aggiunge quanto importante sia il ruolo del “mondo della finanza” visto come “catalizzatore” e guida dei capitali verso le realtà economiche più attente alla compatibilità con l’ambiente. L’obiettivo della ricerca di Acerbi, quindi, è quello di “indagare il nuovo e crescente legame che intercorre tra il settore finanziario e la sostenibilità ambientale”. Lo stesso poi precisa: “Il filo conduttore saranno le decisioni prese da diverse istituzioni nazionali ed internazionali per implementare la transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio e dunque più ‘verde’”.

La tesi prende così le mosse dall’analisi dell’Action Plan varato dall’Unione Europea, il primo vero passo in avanti nell’integrazione dei fattori ambientali in ambito finanziario. Successivamente la ricerca si occupa di come la Banca d’Italia stia modificando le sue scelte d’investimento in favore di criteri di selezione che tengano conto dei fattori ESG, ossia fattori ambientali, sociali e di governance. L’ultima parte del lavoro, cerca di osservare quella che potrà essere la risposta al cambiamento climatico da parte delle autorità monetarie, ossia delle banche centrali, attraverso gli strumenti di politica monetaria.

La sintesi condotta da Pietro Acerbi ha il pregio di riuscire a rendere con chiarezza un tema in continua evoluzione, nel quale spinte culturali si uniscono a motivazioni più strettamente economiche. Da leggere.

Investimenti ESG: la svolta sostenibile del settore finanziario

Acerbi Pietro

Tesi, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”, Corso di laurea in economia, 2020

Il tempo dei costruttori di futuro e le scelte urgenti per il Recovery Plan: investimenti e riforme

Questo dev’essere “il tempo dei costruttori”, sostiene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio agli italiani per il nuovo anno. Siamo ancora in piena pandemia da Covid19, con il suo carico quotidiano di contagio e dolore, preoccupazione e morte. La crisi economica è durissima e in primavera, finito il paracadute squilibrato del blocco dei licenziamenti, assisteremo alle conseguenze della perdita di un altro milione di posti di lavoro, mentre scontiamo già la chiusura di decine di migliaia di aziende. I dati più recenti (Moody’s) parlano di una caduta del Pil in Italia del 9% nel 2020 e di un rimbalzo del 5,6% nel ’21, cosicché dovremo aspettare almeno il 2022 per tornare ai livelli economici precedenti alla crisi (come noi, anche Francia e Spagna). E per tutta l’Europa, quest’anno, l’economia sarà “lenta, irregolare e fragile”. La fragilità è il segno di una difficile stagione. Ma, ricordando Dylan, “the times, they are a-changin’”. O, per essere più precisi, i tempi potrebbero e dovrebbero cambiare. E’ il “tempo dei costruttori”, appunto.

E’ cominciata, infatti, la vaccinazione, pur con tutto il carico iniziale di errori, inadeguatezze, incertezze e polemiche. E tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, saranno vaccinati tanti italiani da poter essere protetti dalla cosiddetta “immunità di gregge”. Restano le incertezze sulla durata della protezione dei vaccini, sulla contagiosità residua del Covid19 e delle sue varianti, sulle misure da rendere permanenti come buone abitudini (le mascherine, l’attenzione ai sovraffollamenti, le terapie ben definite nei casi d’emergenza). Ma il vaccino è comunque la svolta. Si può cominciare a ricostruire il tessuto della fiducia, a pensare futuro, senza l’incubo della morte diffusa.

Il secondo pilastro della fiducia è il Recovery Plan “Next Generation” della Ue, con i suoi 200 e più miliardi a disposizione dell’Italia, da investire per finanziare un radicale rinnovamento del sistema Italia, un’ambiziosa stagione di riforme nel doppio segno della green economy e della digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con le riforme indispensabili per raggiungere quegli obiettivi: la pubblica amministrazione, la giustizia, la formazione, la ricerca, le infrastrutture materiali e immateriali (a cominciare dal 5G, fondamentale per la trasformazione digitale che investe l’industria e i servizi, la salute e il lavoro, la scuola e la cultura). Ed è proprio qui che il monito di Mattarella acquista un peso di grandissimo rilievo politico e istituzionale.

Sui contenuti del Recovery Plan, infatti, governo e forze politiche hanno dimostrato finora una preoccupante assenza di visione e una grave inadeguatezza nella definizione dei progetti concreti sulla base dei quali la Ue erogherà i suoi finanziamenti. A lungo, nel chiuso delle stanze di Palazzo Chigi e nei circoli di parte della maggioranza di governo, hanno prevalso logiche tipiche più di una “economia dei sussidi” che non di una strategia di investimenti innovativi, una passione per “bonus” e “ristori” che mette in ombra la necessità di avere idee chiare su dove orientare gli investimenti e come consentirne e poi verificarne passo passo l’attuazione.

Il risultato è stato un rischio di deriva corporativa e assistenziale dei progetti e una lentezza nelle scelte di governance che hanno profondamente preoccupato sia i vertici Ue, sia il Quirinale sia gli ambienti economici, imprenditoriali e sociali più responsabili e consapevoli della irripetibilità di una condizione di risorse disponibili e di indicazioni politiche europee per trasformare l’Italia e rafforzare l’Europa.

Le ombre minacciose della crisi di governo non hanno aiutato e non aiutano.

Resta, sempre più diffusa in un’inquieta e allarmata opinione pubblica, la sensazione che si corra il rischio di sprecare un’occasione fondamentale di rinnovamento e di crescita e che ci si ritrovi prigionieri di un gigantesco debito pubblico, senza avere avviato le riforme necessarie per cominciare a crescere e dunque ripagare quel debito e assicurare un futuro migliore ai nostri giovani. A quella “Next Generation” cui guarda l’Europa e che noi non possiamo certo sacrificare per l’insipienza di buona parte della nostra classe dirigente.

Il Recovery Plan, da definire urgentemente, con concretezza e lucidità, è la sfida di oggi. L’orizzonte è quello di saper essere, appunto, “costruttori di futuro”.

Anche le novità del contesto internazionale possono essere di stimolo e aiuto. La nuova amministrazione Biden, alla Casa Bianca, inaugura una nuova stagione fondata sul rilancio del multilateralismo, in un clima più disteso pur se sempre carico di tensioni, dopo i disastri degli anni tempestosi di Trump e del sovranismo prepotente da “America first”. E la rivalutazione dello storico asse atlantico, del rapporto privilegiato tra Usa ed Europa più influire su un miglioramento delle relazioni internazionali, dando alla Ue una forte funzione e di riequilibrio. Resta aperta la ferita della Brexit, con conseguenze pesanti soprattutto per il Regno Unito. Così come restano forti le tensioni nell’inquieto Mediterraneo, con le pressioni che vengono da Turchia e Russia. Ma stiamo, nonostante tutto, entrando in un tempo in cui potranno pesare di più le diplomazie e meno le prepotenti affermazioni dei primati nazionali.

L’Europa è la seconda novità positiva. Un’Europa più consapevole della sua responsabilità politica, più convinta della necessità di farsi carico delle scelte di investimento pubblico per uscire, insieme, da pandemia e recessione e di dovere dare un’anima progettuale e morale al suo sistema di valori, da unione di stati di democrazia liberale e di nuovo welfare inclusivo, con un’attenzione speciale per i suoi giovani, l’ambiente, il futuro. Attore protagonista di quel “cambio di paradigma” in direzione della sostenibilità, ambientale e sociale su cui, appunto, Bruxelles e Washington possono fare ambiziose scelte comuni, da fare valere nei confronti del resto del mondo. Anche in sintonia con il messaggio di Papa Francesco e della sua “economia giusta”.

La crisi del sovranismo e del populismo sono gli assi politici, culturali ed etici su cui provare ad andare avanti. I cardini d’uno sviluppo civile che si ritrovano pure in quell’incitamento del Quirinale al “tempo dei costruttori” da cui siamo partiti. Un tempo da “costruttori del futuro”. Proprio quel pensiero simbolico che, come ci ha insegnato Ernest Cassirer, uno dei maggiori filosofi del Novecento, “può aiutarci a superare l’inerzia che ci avvolge e a trovare l’energia per trasformare il cattivo presente”.

Questo dev’essere “il tempo dei costruttori”, sostiene il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo messaggio agli italiani per il nuovo anno. Siamo ancora in piena pandemia da Covid19, con il suo carico quotidiano di contagio e dolore, preoccupazione e morte. La crisi economica è durissima e in primavera, finito il paracadute squilibrato del blocco dei licenziamenti, assisteremo alle conseguenze della perdita di un altro milione di posti di lavoro, mentre scontiamo già la chiusura di decine di migliaia di aziende. I dati più recenti (Moody’s) parlano di una caduta del Pil in Italia del 9% nel 2020 e di un rimbalzo del 5,6% nel ’21, cosicché dovremo aspettare almeno il 2022 per tornare ai livelli economici precedenti alla crisi (come noi, anche Francia e Spagna). E per tutta l’Europa, quest’anno, l’economia sarà “lenta, irregolare e fragile”. La fragilità è il segno di una difficile stagione. Ma, ricordando Dylan, “the times, they are a-changin’”. O, per essere più precisi, i tempi potrebbero e dovrebbero cambiare. E’ il “tempo dei costruttori”, appunto.

E’ cominciata, infatti, la vaccinazione, pur con tutto il carico iniziale di errori, inadeguatezze, incertezze e polemiche. E tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, saranno vaccinati tanti italiani da poter essere protetti dalla cosiddetta “immunità di gregge”. Restano le incertezze sulla durata della protezione dei vaccini, sulla contagiosità residua del Covid19 e delle sue varianti, sulle misure da rendere permanenti come buone abitudini (le mascherine, l’attenzione ai sovraffollamenti, le terapie ben definite nei casi d’emergenza). Ma il vaccino è comunque la svolta. Si può cominciare a ricostruire il tessuto della fiducia, a pensare futuro, senza l’incubo della morte diffusa.

Il secondo pilastro della fiducia è il Recovery Plan “Next Generation” della Ue, con i suoi 200 e più miliardi a disposizione dell’Italia, da investire per finanziare un radicale rinnovamento del sistema Italia, un’ambiziosa stagione di riforme nel doppio segno della green economy e della digital economy, ambiente e innovazione, cioè, con le riforme indispensabili per raggiungere quegli obiettivi: la pubblica amministrazione, la giustizia, la formazione, la ricerca, le infrastrutture materiali e immateriali (a cominciare dal 5G, fondamentale per la trasformazione digitale che investe l’industria e i servizi, la salute e il lavoro, la scuola e la cultura). Ed è proprio qui che il monito di Mattarella acquista un peso di grandissimo rilievo politico e istituzionale.

Sui contenuti del Recovery Plan, infatti, governo e forze politiche hanno dimostrato finora una preoccupante assenza di visione e una grave inadeguatezza nella definizione dei progetti concreti sulla base dei quali la Ue erogherà i suoi finanziamenti. A lungo, nel chiuso delle stanze di Palazzo Chigi e nei circoli di parte della maggioranza di governo, hanno prevalso logiche tipiche più di una “economia dei sussidi” che non di una strategia di investimenti innovativi, una passione per “bonus” e “ristori” che mette in ombra la necessità di avere idee chiare su dove orientare gli investimenti e come consentirne e poi verificarne passo passo l’attuazione.

Il risultato è stato un rischio di deriva corporativa e assistenziale dei progetti e una lentezza nelle scelte di governance che hanno profondamente preoccupato sia i vertici Ue, sia il Quirinale sia gli ambienti economici, imprenditoriali e sociali più responsabili e consapevoli della irripetibilità di una condizione di risorse disponibili e di indicazioni politiche europee per trasformare l’Italia e rafforzare l’Europa.

Le ombre minacciose della crisi di governo non hanno aiutato e non aiutano.

Resta, sempre più diffusa in un’inquieta e allarmata opinione pubblica, la sensazione che si corra il rischio di sprecare un’occasione fondamentale di rinnovamento e di crescita e che ci si ritrovi prigionieri di un gigantesco debito pubblico, senza avere avviato le riforme necessarie per cominciare a crescere e dunque ripagare quel debito e assicurare un futuro migliore ai nostri giovani. A quella “Next Generation” cui guarda l’Europa e che noi non possiamo certo sacrificare per l’insipienza di buona parte della nostra classe dirigente.

Il Recovery Plan, da definire urgentemente, con concretezza e lucidità, è la sfida di oggi. L’orizzonte è quello di saper essere, appunto, “costruttori di futuro”.

Anche le novità del contesto internazionale possono essere di stimolo e aiuto. La nuova amministrazione Biden, alla Casa Bianca, inaugura una nuova stagione fondata sul rilancio del multilateralismo, in un clima più disteso pur se sempre carico di tensioni, dopo i disastri degli anni tempestosi di Trump e del sovranismo prepotente da “America first”. E la rivalutazione dello storico asse atlantico, del rapporto privilegiato tra Usa ed Europa più influire su un miglioramento delle relazioni internazionali, dando alla Ue una forte funzione e di riequilibrio. Resta aperta la ferita della Brexit, con conseguenze pesanti soprattutto per il Regno Unito. Così come restano forti le tensioni nell’inquieto Mediterraneo, con le pressioni che vengono da Turchia e Russia. Ma stiamo, nonostante tutto, entrando in un tempo in cui potranno pesare di più le diplomazie e meno le prepotenti affermazioni dei primati nazionali.

L’Europa è la seconda novità positiva. Un’Europa più consapevole della sua responsabilità politica, più convinta della necessità di farsi carico delle scelte di investimento pubblico per uscire, insieme, da pandemia e recessione e di dovere dare un’anima progettuale e morale al suo sistema di valori, da unione di stati di democrazia liberale e di nuovo welfare inclusivo, con un’attenzione speciale per i suoi giovani, l’ambiente, il futuro. Attore protagonista di quel “cambio di paradigma” in direzione della sostenibilità, ambientale e sociale su cui, appunto, Bruxelles e Washington possono fare ambiziose scelte comuni, da fare valere nei confronti del resto del mondo. Anche in sintonia con il messaggio di Papa Francesco e della sua “economia giusta”.

La crisi del sovranismo e del populismo sono gli assi politici, culturali ed etici su cui provare ad andare avanti. I cardini d’uno sviluppo civile che si ritrovano pure in quell’incitamento del Quirinale al “tempo dei costruttori” da cui siamo partiti. Un tempo da “costruttori del futuro”. Proprio quel pensiero simbolico che, come ci ha insegnato Ernest Cassirer, uno dei maggiori filosofi del Novecento, “può aiutarci a superare l’inerzia che ci avvolge e a trovare l’energia per trasformare il cattivo presente”.

Musei d’impresa, così il futuro si nutre di un grande passato

Una partenza animata per Fondazione Pirelli Educational

É stato un inizio da ricordare quello del progetto Fondazione Pirelli Educational 2020/2021 dedicato alle scuole primarie e secondarie, in versione interamente digitale.

Oltre 1000 studenti si sono collegati da tutta Italia tra ottobre e dicembre per partecipare ai percorsi in diretta online, seguendo tour virtuali, realizzando attività di laboratorio e continuando con il supporto dei docenti lo studio delle tematiche affrontate grazie agli approfondimenti forniti.

Abbiamo analizzato come la ricerca tecnologica e lo studio debbano anticipare la produzione di un pneumatico, conosciuto le più importanti firme della grafica internazionale del Novecento che hanno contribuito a realizzare le campagne pubblicitarie di Pirelli entrate nella storia, viaggiato fino alle foreste di alberi della gomma nel sud-est asiatico e infine abbiamo passeggiato “virtualmente” per una smart city fino a entrare nell’edificio-capolavoro di Gio Ponti, il Pirellone.

Chiudiamo la prima parte di questo anno scolastico proponendo, come esempio delle attività svolte, un videoclip dei lavori realizzati dai ragazzi del Liceo Scientifico “Corradino D’Ascanio” di Montesilvano in provincia di Pescara: lasciandosi ispirare dai nostri bozzetti d’autore studiati durante il percorso didattico “Storia e futuro di una manifesto”, gli studenti hanno creato delle vere e proprie animazioni, attualizzando i manifesti di Bob Noorda, Riccardo Manzi e altri grandi designer.

I percorsi si fermano ora per una breve pausa, ma a gennaio sono già tante altre le classi prenotate con cui condividere i valori fondamentali della cultura d’impresa di Pirelli.

Grazie a tutti per la partecipazione e arrivederci al 2021 con Fondazione Pirelli Educational.

É stato un inizio da ricordare quello del progetto Fondazione Pirelli Educational 2020/2021 dedicato alle scuole primarie e secondarie, in versione interamente digitale.

Oltre 1000 studenti si sono collegati da tutta Italia tra ottobre e dicembre per partecipare ai percorsi in diretta online, seguendo tour virtuali, realizzando attività di laboratorio e continuando con il supporto dei docenti lo studio delle tematiche affrontate grazie agli approfondimenti forniti.

Abbiamo analizzato come la ricerca tecnologica e lo studio debbano anticipare la produzione di un pneumatico, conosciuto le più importanti firme della grafica internazionale del Novecento che hanno contribuito a realizzare le campagne pubblicitarie di Pirelli entrate nella storia, viaggiato fino alle foreste di alberi della gomma nel sud-est asiatico e infine abbiamo passeggiato “virtualmente” per una smart city fino a entrare nell’edificio-capolavoro di Gio Ponti, il Pirellone.

Chiudiamo la prima parte di questo anno scolastico proponendo, come esempio delle attività svolte, un videoclip dei lavori realizzati dai ragazzi del Liceo Scientifico “Corradino D’Ascanio” di Montesilvano in provincia di Pescara: lasciandosi ispirare dai nostri bozzetti d’autore studiati durante il percorso didattico “Storia e futuro di una manifesto”, gli studenti hanno creato delle vere e proprie animazioni, attualizzando i manifesti di Bob Noorda, Riccardo Manzi e altri grandi designer.

I percorsi si fermano ora per una breve pausa, ma a gennaio sono già tante altre le classi prenotate con cui condividere i valori fondamentali della cultura d’impresa di Pirelli.

Grazie a tutti per la partecipazione e arrivederci al 2021 con Fondazione Pirelli Educational.

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