Accedi all’Archivio online
Esplora l’Archivio online per trovare fonti e materiali. Seleziona la tipologia di supporto documentale che più ti interessa e inserisci le parole chiave della tua ricerca.
    Seleziona una delle seguenti categorie:
  • Documenti
  • Fotografie
  • Disegni e manifesti
  • Audiovisivi
  • Pubblicazioni e riviste
  • Tutti
Assistenza alla consultazione
Per richiedere la consultazione del materiale conservato nell’Archivio Storico e nelle Biblioteche della Fondazione Pirelli al fine di studi e ricerche e conoscere le modalità di utilizzo dei materiali per prestiti e mostre, compila il seguente modulo.
Riceverai una mail di conferma dell'avvenuta ricezione della richiesta e sarai ricontattato.
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Seleziona il grado di istruzione della scuola di appartenenza
Back
Scuola Primaria
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.

Dichiaro di avere preso visione dell’informativa relativa al trattamento dei miei dati personali, e autorizzo la Fondazione Pirelli al trattamento dei miei dati personali per l’invio, anche a mezzo e-mail, di comunicazioni relative ad iniziative/convegni organizzati dalla Fondazione Pirelli.

Back
Scuole secondarie di I grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Scuole secondarie di II grado
Percorsi Fondazione Pirelli Educational
Lasciate i vostri dati per essere ricontattati dallo staff di Fondazione Pirelli Educational e concordare le date del percorso.
Back
Università
Percorsi Fondazione Pirelli Educational

Vuoi organizzare un percorso personalizzato con i tuoi studenti? Per informazioni e prenotazioni scrivi a universita@fondazionepirelli.org

Visita la Fondazione
Per informazioni sulle attività della Fondazione, visite guidate e l'accessibilità agli spazi
contattare il numero 0264423971 o compilare il form qui sotto anticipando nel campo note i dettagli nella richiesta.

I Natali degli anni passati. Una festa da condividere

Il Natale è anche un momento di condivisione per tutti i dipendenti Pirelli, una tradizione che si rinnova di anno in anno per raccontare le festività nel mondo Pirelli, per un saluto prima della pausa natalizia, per un piccolo cadeau da mettere sotto l’albero.

Nel 2017 Pirelli ha nuovamente aperto le sue porte per celebrare il “Family Day” invernale, uno speciale Christmas Day in cui abbiamo accompagnato i colleghi e le loro famiglie in visita alla scoperta dei luoghi storici del nostro Headquarters, come la Torre di Raffreddamento e la Bicocca degli Arcimboldi. Questa splendida villa del Quattrocento è stata addobbata per le feste, per ospitare il reading di un attore professionista che ha interpretato alcuni brani a tema natalizio tratti dalla Rivista Pirelli.

Proprio la Rivista Pirelli è stata la protagonista del Natale 2018 con l’allestimento Le parole dalla fabbrica. Il Natale nelle “grandi firme”, e di nuovo nel 2019, per l’uscita del nostro libro “Umanesimo industriale”, un’antologia dedicata a questa straordinaria esperienza editoriale. In entrambe le occasioni abbiamo accolto i colleghi in una Fondazione “vestita a festa”, in un percorso espositivo con i numeri originali del magazine dedicati al Natale. E ancora, quante copertine ha dedicato al Natale il periodico pirelliano “Fatti e Notizie”? Quante volte il numero di Dicembre si è aperto su Babbi Natale sorridenti, alberi adobbati, giocattoli in gommapiuma per i più piccoli? Tante quante ne hanno dedicati a loro volta i tanti house organ del Gruppo Pirelli: i presepi di ceramica davanti alla Sagrada Famiglia dello spagnolo “Hechos y Noticias”, le stelle comete del brasiliano “Noticias Pirelli”, i bambini dell’argentino “Pàginas Pirelli”, il Babbo Natale che porta i doni viaggiando per il cielo in macchina disegnato da Riccardo Manzi per il greco “Ta Nea tis Pirelli Hellas”.

In questo anno particolare non ci resta che augurare, anche a distanza, buon Natale a tutti!

Il Natale è anche un momento di condivisione per tutti i dipendenti Pirelli, una tradizione che si rinnova di anno in anno per raccontare le festività nel mondo Pirelli, per un saluto prima della pausa natalizia, per un piccolo cadeau da mettere sotto l’albero.

Nel 2017 Pirelli ha nuovamente aperto le sue porte per celebrare il “Family Day” invernale, uno speciale Christmas Day in cui abbiamo accompagnato i colleghi e le loro famiglie in visita alla scoperta dei luoghi storici del nostro Headquarters, come la Torre di Raffreddamento e la Bicocca degli Arcimboldi. Questa splendida villa del Quattrocento è stata addobbata per le feste, per ospitare il reading di un attore professionista che ha interpretato alcuni brani a tema natalizio tratti dalla Rivista Pirelli.

Proprio la Rivista Pirelli è stata la protagonista del Natale 2018 con l’allestimento Le parole dalla fabbrica. Il Natale nelle “grandi firme”, e di nuovo nel 2019, per l’uscita del nostro libro “Umanesimo industriale”, un’antologia dedicata a questa straordinaria esperienza editoriale. In entrambe le occasioni abbiamo accolto i colleghi in una Fondazione “vestita a festa”, in un percorso espositivo con i numeri originali del magazine dedicati al Natale. E ancora, quante copertine ha dedicato al Natale il periodico pirelliano “Fatti e Notizie”? Quante volte il numero di Dicembre si è aperto su Babbi Natale sorridenti, alberi adobbati, giocattoli in gommapiuma per i più piccoli? Tante quante ne hanno dedicati a loro volta i tanti house organ del Gruppo Pirelli: i presepi di ceramica davanti alla Sagrada Famiglia dello spagnolo “Hechos y Noticias”, le stelle comete del brasiliano “Noticias Pirelli”, i bambini dell’argentino “Pàginas Pirelli”, il Babbo Natale che porta i doni viaggiando per il cielo in macchina disegnato da Riccardo Manzi per il greco “Ta Nea tis Pirelli Hellas”.

In questo anno particolare non ci resta che augurare, anche a distanza, buon Natale a tutti!

Multimedia

Images

In difesa dell’impresa

Dagli Usa un libro che racconta perché l’impresa deve essere vista anche come un elemento positivo nella società

L’impresa non è buona e non è cattiva. E’ impresa e basta. Che può, tuttavia, avere notevoli aspetti positivi. Anche se viene gestita solo in base al profitto e a null’altro. Questione di strategie di gestione e, in fin dei conti, di donne e uomini alla guida. Guardare alle organizzazioni della produzione partendo da un approccio di questo genere, è certamente stimolante. Ed è cosa che va fatta. Anche se può condurre a traguardi che magari non sono quelli attesi.

E’ una lettura interessante quindi quella de “L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita” scritto da Tyler Cowen professore alla George Mason University ed editorialista del New York Times. L’autore scrive con un linguaggio chiaro e accattivante “in difesa  dell’impresa, per convincervi che essa merita più amore e meno odio”. Basato sull’analisi delle imprese americane, il testo ha l’obiettivo di far ragionare il lettore sfatando una serie di preconcetti (talvolta basati su dati reali e talvolta no), che minano la credibilità e il buon nome delle imprese (Usa, in particolare).

Chi legge, quindi, viene condotto a considerare temi come l’onestà delle organizzazioni della produzione, le remunerazioni degli amministratori delegati, il monopolio condotto dalle grandi imprese, il significato di Wall Street, le relazioni tra imprese e politica. L’impresa, è la tesi di Cowen, ad un esame attento, è “un affare migliore di quanto sembri: infatti l’impresa, quando opera al suo meglio, garantisce alle nostre vite più possibilità per perseguire obiettivi eroici e nobili, in quanto possiamo usare i prodotti dell’impresa per soddisfare i nostri desideri creativi e migliorare le nostre vite”. Cowen aiuta comunque a farsi un’idea più precisa della realtà. Anche se in alcuni passaggi desta più di una perplessità. Ma quanto scrive è certamente da meditare e da rammentare.

“Molti dei problemi legati all’impresa sono in realtà problemi legati a noi stessi, riflettono le imperfezioni che sono proprie, in modo quasi universale, della natura umana”, scrive per esempio Cowen. Condivisibile e stimolante è uno dei passaggi finali del libro che descrive secondo l’autore i termini essenziali della sua visione di impresa fatta da “un insieme di asset, assemblati a prezzi d’acquisti vantaggiosi”, ma anche da “un nesso di reputazione e norme esterne e interne”, oltre che essere “un vettore di responsabilità” e anche “un bandolo complesso di relazioni transazionalmente efficienti e di relazioni talvolta transazionalmente molto inefficienti”.

Libro chiaramente “di parte”, quello di Cowen ma da leggere tutto con attenzione. E magari rileggere dopo qualche tempo.

L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita

Tyler Cowen

LUISS University Press, 2020

Dagli Usa un libro che racconta perché l’impresa deve essere vista anche come un elemento positivo nella società

L’impresa non è buona e non è cattiva. E’ impresa e basta. Che può, tuttavia, avere notevoli aspetti positivi. Anche se viene gestita solo in base al profitto e a null’altro. Questione di strategie di gestione e, in fin dei conti, di donne e uomini alla guida. Guardare alle organizzazioni della produzione partendo da un approccio di questo genere, è certamente stimolante. Ed è cosa che va fatta. Anche se può condurre a traguardi che magari non sono quelli attesi.

E’ una lettura interessante quindi quella de “L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita” scritto da Tyler Cowen professore alla George Mason University ed editorialista del New York Times. L’autore scrive con un linguaggio chiaro e accattivante “in difesa  dell’impresa, per convincervi che essa merita più amore e meno odio”. Basato sull’analisi delle imprese americane, il testo ha l’obiettivo di far ragionare il lettore sfatando una serie di preconcetti (talvolta basati su dati reali e talvolta no), che minano la credibilità e il buon nome delle imprese (Usa, in particolare).

Chi legge, quindi, viene condotto a considerare temi come l’onestà delle organizzazioni della produzione, le remunerazioni degli amministratori delegati, il monopolio condotto dalle grandi imprese, il significato di Wall Street, le relazioni tra imprese e politica. L’impresa, è la tesi di Cowen, ad un esame attento, è “un affare migliore di quanto sembri: infatti l’impresa, quando opera al suo meglio, garantisce alle nostre vite più possibilità per perseguire obiettivi eroici e nobili, in quanto possiamo usare i prodotti dell’impresa per soddisfare i nostri desideri creativi e migliorare le nostre vite”. Cowen aiuta comunque a farsi un’idea più precisa della realtà. Anche se in alcuni passaggi desta più di una perplessità. Ma quanto scrive è certamente da meditare e da rammentare.

“Molti dei problemi legati all’impresa sono in realtà problemi legati a noi stessi, riflettono le imperfezioni che sono proprie, in modo quasi universale, della natura umana”, scrive per esempio Cowen. Condivisibile e stimolante è uno dei passaggi finali del libro che descrive secondo l’autore i termini essenziali della sua visione di impresa fatta da “un insieme di asset, assemblati a prezzi d’acquisti vantaggiosi”, ma anche da “un nesso di reputazione e norme esterne e interne”, oltre che essere “un vettore di responsabilità” e anche “un bandolo complesso di relazioni transazionalmente efficienti e di relazioni talvolta transazionalmente molto inefficienti”.

Libro chiaramente “di parte”, quello di Cowen ma da leggere tutto con attenzione. E magari rileggere dopo qualche tempo.

L’impresa eccezionale. Come il capitalismo migliora la nostra vita

Tyler Cowen

LUISS University Press, 2020

Necessità di calcolo e visione

Una Lectio Magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aiuta a comprendere meglio la realtà del presente e i suoi possibili sviluppi

 

Economia fatta di misura e pianificazione, ma anche di visioni che vanno al di là del calcolo. E che devono comunque fare i conti con i mutamenti della società e della storia. Cultura in senso lato che si fonde con quella cultura economica e del produrre che deve sempre di più contemperare buoni bilanci ad un’attenzione importante al territorio e alla crescita delle persone. Si trovano cenni di tutto questo nella Lectio Magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, tenuta al Gran Sasso Science Institute dello scorso 16 dicembre, la cui lettura può essere utile a molti.

“Economia, innovazione, conoscenza” è una valida sintesi delle relazioni tra i movimenti e le forze della produzione e ciò che ha a che fare con la capacità di cambiamento e quindi con il grado di istruzione e conoscenza presente nei sistemi sociali. Con particolare attenzione alla situazione dell’Italia, il Governatore dell’istituto centrale ragiona sulle cause che hanno posto il Paese in svantaggio già da prima della pandemia di Covid-19 e che, quindi, pongono maggiori difficoltà alla ripresa dopo la pandemia stessa. Ragioni che vanno ascritte alla storia economica e politica italiana, che a sua volta va collocata nell’ambito di quella più generale.

Visco, dopo aver fissato alcuni indicatori relativi alla attuale situazione, prende quindi in considerazione i principali fattori di cambiamento, il tema della ricerca e innovazione, il particolare aspetto della digitalizzazione, quello relativo al “capitale umano” per passare quindi a delineare le “sfide per il futuro”.  E’ proprio qui che la necessaria unione tra scienza e spirito, tra calcolo e visione d’insieme, si fa più chiara e impellente. “La riscoperta dello studio, scientifico e umanistico, è la vera radice del progresso umano e sociale, la condizione per lo sviluppo economico”. La Lectio Magistralis di Visco è lettura da fare per tutti.

Economia, innovazione, conoscenza

Ignazio Visco

Lectio Magistralis, Gran Sasso Science Institute, 16 dicembre 2020

Una Lectio Magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aiuta a comprendere meglio la realtà del presente e i suoi possibili sviluppi

 

Economia fatta di misura e pianificazione, ma anche di visioni che vanno al di là del calcolo. E che devono comunque fare i conti con i mutamenti della società e della storia. Cultura in senso lato che si fonde con quella cultura economica e del produrre che deve sempre di più contemperare buoni bilanci ad un’attenzione importante al territorio e alla crescita delle persone. Si trovano cenni di tutto questo nella Lectio Magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, tenuta al Gran Sasso Science Institute dello scorso 16 dicembre, la cui lettura può essere utile a molti.

“Economia, innovazione, conoscenza” è una valida sintesi delle relazioni tra i movimenti e le forze della produzione e ciò che ha a che fare con la capacità di cambiamento e quindi con il grado di istruzione e conoscenza presente nei sistemi sociali. Con particolare attenzione alla situazione dell’Italia, il Governatore dell’istituto centrale ragiona sulle cause che hanno posto il Paese in svantaggio già da prima della pandemia di Covid-19 e che, quindi, pongono maggiori difficoltà alla ripresa dopo la pandemia stessa. Ragioni che vanno ascritte alla storia economica e politica italiana, che a sua volta va collocata nell’ambito di quella più generale.

Visco, dopo aver fissato alcuni indicatori relativi alla attuale situazione, prende quindi in considerazione i principali fattori di cambiamento, il tema della ricerca e innovazione, il particolare aspetto della digitalizzazione, quello relativo al “capitale umano” per passare quindi a delineare le “sfide per il futuro”.  E’ proprio qui che la necessaria unione tra scienza e spirito, tra calcolo e visione d’insieme, si fa più chiara e impellente. “La riscoperta dello studio, scientifico e umanistico, è la vera radice del progresso umano e sociale, la condizione per lo sviluppo economico”. La Lectio Magistralis di Visco è lettura da fare per tutti.

Economia, innovazione, conoscenza

Ignazio Visco

Lectio Magistralis, Gran Sasso Science Institute, 16 dicembre 2020

Bellezza e competitività: ecco l’alleanza tra metropoli, città di provincia e borghi per lo sviluppo sostenibile

Lo sviluppo sostenibile. E la competitività. Le nuove esigenze dell’economia, nel contesto radicalmente mutato da pandemia e recessione. E le opportunità che si aprono per l’Italia, paese ricco di imprese radicate nei territori, di metropoli sofisticate ma non di megalopoli ingombranti, di città produttive e di borghi di provincia adatti alle dimensioni dell’economia circolare e civile. Il nostro difficile e doloroso 2020 ci consegna una sfida di transizione, economica e sociale, in cui proprio le carattersitiche storiche dello sviluppo italiano e l’attualità del nostro capitale sociale ci forniscono straordinarie opportunità di ripartenza e ripresa. Ne abbiamo parlato più volte, in questo blog. E il discorso pubblico contemporaneo offre nuove, interessanti considerazioni.

Par capire meglio, vale la pena concentrasi su un’immagine. Vista dall’alto, ecco una larga striscia di luce, una sorta di rettangolo dai lati sfrangiati, che si estende in lunghezza da ovest a est. A nord, un confine quasi completamente scuro, le Alpi, eccezion fatta per le lingue luminose delle valli che s’insinuano tra i monti, prima di smorzarsi lentamente nel buio. Poi, scendendo verso sud, le luci si diradano prima di addensarsi di nuovo in una larga chiazza splendente, Roma. E, ancora più a sud, luci e ombre, alternate, lungo le coste prima del buio del Tirreno e dello Jonio. E’ la fotografia notturna della pianura padana, scattata alcuni anni fa da Luca Parmitano dalla Stazione Spaziale Internazionale. Un ritratto quanto mai suggestivo. Ma anche un’esemplare indicazione di alcuni tratti essenziali della nostra geografia economica. Luci, ovvero energia di città e paesi. Indicatori di luoghi e di flussi. Di relazioni sociali e di attività economiche, lì particolarmente intense, come e perfino più che in altre aree cardine dell’Europa più attiva.

Quel rettangolo luminoso parte dal Piemonte, va verso il mare con la Liguria e arriva a est ai confini del Friuli Venezia Giulia, comprende le regioni industrializzate della Lombardia e poi del Veneto, si allarga all’Emilia di fabbriche e università. Una sorta di macro-regione A1 e A4, per battezzarla con le sigle delle autostrade che la attraversano. Vale il 53,7% del PIL (il prodotto intero lordo italiano) e il 68,9% dell’export di tutto il paese. E ha una caratteristica molto particolare. E’ un territorio ampio e molto articolato, segnato da metropoli (Milano e Torino) ma anche da una lunga serie di città medie e grandi e da un’infinità di paesi e di borghi, tutti in stretta connessione tra loro (una connessione non priva di carenze e limiti, naturalmente, per le reti stradali e ferroviarie soprattutto dalla pianura verso i monti). Economicamente, è fitto di attività economiche in cui industria e agricoltura d’avanguardia, finanza e servizi hi tech, università e centri di ricerca, ambiente e cultura si intersecano in un’originalissima rete collaborativa e cooperativa. E socialmente ha un dinamismo che, nonostante le crisi, ha poche analogie in Europa. Un insieme di valori robusti, tra storia civile e innovazione economica. E una straordinaria capacità competitiva, sia che si guardi alla concorrenza sui mercati internazionali sia che si faccia attenzione al significato profondo della parola stessa, alla sua radice etimologica: cum e petere , muoversi insieme verso un obiettivo comune. Lo sviluppo.

Oggi proprio queste caratteristiche geo-economiche costituiscono un vantaggio competitivo di straordinaria attualità. La pandemia da Covid19, infatti, ha mostrato l’estrema fragilità dei più grandi agglomerati urbani e ha rivelato lo stretto rapporto tra la complessità dei sistemi e la loro vulnerabilità. La teoria, molto diffusa nel mondo economico, sull’inevitabile successo, nell’immediato futuro, delle megalopoli perché più attrattive e adatte all’incremento formidabile della produttività (la forza delle “economie di agglomerazione” che stimolano l’arrivo di talenti, risorse materiali e immateriali, energie innovative) mostra tutti i suoi limiti proprio nel corso di questa crisi, contemporaneamente sanitaria, sociale ed economica.

Meglio, invece, i territori diffusi, in cui la produttività si può legare con la qualità della vita, gli stimoli culturali e sociali propri dell’esperienza urbana con la bellezza dell’ambiente e delle intense relazioni sociali delle comunità locali. Gli esempi, un po’ il tutto il territorio nazionale, non mancano. La striscia di luce della fotografia dell’Italia dallo spazio ne offre, appunto, una rappresentazione esemplare.

Nella stagione in cui la sostenibilità ambientale e sociale fa premio sulla corsa al successo personale ad ogni costo e l’economia reale torna ad avere un ruolo primario rispetto all’economia finanziaria speculativa, il nostro Nord produttivo e forte di un grande capitale sociale inclusivo e collaborativo può fornire indicazioni economiche e civili quanto mai interessanti al resto dell’Europa e del mondo. Essere luogo esemplare per tradurre in realtà il valori del Recovery Plan della Ue: green economy e digital economy, guardando alla Next Generation.

Un’innovazione sostenibile. Ma anche, proprio per questo, un motore di sviluppo di tutto il Paese, se si guarda alle lunghe filiere industriali che legano Nord e Sud (nei settori dell’automotive, dell’aeronatica e dell’aerospaziale, dell’agro-alimentare, della farmaceutica e delle complesse relazioni dell’information tecnology) e alle attività legate alla ricerca e alla formazione. Una scelta strategica, proprio per cercare di risanare il divario Nord Sud, molto migliore delle politiche di sgravi e sussidi.

Non mancano, naturalmente, limiti, conflitti, contraddizioni. E servono, tra città, paesi e borghi, connessioni efficienti, materiali e soprattutto immateriali (la rete 5G di matrice europea) e una migliore articolazione dei servizi, dalla scuola alla sanità, dalla sicurezza alle attività di supporto alla produttività.  Ma è un progetto di sviluppo possibile. In cui abbiamo molte carte economiche e sociali da poter giocare. A patto di farlo, mai come adesso, con indispensabili valori di conoscenza, competenza, responsabilità. L’Italia di una nuova ricostruzione.

Lo sviluppo sostenibile. E la competitività. Le nuove esigenze dell’economia, nel contesto radicalmente mutato da pandemia e recessione. E le opportunità che si aprono per l’Italia, paese ricco di imprese radicate nei territori, di metropoli sofisticate ma non di megalopoli ingombranti, di città produttive e di borghi di provincia adatti alle dimensioni dell’economia circolare e civile. Il nostro difficile e doloroso 2020 ci consegna una sfida di transizione, economica e sociale, in cui proprio le carattersitiche storiche dello sviluppo italiano e l’attualità del nostro capitale sociale ci forniscono straordinarie opportunità di ripartenza e ripresa. Ne abbiamo parlato più volte, in questo blog. E il discorso pubblico contemporaneo offre nuove, interessanti considerazioni.

Par capire meglio, vale la pena concentrasi su un’immagine. Vista dall’alto, ecco una larga striscia di luce, una sorta di rettangolo dai lati sfrangiati, che si estende in lunghezza da ovest a est. A nord, un confine quasi completamente scuro, le Alpi, eccezion fatta per le lingue luminose delle valli che s’insinuano tra i monti, prima di smorzarsi lentamente nel buio. Poi, scendendo verso sud, le luci si diradano prima di addensarsi di nuovo in una larga chiazza splendente, Roma. E, ancora più a sud, luci e ombre, alternate, lungo le coste prima del buio del Tirreno e dello Jonio. E’ la fotografia notturna della pianura padana, scattata alcuni anni fa da Luca Parmitano dalla Stazione Spaziale Internazionale. Un ritratto quanto mai suggestivo. Ma anche un’esemplare indicazione di alcuni tratti essenziali della nostra geografia economica. Luci, ovvero energia di città e paesi. Indicatori di luoghi e di flussi. Di relazioni sociali e di attività economiche, lì particolarmente intense, come e perfino più che in altre aree cardine dell’Europa più attiva.

Quel rettangolo luminoso parte dal Piemonte, va verso il mare con la Liguria e arriva a est ai confini del Friuli Venezia Giulia, comprende le regioni industrializzate della Lombardia e poi del Veneto, si allarga all’Emilia di fabbriche e università. Una sorta di macro-regione A1 e A4, per battezzarla con le sigle delle autostrade che la attraversano. Vale il 53,7% del PIL (il prodotto intero lordo italiano) e il 68,9% dell’export di tutto il paese. E ha una caratteristica molto particolare. E’ un territorio ampio e molto articolato, segnato da metropoli (Milano e Torino) ma anche da una lunga serie di città medie e grandi e da un’infinità di paesi e di borghi, tutti in stretta connessione tra loro (una connessione non priva di carenze e limiti, naturalmente, per le reti stradali e ferroviarie soprattutto dalla pianura verso i monti). Economicamente, è fitto di attività economiche in cui industria e agricoltura d’avanguardia, finanza e servizi hi tech, università e centri di ricerca, ambiente e cultura si intersecano in un’originalissima rete collaborativa e cooperativa. E socialmente ha un dinamismo che, nonostante le crisi, ha poche analogie in Europa. Un insieme di valori robusti, tra storia civile e innovazione economica. E una straordinaria capacità competitiva, sia che si guardi alla concorrenza sui mercati internazionali sia che si faccia attenzione al significato profondo della parola stessa, alla sua radice etimologica: cum e petere , muoversi insieme verso un obiettivo comune. Lo sviluppo.

Oggi proprio queste caratteristiche geo-economiche costituiscono un vantaggio competitivo di straordinaria attualità. La pandemia da Covid19, infatti, ha mostrato l’estrema fragilità dei più grandi agglomerati urbani e ha rivelato lo stretto rapporto tra la complessità dei sistemi e la loro vulnerabilità. La teoria, molto diffusa nel mondo economico, sull’inevitabile successo, nell’immediato futuro, delle megalopoli perché più attrattive e adatte all’incremento formidabile della produttività (la forza delle “economie di agglomerazione” che stimolano l’arrivo di talenti, risorse materiali e immateriali, energie innovative) mostra tutti i suoi limiti proprio nel corso di questa crisi, contemporaneamente sanitaria, sociale ed economica.

Meglio, invece, i territori diffusi, in cui la produttività si può legare con la qualità della vita, gli stimoli culturali e sociali propri dell’esperienza urbana con la bellezza dell’ambiente e delle intense relazioni sociali delle comunità locali. Gli esempi, un po’ il tutto il territorio nazionale, non mancano. La striscia di luce della fotografia dell’Italia dallo spazio ne offre, appunto, una rappresentazione esemplare.

Nella stagione in cui la sostenibilità ambientale e sociale fa premio sulla corsa al successo personale ad ogni costo e l’economia reale torna ad avere un ruolo primario rispetto all’economia finanziaria speculativa, il nostro Nord produttivo e forte di un grande capitale sociale inclusivo e collaborativo può fornire indicazioni economiche e civili quanto mai interessanti al resto dell’Europa e del mondo. Essere luogo esemplare per tradurre in realtà il valori del Recovery Plan della Ue: green economy e digital economy, guardando alla Next Generation.

Un’innovazione sostenibile. Ma anche, proprio per questo, un motore di sviluppo di tutto il Paese, se si guarda alle lunghe filiere industriali che legano Nord e Sud (nei settori dell’automotive, dell’aeronatica e dell’aerospaziale, dell’agro-alimentare, della farmaceutica e delle complesse relazioni dell’information tecnology) e alle attività legate alla ricerca e alla formazione. Una scelta strategica, proprio per cercare di risanare il divario Nord Sud, molto migliore delle politiche di sgravi e sussidi.

Non mancano, naturalmente, limiti, conflitti, contraddizioni. E servono, tra città, paesi e borghi, connessioni efficienti, materiali e soprattutto immateriali (la rete 5G di matrice europea) e una migliore articolazione dei servizi, dalla scuola alla sanità, dalla sicurezza alle attività di supporto alla produttività.  Ma è un progetto di sviluppo possibile. In cui abbiamo molte carte economiche e sociali da poter giocare. A patto di farlo, mai come adesso, con indispensabili valori di conoscenza, competenza, responsabilità. L’Italia di una nuova ricostruzione.

I Natali degli anni passati
Un Natale d’autore sulla Rivista Pirelli

La Fondazione Pirelli si è addobbata per le feste anche per raccontare il Natale attraverso le firme di grandi nomi della letteratura e della grafica che hanno contribuito alla storica Rivista Pirelli.

Il designer Bruno Munari descrive così sulla Rivista il giocattolo che tutti i bambini aspettano sotto l’albero nel Natale del 1949, un piccolo felino in gommapiuma armata con “i baffi di nailon”: “Grande poco più di un palmo, misura simile alla statura dei gattini da poco nati, Meo è un gatto nero con occhi gialli ed ha altri fratelli: uno bianco, uno giallo, uno grigio, uno marrone e uno… verde. Tutti si chiamano Meo Romeo (Meo di nome e Romeo di cognome) e il Meo verde è nato al tempo delle zucchine.” Ed è ancora Munari a chiamare a raccolta i giochi del catalogo Pigomma 1954, come i due clown Tino e Toni, la giraffa Pasqualina ideata dai fratelli Pagot, il cane “Pluto” della Disney, la bambola Patrizia, per mettere in funzione una «Macchina natalizia e silenziosissima per far cadere a “pioggia” la neve sull’albero di Natale».

L’articolo firmato da Albe Steiner nel 1955 è un viaggio tra le vetrine natalizie dei più lussuosi negozi del mondo: da Macy’s a New York ai grandi magazzini di Parigi, da Illum a Copenaghen alle vetrine della Rinascente in centro Milano, allestite dallo stesso autore con gigantografie di Babbo Natale e decorazioni ispirate allo stile nordico.

Nel 1957 il pittore Fulvio Bianconi entra nello stabilimento Pirelli dell’Azienda Roma per illustrare con dovizia di particolari tutte le fasi di produzione dei giocattoli silenziosi Rempel: dalla fabbrica “escono ogni giorno migliaia di palle, di bambolotti e di animali di gomma, destinati ad una agitata esistenza nel mondo dei piccoli”.

La copertina della Rivista del dicembre 1960 è affidata ad Andrè François, che immagina un Babbo Natale meccanico: “Ne esce un disegno un po’ scombinato, ma il casaccone c’è e anche il berretto rosso e l’espressione bonaria. E tuttavia, a uno sguardo più attento, d’un tratto il gioco si scopre e il babbino Natale si rivela per quello che è in realtà: un congegno di manometri, cavi elettrici e tracce di battistrada legato al titolo della rivista cui il disegno era destinato.”

E poi ancora, le festività secondo Umberto Eco: nell’articolo satirico “Protocollo 00/03 Incartamento luminarie”, pubblicato nel 1962, l’autore sceneggia un carteggio tra i diavoli delle Malebolge, incaricati di boicottare il Natale “…le celebrazioni  natalizie, grazie a una certa atmosfera di festevolezza e benevolenza generale che si viene creando in quel periodo, promuovono relazioni di cordialità, sospendono per qualche giorno i contrasti internazionali, portano gli uomini ad assurdi gesti di buon vicinato quali il regalo di oggetti, il doppio salario ai dipendenti, i civili conversari. Proprio per evitare questi pericoli domandavo al tuo predecessore e domando ora a te di preparare un piano modello per la zona di Milano che abbiamo scelto quale campione”.

Nel 1963 Eco dedica invece una lettera natalizia al figlio Stefano: “Cosa avverrà di una infanzia a cui il Natale industriale porta bambole americane che parlano e cantano e muovono da sole; automi giapponesi che saltano e ballano senza che la pila si consumi mai; automobili radiocomandate, di cui si ignorerà per sempre il meccanismo…”

Sulle pagine della Rivista Pirelli anche le festività natalizie sono spunto per riflessioni d’autore sulla società moderna, e fonte di ispirazione per i protagonisti della storia dell’arte e del design.

La Fondazione Pirelli si è addobbata per le feste anche per raccontare il Natale attraverso le firme di grandi nomi della letteratura e della grafica che hanno contribuito alla storica Rivista Pirelli.

Il designer Bruno Munari descrive così sulla Rivista il giocattolo che tutti i bambini aspettano sotto l’albero nel Natale del 1949, un piccolo felino in gommapiuma armata con “i baffi di nailon”: “Grande poco più di un palmo, misura simile alla statura dei gattini da poco nati, Meo è un gatto nero con occhi gialli ed ha altri fratelli: uno bianco, uno giallo, uno grigio, uno marrone e uno… verde. Tutti si chiamano Meo Romeo (Meo di nome e Romeo di cognome) e il Meo verde è nato al tempo delle zucchine.” Ed è ancora Munari a chiamare a raccolta i giochi del catalogo Pigomma 1954, come i due clown Tino e Toni, la giraffa Pasqualina ideata dai fratelli Pagot, il cane “Pluto” della Disney, la bambola Patrizia, per mettere in funzione una «Macchina natalizia e silenziosissima per far cadere a “pioggia” la neve sull’albero di Natale».

L’articolo firmato da Albe Steiner nel 1955 è un viaggio tra le vetrine natalizie dei più lussuosi negozi del mondo: da Macy’s a New York ai grandi magazzini di Parigi, da Illum a Copenaghen alle vetrine della Rinascente in centro Milano, allestite dallo stesso autore con gigantografie di Babbo Natale e decorazioni ispirate allo stile nordico.

Nel 1957 il pittore Fulvio Bianconi entra nello stabilimento Pirelli dell’Azienda Roma per illustrare con dovizia di particolari tutte le fasi di produzione dei giocattoli silenziosi Rempel: dalla fabbrica “escono ogni giorno migliaia di palle, di bambolotti e di animali di gomma, destinati ad una agitata esistenza nel mondo dei piccoli”.

La copertina della Rivista del dicembre 1960 è affidata ad Andrè François, che immagina un Babbo Natale meccanico: “Ne esce un disegno un po’ scombinato, ma il casaccone c’è e anche il berretto rosso e l’espressione bonaria. E tuttavia, a uno sguardo più attento, d’un tratto il gioco si scopre e il babbino Natale si rivela per quello che è in realtà: un congegno di manometri, cavi elettrici e tracce di battistrada legato al titolo della rivista cui il disegno era destinato.”

E poi ancora, le festività secondo Umberto Eco: nell’articolo satirico “Protocollo 00/03 Incartamento luminarie”, pubblicato nel 1962, l’autore sceneggia un carteggio tra i diavoli delle Malebolge, incaricati di boicottare il Natale “…le celebrazioni  natalizie, grazie a una certa atmosfera di festevolezza e benevolenza generale che si viene creando in quel periodo, promuovono relazioni di cordialità, sospendono per qualche giorno i contrasti internazionali, portano gli uomini ad assurdi gesti di buon vicinato quali il regalo di oggetti, il doppio salario ai dipendenti, i civili conversari. Proprio per evitare questi pericoli domandavo al tuo predecessore e domando ora a te di preparare un piano modello per la zona di Milano che abbiamo scelto quale campione”.

Nel 1963 Eco dedica invece una lettera natalizia al figlio Stefano: “Cosa avverrà di una infanzia a cui il Natale industriale porta bambole americane che parlano e cantano e muovono da sole; automi giapponesi che saltano e ballano senza che la pila si consumi mai; automobili radiocomandate, di cui si ignorerà per sempre il meccanismo…”

Sulle pagine della Rivista Pirelli anche le festività natalizie sono spunto per riflessioni d’autore sulla società moderna, e fonte di ispirazione per i protagonisti della storia dell’arte e del design.

Multimedia

Images

Innovare tutto

L’ultimo libro di Piero Bassetti analizza con attenzione la condizione che viviamo oggi. E fornisce una nuova e stimolante indicazione su cosa fare

 

Innovazione come forza (anche politica). Constatazione della velocità di senescenza di altri paradigmi di sviluppo come quelli legati agli algoritmi decisionali, ai social e alle scienze della vita. E poi lo sconcerto di fronte a quanto sta accadendo e la necessità di riprendere la capacità di progettare “alto”. Il ritorno di una cultura del produrre che si fa cultura del prendersi cura dell’altro e degli altri, del territorio e della società nel suo complesso.  C’è tutto questo nell’ultimo libro di Piero Bassetti a lungo impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica, ma anche economista e uomo-chiave per il rinnovamento del sistema delle camere di commercio.

“Oltre lo specchio di Alice. Governare l’innovazione nel cambiamento d’epoca” ragiona proprio partendo dalla favola di Lewis Carroll e racconta di come dopo il trionfo dell’algoritmo, dopo il potere ai social, dopo la rivoluzione delle scienze della vita e della fisica quantistica, stringiamo tra le mani un potere orfano di potenza. Come Alice, appunto, abbiamo spiccato il balzo oltre lo specchio, per approdare nel paese delle meraviglie. Ma qui – appunto – la vecchia strumentazione di gestione del potere, le sue usurate redini, non tengono più. Occorre innovare tutto, da cima a fondo. Ma, ragiona l’autore, a chi vada attribuita la funzione di sostituire queste redini è un interrogativo al quale non ci si può sottrarre.

Le novità per Bassetti sono quindi l’innovazione e il cosiddetto “glocalismo”. Due elementi con i quali istituzioni e soggetti consapevoli del cambiamento devono fare i conti e che mettono in discussione la capacità di intervenire.

Bassetti ha scritto un libro bello da leggere, denso di personalità e attualissimo, anche se non sempre facile da comprendere a fondo. Un libro animato da un sentimento positivo verso il futuro, che deve essere colto e sviluppato. Bellissimo, tra gli altri, il titolo (e naturalmente il contenuto) dell’ultimo capitolo: “Sfida all’horror vacui.  Armare la barca per il nuovo bordo”.

Oltre lo specchio di Alice. Governare l’innovazione nel cambiamento d’epoca

Piero Bassetti

Gerini e associati, 2020

L’ultimo libro di Piero Bassetti analizza con attenzione la condizione che viviamo oggi. E fornisce una nuova e stimolante indicazione su cosa fare

 

Innovazione come forza (anche politica). Constatazione della velocità di senescenza di altri paradigmi di sviluppo come quelli legati agli algoritmi decisionali, ai social e alle scienze della vita. E poi lo sconcerto di fronte a quanto sta accadendo e la necessità di riprendere la capacità di progettare “alto”. Il ritorno di una cultura del produrre che si fa cultura del prendersi cura dell’altro e degli altri, del territorio e della società nel suo complesso.  C’è tutto questo nell’ultimo libro di Piero Bassetti a lungo impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica, ma anche economista e uomo-chiave per il rinnovamento del sistema delle camere di commercio.

“Oltre lo specchio di Alice. Governare l’innovazione nel cambiamento d’epoca” ragiona proprio partendo dalla favola di Lewis Carroll e racconta di come dopo il trionfo dell’algoritmo, dopo il potere ai social, dopo la rivoluzione delle scienze della vita e della fisica quantistica, stringiamo tra le mani un potere orfano di potenza. Come Alice, appunto, abbiamo spiccato il balzo oltre lo specchio, per approdare nel paese delle meraviglie. Ma qui – appunto – la vecchia strumentazione di gestione del potere, le sue usurate redini, non tengono più. Occorre innovare tutto, da cima a fondo. Ma, ragiona l’autore, a chi vada attribuita la funzione di sostituire queste redini è un interrogativo al quale non ci si può sottrarre.

Le novità per Bassetti sono quindi l’innovazione e il cosiddetto “glocalismo”. Due elementi con i quali istituzioni e soggetti consapevoli del cambiamento devono fare i conti e che mettono in discussione la capacità di intervenire.

Bassetti ha scritto un libro bello da leggere, denso di personalità e attualissimo, anche se non sempre facile da comprendere a fondo. Un libro animato da un sentimento positivo verso il futuro, che deve essere colto e sviluppato. Bellissimo, tra gli altri, il titolo (e naturalmente il contenuto) dell’ultimo capitolo: “Sfida all’horror vacui.  Armare la barca per il nuovo bordo”.

Oltre lo specchio di Alice. Governare l’innovazione nel cambiamento d’epoca

Piero Bassetti

Gerini e associati, 2020

Imprese sempre più “responsabili”

Una tesi discussa all’Università di Padova come utile vademecum sulla corporate governance

E’ sempre la responsabilità sociale d’impresa il tema alla ribalta di gran parte dei ragionamenti attorno ai necessari cambiamenti dei paradigmi della produzione industriale, ma anche delle politiche che a questa devono essere rivolte. Tema complesso, quello della responsabilità sociale delle organizzazioni della produzione, che necessita continuamente di messe a punto e di sintesi efficaci per orientarsi. A questo serve leggere il lavoro di tesi, discusso da Alessio Amadei presso il Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” dell’Università di Padova.

“Governance e responsabilità sociale nelle società italiane quotate: un’analisi empirica della disclosure aziendale”, questo il titolo dell’indagine, è una corretta sintesi dello stato dell’arte della cosiddetta corporate governance che parte dal considerare i molti cambiamenti che stanno attraversando il sistema della produzione ai quali proprio una corretta gestione aziendale può efficacemente rispondere.

“La corporate governance è – sottolinea l’autore -, un veicolo attraverso il quale le imprese possono implementare le politiche di RSI”. Amadei tuttavia si pone il compito di comprendere se il dibattito sulla RSI “si tramuti in scelte operative da parte delle imprese”. Ciò che ci si chiede, quindi, è se al di là della teoria vi sia davvero una “pratica” adeguata.

Altro obiettivo dell’indagine di Amadei è quello di “identificare le caratteristiche di governance che facilitano l’implementazione di politiche di RSI, così da promuovere la diffusione di modelli e comportamenti socialmente virtuosi”.

Il lavoro inizia quindi con una messa a fuoco della situazione e, successivamente, con la ricerca degli effetti della corporate governance sulla responsabilità sociale d’impresa. Successivamente vengono esposti i risultati di un’indagine empirica relativa alla disclosure aziendale di 219 società italiane quotate. La ricerca si focalizza sul definire se le imprese ricerchino o meno soggetti esperti in RSI nell’ambito del processo di nomina dei propri amministratori.

La ricerca di Alessio Amadei ha il gran pregio di mettere in fila idee e dati su alcuni degli aspetti più importanti della moderna gestione d’impresa: una sorta di vademecum utile da leggere e da tenere sotto mano.

Governance e responsabilità sociale nelle società italiane quotate: un’analisi empirica della disclosure aziendale

Alessio Amadei

Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”, Corso di laurea triennale in economia, 2020

Una tesi discussa all’Università di Padova come utile vademecum sulla corporate governance

E’ sempre la responsabilità sociale d’impresa il tema alla ribalta di gran parte dei ragionamenti attorno ai necessari cambiamenti dei paradigmi della produzione industriale, ma anche delle politiche che a questa devono essere rivolte. Tema complesso, quello della responsabilità sociale delle organizzazioni della produzione, che necessita continuamente di messe a punto e di sintesi efficaci per orientarsi. A questo serve leggere il lavoro di tesi, discusso da Alessio Amadei presso il Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M. Fanno” dell’Università di Padova.

“Governance e responsabilità sociale nelle società italiane quotate: un’analisi empirica della disclosure aziendale”, questo il titolo dell’indagine, è una corretta sintesi dello stato dell’arte della cosiddetta corporate governance che parte dal considerare i molti cambiamenti che stanno attraversando il sistema della produzione ai quali proprio una corretta gestione aziendale può efficacemente rispondere.

“La corporate governance è – sottolinea l’autore -, un veicolo attraverso il quale le imprese possono implementare le politiche di RSI”. Amadei tuttavia si pone il compito di comprendere se il dibattito sulla RSI “si tramuti in scelte operative da parte delle imprese”. Ciò che ci si chiede, quindi, è se al di là della teoria vi sia davvero una “pratica” adeguata.

Altro obiettivo dell’indagine di Amadei è quello di “identificare le caratteristiche di governance che facilitano l’implementazione di politiche di RSI, così da promuovere la diffusione di modelli e comportamenti socialmente virtuosi”.

Il lavoro inizia quindi con una messa a fuoco della situazione e, successivamente, con la ricerca degli effetti della corporate governance sulla responsabilità sociale d’impresa. Successivamente vengono esposti i risultati di un’indagine empirica relativa alla disclosure aziendale di 219 società italiane quotate. La ricerca si focalizza sul definire se le imprese ricerchino o meno soggetti esperti in RSI nell’ambito del processo di nomina dei propri amministratori.

La ricerca di Alessio Amadei ha il gran pregio di mettere in fila idee e dati su alcuni degli aspetti più importanti della moderna gestione d’impresa: una sorta di vademecum utile da leggere e da tenere sotto mano.

Governance e responsabilità sociale nelle società italiane quotate: un’analisi empirica della disclosure aziendale

Alessio Amadei

Università degli Studi di Padova, Dipartimento di scienze economiche ed aziendali “M.Fanno”, Corso di laurea triennale in economia, 2020

I sessant’anni del Grattacielo Pirelli, simbolo della “città che sale”: un racconto attuale tra memoria e capacità di progettare il futuro

L’uomo cammina con il passo lento e un po’ stanco di chi viene da un lungo viaggio. Attraversa i binari del tram accanto alla Stazione Centrale, proprio davanti al Grattacielo Pirelli. Sulle spalle, ha uno scatolone legato con lo spago. Alla mano sinistra, una valigia di cartone bianca e marrone, pesante, tanto da fargli pendere il braccio. E’ partito dalla Sardegna, da Olbia. In tasca, ben piegato come le cose preziose, ha un foglietto di carta con un indirizzo di Rho, dove lo aspettano i parenti che lo hanno mandato a chiamare, “vieni che qui c’è ancora lavoro”. E’ il tardo settembre del 1968. L’aria è grigia, pungente, annuncio dell’autunno che arriva. Ma sul volto dell’uomo la fatica non impedisce l’abbozzo d’un sorriso timido e un po’ schivo, guardando verso l’obiettivo del fotografo. Eccoci qui, a Milano, finalmente. Forse può ricominciare una nuova stagione di vita. Una speranza.

Il fotografo è Uliano Lucas. E quell’immagine dell’emigrante e del Grattacielo Pirelli diventa, rapidamente uno dei simboli più efficaci di un’epoca carica di contraddizioni e conflitti, ma anche di possibilità di svolta e di ripresa.  Le radici. E il futuro. I simboli precari d’una faticosa partenza (il cartone dello scatolone e della valigia) e l’imponenza del solido palazzo industriale simbolo del boom economico e sociale. Il cammino, passo dopo passo, sull’asfalto freddo, ingombro di foglie. E lo slancio verso l’alto del grattacielo. L’isola meridionale abbandonata, nel dolore della partenza. E la metropoli che suggerisce un destino migliore.

C’è, in quella foto di Lucas, tutta la recente storia d’Italia. La nostra storia, tra le sue luci di sviluppo e le sue ombre. Una storia da ricordare, proprio adesso, in tempi pesanti e dolorosi di crisi, tra pandemia e recessione, testimoniati ancora una volta, proprio ieri, dai dati più recenti sulla “qualità della vita”: nella classifica annuale de “Il Sole24Ore”, dopo due anni di primato, Milano precipita al dodicesimo posto (il primo posto va a Bologna, seguita da Bolzano e Trento; ultime sono Crotone, Caltanissetta e Siracusa) e anche le altre grandi città lombarde perdono posizioni: Brescia è 39° (-27 posizioni), Bergamo è 52° (-24), Monza e Brianza 61° (-55) e Varese 66° (-37). L’effetto Covid è stato ed è ancora devastante.

Eppure, nonostante la crisi, i pilasti fondamentali di Milano (impresa, cultura, università, ricerca, servizi di qualità e innovativi) sono ancora robusti e consentono di guardare con ragionevole fiducia al futuro.

Torniamo, così, al Grattacielo Pirelli,che se ne sta ben piantato nella storia d’Italia, con quelle fondamenta progettate da Pier Luigi Nervi e quel dinamismo leggero ed elegante disegnato da Gio Ponti. E chi lo ha voluto, costruito, abitato, dall’economia alle istituzioni pubbliche, ha sempre avuto a mente le caratteristiche di Milano e della Lombardia: una terra aperta e accogliente.

Milano all’incrocio dei percorsi tra il nord europeo e il Mediterraneo, l’ovest e l’est. Milano allargata nello spazio fertile, senza difese naturali di montagne e di fiumi. Milano rotonda, priva di spigoli e angoli taglienti. Milano con le porte delle mura usate come caselli del dazio, segno evidente di un’economia di relazioni. Milano inclusiva, dai precetti del vescovo Ambrogio fondatore d’uno speciale “rito ambrosiano” che mira a innovare e coinvolgere all’editto del vescovo Ariberto d’Intimiano che nel 1018 proclama: “Chi sa lavorare venga a Milano. E chi viene a Milano è un uomo libero”.

L’emigrante di Olbia ritratto da Lucas nulla sa, naturalmente, della storia dell’editto di Ariberto. Ma ha piena consapevolezza delle possibilità di lavoro, ha ascoltato i parenti e gli amici che raccontavano che “milanesi si diventa”. E, come lui, le decine di migliaia di persone che, dagli anni Cinquanta, sono fuggite dalla disperazione del latifondo meridionale e dalle povertà contadine venete e friulane per cercare in fabbrica, a Milano e nelle altre città industriali lombarde, quell’incrocio tra incertezze da migranti e nuovi mestieri, responsabilità e opportunità, diritti e doveri, conflitti e libertà che connotano la condizione operaia e hanno il sapore, pur spesso aspro, della possibilità e della crescita.

Scrivere di storia – ha insegnato Walter Benjamin, spirito inquieto e lungimirante – significa dare fisionomia alle date. Ed eccolo, dunque, l’incrocio tra gli anni e gli accadimenti, la Storia e le storie.

E’ il 12 luglio del 1956 quando Alberto e Piero Pirelli posano la prima pietra del Grattacielo. I lavori dureranno quattro anni, sino all’inaugurazione del 4 aprile 1960. Tempi rapidi, testimonianza della dinamicità di quegli anni, delle tensioni positive nel paese in pieno boom economico. Ma anche tempi densi d’attenzione per la qualità. L’Italia vivace e fertile e di cui proprio Milano è cardine, pretende di crescere bene. “La città che sale” e dà finalmente ragione alle profezie estetiche ed etiche di un lungimirante pittore futurista, Umberto Boccioni, pretende di dare buona prova di sé nel tempo lungo dello sviluppo.

Oggi, a sessant’anni dalla sua inaugurazione, il Grattacielo Pirelli è al centro di una mostra, organizzata dalla Fondazione Pirelli e dalla Regione Lombardia (la Giunta e il Consiglio) e pronta per una preview virtuale mercoledì 16. Ed è raccontato da un libro appena pubblicato da Marsilio, “Storie del Grattacielo – I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali della Regione”, con prefazioni di Attilio Fontana, Alessandro Fermi e Marco Tronchetti Provera, articoli dei curatori della mostra (Laura Riboldi per Fondazione Pirelli e l’architetto Alessandro Colombo) e testimonianze di Piero Bassetti (il primo presidente della Regione), Eva Cantarella, Giuseppe Guzzetti, Uliano Lucas, Carlo Ratti, Gianfelice Rocca e Andrée Ruth Shammah, donne e uomini della politica, della cultura e dell’economia. Tra ricordi e previsioni, dalle loro parole emerge la prospettiva di un territorio che ha attraversato momenti intensi di difficoltà (compresi quelli, drammatici, di questi mesi) e però, nonostante tutto, ha sempre saputo fare leva sulle proprie capacità di sognare, sperare, progettare, costruire. Lavorare.

Il Grattacielo Pirelli, landmark straordinario, così carico di storia e di indicazioni d’attualità (la bellezza, la leggerezza, la funzionalità, il rigore estetico e progettuale che riflette l’etica del fare, e fare bene), ne è ancora tra i simboli.

E domani? Come saranno la Milano e la Lombardia di domani? “Una città, per competere, deve avere ali e radici”, ci ha insegnato Ulrich Beck, autorevole studioso delle più intense trasformazioni metropolitane. Le radici, e cioè la coscienza della propria storia. E le ali, per poter volare verso l’orizzonte del futuro. Una sofisticata capacità di fare i conti con l’avvenire della memoria.

Questa metropoli, questa regione, hanno le carte in regola per affrontare con fiducia, ancora una volta, una stagione segnata dalle fragilità e dalle incertezze della crisi e da una inedita serie di opportunità di cambiamento e di sviluppo. In Lombardia si produce il 22% del Pil italiano e quasi il 27% di tutto l’export nazionale. E proprio Milano, il baricentro di un grande nord produttivo europeo, ospita le sedi di 4.600 delle 14mila multinazionali, presenti in Italia, ha 200mila studenti di università che sono in posizioni di primo piano nei ranking internazionali, ha il 32% dei brevetti italiani e il 27% della ricerca scientifica più citata a livello globale. Una sorta di “città infinita”, dicono i sociologi più attenti ai processi di sviluppo: una condizione metropolitana che si impegna a fare i conti con una ipotesi di sviluppo sostenibile che è, contemporaneamente, globale e locale, glocal, per usare una brillante sintesi di Piero Bassetti, ancora oggi voce dei discorsi pubblici più responsabili.

Il futuro, dunque, parla di smart land e di sensible city, di umanesimo tecnologico e di economia sostenibile, dal punto di vista ambientale e sociale. Di interconnessioni e migliore governance di una globalizzazione da fair trade, a misura delle persone e dei loro diritti. E di una nuova condizione metropolitana in cui Milano e la Lombardia, ben saldi nel cuore dell’Europa e con lo sguardo rivolto verso il Mediterraneo, sanno fare sintesi originali tra industria dalle solide radici manifatturiere ed espansione sui mercati internazionali, tra valori dei luoghi e necessità dei flussi (di persone, capitali, idee, risorse), tra genius loci e intelligenza artificiale, tra servizi hi tech e attenzione alla formazione qualificata per le nuove generazioni, tra competitività e solidarietà e impegno sociale. Il segno forte, che tutte le conversazioni sul Grattacielo hanno messo in evidenza, è quello di una cultura politecnica originale per la capacità di unire saperi umanistici e conoscenze scientifiche, ricerca d’avanguardia e sensibilità popolare.

L’economia della conoscenza e l’attenzione per la qualità della vita, per un benessere sociale diffuso, sono valori solidi, che questo territorio sa esprimere, nelle sue istituzioni e nelle imprese, nelle organizzazioni sociali e culturali. Con un’attitudine particolare per le metamorfosi. Di cui, anche nei momenti più controversi, si sa scandire bene il tempo.

credits:  Immigrato sardo davanti al Grattacielo, 1968, foto di Uliano Lucas

L’uomo cammina con il passo lento e un po’ stanco di chi viene da un lungo viaggio. Attraversa i binari del tram accanto alla Stazione Centrale, proprio davanti al Grattacielo Pirelli. Sulle spalle, ha uno scatolone legato con lo spago. Alla mano sinistra, una valigia di cartone bianca e marrone, pesante, tanto da fargli pendere il braccio. E’ partito dalla Sardegna, da Olbia. In tasca, ben piegato come le cose preziose, ha un foglietto di carta con un indirizzo di Rho, dove lo aspettano i parenti che lo hanno mandato a chiamare, “vieni che qui c’è ancora lavoro”. E’ il tardo settembre del 1968. L’aria è grigia, pungente, annuncio dell’autunno che arriva. Ma sul volto dell’uomo la fatica non impedisce l’abbozzo d’un sorriso timido e un po’ schivo, guardando verso l’obiettivo del fotografo. Eccoci qui, a Milano, finalmente. Forse può ricominciare una nuova stagione di vita. Una speranza.

Il fotografo è Uliano Lucas. E quell’immagine dell’emigrante e del Grattacielo Pirelli diventa, rapidamente uno dei simboli più efficaci di un’epoca carica di contraddizioni e conflitti, ma anche di possibilità di svolta e di ripresa.  Le radici. E il futuro. I simboli precari d’una faticosa partenza (il cartone dello scatolone e della valigia) e l’imponenza del solido palazzo industriale simbolo del boom economico e sociale. Il cammino, passo dopo passo, sull’asfalto freddo, ingombro di foglie. E lo slancio verso l’alto del grattacielo. L’isola meridionale abbandonata, nel dolore della partenza. E la metropoli che suggerisce un destino migliore.

C’è, in quella foto di Lucas, tutta la recente storia d’Italia. La nostra storia, tra le sue luci di sviluppo e le sue ombre. Una storia da ricordare, proprio adesso, in tempi pesanti e dolorosi di crisi, tra pandemia e recessione, testimoniati ancora una volta, proprio ieri, dai dati più recenti sulla “qualità della vita”: nella classifica annuale de “Il Sole24Ore”, dopo due anni di primato, Milano precipita al dodicesimo posto (il primo posto va a Bologna, seguita da Bolzano e Trento; ultime sono Crotone, Caltanissetta e Siracusa) e anche le altre grandi città lombarde perdono posizioni: Brescia è 39° (-27 posizioni), Bergamo è 52° (-24), Monza e Brianza 61° (-55) e Varese 66° (-37). L’effetto Covid è stato ed è ancora devastante.

Eppure, nonostante la crisi, i pilasti fondamentali di Milano (impresa, cultura, università, ricerca, servizi di qualità e innovativi) sono ancora robusti e consentono di guardare con ragionevole fiducia al futuro.

Torniamo, così, al Grattacielo Pirelli,che se ne sta ben piantato nella storia d’Italia, con quelle fondamenta progettate da Pier Luigi Nervi e quel dinamismo leggero ed elegante disegnato da Gio Ponti. E chi lo ha voluto, costruito, abitato, dall’economia alle istituzioni pubbliche, ha sempre avuto a mente le caratteristiche di Milano e della Lombardia: una terra aperta e accogliente.

Milano all’incrocio dei percorsi tra il nord europeo e il Mediterraneo, l’ovest e l’est. Milano allargata nello spazio fertile, senza difese naturali di montagne e di fiumi. Milano rotonda, priva di spigoli e angoli taglienti. Milano con le porte delle mura usate come caselli del dazio, segno evidente di un’economia di relazioni. Milano inclusiva, dai precetti del vescovo Ambrogio fondatore d’uno speciale “rito ambrosiano” che mira a innovare e coinvolgere all’editto del vescovo Ariberto d’Intimiano che nel 1018 proclama: “Chi sa lavorare venga a Milano. E chi viene a Milano è un uomo libero”.

L’emigrante di Olbia ritratto da Lucas nulla sa, naturalmente, della storia dell’editto di Ariberto. Ma ha piena consapevolezza delle possibilità di lavoro, ha ascoltato i parenti e gli amici che raccontavano che “milanesi si diventa”. E, come lui, le decine di migliaia di persone che, dagli anni Cinquanta, sono fuggite dalla disperazione del latifondo meridionale e dalle povertà contadine venete e friulane per cercare in fabbrica, a Milano e nelle altre città industriali lombarde, quell’incrocio tra incertezze da migranti e nuovi mestieri, responsabilità e opportunità, diritti e doveri, conflitti e libertà che connotano la condizione operaia e hanno il sapore, pur spesso aspro, della possibilità e della crescita.

Scrivere di storia – ha insegnato Walter Benjamin, spirito inquieto e lungimirante – significa dare fisionomia alle date. Ed eccolo, dunque, l’incrocio tra gli anni e gli accadimenti, la Storia e le storie.

E’ il 12 luglio del 1956 quando Alberto e Piero Pirelli posano la prima pietra del Grattacielo. I lavori dureranno quattro anni, sino all’inaugurazione del 4 aprile 1960. Tempi rapidi, testimonianza della dinamicità di quegli anni, delle tensioni positive nel paese in pieno boom economico. Ma anche tempi densi d’attenzione per la qualità. L’Italia vivace e fertile e di cui proprio Milano è cardine, pretende di crescere bene. “La città che sale” e dà finalmente ragione alle profezie estetiche ed etiche di un lungimirante pittore futurista, Umberto Boccioni, pretende di dare buona prova di sé nel tempo lungo dello sviluppo.

Oggi, a sessant’anni dalla sua inaugurazione, il Grattacielo Pirelli è al centro di una mostra, organizzata dalla Fondazione Pirelli e dalla Regione Lombardia (la Giunta e il Consiglio) e pronta per una preview virtuale mercoledì 16. Ed è raccontato da un libro appena pubblicato da Marsilio, “Storie del Grattacielo – I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali della Regione”, con prefazioni di Attilio Fontana, Alessandro Fermi e Marco Tronchetti Provera, articoli dei curatori della mostra (Laura Riboldi per Fondazione Pirelli e l’architetto Alessandro Colombo) e testimonianze di Piero Bassetti (il primo presidente della Regione), Eva Cantarella, Giuseppe Guzzetti, Uliano Lucas, Carlo Ratti, Gianfelice Rocca e Andrée Ruth Shammah, donne e uomini della politica, della cultura e dell’economia. Tra ricordi e previsioni, dalle loro parole emerge la prospettiva di un territorio che ha attraversato momenti intensi di difficoltà (compresi quelli, drammatici, di questi mesi) e però, nonostante tutto, ha sempre saputo fare leva sulle proprie capacità di sognare, sperare, progettare, costruire. Lavorare.

Il Grattacielo Pirelli, landmark straordinario, così carico di storia e di indicazioni d’attualità (la bellezza, la leggerezza, la funzionalità, il rigore estetico e progettuale che riflette l’etica del fare, e fare bene), ne è ancora tra i simboli.

E domani? Come saranno la Milano e la Lombardia di domani? “Una città, per competere, deve avere ali e radici”, ci ha insegnato Ulrich Beck, autorevole studioso delle più intense trasformazioni metropolitane. Le radici, e cioè la coscienza della propria storia. E le ali, per poter volare verso l’orizzonte del futuro. Una sofisticata capacità di fare i conti con l’avvenire della memoria.

Questa metropoli, questa regione, hanno le carte in regola per affrontare con fiducia, ancora una volta, una stagione segnata dalle fragilità e dalle incertezze della crisi e da una inedita serie di opportunità di cambiamento e di sviluppo. In Lombardia si produce il 22% del Pil italiano e quasi il 27% di tutto l’export nazionale. E proprio Milano, il baricentro di un grande nord produttivo europeo, ospita le sedi di 4.600 delle 14mila multinazionali, presenti in Italia, ha 200mila studenti di università che sono in posizioni di primo piano nei ranking internazionali, ha il 32% dei brevetti italiani e il 27% della ricerca scientifica più citata a livello globale. Una sorta di “città infinita”, dicono i sociologi più attenti ai processi di sviluppo: una condizione metropolitana che si impegna a fare i conti con una ipotesi di sviluppo sostenibile che è, contemporaneamente, globale e locale, glocal, per usare una brillante sintesi di Piero Bassetti, ancora oggi voce dei discorsi pubblici più responsabili.

Il futuro, dunque, parla di smart land e di sensible city, di umanesimo tecnologico e di economia sostenibile, dal punto di vista ambientale e sociale. Di interconnessioni e migliore governance di una globalizzazione da fair trade, a misura delle persone e dei loro diritti. E di una nuova condizione metropolitana in cui Milano e la Lombardia, ben saldi nel cuore dell’Europa e con lo sguardo rivolto verso il Mediterraneo, sanno fare sintesi originali tra industria dalle solide radici manifatturiere ed espansione sui mercati internazionali, tra valori dei luoghi e necessità dei flussi (di persone, capitali, idee, risorse), tra genius loci e intelligenza artificiale, tra servizi hi tech e attenzione alla formazione qualificata per le nuove generazioni, tra competitività e solidarietà e impegno sociale. Il segno forte, che tutte le conversazioni sul Grattacielo hanno messo in evidenza, è quello di una cultura politecnica originale per la capacità di unire saperi umanistici e conoscenze scientifiche, ricerca d’avanguardia e sensibilità popolare.

L’economia della conoscenza e l’attenzione per la qualità della vita, per un benessere sociale diffuso, sono valori solidi, che questo territorio sa esprimere, nelle sue istituzioni e nelle imprese, nelle organizzazioni sociali e culturali. Con un’attitudine particolare per le metamorfosi. Di cui, anche nei momenti più controversi, si sa scandire bene il tempo.

credits:  Immigrato sardo davanti al Grattacielo, 1968, foto di Uliano Lucas

Un evento digitale per scoprire le “Storie del Grattacielo”

Mercoledì 16 dicembre 2020 alle ore 10.30 si terrà l’evento online di presentazione della mostra “Storie del Grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia”, promossa da Fondazione Pirelli e Regione Lombardia, con il sostegno di Pirelli e FNM.

Sarà l’occasione per ripercorrere i 60 anni di storia dell’edificio attraverso una preview digitale della mostra e la presentazione del volume Storie del Grattacielo, edito da Marsilio.

L’evento, che potrà essere seguito in streaming da questo link https://mediaportal.regione.lombardia.it/embed/live/23, sarà moderato dalla giornalista Ilaria Iacoviello, con interventi del Presidente della Fondazione Pirelli Marco Tronchetti Provera, del Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e del Presidente del Consiglio Regionale Alessandro Fermi. Per la curatela del progetto interverranno anche Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli e l’Architetto Alessandro Colombo.

Mercoledì 16 dicembre 2020 alle ore 10.30 si terrà l’evento online di presentazione della mostra “Storie del Grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia”, promossa da Fondazione Pirelli e Regione Lombardia, con il sostegno di Pirelli e FNM.

Sarà l’occasione per ripercorrere i 60 anni di storia dell’edificio attraverso una preview digitale della mostra e la presentazione del volume Storie del Grattacielo, edito da Marsilio.

L’evento, che potrà essere seguito in streaming da questo link https://mediaportal.regione.lombardia.it/embed/live/23, sarà moderato dalla giornalista Ilaria Iacoviello, con interventi del Presidente della Fondazione Pirelli Marco Tronchetti Provera, del Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e del Presidente del Consiglio Regionale Alessandro Fermi. Per la curatela del progetto interverranno anche Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli e l’Architetto Alessandro Colombo.

Storie del Grattacielo.
I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia

Il 4 aprile 1960 si inaugurava a Milano il Grattacielo Pirelli. Voluto da Alberto e Piero Pirelli, concepito dalla forza creativa e innovativa di Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Pier Luigi Nervi, Arturo Danusso, Giuseppe Valtolina ed Egidio Dell’Orto, questo edificio compie quest’anno 60 anni. Per celebrare questo importante avvenimento sarà inaugurata nella primavera del 2021 la mostra “Storie del Grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia”, promossa da Regione Lombardia e dalla Fondazione Pirelli, curata dalla Fondazione Pirelli e dall’architetto Alessandro Colombo e realizzata anche grazie al contributo di FNM. In attesa dell’apertura della mostra, è già possibile avere un anticipazione del progetto attraverso il catalogo edito da Marsilio in uscita nelle librerie il 16 dicembre 2020, e il lancio della piattaforma dedicata 60grattacielopirelli.org dove poter scoprire in preview i contenuti del percorso espositivo.

Un racconto in cinque “tempi” attraverso fotografie, illustrazioni, filmati di repertorio, in larga parte provenienti dall’Archivio Storico Pirelli, e testimonianze esclusive di persone che lo hanno pensato, progettato, realizzato e vissuto lungo il corso di questi sessant’anni, scandito da una timeline che ripercorre, dal 1956 ai giorni nostri, la grande storia nazionale e internazionale e gli eventi più significativi che hanno segnato l’immaginario collettivo.

 “Sogno una Milano fatta dai miei colleghi architetti. Certamente non voglio una Milano fatta con case basse e un grattacielo qui, uno là, un altro là e un altro ancora là. Sarebbe come una bocca con qualche dente lungo e gli altri corti. I grattacieli sono belli se si trovano uno di fianco all’altro, come delle isole. […] Questo che dico non è un sogno, dico ciò che sarà in futuro” (Gio Ponti sulla città di Milano nel 1961)

Il 4 aprile 1960 si inaugurava a Milano il Grattacielo Pirelli. Voluto da Alberto e Piero Pirelli, concepito dalla forza creativa e innovativa di Gio Ponti, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Pier Luigi Nervi, Arturo Danusso, Giuseppe Valtolina ed Egidio Dell’Orto, questo edificio compie quest’anno 60 anni. Per celebrare questo importante avvenimento sarà inaugurata nella primavera del 2021 la mostra “Storie del Grattacielo. I 60 anni del Pirellone tra cultura industriale e attività istituzionali di Regione Lombardia”, promossa da Regione Lombardia e dalla Fondazione Pirelli, curata dalla Fondazione Pirelli e dall’architetto Alessandro Colombo e realizzata anche grazie al contributo di FNM. In attesa dell’apertura della mostra, è già possibile avere un anticipazione del progetto attraverso il catalogo edito da Marsilio in uscita nelle librerie il 16 dicembre 2020, e il lancio della piattaforma dedicata 60grattacielopirelli.org dove poter scoprire in preview i contenuti del percorso espositivo.

Un racconto in cinque “tempi” attraverso fotografie, illustrazioni, filmati di repertorio, in larga parte provenienti dall’Archivio Storico Pirelli, e testimonianze esclusive di persone che lo hanno pensato, progettato, realizzato e vissuto lungo il corso di questi sessant’anni, scandito da una timeline che ripercorre, dal 1956 ai giorni nostri, la grande storia nazionale e internazionale e gli eventi più significativi che hanno segnato l’immaginario collettivo.

 “Sogno una Milano fatta dai miei colleghi architetti. Certamente non voglio una Milano fatta con case basse e un grattacielo qui, uno là, un altro là e un altro ancora là. Sarebbe come una bocca con qualche dente lungo e gli altri corti. I grattacieli sono belli se si trovano uno di fianco all’altro, come delle isole. […] Questo che dico non è un sogno, dico ciò che sarà in futuro” (Gio Ponti sulla città di Milano nel 1961)

Multimedia

Images
CIAO, COME POSSO AIUTARTI?