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Giuseppe Ajmone, un pittore in Abruzzo

Nell’Archivio Storico Pirelli si conservano quattro disegni originali realizzati nel 1964 dal pittore Giuseppe Ajmone per la Rivista Pirelli. Si tratta di quattro acquarelli e guazzi su carta commissionati all’artista nato a Carpignano Sesia il 17 febbraio del 1923, per illustrare l’articolo del poeta romagnolo Raffaello Baldini “Abruzzo senza pastori”.

Il contributo è un racconto attraverso parole e immagini del viaggio compiuto quell’anno da Ajmone e Baldini attraverso il Gran Sasso e la Maiella. Una proposta di itinerario turistico, che si interisce nella serie di articoli pubblicati sulla Rivista Pirelli tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. L’azienda si affida al pennello di artisti o all’estro dei fotografi per scoprire zone meno conosciute del nostro Paese e ed estere, come Renato Guttuso e Giovanni Pirelli che, in un inverno del 1959, discendono il Nilo da Asswan fino al delta, o come lo scrittore Michele Prisco che insieme all’amico pittore Gennaro Borrelli visita la Costiera Amalfitana. E ancora Piero Chiara e Giovanni Cazzaniga in viaggio attraverso la verde e rocciosa Valsolda.

I nove acquarelli realizzati da Ajmone per questo reportage, riprodotti a doppia pagina, hanno un ruolo importante nell’economia dell’articolo: una vera e propria narrazione per immagini dei più bei territori abruzzesi dove, a far da padrone, è il paesaggio, tra elementi naturali e costruzioni antropiche. L’unica rappresentazione di una figura umana presente nelle opere realizzate dal pittore è in un dipinto a olio che mostra la signorina Gerarda Ciarletta, telefonista di Scanno, tra le poche donne abruzzesi – come recita la didascalia dell’opera – a indossare ancora gli abiti tradizionali.  Quest’opera viene scelta presumibilmente da Arrigo Castellani, a quel tempo direttore della Rivista, per la copertina del numero del magazine dove verrà pubblicato l’articolo.

La pittura di Giuseppe Ajmone, con il suo tratto brumoso ma realistico riesce a rendere efficacemente le luci e il fascino di questa “terra antica coperta d’alberi, di cespugli o soltanto di muschio, con altopiani improvvisi e dolcissimi, paesi ammucchiati sulle coste, belle piccole chiese, poche pecore ormai in giro, e molti stazzi deserti e in rovina”.

Nell’Archivio Storico Pirelli si conservano quattro disegni originali realizzati nel 1964 dal pittore Giuseppe Ajmone per la Rivista Pirelli. Si tratta di quattro acquarelli e guazzi su carta commissionati all’artista nato a Carpignano Sesia il 17 febbraio del 1923, per illustrare l’articolo del poeta romagnolo Raffaello Baldini “Abruzzo senza pastori”.

Il contributo è un racconto attraverso parole e immagini del viaggio compiuto quell’anno da Ajmone e Baldini attraverso il Gran Sasso e la Maiella. Una proposta di itinerario turistico, che si interisce nella serie di articoli pubblicati sulla Rivista Pirelli tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. L’azienda si affida al pennello di artisti o all’estro dei fotografi per scoprire zone meno conosciute del nostro Paese e ed estere, come Renato Guttuso e Giovanni Pirelli che, in un inverno del 1959, discendono il Nilo da Asswan fino al delta, o come lo scrittore Michele Prisco che insieme all’amico pittore Gennaro Borrelli visita la Costiera Amalfitana. E ancora Piero Chiara e Giovanni Cazzaniga in viaggio attraverso la verde e rocciosa Valsolda.

I nove acquarelli realizzati da Ajmone per questo reportage, riprodotti a doppia pagina, hanno un ruolo importante nell’economia dell’articolo: una vera e propria narrazione per immagini dei più bei territori abruzzesi dove, a far da padrone, è il paesaggio, tra elementi naturali e costruzioni antropiche. L’unica rappresentazione di una figura umana presente nelle opere realizzate dal pittore è in un dipinto a olio che mostra la signorina Gerarda Ciarletta, telefonista di Scanno, tra le poche donne abruzzesi – come recita la didascalia dell’opera – a indossare ancora gli abiti tradizionali.  Quest’opera viene scelta presumibilmente da Arrigo Castellani, a quel tempo direttore della Rivista, per la copertina del numero del magazine dove verrà pubblicato l’articolo.

La pittura di Giuseppe Ajmone, con il suo tratto brumoso ma realistico riesce a rendere efficacemente le luci e il fascino di questa “terra antica coperta d’alberi, di cespugli o soltanto di muschio, con altopiani improvvisi e dolcissimi, paesi ammucchiati sulle coste, belle piccole chiese, poche pecore ormai in giro, e molti stazzi deserti e in rovina”.

Prima della pubblicità: i cataloghi illustrati come forma di comunicazione visiva

Le prime forme di comunicazione visiva della Pirelli sono rappresentate dai cataloghi di prodotto illustrati realizzati tra Otto e Novecento, nei quali, alla funzione commerciale, si affianca la cura per l’aspetto decorativo e illustrativo. Tra i numerosi prodotti in gomma realizzati dalla Pirelli, sono gli articoli di consumo a essere oggetto  di questo tipo di comunicazione: abbigliamento, articoli di merceria, pneumatici. Prodotti che si rivolgevano a un pubblico di consumatori o di rivenditori, a differenza degli articoli tecnici o dei cavi, beni strumentali i cui principali acquirenti erano amministrazioni pubbliche, società industriali o di trasporto.

L’illustrazione dei cataloghi viene affidata alternativamente ad artisti più o meno noti: Giuseppe Barberis realizza litografie per il listino dei tappeti in gomma elastica del 1886; Luca Fornari, caricaturista e fondatore del settimanale “Il Mondo umoristico”, firma i  cataloghi di abbigliamento tra il 1896 e il 1902; Giuseppe Galli e Osvaldo Ballerio sono chiamati invece a decorare quelli per pneumatici, prodotto che richiede un’intensa attività di “reclame”, visto il mercato già dominato da grandi concorrenti dell’azienda. Nel 1899 – anno di avvio della produzione sperimentale di “guarniture pneumatiche per automobile”, che vanno ad affiancare i pneumatici per bici e motocicli – il pittore Giuseppe Galli, acquarellista di un certo successo assunto dalla Pirelli nel 1886 con mansioni di disegno tecnico e di “ornato”, illustra le pagine interne e la copertina dei nuovi listini in stile floreale sui toni dell’oro.

Nel 1904 è la volta del pittore Osvaldo Ballerio, che realizza la copertina del catalogo delle ”Pneumatiche per velocipedi, motocicli e automobili”. Nato a Milano nel 1870, e diplomato all’Accademia di Brera, si specializza nel cartellonismo e nella grafica pubblicitaria, in particolare di soggetto sportivo. Negli anni Dieci firma per Pirelli diverse pubblicità, che saranno pubblicate sulle copertine della rivista del Touring Club Italiano o sulle riviste edite dai fratelli Treves (“L’Illustrazione italiana”, “Il Secolo XX”, “Lidel”).

Sono gli anni delle prime vere e proprie campagne pubblicitarie su riviste e manifesti, affidate a grandi nomi del cartellonismo italiano e internazionale: a Ballerio si affiancano infatti autori come Leopoldo Metlicovitz, Alessandro Dudovich, Plinio Codognato.

Ha così inizio la lunga storia della pubblicità Pirelli.

Le prime forme di comunicazione visiva della Pirelli sono rappresentate dai cataloghi di prodotto illustrati realizzati tra Otto e Novecento, nei quali, alla funzione commerciale, si affianca la cura per l’aspetto decorativo e illustrativo. Tra i numerosi prodotti in gomma realizzati dalla Pirelli, sono gli articoli di consumo a essere oggetto  di questo tipo di comunicazione: abbigliamento, articoli di merceria, pneumatici. Prodotti che si rivolgevano a un pubblico di consumatori o di rivenditori, a differenza degli articoli tecnici o dei cavi, beni strumentali i cui principali acquirenti erano amministrazioni pubbliche, società industriali o di trasporto.

L’illustrazione dei cataloghi viene affidata alternativamente ad artisti più o meno noti: Giuseppe Barberis realizza litografie per il listino dei tappeti in gomma elastica del 1886; Luca Fornari, caricaturista e fondatore del settimanale “Il Mondo umoristico”, firma i  cataloghi di abbigliamento tra il 1896 e il 1902; Giuseppe Galli e Osvaldo Ballerio sono chiamati invece a decorare quelli per pneumatici, prodotto che richiede un’intensa attività di “reclame”, visto il mercato già dominato da grandi concorrenti dell’azienda. Nel 1899 – anno di avvio della produzione sperimentale di “guarniture pneumatiche per automobile”, che vanno ad affiancare i pneumatici per bici e motocicli – il pittore Giuseppe Galli, acquarellista di un certo successo assunto dalla Pirelli nel 1886 con mansioni di disegno tecnico e di “ornato”, illustra le pagine interne e la copertina dei nuovi listini in stile floreale sui toni dell’oro.

Nel 1904 è la volta del pittore Osvaldo Ballerio, che realizza la copertina del catalogo delle ”Pneumatiche per velocipedi, motocicli e automobili”. Nato a Milano nel 1870, e diplomato all’Accademia di Brera, si specializza nel cartellonismo e nella grafica pubblicitaria, in particolare di soggetto sportivo. Negli anni Dieci firma per Pirelli diverse pubblicità, che saranno pubblicate sulle copertine della rivista del Touring Club Italiano o sulle riviste edite dai fratelli Treves (“L’Illustrazione italiana”, “Il Secolo XX”, “Lidel”).

Sono gli anni delle prime vere e proprie campagne pubblicitarie su riviste e manifesti, affidate a grandi nomi del cartellonismo italiano e internazionale: a Ballerio si affiancano infatti autori come Leopoldo Metlicovitz, Alessandro Dudovich, Plinio Codognato.

Ha così inizio la lunga storia della pubblicità Pirelli.

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X Edizione del corso Cinema & Storia

Giunto alla sua decima edizione, sta per ripartire Cinema & Storia, il corso online gratuito di formazione e aggiornamento per docenti delle scuole secondarie, promosso da Fondazione ISEC e Fondazione Pirelli, per il secondo anno consecutivo in collaborazione con il cinema Beltrade di Milano.

Il corso, dal titolo L’Italia tra declini e rinascite. Una storia economica, si propone di fornire gli strumenti per integrare la prospettiva economica all’interno dei percorsi didattici. In una progressione diacronica, che dall’Unità giunge ai giorni nostri, verranno affrontati i temi e le svolte cruciali delle vicende economiche del nostro Paese in collegamento con la rappresentazione che il cinema ne ha dato.

 Le cinque lezioni storiche saranno anche quest’anno affiancate da una selezione di film curata dal Cinema Beltrade e, per supportare gli insegnanti nell’utilizzo del testo filmico a fini didattici, sarà condotto il laboratorio Il cinema in classe.

 Gli incontri si terranno tutti i lunedì dalle ore 16 alle ore 18 dal 7 marzo all’11 aprile 2022.

L’iscrizione al corso è gratuita ma obbligatoria, scrivendo a didattica@fondazioneisec.it entro lunedì 28 febbraio 2022. Gli incontri si terranno in diretta sulla piattaforma Microsoft Teams. Per ulteriori informazioni scrivere a scuole@fondazionepirelli.org.

Il corso è a numero chiuso e le iscrizioni saranno accettate in ordine di arrivo.

Per il programma generale del corso clicca qui.

Giunto alla sua decima edizione, sta per ripartire Cinema & Storia, il corso online gratuito di formazione e aggiornamento per docenti delle scuole secondarie, promosso da Fondazione ISEC e Fondazione Pirelli, per il secondo anno consecutivo in collaborazione con il cinema Beltrade di Milano.

Il corso, dal titolo L’Italia tra declini e rinascite. Una storia economica, si propone di fornire gli strumenti per integrare la prospettiva economica all’interno dei percorsi didattici. In una progressione diacronica, che dall’Unità giunge ai giorni nostri, verranno affrontati i temi e le svolte cruciali delle vicende economiche del nostro Paese in collegamento con la rappresentazione che il cinema ne ha dato.

 Le cinque lezioni storiche saranno anche quest’anno affiancate da una selezione di film curata dal Cinema Beltrade e, per supportare gli insegnanti nell’utilizzo del testo filmico a fini didattici, sarà condotto il laboratorio Il cinema in classe.

 Gli incontri si terranno tutti i lunedì dalle ore 16 alle ore 18 dal 7 marzo all’11 aprile 2022.

L’iscrizione al corso è gratuita ma obbligatoria, scrivendo a didattica@fondazioneisec.it entro lunedì 28 febbraio 2022. Gli incontri si terranno in diretta sulla piattaforma Microsoft Teams. Per ulteriori informazioni scrivere a scuole@fondazionepirelli.org.

Il corso è a numero chiuso e le iscrizioni saranno accettate in ordine di arrivo.

Per il programma generale del corso clicca qui.

Il “liberalismo inclusivo” e il riformismo del governo Draghi rilanciano la politica

Nel tempo della crisi, tra pandemia che lentamente si smorza dopo una lunga stagione di dolori e fatiche e difficoltà economiche che si aggravano per i timori di inflazione e squilibri globali (il boom  dei prezzi dell’energia è soltanto una delle manifestazioni), più che sperare in un impossibile ritorno al “come eravamo”, vale la pena costruire nuovi pensieri economici e sociali. “Liberalismo inclusivo”, scrivono Michele Salvati e Norberto Dilmore, per Feltrinelli, cercando di delineare “un futuro possibile per il nostro angolo di mondo”. Salvati è uno dei più lucidi studiosi italiani di politica, impegnato da tempo a ragionare su come coniugare libertà e migliori equilibri sociali. Dilmore è lo pseudonimo scelto da un esponente del nostro mondo economico, che accompagna un nome fortemente evocativo, Norberto, per ricordare la figura di uno dei più autorevoli intellettuali, interprete lungimirante dei tentativi di coniugare la cultura liberale (Piero Gobetti, i fratelli Rosselli) con il miglior socialismo riformista. Con una prospettiva: andare oltre la tradizionale contrapposizione tra Keynes e Friedman e individuare originali strade di interpretazione e governo delle nuove dimensioni della “società digitale”, delle relazioni tra crescita economica e qualità degli equilibri sociali.

Ecco il punto di riferimento: proprio nella ricerca di un “cambio di paradigma” per costruire una economia meno segnata dagli squilibri di una globalizzazione mal governata e produttrice di crescenti divari geografici, sociali, personali, di genere e cultura, vale la pena ripercorrere il grande pensiero politico europeo e ragionare di sostenibilità, riforme, lotta alle diseguaglianze, nuove e migliori opportunità di sviluppo soprattutto per le nuove generazioni. Liberalismo inclusivo e riformismo. Dinamismo imprenditoriale e inclusione sociale. Competitività e solidarietà. Tutti valori che si ritrovano nelle pagine del libro di Salvati e Dilmore e appartengono all’originale cultura di fondo dell’Europa: democrazia liberale e welfare, promozione dei diritti individuali e responsabilità sociale. Una strada che proprio adesso, in tempi di crisi e radicali trasformazioni, ha una straordinaria forza di attualità.

C’è un’altra indicazione possibile, nella migliore letteratura economica contemporanea, accanto alle riflessioni di Stiglitz, Krugman, Fitoussi e alla rilettura di un economista come Federico Caffè, originale interprete di Keynes e maestro del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi: “Un triangolo virtuoso formato da imprese, Stato e società civile”, per identificare nuove strade di sviluppo, fuori dal tradizionale interrogativo dialettico “più Stato o più mercato?”. Lo propone Philippe Aghion, economista francese, professore alla London School of Economics, ad Harvard e al Collège de France, nelle pagine di “Il potere della distruzione creatrice – Innovazione, crescita e futuro del capitalismo”, un libro pubblicato da Marsilio e scritto con altri due economisti del Collège de France, Céline Antonin e Simon Brunelli. Il riferimento, fin dal titolo, è alle teorie di Joseph Schumpeter, sulla forza creativa dell’innovazione e però anche sulla tendenza degli attori più dinamici del mercato a diventare monopolisti, distruggendo così proprio il mercato in cui sono nati. L’obiettivo è dimostrare come un rapporto equilibrato e originale tra politica, imprenditori e società civile possa contrastare sia il declino del capitalismo sia il populismo demagogico, rilanciando così l’economia di mercato (trasparente, ben regolata, sostenibile) e soprattutto la stessa democrazia liberale. Gli autori analizzano le evoluzioni tecnologiche, polemizzano con le bizzarre teorie di chi vorrebbe tassare i robot per bloccare l’evoluzione digitale delle imprese e difendere i lavori tradizionali, rifiutano le idee di “decrescita felice” e propongono nuove relazioni tra l’innovazione d’impronta anglosassone e le migliori tradizioni europee del welfare.

Ecco il punto. Per potere ragionale di “liberalismo inclusivo” e di riformismo c’è un grande bisogno di buona politica. Gli anni che abbiamo appena vissuto, della politica riformatrice hanno purtroppo visto il declino, sotto la spinta delle pressioni populiste e sovraniste, risposte sbagliate e improduttive di soluzioni credibili a problemi reali di disagio sociale e crollo di fiducia nelle possibilità di un futuro migliore.

Adesso, però, proprio in Italia e, più in generale, in Europa, si colgono segni che consentono una pur fragile speranza di ripresa. La rielezione al Quirinale di un presidente come Sergio Mattarella e il rafforzamento del governo Draghi, con l’impegnativo programma di riforme lungo le direttrici del Recovery Plan della Ue (ambiente, economia digitale, innovazione, formazione, conoscenza guardando alla Next Generation) sono punti fermi di ripartenza. Le indicazioni, nel discorso di Mattarella, sulla “dignità” del lavoro, della cultura, delle istituzioni, della giustizia, dei diritti di donne e giovani, sono pilastri per una rifondazione della politica, per ricostruire fiducia e migliori opportunità di futuro.

In gioco ci sono la democrazia e lo sviluppo. Nonostante la pesantezza della crisi. Ma proprio in questi tempi difficili e nonostante incertezze, cadute, ombre e comportanti irresponsabili proprio nel cuore del mondo politico, l’Italia sta dimostrando di avere un “capitale sociale” positivo, una straordinaria forza di ripresa.

Lo notano anche anche autorevoli osservatori internazionali, come conferma per esempio “The Economist”. Nel dicembre scorso aveva indicato l’Italia come “paese dell’anno 2021”, mettendo temporaneamente da parte l’abitudine storica alle critiche severe, perfino impietose verso il nostro Paese. Adesso, nel numero in edicola, il settimanale britannico nota che “Southern Europe is reforming itself”, ricordando come i “vecchi Pigs” (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, riuniti in un acronimo che sapeva di insulto) “volano, anche se i paesi del Nord cadono sulla Terra”. Nella crescita del peso dell’Europa mediterranea, anche per la modifica degli assetti internazionali, “The Economist” continua a riconoscere all’Italia guidata da Mario Draghi una spinta riformatrice positiva, su giustizia, pensione, economia. Con effetti positivi sul resto della Ue. Restano le ombre, è vero. Ma emergono le forze positive. Il “liberalismo inclusivo” può fare strada.

Nel tempo della crisi, tra pandemia che lentamente si smorza dopo una lunga stagione di dolori e fatiche e difficoltà economiche che si aggravano per i timori di inflazione e squilibri globali (il boom  dei prezzi dell’energia è soltanto una delle manifestazioni), più che sperare in un impossibile ritorno al “come eravamo”, vale la pena costruire nuovi pensieri economici e sociali. “Liberalismo inclusivo”, scrivono Michele Salvati e Norberto Dilmore, per Feltrinelli, cercando di delineare “un futuro possibile per il nostro angolo di mondo”. Salvati è uno dei più lucidi studiosi italiani di politica, impegnato da tempo a ragionare su come coniugare libertà e migliori equilibri sociali. Dilmore è lo pseudonimo scelto da un esponente del nostro mondo economico, che accompagna un nome fortemente evocativo, Norberto, per ricordare la figura di uno dei più autorevoli intellettuali, interprete lungimirante dei tentativi di coniugare la cultura liberale (Piero Gobetti, i fratelli Rosselli) con il miglior socialismo riformista. Con una prospettiva: andare oltre la tradizionale contrapposizione tra Keynes e Friedman e individuare originali strade di interpretazione e governo delle nuove dimensioni della “società digitale”, delle relazioni tra crescita economica e qualità degli equilibri sociali.

Ecco il punto di riferimento: proprio nella ricerca di un “cambio di paradigma” per costruire una economia meno segnata dagli squilibri di una globalizzazione mal governata e produttrice di crescenti divari geografici, sociali, personali, di genere e cultura, vale la pena ripercorrere il grande pensiero politico europeo e ragionare di sostenibilità, riforme, lotta alle diseguaglianze, nuove e migliori opportunità di sviluppo soprattutto per le nuove generazioni. Liberalismo inclusivo e riformismo. Dinamismo imprenditoriale e inclusione sociale. Competitività e solidarietà. Tutti valori che si ritrovano nelle pagine del libro di Salvati e Dilmore e appartengono all’originale cultura di fondo dell’Europa: democrazia liberale e welfare, promozione dei diritti individuali e responsabilità sociale. Una strada che proprio adesso, in tempi di crisi e radicali trasformazioni, ha una straordinaria forza di attualità.

C’è un’altra indicazione possibile, nella migliore letteratura economica contemporanea, accanto alle riflessioni di Stiglitz, Krugman, Fitoussi e alla rilettura di un economista come Federico Caffè, originale interprete di Keynes e maestro del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi: “Un triangolo virtuoso formato da imprese, Stato e società civile”, per identificare nuove strade di sviluppo, fuori dal tradizionale interrogativo dialettico “più Stato o più mercato?”. Lo propone Philippe Aghion, economista francese, professore alla London School of Economics, ad Harvard e al Collège de France, nelle pagine di “Il potere della distruzione creatrice – Innovazione, crescita e futuro del capitalismo”, un libro pubblicato da Marsilio e scritto con altri due economisti del Collège de France, Céline Antonin e Simon Brunelli. Il riferimento, fin dal titolo, è alle teorie di Joseph Schumpeter, sulla forza creativa dell’innovazione e però anche sulla tendenza degli attori più dinamici del mercato a diventare monopolisti, distruggendo così proprio il mercato in cui sono nati. L’obiettivo è dimostrare come un rapporto equilibrato e originale tra politica, imprenditori e società civile possa contrastare sia il declino del capitalismo sia il populismo demagogico, rilanciando così l’economia di mercato (trasparente, ben regolata, sostenibile) e soprattutto la stessa democrazia liberale. Gli autori analizzano le evoluzioni tecnologiche, polemizzano con le bizzarre teorie di chi vorrebbe tassare i robot per bloccare l’evoluzione digitale delle imprese e difendere i lavori tradizionali, rifiutano le idee di “decrescita felice” e propongono nuove relazioni tra l’innovazione d’impronta anglosassone e le migliori tradizioni europee del welfare.

Ecco il punto. Per potere ragionale di “liberalismo inclusivo” e di riformismo c’è un grande bisogno di buona politica. Gli anni che abbiamo appena vissuto, della politica riformatrice hanno purtroppo visto il declino, sotto la spinta delle pressioni populiste e sovraniste, risposte sbagliate e improduttive di soluzioni credibili a problemi reali di disagio sociale e crollo di fiducia nelle possibilità di un futuro migliore.

Adesso, però, proprio in Italia e, più in generale, in Europa, si colgono segni che consentono una pur fragile speranza di ripresa. La rielezione al Quirinale di un presidente come Sergio Mattarella e il rafforzamento del governo Draghi, con l’impegnativo programma di riforme lungo le direttrici del Recovery Plan della Ue (ambiente, economia digitale, innovazione, formazione, conoscenza guardando alla Next Generation) sono punti fermi di ripartenza. Le indicazioni, nel discorso di Mattarella, sulla “dignità” del lavoro, della cultura, delle istituzioni, della giustizia, dei diritti di donne e giovani, sono pilastri per una rifondazione della politica, per ricostruire fiducia e migliori opportunità di futuro.

In gioco ci sono la democrazia e lo sviluppo. Nonostante la pesantezza della crisi. Ma proprio in questi tempi difficili e nonostante incertezze, cadute, ombre e comportanti irresponsabili proprio nel cuore del mondo politico, l’Italia sta dimostrando di avere un “capitale sociale” positivo, una straordinaria forza di ripresa.

Lo notano anche anche autorevoli osservatori internazionali, come conferma per esempio “The Economist”. Nel dicembre scorso aveva indicato l’Italia come “paese dell’anno 2021”, mettendo temporaneamente da parte l’abitudine storica alle critiche severe, perfino impietose verso il nostro Paese. Adesso, nel numero in edicola, il settimanale britannico nota che “Southern Europe is reforming itself”, ricordando come i “vecchi Pigs” (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, riuniti in un acronimo che sapeva di insulto) “volano, anche se i paesi del Nord cadono sulla Terra”. Nella crescita del peso dell’Europa mediterranea, anche per la modifica degli assetti internazionali, “The Economist” continua a riconoscere all’Italia guidata da Mario Draghi una spinta riformatrice positiva, su giustizia, pensione, economia. Con effetti positivi sul resto della Ue. Restano le ombre, è vero. Ma emergono le forze positive. Il “liberalismo inclusivo” può fare strada.

Libertà versus autorità?

Quanto che sta accadendo nelle società attuali, letto attraverso uno dei binomi cruciali della modernità

Libertà d’intraprendere, così come di criticare, di cambiare idea, di crescere seguendo una certa strada e non un’altra, di esprimere le proprie opinioni oppure il dissenso. Principio fondamentale di ogni buona società così come di ogni organizzazione della produzione. Libertà, dunque. Che non significa, tuttavia, libero arbitrio. E  tantomeno facoltà di distruggere tutto. Libertà contrapposta ad autorità, dunque. Oppure libertà che con una adeguata autorità può crescere e farsi più potente. Il tema è complesso ma fondamentale, soprattutto oggi. Ed è per questo che serve leggere (con attenzione) “La porta dell’autorità” saggio scritto a quattro mani tra Mauro Magatti (sociologo ed economista, ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e Monica Martinelli (Sociologia sempre presso l’Università Cattolica).

Il libro si basa sull’osservazione dei fatti passati e di quanto sta avvenendo oggi. E parte dal considerare che la contestazione, fino al rifiuto, dell’autorità quale freno alla libera espressione del sé è davvero una delle eredità del secondo Novecento. Un’eredità che pesa ancora oggi con la messa sotto accusa dei pilastri su cui l’autorità poggiava: la tradizione, il padre, l’insegnante, la Chiesa. E tutto in nome dell’affermazione dello spirito individualistico in un mondo orizzontale senza padri né maestri. Eppure – spiegano i due autori -, come l’araba fenice, l’autorità risorge in continuazione dalle sue ceneri, ricostituendosi in forme inedite, più fuggevoli e indeterminate, ma non per questo meno efficaci. Assistiamo, cioè, al moltiplicarsi di spinte per un ritorno all’ordine di un padre autoritario, tirannico e fondamentalista, oppure, in modi più sottili ma insidiosi, al presentarsi di un dominio tecnocratico che di fatto punta al superamento della condizione umana come la conosciamo. E c’è chi vuole erigere muri oppure chi, in nome proprio della libertà, rifiuta ogni obbligo (anche quelli inerenti aspetti drammatici della vita odierna).

E’, racconta il libro, la contrapposizione sempre più netta – in apparenza -, tra libertà e autorità quella che si sta vivendo un po’ ovunque (anche nell’economia e nella produzione).

Ma quindi che fare? Magatti e Martinelli non hanno dubbi: non si tratta di tornare indietro; si tratta, piuttosto, di andare avanti, riflettendo in forme nuove su un binomio che rimane essenziale e insieme difficile. Perché, viene spiegato benissimo nel libro, un mondo senza autorità non è possibile, se non a costo di perdere la libertà. Quella libertà in cui proprio il limite diventa risorsa per l’azione, dando una prospettiva al nostro punto di vista sul mondo. Occorre insomma ricostruire il legame tra le generazioni, riconoscendo all’autorità la capacità di essere lo snodo tra chi viene prima e chi viene dopo (e non solo in senso temporale). In tal modo l’autorità può essere vista come una porta che, mentre inquadra – definendo così una direzione –, al tempo stesso apre a un futuro che ancora non c’è ma che pure non procede dal nulla. Una condizione che, a ben vedere, vale per la società nel suo complesso così come per le sue espressioni particolari: le istituzioni, le imprese, i gruppi. Il libro di Magatti e Martinelli è una lettura che tutti devono affrontare.

La porta dell’autorità

Mauro Magatti, Monica Martinelli

Vita e Pensiero, 2021

Quanto che sta accadendo nelle società attuali, letto attraverso uno dei binomi cruciali della modernità

Libertà d’intraprendere, così come di criticare, di cambiare idea, di crescere seguendo una certa strada e non un’altra, di esprimere le proprie opinioni oppure il dissenso. Principio fondamentale di ogni buona società così come di ogni organizzazione della produzione. Libertà, dunque. Che non significa, tuttavia, libero arbitrio. E  tantomeno facoltà di distruggere tutto. Libertà contrapposta ad autorità, dunque. Oppure libertà che con una adeguata autorità può crescere e farsi più potente. Il tema è complesso ma fondamentale, soprattutto oggi. Ed è per questo che serve leggere (con attenzione) “La porta dell’autorità” saggio scritto a quattro mani tra Mauro Magatti (sociologo ed economista, ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e Monica Martinelli (Sociologia sempre presso l’Università Cattolica).

Il libro si basa sull’osservazione dei fatti passati e di quanto sta avvenendo oggi. E parte dal considerare che la contestazione, fino al rifiuto, dell’autorità quale freno alla libera espressione del sé è davvero una delle eredità del secondo Novecento. Un’eredità che pesa ancora oggi con la messa sotto accusa dei pilastri su cui l’autorità poggiava: la tradizione, il padre, l’insegnante, la Chiesa. E tutto in nome dell’affermazione dello spirito individualistico in un mondo orizzontale senza padri né maestri. Eppure – spiegano i due autori -, come l’araba fenice, l’autorità risorge in continuazione dalle sue ceneri, ricostituendosi in forme inedite, più fuggevoli e indeterminate, ma non per questo meno efficaci. Assistiamo, cioè, al moltiplicarsi di spinte per un ritorno all’ordine di un padre autoritario, tirannico e fondamentalista, oppure, in modi più sottili ma insidiosi, al presentarsi di un dominio tecnocratico che di fatto punta al superamento della condizione umana come la conosciamo. E c’è chi vuole erigere muri oppure chi, in nome proprio della libertà, rifiuta ogni obbligo (anche quelli inerenti aspetti drammatici della vita odierna).

E’, racconta il libro, la contrapposizione sempre più netta – in apparenza -, tra libertà e autorità quella che si sta vivendo un po’ ovunque (anche nell’economia e nella produzione).

Ma quindi che fare? Magatti e Martinelli non hanno dubbi: non si tratta di tornare indietro; si tratta, piuttosto, di andare avanti, riflettendo in forme nuove su un binomio che rimane essenziale e insieme difficile. Perché, viene spiegato benissimo nel libro, un mondo senza autorità non è possibile, se non a costo di perdere la libertà. Quella libertà in cui proprio il limite diventa risorsa per l’azione, dando una prospettiva al nostro punto di vista sul mondo. Occorre insomma ricostruire il legame tra le generazioni, riconoscendo all’autorità la capacità di essere lo snodo tra chi viene prima e chi viene dopo (e non solo in senso temporale). In tal modo l’autorità può essere vista come una porta che, mentre inquadra – definendo così una direzione –, al tempo stesso apre a un futuro che ancora non c’è ma che pure non procede dal nulla. Una condizione che, a ben vedere, vale per la società nel suo complesso così come per le sue espressioni particolari: le istituzioni, le imprese, i gruppi. Il libro di Magatti e Martinelli è una lettura che tutti devono affrontare.

La porta dell’autorità

Mauro Magatti, Monica Martinelli

Vita e Pensiero, 2021

Sviluppo e rischi mondiali, lo scenario di oggi

La raccolta di interventi e ricerche in occasione dei 75 anni dell’Onu propone una cassetta degli attrezzi importante per tutti

 

Interdipendenza. Profondi collegamenti, che passano spesso inosservati. La consapevolezza della complessità degli attuali sistemi economici e sociali passa anche da questa constatazione: ogni azione posta in essere in un determinato “luogo” economico e sociale ha effetti in altre componenti del sistema. Vale per tutte le organizzazioni. E non è una facile teoria che non trova applicazione. Riscontri ed esempi di tutto questo possono essere trovati nella raccolta di ricerche costituita da “Le Nazioni Unite di fronte alle nuove sfide economico-sociali 75 anni dopo la loro fondazione” pubblicata recentemente nel Quaderno 23 della Rivista Trimestrale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. La pubblicazione contiene la serie di interventi prodotti per un momento di studio organizzato, come dice il titolo, in occasione dei 75 anni dell’Onu, e rappresenta un buon vademecum per chi voglia apprendere di più e meglio della complessità che si vive oggi.

Ed è da leggere soprattutto la serie di interventi riuniti in “Sfide economico-sociali e agenda 2030: gli obiettivi di sviluppo sostenibile” che può trovare la sua sintesi in quanto affermato da Staffan de Mistura: “I conflitti e le ingiustizie economiche, i problemi economici, sono strettamente collegati, e di conseguenza, se vogliamo occuparci dei tanti conflitti che abbiamo davanti ai nostri occhi bisogna focalizzare l’attenzione sul collegamento tra geopolitica, economia e crisi”. Ed è da questa affermazione che si dipanano le altre ricerche. Ad iniziare dall’inquadramento delle relazioni tra Agenda 2030 e i conflitti, per passare al tema dei “cambiamenti climatici, diritti umani e attività d’impresa”, e quindi ad altri argomenti come la parità di genere, lo sviluppo sostenibile e le nuove tecnologie digitali. Ne emerge uno scenario fatto di passi in avanti e passi indietro, conflitti e tentativi di cooperazione, attriti e collaborazioni che, a ben vedere, costituiscono l’ambito entro il quale sono posti pressoché tutti i sistemi economici e sociali attuali.

Chi legge la serie di indagini contenuta nel Quaderno 23 del trimestrale della SIOI trova certamente più di uno strumento per comprendere meglio cosa sta accadendo appena fuori casa oppure appena fuori il proprio stabilimento. Ed è, poi, una lettura ancora più necessaria questa per chi, imprenditore o manager, si trovi a dover condurre un’impresa che, a vario titolo, ha proprio nella ribalta internazionale uno dei suoi scenari d’azione.

Le Nazioni Unite di fronte alle nuove sfide economico-sociali 75 anni dopo la loro fondazione

AA.VV.

La Comunità Internazionale, Rivista Trimestrale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, Quaderno 23,  20210.

La raccolta di interventi e ricerche in occasione dei 75 anni dell’Onu propone una cassetta degli attrezzi importante per tutti

 

Interdipendenza. Profondi collegamenti, che passano spesso inosservati. La consapevolezza della complessità degli attuali sistemi economici e sociali passa anche da questa constatazione: ogni azione posta in essere in un determinato “luogo” economico e sociale ha effetti in altre componenti del sistema. Vale per tutte le organizzazioni. E non è una facile teoria che non trova applicazione. Riscontri ed esempi di tutto questo possono essere trovati nella raccolta di ricerche costituita da “Le Nazioni Unite di fronte alle nuove sfide economico-sociali 75 anni dopo la loro fondazione” pubblicata recentemente nel Quaderno 23 della Rivista Trimestrale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale. La pubblicazione contiene la serie di interventi prodotti per un momento di studio organizzato, come dice il titolo, in occasione dei 75 anni dell’Onu, e rappresenta un buon vademecum per chi voglia apprendere di più e meglio della complessità che si vive oggi.

Ed è da leggere soprattutto la serie di interventi riuniti in “Sfide economico-sociali e agenda 2030: gli obiettivi di sviluppo sostenibile” che può trovare la sua sintesi in quanto affermato da Staffan de Mistura: “I conflitti e le ingiustizie economiche, i problemi economici, sono strettamente collegati, e di conseguenza, se vogliamo occuparci dei tanti conflitti che abbiamo davanti ai nostri occhi bisogna focalizzare l’attenzione sul collegamento tra geopolitica, economia e crisi”. Ed è da questa affermazione che si dipanano le altre ricerche. Ad iniziare dall’inquadramento delle relazioni tra Agenda 2030 e i conflitti, per passare al tema dei “cambiamenti climatici, diritti umani e attività d’impresa”, e quindi ad altri argomenti come la parità di genere, lo sviluppo sostenibile e le nuove tecnologie digitali. Ne emerge uno scenario fatto di passi in avanti e passi indietro, conflitti e tentativi di cooperazione, attriti e collaborazioni che, a ben vedere, costituiscono l’ambito entro il quale sono posti pressoché tutti i sistemi economici e sociali attuali.

Chi legge la serie di indagini contenuta nel Quaderno 23 del trimestrale della SIOI trova certamente più di uno strumento per comprendere meglio cosa sta accadendo appena fuori casa oppure appena fuori il proprio stabilimento. Ed è, poi, una lettura ancora più necessaria questa per chi, imprenditore o manager, si trovi a dover condurre un’impresa che, a vario titolo, ha proprio nella ribalta internazionale uno dei suoi scenari d’azione.

Le Nazioni Unite di fronte alle nuove sfide economico-sociali 75 anni dopo la loro fondazione

AA.VV.

La Comunità Internazionale, Rivista Trimestrale della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, Quaderno 23,  20210.

Coro di voci per costruire un umanesimo industriale per farsi ascoltare

Memorie delle fabbriche

Una foto nitida per comprendere di più e meglio

La descrizione della realtà condotta dal direttore della Banca d’Italia

 

 

La ricerca economica e sociale ben fatta e ben raccontata per far crescere la consapevolezza e la cultura (anche d’impresa). Condizione da conquistare, e difendere, oltre che nutrire con buone letture. E’ il caso di “Assicurare a ripresa”, intervento di Luigi Federico Signorini, Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’IVASS, da poco pubblicato dalla banca centrale che costituisce una sintesi di gran pregio della situazione economica del Paese oltre che delle sue prospettive.

Signorini non lascia spazio ai giri di parole ma ne concede moltissimo alla chiarezza. Ed inizia subito, come ci si aspetta da un economista, da pochi numeri per descrivere la situazione. E collega quindi i numeri (colti tra l’altro sul campo e non frutto di teoriche equazioni), con la vita reale delle imprese e dei cittadini, con i problemi che devono essere affrontati e, naturalmente, con la situazione generata dalla pandemia di Covid-19. Non teoria, quindi, ma economia concreta, che deve fare i conti con la crisi delle materie prime e dell’energia oltre che con le aspettative di chi è “sul campo” ogni giorno. E con le speranze di chi (pressoché tutti) vorrebbe vedere un orizzonte diverso. Speranze che, in qualche modo, paiono concretizzarsi pur tra numerosi dubbi. Che vengono soppesati e posti nel loro giusto ambito. Così come lo sono i rischi. “Sostenere famiglie e imprese nella gestione dei propri rischi – viene spiegato -, è uno dei fattori che meglio può contribuire ad accrescere il benessere della società e la competitività del sistema economico”.

Chiarezza, comunque, prima di tutto. Anche nel distinguere bene ciò che è “previsione” da quelli che sono i “fatti”; e nel separare quanto è da supporre e quanto, invece, può essere dato come certezza. E poi una precisazione che non è posta per allontanarsi da ciò che è stato appena scritto, ma che è invece la maggior prova di serietà di chi scrive: “L’incertezza attorno a questo scenario di crescita è assai elevata”.

Quella di Signorini è così una fotografia nitida della realtà, che risponde alla necessità di strumenti utili a comprendere dove si è e dove si può andare. Un ottimo modo per far crescere, come si diceva all’inizio, la propria consapevole cultura.

Assicurare la ripresa

Luigi Federico Signorini

Intervento al Webinar Swiss RE, 19 gennaio 2022

La descrizione della realtà condotta dal direttore della Banca d’Italia

 

 

La ricerca economica e sociale ben fatta e ben raccontata per far crescere la consapevolezza e la cultura (anche d’impresa). Condizione da conquistare, e difendere, oltre che nutrire con buone letture. E’ il caso di “Assicurare a ripresa”, intervento di Luigi Federico Signorini, Direttore Generale della Banca d’Italia e Presidente dell’IVASS, da poco pubblicato dalla banca centrale che costituisce una sintesi di gran pregio della situazione economica del Paese oltre che delle sue prospettive.

Signorini non lascia spazio ai giri di parole ma ne concede moltissimo alla chiarezza. Ed inizia subito, come ci si aspetta da un economista, da pochi numeri per descrivere la situazione. E collega quindi i numeri (colti tra l’altro sul campo e non frutto di teoriche equazioni), con la vita reale delle imprese e dei cittadini, con i problemi che devono essere affrontati e, naturalmente, con la situazione generata dalla pandemia di Covid-19. Non teoria, quindi, ma economia concreta, che deve fare i conti con la crisi delle materie prime e dell’energia oltre che con le aspettative di chi è “sul campo” ogni giorno. E con le speranze di chi (pressoché tutti) vorrebbe vedere un orizzonte diverso. Speranze che, in qualche modo, paiono concretizzarsi pur tra numerosi dubbi. Che vengono soppesati e posti nel loro giusto ambito. Così come lo sono i rischi. “Sostenere famiglie e imprese nella gestione dei propri rischi – viene spiegato -, è uno dei fattori che meglio può contribuire ad accrescere il benessere della società e la competitività del sistema economico”.

Chiarezza, comunque, prima di tutto. Anche nel distinguere bene ciò che è “previsione” da quelli che sono i “fatti”; e nel separare quanto è da supporre e quanto, invece, può essere dato come certezza. E poi una precisazione che non è posta per allontanarsi da ciò che è stato appena scritto, ma che è invece la maggior prova di serietà di chi scrive: “L’incertezza attorno a questo scenario di crescita è assai elevata”.

Quella di Signorini è così una fotografia nitida della realtà, che risponde alla necessità di strumenti utili a comprendere dove si è e dove si può andare. Un ottimo modo per far crescere, come si diceva all’inizio, la propria consapevole cultura.

Assicurare la ripresa

Luigi Federico Signorini

Intervento al Webinar Swiss RE, 19 gennaio 2022

Big Data da conoscere meglio per fare meglio

Pubblicato da poco un manuale che fa bene all’impatto sociale d’impresa e alla migliore gestione della stessa

Conoscere per far del bene con avvedutezza. Ma conoscere anche per conciliare meglio filantropia con efficienza ed efficacia, e l’impatto sociale dell’impresa con l’esigenza di far comunque quadrare processi e bilanci. Conoscere, in fin dei conti, non solo per far crescere la buona cultura d’impresa ma anche per darle più vigore e profondità. Traguardi importanti, che possono essere raggiunti per mezzo di strumenti in grado di fornire informazioni corrette che si deve essere capaci di leggere e interpretare. Soprattutto oggi, al tempo del flusso continuo di notizie, nell’epoca  dei Big Data e della velocità oltre che della complessità.

Ecco perché è importante leggere (e studiare) con attenzione “Data Science for Social Good. Philanthropy and Social Impact in a Complex World” il libro curato da Massimo Lapucci (Segretario generale di Fondazione CRT) e Ciro Cattuto (professore di Computer Science presso l’Università degli Studi di Torino e Direttore di ricerca di Fondazione Isi). Perché avere gli strumenti per raccogliere, ordinare, comprendere e interpretare i dati, significa di fatto aver già compiuto un buon tratto della strada che porta a migliorare la rilevanza delle organizzazioni (non solo quelle dedite alla filantropia) nei sistemi sociali in cui agiscono.

Il libro curato da Lapucci e Cattuto può essere definito un manuale per l’applicazione della scienza dei dati in ambiti complessi e delicati per l’impatto sociale. “Data Science for Social Good” esamina l’applicazione delle conoscenze dell’informatica, dei sistemi complessi e delle scienze sociali computazionali a sfide come la risposta umanitaria, la salute pubblica e lo sviluppo sostenibile. Il libro fornisce quindi una panoramica degli approcci scientifici all’impatto sociale – identificare un bisogno sociale, mirare a un intervento, misurare l’impatto – ma anche la prospettiva complementare dalla parte dei finanziatori e dei filantropi.

Dopo una introduzione curata da Lapucci, il volume raccoglie quindi una serie di interventi sul valore e sul significato dei dati ma anche su esempi specifici come l’UN Global Pulse, oggi riconosciuto a livello mondiale come centro di eccellenza sull’uso dei Big Data e dell’intelligenza artificiale per il bene pubblico. Si passa quindi ad approfondire i metodi di raccolta e analisi dei dati, i problemi e le soluzioni per un loro migliore collegamento e, infine, le prospettive del comparto in un mondo cambiato come quello dopo la pandemia di Covid-19.

La lettura di quanto raccolto da Lapucci e Cattuto non è certo sempre facile e agevole, ma è sempre utile per tutti quelli che con gli effetti dell’agire d’impresa sulla società hanno a che fare. Un libro da studiare, dunque, e, come alcuni altri, da tenere come buona guida sul proprio tavolo di lavoro.

 

 

Data Science for Social Good. Philanthropy and Social Impact in a Complex World

Massimo Lapucci, Ciro Cattuto (a cura di)

Springer, 2021

Pubblicato da poco un manuale che fa bene all’impatto sociale d’impresa e alla migliore gestione della stessa

Conoscere per far del bene con avvedutezza. Ma conoscere anche per conciliare meglio filantropia con efficienza ed efficacia, e l’impatto sociale dell’impresa con l’esigenza di far comunque quadrare processi e bilanci. Conoscere, in fin dei conti, non solo per far crescere la buona cultura d’impresa ma anche per darle più vigore e profondità. Traguardi importanti, che possono essere raggiunti per mezzo di strumenti in grado di fornire informazioni corrette che si deve essere capaci di leggere e interpretare. Soprattutto oggi, al tempo del flusso continuo di notizie, nell’epoca  dei Big Data e della velocità oltre che della complessità.

Ecco perché è importante leggere (e studiare) con attenzione “Data Science for Social Good. Philanthropy and Social Impact in a Complex World” il libro curato da Massimo Lapucci (Segretario generale di Fondazione CRT) e Ciro Cattuto (professore di Computer Science presso l’Università degli Studi di Torino e Direttore di ricerca di Fondazione Isi). Perché avere gli strumenti per raccogliere, ordinare, comprendere e interpretare i dati, significa di fatto aver già compiuto un buon tratto della strada che porta a migliorare la rilevanza delle organizzazioni (non solo quelle dedite alla filantropia) nei sistemi sociali in cui agiscono.

Il libro curato da Lapucci e Cattuto può essere definito un manuale per l’applicazione della scienza dei dati in ambiti complessi e delicati per l’impatto sociale. “Data Science for Social Good” esamina l’applicazione delle conoscenze dell’informatica, dei sistemi complessi e delle scienze sociali computazionali a sfide come la risposta umanitaria, la salute pubblica e lo sviluppo sostenibile. Il libro fornisce quindi una panoramica degli approcci scientifici all’impatto sociale – identificare un bisogno sociale, mirare a un intervento, misurare l’impatto – ma anche la prospettiva complementare dalla parte dei finanziatori e dei filantropi.

Dopo una introduzione curata da Lapucci, il volume raccoglie quindi una serie di interventi sul valore e sul significato dei dati ma anche su esempi specifici come l’UN Global Pulse, oggi riconosciuto a livello mondiale come centro di eccellenza sull’uso dei Big Data e dell’intelligenza artificiale per il bene pubblico. Si passa quindi ad approfondire i metodi di raccolta e analisi dei dati, i problemi e le soluzioni per un loro migliore collegamento e, infine, le prospettive del comparto in un mondo cambiato come quello dopo la pandemia di Covid-19.

La lettura di quanto raccolto da Lapucci e Cattuto non è certo sempre facile e agevole, ma è sempre utile per tutti quelli che con gli effetti dell’agire d’impresa sulla società hanno a che fare. Un libro da studiare, dunque, e, come alcuni altri, da tenere come buona guida sul proprio tavolo di lavoro.

 

 

Data Science for Social Good. Philanthropy and Social Impact in a Complex World

Massimo Lapucci, Ciro Cattuto (a cura di)

Springer, 2021

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