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Il design di Roberto Menghi e Pirelli tra i “saperi visibili” della Biennale dei Racconti di Impresa di Bari

Si terrà dal 4 al 28 novembre 2023 presso lo Spazio Murat di Bari la mostra “Saperi visibili: un secolo di oggetti del made in Italy attraverso il packaging” a cura di Chiara Alessi, dedicata al racconto di prodotti d’imprese entrati nell’immaginario degli italiani. L’esposizione, organizzata dal Club delle Imprese per la Cultura di Confindustria Bari e BAT (Barletta Andria Trani), si inserisce nell’ambito della seconda edizione della Biennale dei Racconti di Impresa, manifestazione che racconta il mondo delle imprese dal punto di vista creativo e culturale attraverso la letteratura, il teatro, il cinema e le arti visive, sezione a cui è dedicata l’edizione 2023 della Biennale.

Tra i 20 prodotti selezionati dalla curatrice, anche il canestro in polietilene progettato per Pirelli dall’architetto e designer milanese Roberto Menghi. In mostra anche documentazione pubblicitaria originale dei contenitori prodotti da Pirelli tra gli anni Cinquanta e Sessanta, firmata da maestri del design e della fotografia come Aldo Ballo, Raymon Gfeller, Albe Steiner, e scatti che documentano il “viaggio” di questi oggetti nelle esposizioni di settore, come la Fiera dell’Agricoltura di Verona, e nelle vetrine di negozi storici come Moroni Gomme.

Il canestro di Menghi traduce in oggetto l’innovazione del Made in Italy, nel design del progetto, ma soprattutto nella scelta dei materiali. La scoperta del polipropilene si deve a Giulio Natta, l’unico italiano ad aver mai ottenuto, nel 1963, il  Nobel per la chimica. Alla fine degli anni Trenta Natta viene incaricato da Pirelli,  nell’ambito della Società  Italiana  per  la  Produzione  della  Gomma  Sintetica  SIPGS creata  insieme  all’IRI, di trovare una strada alternativa all’importazione sempre più complessa di gomma naturale dalle piantagioni del Sud America e dell’Estremo Oriente. Nel 1937 Natta si impegna con il suo team nei laboratori di Milano Bicocca per risolvere i problemi legati alla produzione della gomma sintetica e nel 1938 deposita due brevetti per la separazione di butilene e butadiene.

Sono ricerche fondamentali per il brevetto del polipropilene isotattico del 1954, scoperta che contribuisce ad avviare la nuova industria delle materie plastiche e sintetiche; Pirelli, da sempre attenta all’innovazione nei materiali e alle loro applicazioni industriali, dà il via alla produzione di articoli in polipropilene nello stabilimento di Monza. Sul finire del decennio l’architetto Roberto Menghi, che già nel 1956 si era aggiudicato il Premio Compasso d’Oro per il disegno industriale con un secchio in polietilene realizzato dalle Smalterie Meridionali, è chiamato a disegnare nuove linee di prodotto per Pirelli. Con il “canestro” per la benzina, progettato nel 1959, Menghi raggiunge la perfetta combinazione tra funzionalità ed estetica. Un risultato premiato con diversi riconoscimenti, come l’Oscar dell’imballaggio alla Fiera di Padova del 1959 e l’esposizione al MoMA di New York nel 1961.  Oggi, con la Biennale dei Racconti di Impresa, il design di Menghi per Pirelli torna in mostra, a testimoniare che “il buon disegno è quello che nasce per le grandi produzioni di serie dalla più stretta collaborazione tra tecnici di fabbrica e artisti disegnatori specializzati”.

Si terrà dal 4 al 28 novembre 2023 presso lo Spazio Murat di Bari la mostra “Saperi visibili: un secolo di oggetti del made in Italy attraverso il packaging” a cura di Chiara Alessi, dedicata al racconto di prodotti d’imprese entrati nell’immaginario degli italiani. L’esposizione, organizzata dal Club delle Imprese per la Cultura di Confindustria Bari e BAT (Barletta Andria Trani), si inserisce nell’ambito della seconda edizione della Biennale dei Racconti di Impresa, manifestazione che racconta il mondo delle imprese dal punto di vista creativo e culturale attraverso la letteratura, il teatro, il cinema e le arti visive, sezione a cui è dedicata l’edizione 2023 della Biennale.

Tra i 20 prodotti selezionati dalla curatrice, anche il canestro in polietilene progettato per Pirelli dall’architetto e designer milanese Roberto Menghi. In mostra anche documentazione pubblicitaria originale dei contenitori prodotti da Pirelli tra gli anni Cinquanta e Sessanta, firmata da maestri del design e della fotografia come Aldo Ballo, Raymon Gfeller, Albe Steiner, e scatti che documentano il “viaggio” di questi oggetti nelle esposizioni di settore, come la Fiera dell’Agricoltura di Verona, e nelle vetrine di negozi storici come Moroni Gomme.

Il canestro di Menghi traduce in oggetto l’innovazione del Made in Italy, nel design del progetto, ma soprattutto nella scelta dei materiali. La scoperta del polipropilene si deve a Giulio Natta, l’unico italiano ad aver mai ottenuto, nel 1963, il  Nobel per la chimica. Alla fine degli anni Trenta Natta viene incaricato da Pirelli,  nell’ambito della Società  Italiana  per  la  Produzione  della  Gomma  Sintetica  SIPGS creata  insieme  all’IRI, di trovare una strada alternativa all’importazione sempre più complessa di gomma naturale dalle piantagioni del Sud America e dell’Estremo Oriente. Nel 1937 Natta si impegna con il suo team nei laboratori di Milano Bicocca per risolvere i problemi legati alla produzione della gomma sintetica e nel 1938 deposita due brevetti per la separazione di butilene e butadiene.

Sono ricerche fondamentali per il brevetto del polipropilene isotattico del 1954, scoperta che contribuisce ad avviare la nuova industria delle materie plastiche e sintetiche; Pirelli, da sempre attenta all’innovazione nei materiali e alle loro applicazioni industriali, dà il via alla produzione di articoli in polipropilene nello stabilimento di Monza. Sul finire del decennio l’architetto Roberto Menghi, che già nel 1956 si era aggiudicato il Premio Compasso d’Oro per il disegno industriale con un secchio in polietilene realizzato dalle Smalterie Meridionali, è chiamato a disegnare nuove linee di prodotto per Pirelli. Con il “canestro” per la benzina, progettato nel 1959, Menghi raggiunge la perfetta combinazione tra funzionalità ed estetica. Un risultato premiato con diversi riconoscimenti, come l’Oscar dell’imballaggio alla Fiera di Padova del 1959 e l’esposizione al MoMA di New York nel 1961.  Oggi, con la Biennale dei Racconti di Impresa, il design di Menghi per Pirelli torna in mostra, a testimoniare che “il buon disegno è quello che nasce per le grandi produzioni di serie dalla più stretta collaborazione tra tecnici di fabbrica e artisti disegnatori specializzati”.

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Il futuro presente, nelle imprese

Sintetizzati in un libro appena pubblicato gli aspetti tecnici e psicologici delle successioni in azienda

 

Gestire bene. E trasmettere bene ciò che si è costruito. Snodo cruciale, quello delle successioni (in famiglia così come in azienda). Evento complesso, che va pianificato, quello del testimone che passa da una mano all’altra. E manifestazione, quella della buona successione, di una cultura d’impresa che prevede anche il dopo. Questione di efficacia ma anche di responsabilità. E non solo verso la famiglia oppure gli stretti collaboratori in azienda. Sono questi, e altri, messaggi che cerca di trasmettere “Insieme verso il futuro. Come creare un patto di famiglia duraturo” scritto da Alessandra Bussi Moratti (psicologa) e Pasquale Dui (avvocato) con la collaborazione di Sergio Malizia (consulente patrimoniale).

Il libro si pone un obiettivo: indicare come gestire in modo efficace e socialmente responsabile il ricambio generazionale nelle PMI. Traguardo che può essere raggiunto con efficacia e percorrendo strade diverse (nel libro se ne propone una particolare), che passano però tutte dalla necessità di affidarsi  a professionisti altamente qualificati, tra cui avvocati, psicologi, commercialisti, notai e consulenti patrimoniali. Percorso irto di rischi ma anche di opportunità, quello della successione, che più di altri pone in effetti tutta l’importanza della buona cultura del produrre e dell’intraprendere che, ancora oggi, non è sempre così diffusa come dovrebbe.

Il libro ha una scansione lineare degli argomenti. Dalla sintesi della legislazione della materia, agli elementi della classica successione ereditaria in generale per arrivare a quelli della successione in azienda tra relazioni di famiglia e struttura d’impresa. E’  forse qui il cuore vero del libro: l’analisi approfondita di tutti gli aspetti che toccano un’organizzazione d’impresa che deve percorrere i tornanti del cambio generazionale. Un percorso che può essere meglio affrontato con lo strumento del patto di famiglia.

“Insieme per il futuro” non è un libro di gestione d’azienda alle prese con il passaggio generazionale, e non è nemmeno (solamente) un libro che affronta i meandri delle motivazioni imprenditoriali nei momenti cruciali come le successioni: è qualcosa in più e di diverso.

Insieme verso il futuro. Come creare un patto di famiglia duraturo

Alessandra Bussi Moratti, Pasquale Dui, Sergio Malizia

Key Editore, 2023

Sintetizzati in un libro appena pubblicato gli aspetti tecnici e psicologici delle successioni in azienda

 

Gestire bene. E trasmettere bene ciò che si è costruito. Snodo cruciale, quello delle successioni (in famiglia così come in azienda). Evento complesso, che va pianificato, quello del testimone che passa da una mano all’altra. E manifestazione, quella della buona successione, di una cultura d’impresa che prevede anche il dopo. Questione di efficacia ma anche di responsabilità. E non solo verso la famiglia oppure gli stretti collaboratori in azienda. Sono questi, e altri, messaggi che cerca di trasmettere “Insieme verso il futuro. Come creare un patto di famiglia duraturo” scritto da Alessandra Bussi Moratti (psicologa) e Pasquale Dui (avvocato) con la collaborazione di Sergio Malizia (consulente patrimoniale).

Il libro si pone un obiettivo: indicare come gestire in modo efficace e socialmente responsabile il ricambio generazionale nelle PMI. Traguardo che può essere raggiunto con efficacia e percorrendo strade diverse (nel libro se ne propone una particolare), che passano però tutte dalla necessità di affidarsi  a professionisti altamente qualificati, tra cui avvocati, psicologi, commercialisti, notai e consulenti patrimoniali. Percorso irto di rischi ma anche di opportunità, quello della successione, che più di altri pone in effetti tutta l’importanza della buona cultura del produrre e dell’intraprendere che, ancora oggi, non è sempre così diffusa come dovrebbe.

Il libro ha una scansione lineare degli argomenti. Dalla sintesi della legislazione della materia, agli elementi della classica successione ereditaria in generale per arrivare a quelli della successione in azienda tra relazioni di famiglia e struttura d’impresa. E’  forse qui il cuore vero del libro: l’analisi approfondita di tutti gli aspetti che toccano un’organizzazione d’impresa che deve percorrere i tornanti del cambio generazionale. Un percorso che può essere meglio affrontato con lo strumento del patto di famiglia.

“Insieme per il futuro” non è un libro di gestione d’azienda alle prese con il passaggio generazionale, e non è nemmeno (solamente) un libro che affronta i meandri delle motivazioni imprenditoriali nei momenti cruciali come le successioni: è qualcosa in più e di diverso.

Insieme verso il futuro. Come creare un patto di famiglia duraturo

Alessandra Bussi Moratti, Pasquale Dui, Sergio Malizia

Key Editore, 2023

Questioni di genere e buon sviluppo

In uno studio appena pubblicato, Banca d’Italia affronta il tema delicato dei rapporti uomo-donna nell’ambito del mercato del lavoro e dell’economia

 

Questione di cultura prima di tutto, ma anche di economia e di saggia gestione, di buone relazioni tra pari, di capacità di valorizzare le risorse presenti. Tutto al di là di ogni stereotipo, soprattutto di genere. Il tema del lavoro delle donne, dei divari di genere, delle relazioni tra uomini e donne nelle fabbriche e negli uffici, è certamente delicato e complesso. Ma da affrontare. Partendo, come sempre deve accadere, dalla comprensione attenta della realtà.

“Donne, mercato del lavoro e crescita economica” – scritto da Francesca Carta, Marta De Philippis, Lucia Rizzica e Eliana Viviano di Banca d’Italia -, costituisce una solida base proprio per la corretta comprensione della realtà dei divari di genere nel mercato del lavoro in Italia, dei loro impatti sulla crescita economica e delle politiche volte a ridurre tali disparità. Lo studio – composto da una corposa analisi di una serie di dati nazionali e locali provenienti dalla rete di Banca d’Italia -, affronta il tema partendo dalla fotografia della situazione e passando quindi ad uno dei punti fondamentali della questione: l’importanza dell’educazione alla parità di genere impartita nelle scuole. Gli autori passano quindi ad approfondire il tema della maternità e del mercato del lavoro per passare quindi a quello delle interazioni tra famiglia e sistema fiscale e quindi al complesso tema delle progressioni di carriera in relazione ai temi di genere.

Gli autori individuano quindi almeno tre temi su cui occorre ancora lavorare per arrivare ad una reale parità di genere nella società e nel sistema della produzione. Prima di tutto c’è la questione della scuola e più in generale dell’istruzione adeguata che possa fornire gli strumenti utili ad un valido mercato del lavoro (che a sua volta deve avere regole diverse). Poi la compatibilità tra responsabilità di famiglia e responsabilità di lavoro (con adeguati riconoscimenti economici). Ma anche la consapevolezza della ancora troppo lenta carriera delle donne nella loro vita lavorativa.

E’ un percorso ancora lungo, quindi, quello della parità di genere stretta tra regole del mercato del lavoro e crescita economica; percorso, tuttavia, da continuare con decisione. Questione di cultura – come si diceva all’inizio – che si riversa poi in altri ambiti della buona convivenza sociale ed economica.

Women, labour markets and economic growth

Francesca Carta, Marta De Philippis, Lucia Rizzica, Eliana Viviano

Banca d’Italia, Seminari e convegno, 2023

In uno studio appena pubblicato, Banca d’Italia affronta il tema delicato dei rapporti uomo-donna nell’ambito del mercato del lavoro e dell’economia

 

Questione di cultura prima di tutto, ma anche di economia e di saggia gestione, di buone relazioni tra pari, di capacità di valorizzare le risorse presenti. Tutto al di là di ogni stereotipo, soprattutto di genere. Il tema del lavoro delle donne, dei divari di genere, delle relazioni tra uomini e donne nelle fabbriche e negli uffici, è certamente delicato e complesso. Ma da affrontare. Partendo, come sempre deve accadere, dalla comprensione attenta della realtà.

“Donne, mercato del lavoro e crescita economica” – scritto da Francesca Carta, Marta De Philippis, Lucia Rizzica e Eliana Viviano di Banca d’Italia -, costituisce una solida base proprio per la corretta comprensione della realtà dei divari di genere nel mercato del lavoro in Italia, dei loro impatti sulla crescita economica e delle politiche volte a ridurre tali disparità. Lo studio – composto da una corposa analisi di una serie di dati nazionali e locali provenienti dalla rete di Banca d’Italia -, affronta il tema partendo dalla fotografia della situazione e passando quindi ad uno dei punti fondamentali della questione: l’importanza dell’educazione alla parità di genere impartita nelle scuole. Gli autori passano quindi ad approfondire il tema della maternità e del mercato del lavoro per passare quindi a quello delle interazioni tra famiglia e sistema fiscale e quindi al complesso tema delle progressioni di carriera in relazione ai temi di genere.

Gli autori individuano quindi almeno tre temi su cui occorre ancora lavorare per arrivare ad una reale parità di genere nella società e nel sistema della produzione. Prima di tutto c’è la questione della scuola e più in generale dell’istruzione adeguata che possa fornire gli strumenti utili ad un valido mercato del lavoro (che a sua volta deve avere regole diverse). Poi la compatibilità tra responsabilità di famiglia e responsabilità di lavoro (con adeguati riconoscimenti economici). Ma anche la consapevolezza della ancora troppo lenta carriera delle donne nella loro vita lavorativa.

E’ un percorso ancora lungo, quindi, quello della parità di genere stretta tra regole del mercato del lavoro e crescita economica; percorso, tuttavia, da continuare con decisione. Questione di cultura – come si diceva all’inizio – che si riversa poi in altri ambiti della buona convivenza sociale ed economica.

Women, labour markets and economic growth

Francesca Carta, Marta De Philippis, Lucia Rizzica, Eliana Viviano

Banca d’Italia, Seminari e convegno, 2023

Milano deve scommettere su studenti e conoscenza, per una metropoli “aperta”, più equilibrata e inclusiva

Milano pensa e si ripensa. Continua a investire sulle sue università, oramai ben presenti nelle classifiche internazionali sulla qualità della didattica e della ricerca (200mila studenti, un patrimonio straordinario di intelligenze, conoscenze e passioni). E riflette criticamente sulle condizioni generali che determinano la sua “attrattività”, cercando di migliorare vivibilità, qualità dello sviluppo economico, benessere sociale diffuso, cultura e partecipazione, per continuare a essere, nonostante tutti i limiti e le contraddizioni dei nostri tempi difficili, non solo urbs (le strutture, i palazzi, i monumenti, gli edifici pubblici e privati) ma soprattutto civitas, lo spazio attivo di una comunità di cives, di cittadini consapevoli e responsabili.

È una riflessione che oramai investe non solo il mondo della politica e della pubblica amministrazione ma anche e soprattutto le organizzazioni della società civile, le associazioni culturali, le rappresentanze dell’economia e delle imprese, le aziende del “terzo settore”..

Cade il mito della Milano che non si ferma mai, caro a buona parte della città post Expo, tanto che adesso anche il sindaco Beppe Sala dice “No alla metropoli H24: questa idea della città in cui non ci sono orari, che è sempre aperta, non mi convince più tanto… perché credo che le città debbano anche riposare, come gli essere umani e avere orari un po’ più adatti a tutti” (Corriere della Sera, 18 ottobre).

Lo scintillio delle “mille luci” di finanza, moda e smagate creatività da “milanese imbruttito” cede finalmente il passo alla crescente consapevolezza dei divari sociali e delle nuove e vecchie povertà da affrontare e dei problemi da risolvere (traffico, inquinamento, sicurezza, etc.). I guasti del cosiddetto overtourism stravolgono quartieri, abitudini sociali, cibi, culture, nell’omologazione di massa che mette in ombra le qualità urbane.

L’attrattività per capitali e talenti, che ancora per fortuna continua a crescere (“Milano regina degli investimenti”, certifica Il Sole24Ore, 19 ottobre), non può dunque evitare di fare i conti con l’intollerabilità del crescente costo della vita e degli inaccessibili prezzi delle case, respingenti proprio per le nuove generazioni che scelgono Milano per costruire conoscenze e imprese e chiedono scelte accessibili di vita e lavoro.

Si trovano, è vero, prime, significative risposte dal Comune (“Ventimila nuove case low cost in 10 anni: l’agenda Milano contro il caro affitti”, titola la Repubblica, 14 ottobre). E sono proprio le imprese a voler essere tra i “custodi della città”, accogliendo, come fa il presidente di Assolombarda Alessandro Spada (“Corriere della Sera”, 17 ottobre) l’invito dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini e lanciando l’idea di una “alleanza ambrosiana” per qualificarsi come “metropoli accogliente”, sensibile alla richiesta di un miglior futuro delle giovani generazioni.

La cultura dell’accoglienza, d’altronde, è sempre stata una caratteristica di Milano, una sua connotazione positiva. Le radici stanno in un editto medioevale del vescovo Ariberto d’Intimiano, nel 1018: “Chi sa lavorare venga a Milano. E chi viene a Milano è un uomo libero”: lavoro e intraprendenza come cardine della cittadinanza (i lettori di questo blog hanno più volte letto il riferimento storico).

Nel tempo, Milano città aperta (le porte delle sue mura erano caselli del dazio, strutture commerciali di scambio e non chiusure ostili o difensive) e rotonda, priva anche urbanisticamente di spigoli, ha qualificato la sua natura e la sua funzione nell’essere al centro delle grandi strade di relazione tra il Nord europeo e il Mediterraneo, tra l’Ovest identitario e i percorsi verso l’Oriente. E anche nella stagione delle grandi migrazioni del boom economico, dal Mezzogiorno verso il “triangolo industriale”, è stata meno respingente di altre città caratterizzate dal duro fordismo delle fabbriche. “Milanesi si diventa”, teorizzava un bel romanzo di Carlo Castellaneta.

Anche il razionalismo amato dai suoi più sapienti architetti, tra gli anni Venti del Novecento e il dinamico, intraprendente dopoguerra (ricordati in un recente, appassionante libro di Gianni Biondillo, “Quello che noi non siamo”, Guanda: Giuseppe Terragni, Giuseppe Pogatschnig Pagano, Piero Bottoni, Franco Albini, Luigi Figini, Gino Pollini, Edoardo Persico, oltre ai giovani di BBPR e cioè Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Gian Luigi Banfi, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, progettisti della Torre Velasca e tanto stimolanti da contagiare anche i loro maestri Gio Ponti e Piero Portaluppi) ha innestato nell’anima della città l’idea del “potere germinale della bellezza” per “creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, creare un’arte nuova” e dunque per un’idea di bellezza lineare, democratica, tipica di città accoglienti e inclusive. Quell’eredità estetica ed etica, oggi, è da da rivalutare. Anche per evitare il degrado d’una metropoli che si abitua ai ritmi effimeri e fragili dei city users e rilanciare invece qualità e virtù dell’essere cives, il potere futuribile e sostenibile dei cittadini.

Si torna, così, al valore della conoscenza e a quelle strutture, le università, che investono e continuano a dare alla “grande Milano” idee ed energie per fornire strumenti adatti a progettare scelte e riforme utili a quel “cambio di paradigma” economico e sociale adatto alla ricomposizione di equilibri geopolitici europei e mediterranei.

Sono idee che ricorrono nelle scelte formative e civili del Politecnico e della Bocconi, della Cattolica e della Bicocca, dello Iulm e dell’Humanitas, che proprio in queste settimane celebra il decimo anno di attività, ha il 40% di provenienze internazionali tra i suoi 2.700 studenti e nel nuovo Innovantion Building ospita le attività di MedTech, corsi di medicina e ingegneria in collaborazione con il Politecnico, per sperimentare ricerche e scelte di formazione su nanotecnologie, Artificial Intelligence, biomedicina e utilizzo dei big data per tutte le “scienze della vita”.

Notizie rilevanti, proprio in questa direzione, di cultura multidisciplinare e di formazione come leva di sviluppo, arrivano anche dall’Università Statale, con la posa della prima pietra degli edifici che dal 2026 ospiteranno le facoltà scientifiche, nello spazio di Mind (Milano Innovation District) nell’area ex Expo: 120 milioni di investimento, per una popolazione di 23mila persone tra studenti, professori, ricercatori e tecnici e un ambizioso progetto di Campus ricerca di piattaforme tecnologiche d’avanguardia collegate alle attività delle aziende high tech dell’area.

Il nuovo campus dell’Università Statale è stato affidato alla progettazione di Carlo Ratti, architetto e professore al Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, uno dei più autorevoli studiosi internazionali delle smart cities.

Spiega Ratti (Il Sole24Ore, 17 ottobre): “Incontrarsi in un campus è fondamentale per innovare e creare conoscenza. Le grandi scoperte, nel bene e nel male, avvengono quando un gruppo di persone, unite da una vocazione, si ritrovano insieme, nello spazio fisico. È una logica antica, che nei secoli ha ispirato l’acropoli ateniese, i monasteri e le università dell’Europa medioevale o i collegi da Oxford e Cambridge a Pavia. Luoghi e ambienti che favoriscono gli incontri”.

Nel campus dell’Università Statale di Milano a Mind, “la prossimità con il distretto dell’innovazione potrà diventare uno dei motori dell’innovazione urbana nella capitale lombarda”.

Insiste Ratti: “La nostra visione architettonica per il campus cerca di rispondere a questi criteri. Un luogo capace di prediligere la logica dell’incontro, tra persone e persone e tra diverse discipline accademiche. Un campus del learning by doing, per dirla con John Dewey, ovvero dell’ apprendere facendo. Da qui, il principio che in urbanistica chiamiamo Common Ground: uno spazio pubblico ininterrotto, aperto a tutti, che si snoda attraverso il quartiere, tramite passerelle, chiostri e un sistema di corti”.

Rieccola, dunque, Milano città aperta, colta e inclusiva. Non più solo the place to be. Ma una metropoli per lavorare, vivere, intraprendere. Insomma, crescere bene.

(foto Getty Images)

Milano pensa e si ripensa. Continua a investire sulle sue università, oramai ben presenti nelle classifiche internazionali sulla qualità della didattica e della ricerca (200mila studenti, un patrimonio straordinario di intelligenze, conoscenze e passioni). E riflette criticamente sulle condizioni generali che determinano la sua “attrattività”, cercando di migliorare vivibilità, qualità dello sviluppo economico, benessere sociale diffuso, cultura e partecipazione, per continuare a essere, nonostante tutti i limiti e le contraddizioni dei nostri tempi difficili, non solo urbs (le strutture, i palazzi, i monumenti, gli edifici pubblici e privati) ma soprattutto civitas, lo spazio attivo di una comunità di cives, di cittadini consapevoli e responsabili.

È una riflessione che oramai investe non solo il mondo della politica e della pubblica amministrazione ma anche e soprattutto le organizzazioni della società civile, le associazioni culturali, le rappresentanze dell’economia e delle imprese, le aziende del “terzo settore”..

Cade il mito della Milano che non si ferma mai, caro a buona parte della città post Expo, tanto che adesso anche il sindaco Beppe Sala dice “No alla metropoli H24: questa idea della città in cui non ci sono orari, che è sempre aperta, non mi convince più tanto… perché credo che le città debbano anche riposare, come gli essere umani e avere orari un po’ più adatti a tutti” (Corriere della Sera, 18 ottobre).

Lo scintillio delle “mille luci” di finanza, moda e smagate creatività da “milanese imbruttito” cede finalmente il passo alla crescente consapevolezza dei divari sociali e delle nuove e vecchie povertà da affrontare e dei problemi da risolvere (traffico, inquinamento, sicurezza, etc.). I guasti del cosiddetto overtourism stravolgono quartieri, abitudini sociali, cibi, culture, nell’omologazione di massa che mette in ombra le qualità urbane.

L’attrattività per capitali e talenti, che ancora per fortuna continua a crescere (“Milano regina degli investimenti”, certifica Il Sole24Ore, 19 ottobre), non può dunque evitare di fare i conti con l’intollerabilità del crescente costo della vita e degli inaccessibili prezzi delle case, respingenti proprio per le nuove generazioni che scelgono Milano per costruire conoscenze e imprese e chiedono scelte accessibili di vita e lavoro.

Si trovano, è vero, prime, significative risposte dal Comune (“Ventimila nuove case low cost in 10 anni: l’agenda Milano contro il caro affitti”, titola la Repubblica, 14 ottobre). E sono proprio le imprese a voler essere tra i “custodi della città”, accogliendo, come fa il presidente di Assolombarda Alessandro Spada (“Corriere della Sera”, 17 ottobre) l’invito dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini e lanciando l’idea di una “alleanza ambrosiana” per qualificarsi come “metropoli accogliente”, sensibile alla richiesta di un miglior futuro delle giovani generazioni.

La cultura dell’accoglienza, d’altronde, è sempre stata una caratteristica di Milano, una sua connotazione positiva. Le radici stanno in un editto medioevale del vescovo Ariberto d’Intimiano, nel 1018: “Chi sa lavorare venga a Milano. E chi viene a Milano è un uomo libero”: lavoro e intraprendenza come cardine della cittadinanza (i lettori di questo blog hanno più volte letto il riferimento storico).

Nel tempo, Milano città aperta (le porte delle sue mura erano caselli del dazio, strutture commerciali di scambio e non chiusure ostili o difensive) e rotonda, priva anche urbanisticamente di spigoli, ha qualificato la sua natura e la sua funzione nell’essere al centro delle grandi strade di relazione tra il Nord europeo e il Mediterraneo, tra l’Ovest identitario e i percorsi verso l’Oriente. E anche nella stagione delle grandi migrazioni del boom economico, dal Mezzogiorno verso il “triangolo industriale”, è stata meno respingente di altre città caratterizzate dal duro fordismo delle fabbriche. “Milanesi si diventa”, teorizzava un bel romanzo di Carlo Castellaneta.

Anche il razionalismo amato dai suoi più sapienti architetti, tra gli anni Venti del Novecento e il dinamico, intraprendente dopoguerra (ricordati in un recente, appassionante libro di Gianni Biondillo, “Quello che noi non siamo”, Guanda: Giuseppe Terragni, Giuseppe Pogatschnig Pagano, Piero Bottoni, Franco Albini, Luigi Figini, Gino Pollini, Edoardo Persico, oltre ai giovani di BBPR e cioè Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Gian Luigi Banfi, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers, progettisti della Torre Velasca e tanto stimolanti da contagiare anche i loro maestri Gio Ponti e Piero Portaluppi) ha innestato nell’anima della città l’idea del “potere germinale della bellezza” per “creare un nuovo patrimonio da porre accanto a quello antico, creare un’arte nuova” e dunque per un’idea di bellezza lineare, democratica, tipica di città accoglienti e inclusive. Quell’eredità estetica ed etica, oggi, è da da rivalutare. Anche per evitare il degrado d’una metropoli che si abitua ai ritmi effimeri e fragili dei city users e rilanciare invece qualità e virtù dell’essere cives, il potere futuribile e sostenibile dei cittadini.

Si torna, così, al valore della conoscenza e a quelle strutture, le università, che investono e continuano a dare alla “grande Milano” idee ed energie per fornire strumenti adatti a progettare scelte e riforme utili a quel “cambio di paradigma” economico e sociale adatto alla ricomposizione di equilibri geopolitici europei e mediterranei.

Sono idee che ricorrono nelle scelte formative e civili del Politecnico e della Bocconi, della Cattolica e della Bicocca, dello Iulm e dell’Humanitas, che proprio in queste settimane celebra il decimo anno di attività, ha il 40% di provenienze internazionali tra i suoi 2.700 studenti e nel nuovo Innovantion Building ospita le attività di MedTech, corsi di medicina e ingegneria in collaborazione con il Politecnico, per sperimentare ricerche e scelte di formazione su nanotecnologie, Artificial Intelligence, biomedicina e utilizzo dei big data per tutte le “scienze della vita”.

Notizie rilevanti, proprio in questa direzione, di cultura multidisciplinare e di formazione come leva di sviluppo, arrivano anche dall’Università Statale, con la posa della prima pietra degli edifici che dal 2026 ospiteranno le facoltà scientifiche, nello spazio di Mind (Milano Innovation District) nell’area ex Expo: 120 milioni di investimento, per una popolazione di 23mila persone tra studenti, professori, ricercatori e tecnici e un ambizioso progetto di Campus ricerca di piattaforme tecnologiche d’avanguardia collegate alle attività delle aziende high tech dell’area.

Il nuovo campus dell’Università Statale è stato affidato alla progettazione di Carlo Ratti, architetto e professore al Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, uno dei più autorevoli studiosi internazionali delle smart cities.

Spiega Ratti (Il Sole24Ore, 17 ottobre): “Incontrarsi in un campus è fondamentale per innovare e creare conoscenza. Le grandi scoperte, nel bene e nel male, avvengono quando un gruppo di persone, unite da una vocazione, si ritrovano insieme, nello spazio fisico. È una logica antica, che nei secoli ha ispirato l’acropoli ateniese, i monasteri e le università dell’Europa medioevale o i collegi da Oxford e Cambridge a Pavia. Luoghi e ambienti che favoriscono gli incontri”.

Nel campus dell’Università Statale di Milano a Mind, “la prossimità con il distretto dell’innovazione potrà diventare uno dei motori dell’innovazione urbana nella capitale lombarda”.

Insiste Ratti: “La nostra visione architettonica per il campus cerca di rispondere a questi criteri. Un luogo capace di prediligere la logica dell’incontro, tra persone e persone e tra diverse discipline accademiche. Un campus del learning by doing, per dirla con John Dewey, ovvero dell’ apprendere facendo. Da qui, il principio che in urbanistica chiamiamo Common Ground: uno spazio pubblico ininterrotto, aperto a tutti, che si snoda attraverso il quartiere, tramite passerelle, chiostri e un sistema di corti”.

Rieccola, dunque, Milano città aperta, colta e inclusiva. Non più solo the place to be. Ma una metropoli per lavorare, vivere, intraprendere. Insomma, crescere bene.

(foto Getty Images)

“Noi siamo”: Fondazione Pirelli alla XXII Settimana della Cultura d’Impresa 2023

Si terrà dal 6 al 20 novembre 2023 la XXII Settimana della Cultura d’Impresa, la rassegna di eventi promossa da Confindustria quest’anno dal titolo “La persona al centro dello sviluppo sostenibile. L’anima dell’impresa consapevole”. Il ricco programma di iniziative porterà alla scoperta del patrimonio custodito dai musei e dagli archivi delle grandi, medie e piccole imprese italiane.

I temi di questa edizione, il fattore umano e i nuovi modelli di sviluppo, sono elementi fondamentali per riflettere sull’Industria 5.0, modello produttivo caratterizzato dall’approccio sostenibile e dalla costruzione di una relazione cooperativa tra uomo e macchina.

Anche quest’anno Fondazione Pirelli sarà presente alla manifestazione con iniziative volte a promuovere i temi identitari dell’azienda, come la sua cultura politecnica, l’attenzione alla persona, la sostenibilità ambientale e sociale.

La Settimana della Cultura d’Impresa 2023 sarà l’occasione per presentare al pubblico – nell’affascinante cornice dell’Auditorium Pirelli di Milano Bicocca – lo short film “NOI SIAMO”, un progetto di Fondazione Pirelli prodotto da Muse Factory of Projects, proiettato a settembre in anteprima nazionale nell’ambito del festival “Visioni dal mondo”. Il cortometraggio, curato da Francesca Molteni, scritto e diretto da Mattia Colombo e Davide Fois, è una narrazione per immagini ispirata a Vita di Galileo di Bertolt Brecht, che attraversa proprio i diversi ambiti della cultura aziendale: il teatro, la musica, l’arte, la ricerca, l’innovazione, per sottolineare il binomio tra creatività artistica e scientifica che da sempre caratterizza il DNA della Pirelli. Un percorso tra luoghi, volti, memoria e futuro.

Al termine della proiezione, i partecipanti saranno accompagnati in tour guidati all’Headquarters aziendale e alla Fondazione Pirelli con la mostra Pirelli, When History Builds The Future e con il nuovo percorso espositivo espositivo Beyond the Circuits: Formula One and The Tyres that Revolutionised Its History, dedicato alla storia dell’azienda nelle competizioni e allo sviluppo dei prodotti progettati per le gare.

L’appuntamento è per domenica 12 novembre, con 6 turni di proiezioni e visite guidate della durata di circa 60 minuti, con inizio alle ore 10, 11, 12, 15, 16, e 17.

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, fino a esaurimento posti, iscrivendosi ai percorsi tramite questo tool.

Nell’ambito dell’impegno a favore della didattica e della promozione della lettura tra le giovani generazioni, giovedì 23 novembre, alle ore 11.00, Fondazione Pirelli organizza l’edizione 2023 di “Parole in viaggio. Un gioco che inizia dalla scuola”, incontro dedicato al mondo dei libri per ragazzi. Gli studenti e le studentesse tra i 10 e i 14 anni potranno scoprire il ruolo formativo della letteratura in tutte le sue forme e dialogare con Nicola Cinquetti e Davide Rigiani, vincitori del Premio Campiello Junior 2023.

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, scrivendo a scuole@fondazionepirelli.org.

 

 

 

 

Si terrà dal 6 al 20 novembre 2023 la XXII Settimana della Cultura d’Impresa, la rassegna di eventi promossa da Confindustria quest’anno dal titolo “La persona al centro dello sviluppo sostenibile. L’anima dell’impresa consapevole”. Il ricco programma di iniziative porterà alla scoperta del patrimonio custodito dai musei e dagli archivi delle grandi, medie e piccole imprese italiane.

I temi di questa edizione, il fattore umano e i nuovi modelli di sviluppo, sono elementi fondamentali per riflettere sull’Industria 5.0, modello produttivo caratterizzato dall’approccio sostenibile e dalla costruzione di una relazione cooperativa tra uomo e macchina.

Anche quest’anno Fondazione Pirelli sarà presente alla manifestazione con iniziative volte a promuovere i temi identitari dell’azienda, come la sua cultura politecnica, l’attenzione alla persona, la sostenibilità ambientale e sociale.

La Settimana della Cultura d’Impresa 2023 sarà l’occasione per presentare al pubblico – nell’affascinante cornice dell’Auditorium Pirelli di Milano Bicocca – lo short film “NOI SIAMO”, un progetto di Fondazione Pirelli prodotto da Muse Factory of Projects, proiettato a settembre in anteprima nazionale nell’ambito del festival “Visioni dal mondo”. Il cortometraggio, curato da Francesca Molteni, scritto e diretto da Mattia Colombo e Davide Fois, è una narrazione per immagini ispirata a Vita di Galileo di Bertolt Brecht, che attraversa proprio i diversi ambiti della cultura aziendale: il teatro, la musica, l’arte, la ricerca, l’innovazione, per sottolineare il binomio tra creatività artistica e scientifica che da sempre caratterizza il DNA della Pirelli. Un percorso tra luoghi, volti, memoria e futuro.

Al termine della proiezione, i partecipanti saranno accompagnati in tour guidati all’Headquarters aziendale e alla Fondazione Pirelli con la mostra Pirelli, When History Builds The Future e con il nuovo percorso espositivo espositivo Beyond the Circuits: Formula One and The Tyres that Revolutionised Its History, dedicato alla storia dell’azienda nelle competizioni e allo sviluppo dei prodotti progettati per le gare.

L’appuntamento è per domenica 12 novembre, con 6 turni di proiezioni e visite guidate della durata di circa 60 minuti, con inizio alle ore 10, 11, 12, 15, 16, e 17.

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, fino a esaurimento posti, iscrivendosi ai percorsi tramite questo tool.

Nell’ambito dell’impegno a favore della didattica e della promozione della lettura tra le giovani generazioni, giovedì 23 novembre, alle ore 11.00, Fondazione Pirelli organizza l’edizione 2023 di “Parole in viaggio. Un gioco che inizia dalla scuola”, incontro dedicato al mondo dei libri per ragazzi. Gli studenti e le studentesse tra i 10 e i 14 anni potranno scoprire il ruolo formativo della letteratura in tutte le sue forme e dialogare con Nicola Cinquetti e Davide Rigiani, vincitori del Premio Campiello Junior 2023.

L’ingresso è gratuito e su prenotazione, scrivendo a scuole@fondazionepirelli.org.

 

 

 

 

Buone relazioni per un buon sviluppo

Uno degli ultimi interventi del Governatore della Banca d’Italia, fornisce una lucida sintesi delle questioni da risolvere a livello globale

 

Crescita e multilateralismo. Globalizzazione e commercio accorti. Ma anche accoglienza intelligente, produttività equilibrata, attenzione saggia all’ambiente, moderazione nelle relazioni. A guardare quanto sta accadendo in questi ultimi giorni nel mondo, questi concetti – che hanno dietro una visione ben precisa del mondo -, appaiono essere quasi anacronistici, senza senso e, soprattutto, senza futuro. E’ invece attorno a queste idee che deve essere coltivata una prospettiva diversa delle relazioni sociali ed economiche. Ed è per questo che è utile leggere – e con attenzione – uno degli ultimi interventi di Vincenzo Visco, Governatore della Banca d’Italia. “Sfide globali e prospettive del multilateralismo” della fine di settembre di quest’anno, affronta davvero il cuore del possibile futuro che può essere costruito.

Visco effettua una lucida e comprensibile analisi dei “momenti difficili” che ormai viviamo da “molti anni” come lui stesso scrive, ne fornisce una spiegazione e indica la strada per uscirne: quel multilateralismo che deve essere coltivato con attenzione e che non c’è certo cosa facile da realizzare, ma che pure appare essere l’unica via sensata per evitare il ritorno a contrapposizioni tra blocchi che continuano a vivere appena dietro l’angolo della storia.

Dopo un’introduzione al tema e dopo aver ricordato le grandi sfide da affrontare come quelle del clima, della gestione degli impatti della digitalizzazione, della popolazione e delle grandi migrazioni, Visco approfondisce le “luci e ombre” della globalizzazione per passare poi alle “questioni aperte” odierne e in prospettiva. Ad iniziare da quella energetica scatenata dalla guerra Russia-Ucraina, per passare poi al ruolo della Cina e senza dimenticare quanto accaduto sul fronte sanitario con il Covid-19.

Multilateralismo complesso e da costruire, sembra ricordare Visco, ma determinante perché, scrive, “una divisione del mondo in blocchi rischierebbe di mettere a repentaglio i meccanismi che hanno stimolato la crescita e ridotto la povertà a livello globale”.

Il cambiamento accorto e saggio verso le buone relazioni internazionali, sembra essere l’ideale di Visco, che non manca comunque di ricordare aspetti delicati e complessi della questione come la globalizzazione selvaggia, l’avvento delle nuove macchine, le incognite del lavoro. Investire in conoscenza appare così essere l’altra grande necessità per affrontare il multilateralismo in modo corretto.

“Sfide globali e prospettive del multilateralismo”, alla luce di quanto già accaduto negli ultimi mesi e di quanto avvenuto subito dopo, è una lettura che aiuta per davvero il formarsi di quella cultura basata sulla conoscenza che oggi serve a tutti per orientarsi e capire meglio.

Sfide globali e prospettive del multilateralismo

Vincenzo Visco

Giornate di economia “Marcello De Cecco”

30 settembre 2023

Uno degli ultimi interventi del Governatore della Banca d’Italia, fornisce una lucida sintesi delle questioni da risolvere a livello globale

 

Crescita e multilateralismo. Globalizzazione e commercio accorti. Ma anche accoglienza intelligente, produttività equilibrata, attenzione saggia all’ambiente, moderazione nelle relazioni. A guardare quanto sta accadendo in questi ultimi giorni nel mondo, questi concetti – che hanno dietro una visione ben precisa del mondo -, appaiono essere quasi anacronistici, senza senso e, soprattutto, senza futuro. E’ invece attorno a queste idee che deve essere coltivata una prospettiva diversa delle relazioni sociali ed economiche. Ed è per questo che è utile leggere – e con attenzione – uno degli ultimi interventi di Vincenzo Visco, Governatore della Banca d’Italia. “Sfide globali e prospettive del multilateralismo” della fine di settembre di quest’anno, affronta davvero il cuore del possibile futuro che può essere costruito.

Visco effettua una lucida e comprensibile analisi dei “momenti difficili” che ormai viviamo da “molti anni” come lui stesso scrive, ne fornisce una spiegazione e indica la strada per uscirne: quel multilateralismo che deve essere coltivato con attenzione e che non c’è certo cosa facile da realizzare, ma che pure appare essere l’unica via sensata per evitare il ritorno a contrapposizioni tra blocchi che continuano a vivere appena dietro l’angolo della storia.

Dopo un’introduzione al tema e dopo aver ricordato le grandi sfide da affrontare come quelle del clima, della gestione degli impatti della digitalizzazione, della popolazione e delle grandi migrazioni, Visco approfondisce le “luci e ombre” della globalizzazione per passare poi alle “questioni aperte” odierne e in prospettiva. Ad iniziare da quella energetica scatenata dalla guerra Russia-Ucraina, per passare poi al ruolo della Cina e senza dimenticare quanto accaduto sul fronte sanitario con il Covid-19.

Multilateralismo complesso e da costruire, sembra ricordare Visco, ma determinante perché, scrive, “una divisione del mondo in blocchi rischierebbe di mettere a repentaglio i meccanismi che hanno stimolato la crescita e ridotto la povertà a livello globale”.

Il cambiamento accorto e saggio verso le buone relazioni internazionali, sembra essere l’ideale di Visco, che non manca comunque di ricordare aspetti delicati e complessi della questione come la globalizzazione selvaggia, l’avvento delle nuove macchine, le incognite del lavoro. Investire in conoscenza appare così essere l’altra grande necessità per affrontare il multilateralismo in modo corretto.

“Sfide globali e prospettive del multilateralismo”, alla luce di quanto già accaduto negli ultimi mesi e di quanto avvenuto subito dopo, è una lettura che aiuta per davvero il formarsi di quella cultura basata sulla conoscenza che oggi serve a tutti per orientarsi e capire meglio.

Sfide globali e prospettive del multilateralismo

Vincenzo Visco

Giornate di economia “Marcello De Cecco”

30 settembre 2023

La lezione della Nobel Goldin sul valore delle donne contro il declino demografico e la scarsa crescita

Nell’Italia che cresce appena dello 0,7% quest’anno e di un altro stentato 0,7% nel ’24 (secondo stime del Fondo Monetario Internazionale, mentre il governo insiste sull’1,2%) pesano molto, in negativo, sia il cosiddetto “inverno demografico” sia l’insufficiente partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Una questione da affrontare con scelte strategiche, politiche ed economiche, in nome delle buone ragioni dello sviluppo sostenibile. E proprio la recente attribuzione del Premio Nobel per l’economia a Claudia Goldin, docente ad Harvard, per i suoi studi sul mercato del lavoro femminile e sulle conseguenze delle disparità di genere sulle retribuzioni e sulle opportunità di carriera può stimolare sia i nostri decisori politici sia le imprese (protagoniste di primo piano della crescita economica e del benessere diffuso) a dedicare maggiore attenzione a come evitare che le gravi diseguaglianze deprimano le possibilità dell’Italia. Un’Italia sempre più stretta tra alto debito pubblico, crescita asfittica e scarsa mobilità sociale. Tra stagnazione e frustrazione delle speranze delle nuove generazioni.

Ricordiamo alcuni dati essenziali. Nel 2022 sono nati meno di 400mila bambini. Il saldo tra nati e morti continua, da circa 30 anni, a essere negativo. E negativo comincia a rivelarsi anche quello tra emigranti e immigrati (aumenta il numero dei nostri giovani che vanno a cercare all’estero migliori opportunità di lavoro e di vita: dal 2002 a oggi ne abbiamo persi 3 milioni). “Un Paese che si svuota”, scrive il sociologo Stefano Allievi in “Governare le migrazioni. Si deve, si può”, Laterza, insistendo sulla necessità di scelte politiche lungimiranti e non su ideologie respingenti. Intanto, in attesa di quelle scelte che non arrivano, diventiamo sempre più un paese di anziani, scarsamente sensibili al futuro.

Più passa il tempo, insomma, più perdiamo lavoratori, con effetti negativi sul Pil. Pesano, sul declino, anche le gravi carenze del sistema formativo: le imprese, quelle manifatturiere soprattutto, denunciano la difficoltà di trovare risorse adeguate per la metà dei posti di lavoro a disposizione.
Il numero di laureati (200mila all’anno) è percentualmente il più basso della media Ue. E proprio la curva negativa della natalità aggrava drammaticamente il fenomeno: di quei quasi 400mila nati nel ’22, di cui abbiamo appena parlato, i laureati tra vent’anni (ferme restano le tendenze sociali attuali) saranno appena 80mila, cioè 120mila in meno di adesso. Un disastro, in termini economici e sociali, ma anche di tenuta politica del sistema Paese.
Negativo pure l’effetto della carente partecipazione femminile al mercato del lavoro, soprattutto per le mansioni più qualificate. È vero, infatti, che le donne studiano di più e meglio, come confermano i dati Istat secondo cui il 65,3% delle donne ha almeno un diploma, a fronte del 60,1% degli uomini, mentre le laureate arrivano al 23,1%, contro il 16,8% degli uomini. Ma è altrettanto vero che il tasso di occupazione femminile è ancora molto più basso di quello maschile (55,7% contro 75,8%).

Resta un pesante gender gap nella formazione. Ed è sempre evidente il forte divario esistente tra uomini e donne nelle discipline dell’area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma anche in medicina, giurisprudenza ed economia. C’è, in generale, una sostanziale carenza di laureati STEM. E tra loro, solo il 39% è donna.
Quel basso tasso di occupazione femminile significa, in termini essenziali, che utilizziamo male intelligenze, conoscenze, attitudini, risorse preziose. Si sottrae alle ipotesi di sviluppo un capitale umano di straordinarie qualità. Si depriva il Paese di un grande potenziale di intraprendenza, pensiero originale, stimolo all’innovazione.

È proprio Claudia Goldin, con gli studi la cui importanza è confermata dal Nobel, a documentare che le donne sono sì più istruite degli uomini, ma hanno orizzonti professionali più corti, spesso smettono di lavorare dopo la nascita del primo figlio, rallentano gli impegni professionali al crescere delle responsabilità di cura e di assistenza familiare e finiscono così per ritrovarsi marginali sul mercato del lavoro.
Una condizione in cambiamento. Ma troppo lentamente. I tassi di occupazione femminili sono più che triplicati, nell’ultimo secolo. Tuttavia ancora oggi, nel mondo, solo il 50% delle donne lavora, di fronte a una percentuale d’un uomini occupati dell’80%.

Un mercato da modificare, riformare, dunque. Con una diversa organizzazione degli orari e dei calcoli di produttività. Con una legislazione che valorizzi anche le responsabilità maschili rispetto ai carichi familiari. Con una cultura d’impresa più inclusiva. E con strutture adeguate di servizi sociali (per fare un solo esempio, la presenza di asili nido). Ci sono investimenti pubblici in corso, è vero (anche nel Pnrr). Ed evoluzioni sociali e culturali, con una sensibilità crescente rispetto al valore del lavoro delle donne. Ma ancora insufficienti a colmare rapidamente il gender gap e a favorire la piena valorizzazione, più equa ed efficiente, dell’apporto dell’intelligenza e delle capacità femminili allo sviluppo.

(foto Getty Images)

Nell’Italia che cresce appena dello 0,7% quest’anno e di un altro stentato 0,7% nel ’24 (secondo stime del Fondo Monetario Internazionale, mentre il governo insiste sull’1,2%) pesano molto, in negativo, sia il cosiddetto “inverno demografico” sia l’insufficiente partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Una questione da affrontare con scelte strategiche, politiche ed economiche, in nome delle buone ragioni dello sviluppo sostenibile. E proprio la recente attribuzione del Premio Nobel per l’economia a Claudia Goldin, docente ad Harvard, per i suoi studi sul mercato del lavoro femminile e sulle conseguenze delle disparità di genere sulle retribuzioni e sulle opportunità di carriera può stimolare sia i nostri decisori politici sia le imprese (protagoniste di primo piano della crescita economica e del benessere diffuso) a dedicare maggiore attenzione a come evitare che le gravi diseguaglianze deprimano le possibilità dell’Italia. Un’Italia sempre più stretta tra alto debito pubblico, crescita asfittica e scarsa mobilità sociale. Tra stagnazione e frustrazione delle speranze delle nuove generazioni.

Ricordiamo alcuni dati essenziali. Nel 2022 sono nati meno di 400mila bambini. Il saldo tra nati e morti continua, da circa 30 anni, a essere negativo. E negativo comincia a rivelarsi anche quello tra emigranti e immigrati (aumenta il numero dei nostri giovani che vanno a cercare all’estero migliori opportunità di lavoro e di vita: dal 2002 a oggi ne abbiamo persi 3 milioni). “Un Paese che si svuota”, scrive il sociologo Stefano Allievi in “Governare le migrazioni. Si deve, si può”, Laterza, insistendo sulla necessità di scelte politiche lungimiranti e non su ideologie respingenti. Intanto, in attesa di quelle scelte che non arrivano, diventiamo sempre più un paese di anziani, scarsamente sensibili al futuro.

Più passa il tempo, insomma, più perdiamo lavoratori, con effetti negativi sul Pil. Pesano, sul declino, anche le gravi carenze del sistema formativo: le imprese, quelle manifatturiere soprattutto, denunciano la difficoltà di trovare risorse adeguate per la metà dei posti di lavoro a disposizione.
Il numero di laureati (200mila all’anno) è percentualmente il più basso della media Ue. E proprio la curva negativa della natalità aggrava drammaticamente il fenomeno: di quei quasi 400mila nati nel ’22, di cui abbiamo appena parlato, i laureati tra vent’anni (ferme restano le tendenze sociali attuali) saranno appena 80mila, cioè 120mila in meno di adesso. Un disastro, in termini economici e sociali, ma anche di tenuta politica del sistema Paese.
Negativo pure l’effetto della carente partecipazione femminile al mercato del lavoro, soprattutto per le mansioni più qualificate. È vero, infatti, che le donne studiano di più e meglio, come confermano i dati Istat secondo cui il 65,3% delle donne ha almeno un diploma, a fronte del 60,1% degli uomini, mentre le laureate arrivano al 23,1%, contro il 16,8% degli uomini. Ma è altrettanto vero che il tasso di occupazione femminile è ancora molto più basso di quello maschile (55,7% contro 75,8%).

Resta un pesante gender gap nella formazione. Ed è sempre evidente il forte divario esistente tra uomini e donne nelle discipline dell’area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma anche in medicina, giurisprudenza ed economia. C’è, in generale, una sostanziale carenza di laureati STEM. E tra loro, solo il 39% è donna.
Quel basso tasso di occupazione femminile significa, in termini essenziali, che utilizziamo male intelligenze, conoscenze, attitudini, risorse preziose. Si sottrae alle ipotesi di sviluppo un capitale umano di straordinarie qualità. Si depriva il Paese di un grande potenziale di intraprendenza, pensiero originale, stimolo all’innovazione.

È proprio Claudia Goldin, con gli studi la cui importanza è confermata dal Nobel, a documentare che le donne sono sì più istruite degli uomini, ma hanno orizzonti professionali più corti, spesso smettono di lavorare dopo la nascita del primo figlio, rallentano gli impegni professionali al crescere delle responsabilità di cura e di assistenza familiare e finiscono così per ritrovarsi marginali sul mercato del lavoro.
Una condizione in cambiamento. Ma troppo lentamente. I tassi di occupazione femminili sono più che triplicati, nell’ultimo secolo. Tuttavia ancora oggi, nel mondo, solo il 50% delle donne lavora, di fronte a una percentuale d’un uomini occupati dell’80%.

Un mercato da modificare, riformare, dunque. Con una diversa organizzazione degli orari e dei calcoli di produttività. Con una legislazione che valorizzi anche le responsabilità maschili rispetto ai carichi familiari. Con una cultura d’impresa più inclusiva. E con strutture adeguate di servizi sociali (per fare un solo esempio, la presenza di asili nido). Ci sono investimenti pubblici in corso, è vero (anche nel Pnrr). Ed evoluzioni sociali e culturali, con una sensibilità crescente rispetto al valore del lavoro delle donne. Ma ancora insufficienti a colmare rapidamente il gender gap e a favorire la piena valorizzazione, più equa ed efficiente, dell’apporto dell’intelligenza e delle capacità femminili allo sviluppo.

(foto Getty Images)

La lingua giusta per capire meglio

Un recente libro di Banca d’Italia aiuta a comprendere l’importanza del linguaggio e del buon uso delle parole in economia e non solo

Scrivere (e parlare) con chiarezza e precisione per farsi capire meglio e per capire meglio. Senza per questo cedere alle eccessive semplificazioni, ma, anzi, rendendo se possibile più comprensibili anche le idee più complesse. Attenzione che dovrebbe essere sempre in primo piano. Accortezza che significa libertà e democrazia. E sviluppo. Scrupolo che vige da sempre in Banca d’Italia che con “La lingua dell’economia in Italia. Caratteri, storia, evoluzione” di Rosanna Visca, ha da poco posto un altro tassello per la costruzione di quella cultura dell’economia di cui c’è sempre più bisogno.

L’ottavo volume della Collana Collezioni e studi della Biblioteca Paolo Baffi, offre un quadro di insieme della lingua dell’economia ricorrendo a un’ampia selezione di contributi e studi, compresi quelli inerenti agli aspetti linguistici delle Relazioni annuali e soprattutto delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia. Due gli obiettivi: da un lato, delineare un profilo della lingua dell’economia, nei suoi aspetti più generali e comuni alle sue molteplici varietà, in una prospettiva storica e nel confronto con le altre lingue speciali; dall’altro, suggerire spunti di riflessione sull’evoluzione e sulla capacità comunicativa di questa lingua, anche alla luce delle caratteristiche di quanto prodotto nel tempo della Banca stessa.

Chi legge, così, ha modo di ripercorrere circa otto secoli di testi inerenti l’economia e la banca individuando i documenti chiave per la lingua dell’economia, assieme alla descrizione delle forme e delle strategie testuali adottate. Il libro svela quindi una sorta di “doppio volto” – scientifico e divulgativo – della particolare lingua adottata da Banca d’Italia e in generale dagli economisti.  Nelle pagine scorrono così aspetti particolari del linguaggio economico come il ricorso a un ampio repertorio di figure retoriche (in special modo metafore), che compaiono sin dagli scritti fondativi delle discipline economico-finanziarie; la forte presenza di forestierismi e in particolare di anglicismi; la necessità (e la difficoltà) degli economisti di farsi capire anche dal largo pubblico, senza per questo perdere autorevolezza e specificità.

Tutto da leggere il libro curato da Visca che, tra i molti passaggi, riporta nelle conclusioni alcune parole pronunciate nel 2021 dal Direttore generale Luigi Federico Signorini a proposto della Considerazioni di Luigi Einaudi che valgono non solo per chi scrive di economia: “La lingua cambia nel tempo, ma in Banca d’Italia è rimasta viva l’aspirazione a una scrittura nitida, rigorosa e magari, se ci si riesce, dotata di una certa qualità estetica; a una scrittura, insomma, capace idealmente di coniugare acribia ed eleganza; per quanto possibile efficace nell’additare la lezione dei fatti, spiegarne le ragioni, ammonire sulle implicazioni, anche quelle meno ovvie, delle azioni o (più spesso) delle azioni mancate. Non ci si è sempre riusciti, s’intende, e comunque forse mai pienamente; ma l’obiettivo era e resta quello”.

La lingua dell’economia in Italia. Caratteri, storia, evoluzione

Rosanna Visca

Collezioni e studi della Biblioteca Paolo Baffi, n. 8

Banca d’Italia, 2023

Un recente libro di Banca d’Italia aiuta a comprendere l’importanza del linguaggio e del buon uso delle parole in economia e non solo

Scrivere (e parlare) con chiarezza e precisione per farsi capire meglio e per capire meglio. Senza per questo cedere alle eccessive semplificazioni, ma, anzi, rendendo se possibile più comprensibili anche le idee più complesse. Attenzione che dovrebbe essere sempre in primo piano. Accortezza che significa libertà e democrazia. E sviluppo. Scrupolo che vige da sempre in Banca d’Italia che con “La lingua dell’economia in Italia. Caratteri, storia, evoluzione” di Rosanna Visca, ha da poco posto un altro tassello per la costruzione di quella cultura dell’economia di cui c’è sempre più bisogno.

L’ottavo volume della Collana Collezioni e studi della Biblioteca Paolo Baffi, offre un quadro di insieme della lingua dell’economia ricorrendo a un’ampia selezione di contributi e studi, compresi quelli inerenti agli aspetti linguistici delle Relazioni annuali e soprattutto delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia. Due gli obiettivi: da un lato, delineare un profilo della lingua dell’economia, nei suoi aspetti più generali e comuni alle sue molteplici varietà, in una prospettiva storica e nel confronto con le altre lingue speciali; dall’altro, suggerire spunti di riflessione sull’evoluzione e sulla capacità comunicativa di questa lingua, anche alla luce delle caratteristiche di quanto prodotto nel tempo della Banca stessa.

Chi legge, così, ha modo di ripercorrere circa otto secoli di testi inerenti l’economia e la banca individuando i documenti chiave per la lingua dell’economia, assieme alla descrizione delle forme e delle strategie testuali adottate. Il libro svela quindi una sorta di “doppio volto” – scientifico e divulgativo – della particolare lingua adottata da Banca d’Italia e in generale dagli economisti.  Nelle pagine scorrono così aspetti particolari del linguaggio economico come il ricorso a un ampio repertorio di figure retoriche (in special modo metafore), che compaiono sin dagli scritti fondativi delle discipline economico-finanziarie; la forte presenza di forestierismi e in particolare di anglicismi; la necessità (e la difficoltà) degli economisti di farsi capire anche dal largo pubblico, senza per questo perdere autorevolezza e specificità.

Tutto da leggere il libro curato da Visca che, tra i molti passaggi, riporta nelle conclusioni alcune parole pronunciate nel 2021 dal Direttore generale Luigi Federico Signorini a proposto della Considerazioni di Luigi Einaudi che valgono non solo per chi scrive di economia: “La lingua cambia nel tempo, ma in Banca d’Italia è rimasta viva l’aspirazione a una scrittura nitida, rigorosa e magari, se ci si riesce, dotata di una certa qualità estetica; a una scrittura, insomma, capace idealmente di coniugare acribia ed eleganza; per quanto possibile efficace nell’additare la lezione dei fatti, spiegarne le ragioni, ammonire sulle implicazioni, anche quelle meno ovvie, delle azioni o (più spesso) delle azioni mancate. Non ci si è sempre riusciti, s’intende, e comunque forse mai pienamente; ma l’obiettivo era e resta quello”.

La lingua dell’economia in Italia. Caratteri, storia, evoluzione

Rosanna Visca

Collezioni e studi della Biblioteca Paolo Baffi, n. 8

Banca d’Italia, 2023

Eliodoro Ximenes: una firma svelata tra gli autori delle pubblicità Pirelli

Innumerevoli sono gli artisti e i disegnatori che hanno lavorato per la pubblicità Pirelli nel corso della sua lunga storia. Oltre 200 ne sono stati censiti in occasione dell’uscita del nostro libro “Una Musa tra le ruote. Pirelli, un secolo di arte al servizio del prodotto”, pubblicato nel 2015 da Corraini edizioni, ma tanto ancora è da riportare alla luce: opere anonime da attribuire, firme e sigle da decifrare, autori da scoprire. Oggi, grazie alla accurata ricerca di Dario Fangaresi, appassionato ed esperto di arte pubblicitaria, sono state attribuite a quello che sembra essere con ogni evidenza il loro autore alcune delle più belle pubblicità Pirelli degli anni Venti sinora rimaste anonime. Si tratta di sette disegni a china o china e tempera a firma “Elio”, dedicati in gran parte alla pubblicità delle gomme per cancellare e, in due casi, agli impermeabili. Le pubblicità sono pubblicate tra il 1920 e il 1921 sulle riviste del Touring Club Italiano: la “Rivista Mensile”, “Le vie d’Italia” ma anche “La Sorgente. Rivista mensile per l’educazione della gioventù”, l’organo del Comitato del Touring Club per il turismo scolastico, rivelando come tra i destinatari delle pubblicità delle gomme da cancellare vi fosse anche un pubblico giovane, di studenti.

Questo spiega il tono giocoso dei soggetti, la presenza di animali e personaggi che fanno riferimento all’illustrazione per l’infanzia e al cinema (come la luna nel cielo del bozzetto n. 72, che richiama “Viaggio nella luna” di Georges Méliès). Nello stesso tempo, siamo in presenza  di “ironiche e raffinate invenzioni”, come le definisce Giovanna Ginex, curatrice del volume “Una Musa tra le ruote”, che svelano l’influenza della grafica d’avanguardia europea: numerose le citazioni, come il bulldog del bozzetto n. 74, riferimento al simbolo del periodico satirico “Simplicissimus” realizzato da Thomas Theodor Heine, o il gatto del bozzetto n. 75, che richiama il manifesto “Der Panther” del berlinese Lucian Bernhard. Opere dunque di un autore ironico, raffinato, colto, allora non ancora identificato. La ricerca condotta da Fangaresi ha preso le mosse dalla ricognizione di altre opere a firma “Elio”.

Del 1919 è la pubblicità di un rivenditore di auto Alfa Romeo con  “gomme Pirelli”, conservata presso la Collezione Salce:  il lettering è lo stesso delle gomme Pirelli per cancellare delle pubblicità custodite in Fondazione, con la G della parola gomma che si allunga come la P di Pirelli. La Collezione Salce attribuisce il manifesto a Ettore Elio Ximenes. Partendo da qui, lo studioso ha verificato  che l’assimilazione di Elio con il noto artista Ettore Ximenes è ricorrente anche in altri contesti. Non convinto però che Elio sia semplicemente il secondo nome di Ettore, analizza i membri della famiglia Ximenes: sette fratelli e sorelle, i loro nomi cominciano tutti per “E” e ben cinque di loro sono artisti. Oltre ai più noti Eduardo – anche lui peraltro autore per Pirelli, e in particolare di una litografia sull’esposizione del 1881 – e appunto Ettore – uno dei maggiori scultori della sua epoca –   anche Enrico, Empedocle e l’ultimogenito, Eliodoro. L’ipotesi è quindi che la firma “Elio” si possa riferire proprio a quest’ultimo. Le prove di questa ipotesi vengono da diverse opere rintracciate da Fangaresi a firma Elio, Elio Ximenes e soprattutto Eliodoro Ximenes, come per il disegno della testata del primo numero del periodico “Vomere” del 1898 o ancora l’illustrazione del processo all’anarchico Gaetano Bresci pubblicata sulla rivista “The Graphic” nel 1900.

La firma va accorciandosi sempre di più nel tempo arrivando a “Elio” delle pubblicità Pirelli, ma anche alle sole iniziali EX o all’abbreviazione Elio Xim inscritte in un rettangolo, come in alcune pubblicità della località di Roncegno, sulle Alpi trentine, o del Golf di Montecarlo. Le notizie biografiche su Eliodoro Ximenes sono molto scarse: luogo e anno di nascita, ma non certi (Palermo, 1873) e di morte (Surrey Northern in Inghilterra, 1954). Ancora molto è dunque da rintracciare e studiare su questo artista, che da oggi entra ufficialmente nel novero degli autori Pirelli.

Innumerevoli sono gli artisti e i disegnatori che hanno lavorato per la pubblicità Pirelli nel corso della sua lunga storia. Oltre 200 ne sono stati censiti in occasione dell’uscita del nostro libro “Una Musa tra le ruote. Pirelli, un secolo di arte al servizio del prodotto”, pubblicato nel 2015 da Corraini edizioni, ma tanto ancora è da riportare alla luce: opere anonime da attribuire, firme e sigle da decifrare, autori da scoprire. Oggi, grazie alla accurata ricerca di Dario Fangaresi, appassionato ed esperto di arte pubblicitaria, sono state attribuite a quello che sembra essere con ogni evidenza il loro autore alcune delle più belle pubblicità Pirelli degli anni Venti sinora rimaste anonime. Si tratta di sette disegni a china o china e tempera a firma “Elio”, dedicati in gran parte alla pubblicità delle gomme per cancellare e, in due casi, agli impermeabili. Le pubblicità sono pubblicate tra il 1920 e il 1921 sulle riviste del Touring Club Italiano: la “Rivista Mensile”, “Le vie d’Italia” ma anche “La Sorgente. Rivista mensile per l’educazione della gioventù”, l’organo del Comitato del Touring Club per il turismo scolastico, rivelando come tra i destinatari delle pubblicità delle gomme da cancellare vi fosse anche un pubblico giovane, di studenti.

Questo spiega il tono giocoso dei soggetti, la presenza di animali e personaggi che fanno riferimento all’illustrazione per l’infanzia e al cinema (come la luna nel cielo del bozzetto n. 72, che richiama “Viaggio nella luna” di Georges Méliès). Nello stesso tempo, siamo in presenza  di “ironiche e raffinate invenzioni”, come le definisce Giovanna Ginex, curatrice del volume “Una Musa tra le ruote”, che svelano l’influenza della grafica d’avanguardia europea: numerose le citazioni, come il bulldog del bozzetto n. 74, riferimento al simbolo del periodico satirico “Simplicissimus” realizzato da Thomas Theodor Heine, o il gatto del bozzetto n. 75, che richiama il manifesto “Der Panther” del berlinese Lucian Bernhard. Opere dunque di un autore ironico, raffinato, colto, allora non ancora identificato. La ricerca condotta da Fangaresi ha preso le mosse dalla ricognizione di altre opere a firma “Elio”.

Del 1919 è la pubblicità di un rivenditore di auto Alfa Romeo con  “gomme Pirelli”, conservata presso la Collezione Salce:  il lettering è lo stesso delle gomme Pirelli per cancellare delle pubblicità custodite in Fondazione, con la G della parola gomma che si allunga come la P di Pirelli. La Collezione Salce attribuisce il manifesto a Ettore Elio Ximenes. Partendo da qui, lo studioso ha verificato  che l’assimilazione di Elio con il noto artista Ettore Ximenes è ricorrente anche in altri contesti. Non convinto però che Elio sia semplicemente il secondo nome di Ettore, analizza i membri della famiglia Ximenes: sette fratelli e sorelle, i loro nomi cominciano tutti per “E” e ben cinque di loro sono artisti. Oltre ai più noti Eduardo – anche lui peraltro autore per Pirelli, e in particolare di una litografia sull’esposizione del 1881 – e appunto Ettore – uno dei maggiori scultori della sua epoca –   anche Enrico, Empedocle e l’ultimogenito, Eliodoro. L’ipotesi è quindi che la firma “Elio” si possa riferire proprio a quest’ultimo. Le prove di questa ipotesi vengono da diverse opere rintracciate da Fangaresi a firma Elio, Elio Ximenes e soprattutto Eliodoro Ximenes, come per il disegno della testata del primo numero del periodico “Vomere” del 1898 o ancora l’illustrazione del processo all’anarchico Gaetano Bresci pubblicata sulla rivista “The Graphic” nel 1900.

La firma va accorciandosi sempre di più nel tempo arrivando a “Elio” delle pubblicità Pirelli, ma anche alle sole iniziali EX o all’abbreviazione Elio Xim inscritte in un rettangolo, come in alcune pubblicità della località di Roncegno, sulle Alpi trentine, o del Golf di Montecarlo. Le notizie biografiche su Eliodoro Ximenes sono molto scarse: luogo e anno di nascita, ma non certi (Palermo, 1873) e di morte (Surrey Northern in Inghilterra, 1954). Ancora molto è dunque da rintracciare e studiare su questo artista, che da oggi entra ufficialmente nel novero degli autori Pirelli.

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Cerimonia di Selezione delle Terne Finaliste della 3^ edizione di Campiello Junior

Entra nel vivo la terza edizione del Campiello Junior, con l’atteso momento dell’annuncio dei finalisti.

La Cerimonia di selezione delle terne finaliste si terrà venerdì 10 novembre 2023, alle ore 11.00 presso l’Auditorium Pirelli HQ.

Durante la cerimonia, che verrà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube del Premio Campiello, verranno proclamati i tre libri finalisti per le due categorie del Campiello Junior: 7-10 anni e 11-14 anni.

La scelta sarà ad opera di una Giuria Tecnica presieduta da Pino Boero, già professore di Letteratura per l’infanzia all’Università di Genova, e composta da Chiara Lagani, attrice e drammaturga, Michela Possamai, docente presso l’Università IUSVE di Venezia e David Tolin, libraio e membro del direttivo di ALIR.

Durante l’incontro, moderato da Giancarlo Leone, interverranno anche Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli ed Enrico Carraro, Presidente della Fondazione Il Campiello.

Per rimanere aggiornati sulle iniziative del Premio Campiello Junior potete trovare maggiori informazioni sui siti: www.fondazionepirelli.org e www.premiocampiello.org.

Vi aspettiamo

Entra nel vivo la terza edizione del Campiello Junior, con l’atteso momento dell’annuncio dei finalisti.

La Cerimonia di selezione delle terne finaliste si terrà venerdì 10 novembre 2023, alle ore 11.00 presso l’Auditorium Pirelli HQ.

Durante la cerimonia, che verrà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube del Premio Campiello, verranno proclamati i tre libri finalisti per le due categorie del Campiello Junior: 7-10 anni e 11-14 anni.

La scelta sarà ad opera di una Giuria Tecnica presieduta da Pino Boero, già professore di Letteratura per l’infanzia all’Università di Genova, e composta da Chiara Lagani, attrice e drammaturga, Michela Possamai, docente presso l’Università IUSVE di Venezia e David Tolin, libraio e membro del direttivo di ALIR.

Durante l’incontro, moderato da Giancarlo Leone, interverranno anche Antonio Calabrò, Direttore della Fondazione Pirelli ed Enrico Carraro, Presidente della Fondazione Il Campiello.

Per rimanere aggiornati sulle iniziative del Premio Campiello Junior potete trovare maggiori informazioni sui siti: www.fondazionepirelli.org e www.premiocampiello.org.

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