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E adesso arriva il Piq, prodotto interno di qualità

Si chiama Piq. E cioè prodotto interno qualità. E a differenza del Pil misura non tanto la ricchezza comunque prodotta dal sistema Paese, quanto la produzione di beni e servizi legata “alla qualità del contesto sociale e ambientale, alla legalità, alla valorizzazione dei territori e delle comunità”. La bella definizione è di Ermete Realacci, leader di Symbola (“Il Sole 24Ore”, 18 dicembre), che con Unioncamere, analizza la “green economy” e la “soft economy”, e cioè l’incrocio virtuoso tra manifattura appunto di qualità e i servizi ad alta tecnologia: un vero e proprio punto di forza, un grande vantaggio competitivo del nostro Paese, legando hi tech, banda larga e saperi artigianali, senso storico della bellezza e innovazione. L’effetto? Stimolo all’export. E alla crescita generale. Per uscire dalla crisi, sostiene Realacci, ci vuole una vera e propria svolta di pensiero, una nuova cultura d’impresa, l’elaborazione di nuovi paradigmi di produzione e di consumo (per dirla con Einstein, “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”). Qualità e sostenibilità sociale e ambientale, dunque. E nuovi indicatori: il Piq, al posto del Pil. Guardando i numeri, si scopre che il Prodotto interno di qualità ha raggiunto un valore di 460 miliardi, vale circa il 47,9% del Pil e addirittura il 56,2% nelle regioni del Nord Ovest, le più industrializzate, internazionalizzate, aperte ai mercati (qualità come asset stategico della competitività). Sostiene Realacci: “Sono in genere più vocate alla produzione di qualità le regioni che risultano più forti nell’industria culturale, nella creazione di economia connessa alla cultura”. I settori? L’industria agro-alimentare, la chimica “verde”, la meccanica d’avanguardia arricchita da un ottimo design delle macchine e da processi produttivi a forte risparmio d’acqua e di energia, etc. “Industria è cultura”, come si usa dire in Fondazione Pirelli. E da questa consapevolezza insieme antica e contemporanea dipende appunto il nostro sviluppo. Di qualità.

Si chiama Piq. E cioè prodotto interno qualità. E a differenza del Pil misura non tanto la ricchezza comunque prodotta dal sistema Paese, quanto la produzione di beni e servizi legata “alla qualità del contesto sociale e ambientale, alla legalità, alla valorizzazione dei territori e delle comunità”. La bella definizione è di Ermete Realacci, leader di Symbola (“Il Sole 24Ore”, 18 dicembre), che con Unioncamere, analizza la “green economy” e la “soft economy”, e cioè l’incrocio virtuoso tra manifattura appunto di qualità e i servizi ad alta tecnologia: un vero e proprio punto di forza, un grande vantaggio competitivo del nostro Paese, legando hi tech, banda larga e saperi artigianali, senso storico della bellezza e innovazione. L’effetto? Stimolo all’export. E alla crescita generale. Per uscire dalla crisi, sostiene Realacci, ci vuole una vera e propria svolta di pensiero, una nuova cultura d’impresa, l’elaborazione di nuovi paradigmi di produzione e di consumo (per dirla con Einstein, “non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”). Qualità e sostenibilità sociale e ambientale, dunque. E nuovi indicatori: il Piq, al posto del Pil. Guardando i numeri, si scopre che il Prodotto interno di qualità ha raggiunto un valore di 460 miliardi, vale circa il 47,9% del Pil e addirittura il 56,2% nelle regioni del Nord Ovest, le più industrializzate, internazionalizzate, aperte ai mercati (qualità come asset stategico della competitività). Sostiene Realacci: “Sono in genere più vocate alla produzione di qualità le regioni che risultano più forti nell’industria culturale, nella creazione di economia connessa alla cultura”. I settori? L’industria agro-alimentare, la chimica “verde”, la meccanica d’avanguardia arricchita da un ottimo design delle macchine e da processi produttivi a forte risparmio d’acqua e di energia, etc. “Industria è cultura”, come si usa dire in Fondazione Pirelli. E da questa consapevolezza insieme antica e contemporanea dipende appunto il nostro sviluppo. Di qualità.

Fare buona conversazione aiuta la produttività

L’idea di fondo è semplice ma impegnativa: la comunicazione è sempre una sfida, anche per le aziende multinazionali. A dire le cose – soprattutto a dirle chiare – ci si mette in gioco, sempre. Ma serve, anche in un’impresa, piccola o grande che sia. Parlarsi serve per lavorare meglio, produrre con maggiore efficienza e, in definitiva, far crescere fatturato e occupazione. Anzi, in una società complessa come quella in cui le imprese agiscono oggi, uno degli strumenti chiave per migliorare la gestione aziendale, e soprattutto i risultati finali, sembra essere quello della comunicazione efficace, seria, costruttiva e produttiva. Cosa facile a farsi nelle imprese di piccole dimensioni, più difficile in quelle più grandi.

Ad analizzare la conversational leadership e le possibili modalità di applicazione pratica, ci ha pensato Carmen Nobel (Senior editor del Harvard Business School Working Knowledge), che in un breve articolo (The Power of Conversational Leadership), approfondisce gli aspetti essenziali del tema partendo dall’analisi di Talk, Inc: How Trusted Leaders Use Conversation to Power Their Organizations di Boris Groysberg (docente alla Harvard Business School) e Michael Slind (consulente di comunicazione per numerose compagnie multinazionali).

Articolo e libro approfondiscono gli aspetti teorici e pratici del tema. Partendo anche da situazioni paradossali: in molti casi l’impresa dispone di un gruppo dirigente sicuro sulla strategia aziendale da adottare, ma poi se si va all’interno dell’organizzazione si scopre che nessun altro ha la più pallida idea  di cosa fare.

Carmen Nobel sostiene quindi la “conversazione organizzativa” da applicare a tutti i processi di un’impresa. Ma come? E’ possibile agire in base a quattro principi che ovviamente devono essere accettati dai vertici: creare una “intimità mentale” (cioè una consonanza di idee e principi d’azione), dare vita ad una continua interattività, rendere effettiva l’inclusione nella conversazione di tutti i componenti dell’organizzazione e rappresentare in maniera chiara gli obiettivi verso i quali tutta l’impresa sta lavorando. Con una verità di fondo: una conversazione produttiva è un vantaggio competitivo per l’impresa.

The Power of Conversational Leadership

Carmen Nobel

Harvard

Business School Working Knowledge.

Luglio 2012

L’idea di fondo è semplice ma impegnativa: la comunicazione è sempre una sfida, anche per le aziende multinazionali. A dire le cose – soprattutto a dirle chiare – ci si mette in gioco, sempre. Ma serve, anche in un’impresa, piccola o grande che sia. Parlarsi serve per lavorare meglio, produrre con maggiore efficienza e, in definitiva, far crescere fatturato e occupazione. Anzi, in una società complessa come quella in cui le imprese agiscono oggi, uno degli strumenti chiave per migliorare la gestione aziendale, e soprattutto i risultati finali, sembra essere quello della comunicazione efficace, seria, costruttiva e produttiva. Cosa facile a farsi nelle imprese di piccole dimensioni, più difficile in quelle più grandi.

Ad analizzare la conversational leadership e le possibili modalità di applicazione pratica, ci ha pensato Carmen Nobel (Senior editor del Harvard Business School Working Knowledge), che in un breve articolo (The Power of Conversational Leadership), approfondisce gli aspetti essenziali del tema partendo dall’analisi di Talk, Inc: How Trusted Leaders Use Conversation to Power Their Organizations di Boris Groysberg (docente alla Harvard Business School) e Michael Slind (consulente di comunicazione per numerose compagnie multinazionali).

Articolo e libro approfondiscono gli aspetti teorici e pratici del tema. Partendo anche da situazioni paradossali: in molti casi l’impresa dispone di un gruppo dirigente sicuro sulla strategia aziendale da adottare, ma poi se si va all’interno dell’organizzazione si scopre che nessun altro ha la più pallida idea  di cosa fare.

Carmen Nobel sostiene quindi la “conversazione organizzativa” da applicare a tutti i processi di un’impresa. Ma come? E’ possibile agire in base a quattro principi che ovviamente devono essere accettati dai vertici: creare una “intimità mentale” (cioè una consonanza di idee e principi d’azione), dare vita ad una continua interattività, rendere effettiva l’inclusione nella conversazione di tutti i componenti dell’organizzazione e rappresentare in maniera chiara gli obiettivi verso i quali tutta l’impresa sta lavorando. Con una verità di fondo: una conversazione produttiva è un vantaggio competitivo per l’impresa.

The Power of Conversational Leadership

Carmen Nobel

Harvard

Business School Working Knowledge.

Luglio 2012

Prodotto globale, ma su misura

Una nuova rivoluzione industriale. Questa volta non solo raccontata da una teoria tutta da dimostrare, ma dai fatti e dagli esempi: dalla Toyota alla Fiat passando per la Ford, dalla produzione di spilli di Adam Smith per arrivare alla Apple e all’economia sostenibile e dell’energia.

Peter Marsh, nel suo The New industrial revolution appena uscito, racconta la nuova (per alcuni la quarta) rivoluzione industriale iniziando dal racconto di 250 anni di industria e di innovazioni per arrivare ad una conclusione: le fabbriche di una volta, quelle localizzate in un luogo geografico preciso e strettamente legate alla storia di un territorio, sono irrimediabilmente destinate a scomparire. In gioco, sembra dire Marsh, c’è il futuro delle economie di Stati Uniti ed Europa, ma anche della Russia e del Giappone.

Marsh è un ottimo giornalista del Financial Times, e si vede. Prosa fluida e avvincente, un susseguirsi serrato di esempi, la storia economica di due secoli e mezzo raccontata come un romanzo, fanno di questo saggio un passaggio obbligato per chi vuole capire di più dell’oggi.

Una delle tesi di Marsh è che di fronte al prepotente emergere di economie nuove come quelle della Cina e dell’India, quelle basate sulla manifattura di stampo tradizionale hanno ormai uno spazio destinato ad essere sempre più angusto. Non si tratta del “semplice” emergere di modalità di produzione proprie di territori geograficamente lontani dai nostri, ma della nascita di modi nuovi di affrontare il mercato. Marsh ripercorre le caratteristiche delle nuove tecnologie e della produzione di “merci su misura”, esamina gli effetti della partecipazione di molti più Paesi di prima all’economia mondiale e della crescente importanza delle forme di produzione sostenibile.

Ma Marsh fa ancora di più. La nuova rivoluzione industriale viene raccontata da molteplici punti di vista e soprattutto da due: quello dei consumatori, sollecitati da offerte contemporanee e molteplici, e quello dei produttori, costretti a rispondere ad opportunità prima inaspettate per rimanere su mercati ogni giorno più grandi e complessi. Tutto con un linguaggio da “vecchio redattore”, capace di affascinare con un racconto piuttosto che usare aride tabelle.

The new industrial revolution

Consumers, globalization and the end of mass production

Peter Marsh

Yale University Press, 2012

Una nuova rivoluzione industriale. Questa volta non solo raccontata da una teoria tutta da dimostrare, ma dai fatti e dagli esempi: dalla Toyota alla Fiat passando per la Ford, dalla produzione di spilli di Adam Smith per arrivare alla Apple e all’economia sostenibile e dell’energia.

Peter Marsh, nel suo The New industrial revolution appena uscito, racconta la nuova (per alcuni la quarta) rivoluzione industriale iniziando dal racconto di 250 anni di industria e di innovazioni per arrivare ad una conclusione: le fabbriche di una volta, quelle localizzate in un luogo geografico preciso e strettamente legate alla storia di un territorio, sono irrimediabilmente destinate a scomparire. In gioco, sembra dire Marsh, c’è il futuro delle economie di Stati Uniti ed Europa, ma anche della Russia e del Giappone.

Marsh è un ottimo giornalista del Financial Times, e si vede. Prosa fluida e avvincente, un susseguirsi serrato di esempi, la storia economica di due secoli e mezzo raccontata come un romanzo, fanno di questo saggio un passaggio obbligato per chi vuole capire di più dell’oggi.

Una delle tesi di Marsh è che di fronte al prepotente emergere di economie nuove come quelle della Cina e dell’India, quelle basate sulla manifattura di stampo tradizionale hanno ormai uno spazio destinato ad essere sempre più angusto. Non si tratta del “semplice” emergere di modalità di produzione proprie di territori geograficamente lontani dai nostri, ma della nascita di modi nuovi di affrontare il mercato. Marsh ripercorre le caratteristiche delle nuove tecnologie e della produzione di “merci su misura”, esamina gli effetti della partecipazione di molti più Paesi di prima all’economia mondiale e della crescente importanza delle forme di produzione sostenibile.

Ma Marsh fa ancora di più. La nuova rivoluzione industriale viene raccontata da molteplici punti di vista e soprattutto da due: quello dei consumatori, sollecitati da offerte contemporanee e molteplici, e quello dei produttori, costretti a rispondere ad opportunità prima inaspettate per rimanere su mercati ogni giorno più grandi e complessi. Tutto con un linguaggio da “vecchio redattore”, capace di affascinare con un racconto piuttosto che usare aride tabelle.

The new industrial revolution

Consumers, globalization and the end of mass production

Peter Marsh

Yale University Press, 2012

Dal Cinturato alla gommapiuma: tutta l’ironia di Riccardo Manzi

In un percorso di approfondimento delle figure dei più illustri rappresentanti della comunicazione visiva – grafica e pubblicitaria – di Pirelli tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, non poteva mancare Riccardo Manzi (1913-1993), uno dei collaboratori più assidui dell’azienda. Manzi si impone subito con il suo stile caratterizzato da un disegno dal tratto veloce e istintivo, accompagnato da una forte vena umoristica. E’ proprio lo stesso Sinisgalli a volerlo nel suo entourage, perchè dotato di quell’intuito e di quell’ironia che ben si prestava a vignette ed illustrazioni originali e che ben si allineava alle nuove tendenze della comunicazione Pirelli.

Una delle prime illustrazioni di Manzi per Pirelli è datata al 1949: un automobilista rimane appiedato perchè non usa “Hermetic, la camera che non consuma aria”; al febbraio del 1950, invece, risale una serie di pubblicità del materasso in gommapiuma, tra cui quella dell’uomo che dorme in una stanza ed è trasportato altrove dai suoi sogni.

Negli anni ‘60 Manzi firma numerose illustrazioni per la rivista “Pirelli”. Sua è la caricatura del manager a corredo dell’articolo “La sindrome dei dirigenti”, attraverso la quale delinea la nuova figura professionale del manager che si deve ora destreggiare tra superlavoro, tensione psichica, competitività e responsabilità sempre più complesse. Nel 1963 risolve a modo suo la questione del ritratto del lettore moderno, tracciandone un polivalente profilo, e realizzandone una suggestiva e ironica copertina sempre per la rivista “Pirelli”.

Ma la più famosa campagna pubblicitaria di Manzi è quella firmata nel 1960: Ad Occhi Chiusi” per il Cinturato, dove un simpatico personaggio guida serenamente nonostante la sua vista sia oscurata da un pneumatico gigante. La massima sicurezza è viaggiare utilizzando i pneumatici Pirelli!

E ancora il pneumatico è al centro di un’altra divertente campagna pubblicitaria, questa volta per il nuovo BS3, dove il pneumatico prende simpaticamente il posto di un ombrello per “la neve e per il ghiaccio”. Sono questi gli anni in cui Manzi, collaborando con Arrigo Castellani allora direttore della rivista “Pirelli”, si converte a un segno grafico più marcato, di matrice cartellonistica e minimalista.

Alcune delle illustrazioni originali di Riccardo Manzi sono conservate oggi nell’archivio della nostra Fondazione.

In un percorso di approfondimento delle figure dei più illustri rappresentanti della comunicazione visiva – grafica e pubblicitaria – di Pirelli tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, non poteva mancare Riccardo Manzi (1913-1993), uno dei collaboratori più assidui dell’azienda. Manzi si impone subito con il suo stile caratterizzato da un disegno dal tratto veloce e istintivo, accompagnato da una forte vena umoristica. E’ proprio lo stesso Sinisgalli a volerlo nel suo entourage, perchè dotato di quell’intuito e di quell’ironia che ben si prestava a vignette ed illustrazioni originali e che ben si allineava alle nuove tendenze della comunicazione Pirelli.

Una delle prime illustrazioni di Manzi per Pirelli è datata al 1949: un automobilista rimane appiedato perchè non usa “Hermetic, la camera che non consuma aria”; al febbraio del 1950, invece, risale una serie di pubblicità del materasso in gommapiuma, tra cui quella dell’uomo che dorme in una stanza ed è trasportato altrove dai suoi sogni.

Negli anni ‘60 Manzi firma numerose illustrazioni per la rivista “Pirelli”. Sua è la caricatura del manager a corredo dell’articolo “La sindrome dei dirigenti”, attraverso la quale delinea la nuova figura professionale del manager che si deve ora destreggiare tra superlavoro, tensione psichica, competitività e responsabilità sempre più complesse. Nel 1963 risolve a modo suo la questione del ritratto del lettore moderno, tracciandone un polivalente profilo, e realizzandone una suggestiva e ironica copertina sempre per la rivista “Pirelli”.

Ma la più famosa campagna pubblicitaria di Manzi è quella firmata nel 1960: Ad Occhi Chiusi” per il Cinturato, dove un simpatico personaggio guida serenamente nonostante la sua vista sia oscurata da un pneumatico gigante. La massima sicurezza è viaggiare utilizzando i pneumatici Pirelli!

E ancora il pneumatico è al centro di un’altra divertente campagna pubblicitaria, questa volta per il nuovo BS3, dove il pneumatico prende simpaticamente il posto di un ombrello per “la neve e per il ghiaccio”. Sono questi gli anni in cui Manzi, collaborando con Arrigo Castellani allora direttore della rivista “Pirelli”, si converte a un segno grafico più marcato, di matrice cartellonistica e minimalista.

Alcune delle illustrazioni originali di Riccardo Manzi sono conservate oggi nell’archivio della nostra Fondazione.

Pneumatici Pirelli, un “Inverno” lungo 80 anni

Pirelli “Artiglio”, per un inverno di ottant’anni fa

Nella gamma Pirelli, il disegno battistrada “Artiglio” –”per neve, gelo, strade bagnate ecc.“– appare nel listino di aprile 1932, come alternativa al disegno battistrada “Normale” per i pneumatici cord ad alta pressione e con tallone stright-side. Una sola misura, la 32×4.5, al prezzo di 286 lire. E’ un disegno caratterizzato da massicci blocchetti trasversali in grado di produrre un effetto ingranaggio su fango e neve fresca. Stessa offerta nella gamma dei giganti per autotrasporto, dove l’Artiglio affianca il battistrada Sigillo Verde nella misura 32×6 (665 lire).

Accanto alla versione “estiva” Stella Bianca, il battistrada “Artiglio” viene esteso anche ai pneumatici Superflex a bassa pressione a partire dal 1934, e poi – solo per le autovetture – via via ai nuovi “Aerflex” a bassissima pressione (anche nella versione Raiflex con carcassa in rayon).

L’ “Inverno”

I Pirelli Superflex e Aerflex “Artiglio” restano in commercio fino all’inverno 1951/1952, fino a quando, cioè, non viene studiato e commercializzato il nuovo disegno battistrada “Inverno” che rappresenta un’evoluzione del disegno ad incavi e tasselli trasversali.

Concettualmente derivato dal disegno “Artiglio” d’anteguerra, “Inverno” – seguito nel 1957 dalla versione “Nuovo Inverno” – interpreta in modo più sofisticato il concetto originale dei grossi tasselli inclinati che provocavano un “effetto ingranaggio” sulla neve e sul fango. Ora la tassellatura è una doppia spina di pesce inclinata a freccia verso il senso di marcia, in modo da combinare la trattività con una sufficiente direzionalità di marcia. Bob Noorda ne disegna le pubblicità, ispirandosi ai segni che lasciano gli sci sulla neve, o alle delicate geometrie dei cristalli di neve, o ancora al profilo stilizzato di un abete

Sarà proprio il concetto di disegno battistrada specializzato per condizioni di impiego a dar vita, alla fine di questi stessi anni Cinquanta, all’esperienza del BS e del BS3, cioè un pneumatico con diverse fasce battistrada rimovibili, da montare sulla carcassa a seconda dell’esigenza.

Dai rally i Pirelli “Winter”

Il concetto del battistrada separato troverà grande fortuna nei rally, sul finire degli anni Sessanta. E sarà proprio dai rally che verrà lo spunto per un nuovo balzo tecnologico nell’ambito dei pneumatici invernali. Il divieto all’utilizzo dei chiodi nelle competizioni su strade innevate spinge Pirelli a sviluppare una mescola ultra-aderente, efficace anche a temperature molto inferiori allo zero: nasce il Cinturato MS35 Rally, che in versione stradale darà vita di lì a pochi anni alla gamma Pirelli Winter.

Le soluzioni tecnologiche utilizzate nelle mescole e nei disegni battistrada winter permettono sempre più di allargare l’offerta “invernale” anche alle vetture più sportive, garantendo alte prestazioni anche in avverse condizioni climatiche.

Oggi, ottant’anni dopo quel primo pionieristico “Artiglio”, la gamma Pirelli Winter – Snowsport, Snowcontrol, Sottozero, Scorpion – copre praticamente tutto il mercato automobilistico, per qualunque condizione climatica.

Pirelli “Artiglio”, per un inverno di ottant’anni fa

Nella gamma Pirelli, il disegno battistrada “Artiglio” –”per neve, gelo, strade bagnate ecc.“– appare nel listino di aprile 1932, come alternativa al disegno battistrada “Normale” per i pneumatici cord ad alta pressione e con tallone stright-side. Una sola misura, la 32×4.5, al prezzo di 286 lire. E’ un disegno caratterizzato da massicci blocchetti trasversali in grado di produrre un effetto ingranaggio su fango e neve fresca. Stessa offerta nella gamma dei giganti per autotrasporto, dove l’Artiglio affianca il battistrada Sigillo Verde nella misura 32×6 (665 lire).

Accanto alla versione “estiva” Stella Bianca, il battistrada “Artiglio” viene esteso anche ai pneumatici Superflex a bassa pressione a partire dal 1934, e poi – solo per le autovetture – via via ai nuovi “Aerflex” a bassissima pressione (anche nella versione Raiflex con carcassa in rayon).

L’ “Inverno”

I Pirelli Superflex e Aerflex “Artiglio” restano in commercio fino all’inverno 1951/1952, fino a quando, cioè, non viene studiato e commercializzato il nuovo disegno battistrada “Inverno” che rappresenta un’evoluzione del disegno ad incavi e tasselli trasversali.

Concettualmente derivato dal disegno “Artiglio” d’anteguerra, “Inverno” – seguito nel 1957 dalla versione “Nuovo Inverno” – interpreta in modo più sofisticato il concetto originale dei grossi tasselli inclinati che provocavano un “effetto ingranaggio” sulla neve e sul fango. Ora la tassellatura è una doppia spina di pesce inclinata a freccia verso il senso di marcia, in modo da combinare la trattività con una sufficiente direzionalità di marcia. Bob Noorda ne disegna le pubblicità, ispirandosi ai segni che lasciano gli sci sulla neve, o alle delicate geometrie dei cristalli di neve, o ancora al profilo stilizzato di un abete

Sarà proprio il concetto di disegno battistrada specializzato per condizioni di impiego a dar vita, alla fine di questi stessi anni Cinquanta, all’esperienza del BS e del BS3, cioè un pneumatico con diverse fasce battistrada rimovibili, da montare sulla carcassa a seconda dell’esigenza.

Dai rally i Pirelli “Winter”

Il concetto del battistrada separato troverà grande fortuna nei rally, sul finire degli anni Sessanta. E sarà proprio dai rally che verrà lo spunto per un nuovo balzo tecnologico nell’ambito dei pneumatici invernali. Il divieto all’utilizzo dei chiodi nelle competizioni su strade innevate spinge Pirelli a sviluppare una mescola ultra-aderente, efficace anche a temperature molto inferiori allo zero: nasce il Cinturato MS35 Rally, che in versione stradale darà vita di lì a pochi anni alla gamma Pirelli Winter.

Le soluzioni tecnologiche utilizzate nelle mescole e nei disegni battistrada winter permettono sempre più di allargare l’offerta “invernale” anche alle vetture più sportive, garantendo alte prestazioni anche in avverse condizioni climatiche.

Oggi, ottant’anni dopo quel primo pionieristico “Artiglio”, la gamma Pirelli Winter – Snowsport, Snowcontrol, Sottozero, Scorpion – copre praticamente tutto il mercato automobilistico, per qualunque condizione climatica.

L’Umanesimo industriale di Pirelli

Lunedì 19 novembre, ore 19.00, la Fondazione inaugura la mostra “L’Umanesimo industriale di Pirelli. Dalla natura alla produzione, con gli occhi dell’arte”.

La mostra, realizzata in occasione dell’undicesima edizione della Settimana della Cultura d’impresa, promossa da Confindustria, racconta di uomini di cultura impegnati a sperimentare per la Pirelli sintesi originali tra la ricerca tecnologica, la produzione e la comunicazione, attraverso gli strumenti dell’arte. Tecniche, calcoli di laboratorio e prodotti vengono rappresentati con i linguaggi della natura, della creatività e dell’estetica.

Umanesimo industriale, appunto.

La mostra è l’occasione per presentare uno dei fondi più importanti conservati presso l’Archivio Storico della Fondazione Pirelli: oltre 300 disegni tecnici che riproducono i modelli dei pneumatici prodotti a partire dagli anni Cinquanta, restaurati e oggi disponibili al pubblico. Tra quelli più famosi:  il “Cinturato”, lo “Stelvio, il “Rolle”,  l’ “Atlante” e il “BS3”.

L’inaugurazione è aperta al pubblico.

Per informazioni sugli altri eventi promossi dalla Fondazione Pirelli e dall’HangarBicocca, è disponibile il programma della settimana.

Lunedì 19 novembre, ore 19.00, la Fondazione inaugura la mostra “L’Umanesimo industriale di Pirelli. Dalla natura alla produzione, con gli occhi dell’arte”.

La mostra, realizzata in occasione dell’undicesima edizione della Settimana della Cultura d’impresa, promossa da Confindustria, racconta di uomini di cultura impegnati a sperimentare per la Pirelli sintesi originali tra la ricerca tecnologica, la produzione e la comunicazione, attraverso gli strumenti dell’arte. Tecniche, calcoli di laboratorio e prodotti vengono rappresentati con i linguaggi della natura, della creatività e dell’estetica.

Umanesimo industriale, appunto.

La mostra è l’occasione per presentare uno dei fondi più importanti conservati presso l’Archivio Storico della Fondazione Pirelli: oltre 300 disegni tecnici che riproducono i modelli dei pneumatici prodotti a partire dagli anni Cinquanta, restaurati e oggi disponibili al pubblico. Tra quelli più famosi:  il “Cinturato”, lo “Stelvio, il “Rolle”,  l’ “Atlante” e il “BS3”.

L’inaugurazione è aperta al pubblico.

Per informazioni sugli altri eventi promossi dalla Fondazione Pirelli e dall’HangarBicocca, è disponibile il programma della settimana.

Settimana della Cultura d’Impresa 2012

La Settimana della Cultura d’Impresa, promossa da Confindustria in collaborazione con Museimpresa, è giunta alla sua XI edizione. E anche quest’anno la Fondazione Pirelli vi aderisce con un ricco programma di eventi e iniziative che hanno l’obiettivo di aumentare la consapevolezza civile circa l’importante contributo che l’aziende offrono alla società non solo in termini di sviluppo economico, ma anche culturale, grazie alle competenze, ai saperi e ai valori di cui queste sono sovente custodi. Dal 19 al 25 novembre 2012, la Fondazione Pirelli, in collaborazione con HangarBicocca e il Museo Interattivo del Cinema, organizza una serie di eventi e iniziative per tutti i tipi di pubblico (dagli appassionati di cinematografia agli storici, ai bambini).

Si comincia subito, il 19 novembre, con l’inaugurazione della mostra “L’Umanesimo industriale di Pirelli. Dalla natura alla produzione, con gli occhi dell’arte”, e si continua il 21 novembre con la proiezione in anteprima del dvd “Pirelli in 35 mm. Volume II”.

Giovedì 22, in HangarBicocca, una serata speciale esplora il tema della sperimentazione tra cinema, arte e ricerca scientifica attraverso la proiezione di alcuni sorprendenti filmati d’autore del ‘900.

Venerdì 23 novembre, invece, verrà presentata per la prima volta la sezione del sito fondazionepirelli.org dedicata alla consultazione online di “Pirelli: rivista di informazione e di tecnica” edita dal 1948 al 1972, e che accolse tra le sue pagine importantissimi nomi della cultura internazionale. Interverranno Giorgio Bigatti (Fondazione ISEC), Giuseppe Lupo (Università Cattolica del Sacro Cuore) e Carlo Vinti (Scuola di Architettura e Design Università di Camerino).

Sabato 24 novembre ritornano a grande richiesta le visite guidate all’Archivio Storico e agli spazi espositivi della Fondazione Pirelli e all’HangarBicocca, dove sarà possibile accedere alle mostre “unidisplay” di Carsten Nicolai e “On Space Time Foam” di  Tomás Saraceno.

La settimana terminerà domenica 25 con il laboratorio creativo dedicato ai bambini “Ohè bambini, non siamo più all’età della pietra: alla scoperta del cinema d’impresa”, che ripercorre attraverso il gioco la storia della pubblicità industriale.

La Settimana della Cultura d’Impresa, promossa da Confindustria in collaborazione con Museimpresa, è giunta alla sua XI edizione. E anche quest’anno la Fondazione Pirelli vi aderisce con un ricco programma di eventi e iniziative che hanno l’obiettivo di aumentare la consapevolezza civile circa l’importante contributo che l’aziende offrono alla società non solo in termini di sviluppo economico, ma anche culturale, grazie alle competenze, ai saperi e ai valori di cui queste sono sovente custodi. Dal 19 al 25 novembre 2012, la Fondazione Pirelli, in collaborazione con HangarBicocca e il Museo Interattivo del Cinema, organizza una serie di eventi e iniziative per tutti i tipi di pubblico (dagli appassionati di cinematografia agli storici, ai bambini).

Si comincia subito, il 19 novembre, con l’inaugurazione della mostra “L’Umanesimo industriale di Pirelli. Dalla natura alla produzione, con gli occhi dell’arte”, e si continua il 21 novembre con la proiezione in anteprima del dvd “Pirelli in 35 mm. Volume II”.

Giovedì 22, in HangarBicocca, una serata speciale esplora il tema della sperimentazione tra cinema, arte e ricerca scientifica attraverso la proiezione di alcuni sorprendenti filmati d’autore del ‘900.

Venerdì 23 novembre, invece, verrà presentata per la prima volta la sezione del sito fondazionepirelli.org dedicata alla consultazione online di “Pirelli: rivista di informazione e di tecnica” edita dal 1948 al 1972, e che accolse tra le sue pagine importantissimi nomi della cultura internazionale. Interverranno Giorgio Bigatti (Fondazione ISEC), Giuseppe Lupo (Università Cattolica del Sacro Cuore) e Carlo Vinti (Scuola di Architettura e Design Università di Camerino).

Sabato 24 novembre ritornano a grande richiesta le visite guidate all’Archivio Storico e agli spazi espositivi della Fondazione Pirelli e all’HangarBicocca, dove sarà possibile accedere alle mostre “unidisplay” di Carsten Nicolai e “On Space Time Foam” di  Tomás Saraceno.

La settimana terminerà domenica 25 con il laboratorio creativo dedicato ai bambini “Ohè bambini, non siamo più all’età della pietra: alla scoperta del cinema d’impresa”, che ripercorre attraverso il gioco la storia della pubblicità industriale.

Renato Guttuso, un maestro della “pittura civile”

In occasione del centenario della nascita di Renato Guttuso, l’11 ottobre inaugura al Vittoriano di Roma un’ampia retrospettiva dedicata al maestro siciliano composta da circa cento dipinti che documentano l’attività artistica.

E nella storia del grande artista c’è anche Pirelli, con cui Guttuso inizia a collaborare alla fine degli anni Cinquanta quando realizza per la rivista “Pirelli” le illustrazioni degli articoli di Franco Fellini, pseudonimo del caro amico Giovanni Pirelli, ispirati ai viaggi compiuti insieme lungo le sponde del Nilo nel 1959.

Ne scaturisce un binomio perfetto: i reportage di Giovanni prendono vita attraverso il tratto caratteristico e inconfondibile di Guttuso. Da Tebe a Menfi, da Luxor fino al Cairo: ritratti di luoghi mitici popolati dalle comunità locali intente a svolgere le mansioni quotidiane.

La fruttuosa collaborazione con Pirelli proseguirà nei primi anni Sessanta, quando, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Torino, Guttuso firma il bozzettoLa Ricerca Scientifica”, modello per il grandioso mosaico realizzato nello stesso anno dai mosaicisti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Al maestro siciliano fu affidato il compito di sintetizzare visivamente il lungo cammino percorso dall’uomo nella conoscenza della natura e delle sue leggi.

Il mosaico, il bozzetto originale e alcuni dei disegni originali pubblicati sulla rivista Pirelli sono conservati e visibili presso l’Archivio Storico Pirelli.

In occasione del centenario della nascita di Renato Guttuso, l’11 ottobre inaugura al Vittoriano di Roma un’ampia retrospettiva dedicata al maestro siciliano composta da circa cento dipinti che documentano l’attività artistica.

E nella storia del grande artista c’è anche Pirelli, con cui Guttuso inizia a collaborare alla fine degli anni Cinquanta quando realizza per la rivista “Pirelli” le illustrazioni degli articoli di Franco Fellini, pseudonimo del caro amico Giovanni Pirelli, ispirati ai viaggi compiuti insieme lungo le sponde del Nilo nel 1959.

Ne scaturisce un binomio perfetto: i reportage di Giovanni prendono vita attraverso il tratto caratteristico e inconfondibile di Guttuso. Da Tebe a Menfi, da Luxor fino al Cairo: ritratti di luoghi mitici popolati dalle comunità locali intente a svolgere le mansioni quotidiane.

La fruttuosa collaborazione con Pirelli proseguirà nei primi anni Sessanta, quando, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Torino, Guttuso firma il bozzettoLa Ricerca Scientifica”, modello per il grandioso mosaico realizzato nello stesso anno dai mosaicisti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Al maestro siciliano fu affidato il compito di sintetizzare visivamente il lungo cammino percorso dall’uomo nella conoscenza della natura e delle sue leggi.

Il mosaico, il bozzetto originale e alcuni dei disegni originali pubblicati sulla rivista Pirelli sono conservati e visibili presso l’Archivio Storico Pirelli.

Derby “rossonerazzurro” nella storia di Pirelli

Domenica 7 ottobre 2012: è tempo di derby Milan-Inter. Un derby che da sempre in casa Pirelli è “rossonerazzurro”.

È nerazzurro, certo, da quel giugno del 1995 quando la P Lunga andò a stamparsi indelebilmente sulla maglia della Beneamata. Sono quasi vent’anni che è lì, un record nel mondo del calcio. Ma il derby è anche stato rossonero. Per altrettanti vent’anni, cioé da quel lontano 1909 quando Piero Pirelli -figlio di Giovanni Battista e co-gerente dell’azienda di famiglia- divenne presidente del Milan Cricket and Football Club. Quando i soci lo acclamarono presidente dissero che “come non si potrebbe concepire una società senza uno Statuto e regolamento, così non si può concepire il Milan senza il suo presidente Pirelli”. Il Signor Piero resterà in carica fino al 1929.

È un derby nerazzurro, perché nel 1964 l’interistissimo poeta e scrittore Vittorio Sereni scrive “Il fantasma nerazzurro”, dove si racconta di Pepìn Meazza e delle sue magie, e poi di Sarti, e di Suarez e di casti striscioni che recitavano “sia la sorte azzurra o nera/viva l’Inter viva Herrera”. E dove viene pubblicato il lungo articolo di fede nerazzurra se non sulla Rivista Pirelli, numero 5 del 1964?

È un derby rossonero, perché nel 1925 il campo da gioco del Milan era al Trotter e i giocatori usavano -per cambiarsi- lo scantinato di casa Pirelli in via Ponte Seveso. Il Presidente Signor Piero risolse il problema facendo costruire per i suoi un vero e proprio stadio nuovo di zecca. Il gioiello fu inaugurato nel 1926, e la zona era quella di San Siro…

È un derby nerazzurro, perché nel 1997 arriva all’Inter il fenomeno Ronaldo che l’anno dopo diventa il Redentore nella famosissima pubblicità che lo vede dominare Rio de Janeiro dall’alto del Corcovado, e il suo piede è un battistrada Pirelli P3000: “la Potenza è Nulla senza Controllo”.

Domenica 7 ottobre sarà derby e per dirla con Sereni “non ci sarebbe il Milan se non ci fosse l’Inter (e reciprocamente, è ovvio) e l’amore viscerale per una delle sue parti assorbe anche un po’ del suo opposto”.

Domenica 7 ottobre 2012: è tempo di derby Milan-Inter. Un derby che da sempre in casa Pirelli è “rossonerazzurro”.

È nerazzurro, certo, da quel giugno del 1995 quando la P Lunga andò a stamparsi indelebilmente sulla maglia della Beneamata. Sono quasi vent’anni che è lì, un record nel mondo del calcio. Ma il derby è anche stato rossonero. Per altrettanti vent’anni, cioé da quel lontano 1909 quando Piero Pirelli -figlio di Giovanni Battista e co-gerente dell’azienda di famiglia- divenne presidente del Milan Cricket and Football Club. Quando i soci lo acclamarono presidente dissero che “come non si potrebbe concepire una società senza uno Statuto e regolamento, così non si può concepire il Milan senza il suo presidente Pirelli”. Il Signor Piero resterà in carica fino al 1929.

È un derby nerazzurro, perché nel 1964 l’interistissimo poeta e scrittore Vittorio Sereni scrive “Il fantasma nerazzurro”, dove si racconta di Pepìn Meazza e delle sue magie, e poi di Sarti, e di Suarez e di casti striscioni che recitavano “sia la sorte azzurra o nera/viva l’Inter viva Herrera”. E dove viene pubblicato il lungo articolo di fede nerazzurra se non sulla Rivista Pirelli, numero 5 del 1964?

È un derby rossonero, perché nel 1925 il campo da gioco del Milan era al Trotter e i giocatori usavano -per cambiarsi- lo scantinato di casa Pirelli in via Ponte Seveso. Il Presidente Signor Piero risolse il problema facendo costruire per i suoi un vero e proprio stadio nuovo di zecca. Il gioiello fu inaugurato nel 1926, e la zona era quella di San Siro…

È un derby nerazzurro, perché nel 1997 arriva all’Inter il fenomeno Ronaldo che l’anno dopo diventa il Redentore nella famosissima pubblicità che lo vede dominare Rio de Janeiro dall’alto del Corcovado, e il suo piede è un battistrada Pirelli P3000: “la Potenza è Nulla senza Controllo”.

Domenica 7 ottobre sarà derby e per dirla con Sereni “non ci sarebbe il Milan se non ci fosse l’Inter (e reciprocamente, è ovvio) e l’amore viscerale per una delle sue parti assorbe anche un po’ del suo opposto”.

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L’Anima di gomma in corsa per il Compasso d’Oro

La mostra “L’Anima di Gomma. Estetica e tecnica al passo con la moda” a cura della Fondazione Pirelli (Triennale di Milano, 21 giugno-24 luglio 2011) è ufficialmente in corsa per l’assegnazione del Compasso d’Oro, il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design.

L’Osservatorio permanente del Design, infatti, l’ha selezionata come esempio di orginalità e innovazione all’interno della categoria exhibition design e ne ha decretato la presentazione sull’edizione 2012 dell’Adi Design Index la pubblicazione annuale di ADI Associazione per il Disegno Industriale che raccoglie il miglior design italiano messo in produzione ogni anno.

La selezione comprende prodotti o sistemi di prodotto di ogni merceologia, ricerche teorico-critiche, ricerche di processo o d’impresa applicate al design che si siano distinti per originalità e innovazione, per i processi di produzione adottati, per i materiali impiegati, per la sintesi formale raggiunta.

Oltre ad essere in corsa per il Compasso d’Oro (premio triennale la cui prossima assegnazione è in programma per il 2014), la mostra “L’Anima di Gomma – Estetica e tecnica al passo con la moda” e con essa Pirelli (committente), Leftloft (direzione artistica e progetto grafico) e gli Ennezerotre (progetto grafico e multimediale) concorrono anche all’assegnazione del Premio per l’Innovazione ADI Design Index.

I vincitori di questo premio ricevono inoltre, su segnalazione di ADI, e unici per la categoria Design, l’ambito riconoscimento Premio Nazionale per l’Innovazione “Premio dei Premi”, istituito su concessione del Presidente della Repubblica Italiana presso la Fondazione Cotec.

La mostra “L’Anima di Gomma. Estetica e tecnica al passo con la moda” a cura della Fondazione Pirelli (Triennale di Milano, 21 giugno-24 luglio 2011) è ufficialmente in corsa per l’assegnazione del Compasso d’Oro, il più antico ma soprattutto il più autorevole premio mondiale di design.

L’Osservatorio permanente del Design, infatti, l’ha selezionata come esempio di orginalità e innovazione all’interno della categoria exhibition design e ne ha decretato la presentazione sull’edizione 2012 dell’Adi Design Index la pubblicazione annuale di ADI Associazione per il Disegno Industriale che raccoglie il miglior design italiano messo in produzione ogni anno.

La selezione comprende prodotti o sistemi di prodotto di ogni merceologia, ricerche teorico-critiche, ricerche di processo o d’impresa applicate al design che si siano distinti per originalità e innovazione, per i processi di produzione adottati, per i materiali impiegati, per la sintesi formale raggiunta.

Oltre ad essere in corsa per il Compasso d’Oro (premio triennale la cui prossima assegnazione è in programma per il 2014), la mostra “L’Anima di Gomma – Estetica e tecnica al passo con la moda” e con essa Pirelli (committente), Leftloft (direzione artistica e progetto grafico) e gli Ennezerotre (progetto grafico e multimediale) concorrono anche all’assegnazione del Premio per l’Innovazione ADI Design Index.

I vincitori di questo premio ricevono inoltre, su segnalazione di ADI, e unici per la categoria Design, l’ambito riconoscimento Premio Nazionale per l’Innovazione “Premio dei Premi”, istituito su concessione del Presidente della Repubblica Italiana presso la Fondazione Cotec.

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CIAO, COME POSSO AIUTARTI?